Passione Gourmet Sicilia Archivi - Pagina 2 di 17 - Passione Gourmet

Hostaria del Vicolo

Da 40 anni un punto di riferimento gastronomico

Sono passati quarant’anni da quando Nino Bentivegna decise di aprire la sua Hostaria del Vicolo, in una delle stradine che circondano il centro storico della bellissima Sciacca. In questo ormai lungo periodo la barra è sempre stata tenuta dritta nella selezione delle materie prime, quelle del mare in particolare, ma non solo; nel recupero di ricette della tradizione con quel tocco di modernità che fa compiere quel piccolo balzo in avanti rispetto a una trattoria; nella costruzione di una carta dei vini dove la Sicilia è grande protagonista con una divisione per zone e sotto-zone di produzione e una profondità di ampio respiro a prezzi più che ragionevoli. In questi anni tanti chef si sono alternati ai fornelli: ora alla plancia di comando ci stanno la figlia Lila Bentivegna e Angelo Principato.

Tra radici e futuro

Due percorsi sono offerti all’avventore che si siede alla tavola dell’Hostaria del Vicolo, uno legato ai piatti della tradizione e a quelli storici del locale (“Radici“), l’altro più legato alla creatività degli Chef, anche in base a quello che offre il mercato (“Innovazione“). E i due percorsi si intersecano molto bene nell’offerta alla carta. Al netto di qualche antipasto, giocato fin troppo su consistenze morbide, dove manca un contrappunto croccante, come nel Cannolo di crudo di crostacei ripieno di crema di pane al finocchietto, la combinazione di classico e contemporaneo ci ha convinto. Perfetta la doppia cottura, in padella e al forno della Triglia con lardo di suino nero, così come la consistenza dei Tortelli di grani antichi ripieni di scampi, burrata e timo. E non da meno gli aromi e il sapore della minestra di sarde come una volta, dedicata alla ricetta di Nonna Lilia. Lunga cottura, pinoli, uva passa e lo spaghettino spezzato a chiudere il cerchio di un piatto da provare, così come in chiusura l’Ovamurina: una sorta di antesignano del cannolo, la cui ricetta originaria viene dalle monache di clausura di Sciacca, a concludere un pranzo gratificante.

IL PIATTO MIGLIORE: La nostra triglia: marinata, scottata al lardo di suino nero e finita al forno – maionese di barbabietole e fonduta di pecorino ennese.

La Galleria Fotografica:

Nel cuore di Caltagirone l’interessante cucina del Coria

Giuseppe Coria è nome poco in voga nel mainstream culinario degli ultimi anni, eppure la sua opera è paragonabile a quella del ben più celebrato Pellegrino Artusi. La principale differenza tra i due è legata allo sguardo d’insieme delle loro opere: Artusi, ne “La scienza in cucina e l’arte di mangiare bene“, analizzava il panorama gastronomica italiano abbracciando tutto lo Stivale; Coria, in “Profumi di Sicilia“, soffermandosi sull’Isola a lui natale. Quest’approccio è importante nel capire la filosofia che anima il ristorante Coria – che proprio allo scrittore siculo rende omaggio – gestito dagli Chef Domenico Colonnetta e Francesco Patti. Perché nella splendida Caltagirone, a pochi metri dalla famosa Scalinata di Santa Maria del Monte (attenzione a questo proposito perché il ristorante sta valutando uno spostamento di sede nei prossimi mesi), il Coria propone una cucina che fa proprie le peculiarità della Sicilia, sia dal punto di vista ittico sia per ciò che concerne la carne, inserendole in un’ottica capace, grazie alla tecnica, di presentarle al commensale con occhio rivisitato e non nostalgico. Il che, va precisato, non sacrifica un preciso senso di appagamento del palato, di rotonda e golosa fattura, in grado di soddisfare anche l’avventore inesperto.

Profumi di Sicilia

È risultato quindi di buon impatto Baccalà in latte di canapa, crocchetta di topinambur, chips di senape, limone, portata nella quale il topinambur ha fornito una solida base sulla quale imbastire un gioco terra e mare tra la foglia di tenerumi e il baccalà, perfettamente cotto, con le note iodate inframezzate a quelle vegetali, non dimenticando un’alternanza di consistenze ben calibrata tra morbidezza e croccantezza. Sulla stessa lunghezza d’onda si è situato anche Risotto mare e monti anni ’80, fave e piselli, maiorchino, mosto cotto di uva frappato, scampo, dove a farla da padrone sono stati i legumi, terrosi e croccanti, coadiuvati da una golosa rotondità lattica e una precisa lunghezza sapida dello scampo. Un bell’omaggio alle commistioni degli anni ’80. Interessante anche il reparto dolci, con un uso intelligente del tartufo in Tiramisù, tartufo e crumble di canapa a smorzare l’eccessiva dolcezza per equilibrare note casearie e di cioccolato, suadenti ma non stucchevoli. Un appunto che muoviamo, al netto di un esito comunque felice dell’esperienza, è relativo la possibilità di questa cucina di osare un po’ di più sui contrasti. Una sfumatura che non intacca la resa complessiva, gestita con garbo e intelligenza dalla brigata in sala, a cominciare dalla squisita sommelier Alessia Zuppelli. Bravi!

IL PIATTO MIGLIORE: Baccalà in latte di canapa, rocchetta di topinambur, chips di senape, limone.

La Galleria Fotografica:

Una piacevole scoperta in un relais di charme alle pendici dell’Etna

Viagrande è un paesino d’altura tra Acireale e l’Etna, lembo di terra dove, oltre al fascino del barocco siciliano, ci si può avventurare nella maestosa bellezza naturale del Vulcano; molti di questi piccoli comuni sono poli strategici, perfetti per le diverse escursioni e, conseguentemente, sono diventati piccoli centri di affluenza di turisti che vengono da ogni angolo della terra per visitare una zona fascinosa, ormai diventata meta imperdibile. Questo contesto ha favorito la nascita di boutique hotel, anche di lusso, dove un’adeguata offerta ristorativa non può mancare. Ecco allora spiegata la concentrazione di ristoranti dal respiro internazionale in un fazzoletto di una sessantina di chilometri tra Catania e l’affollata Taormina come iPalici – il cui nome rievoca divinità mitologiche della Sicilia antica – che rientra a pieno merito nel paniere prezioso di questa zona.

Il ristorante è ubicato in un antico palmento in un’atmosfera di eleganza e raffinatezza che si sposa perfettamente con il fascino architettonico del Relais San Giuliano, storica dimora di campagna dei Marchesi di San Giuliano, edificata sul finire del ‘700, restituito a nuovo splendore nel rispetto dell’identità originaria. In queste cucine officia Gaetano Procopio, formatosi alla corte di Heinz Beck dal quale ha ripreso lo stile mediterraneo e il tratto distintivo della cucina sana e leggera dello Chef teutonico, dove il vegetale gioca un ruolo chiave. Procopio ambisce a fare grandi cose e, da siciliano, vuole preservare la tradizione e la cucina della memoria ma riesce anche a conciliarle con proposte divertenti e ad effetto, facendo divertire il commensale e stimolando in esso curiosità e sentimenti ludici.

Il sorprendente “pane e companatico”

La filosofia culinaria si fonda sulla valorizzazione degli ingredienti locali perduti e riscoperti, come il cavolo trunzu di Aci (una rapa coltivato da sempre nel catanese), con un’attenzione particolare alla sostenibilità e al ritorno alle radici della terra. Una proposta generosa racchiusa nel benvenuto del “Pane e companatico” con due imperiosi carrelli di pani, grissini e lievitati, dove non manca l’iconica “brioscia con tuppo”, qui servita in versione salata, e – il vero momento imperdibile di questa tavola – il Carrello dei vegetali. Si tratta di una sorprendente entrée che gioca con ingredienti vegetali, lavorati come se fossero salumi o formaggi e presentati con originalità e creatività e, appunto, affettati al tavolo davanti gli occhi degli ospiti. Un risultato frutto di grande lavoro e, ad oggi molto in voga tra altri cuochi nazionali – si pensi al lavoro simile, e con medesimi grandi risultati, raggiunto da Giovanni Solofra ai Tre Olivi di Paestum – in grado di stupire e coinvolgere i palati più esigenti, mantenendo sempre una connessione autentica con il territorio.

Tra gli assaggi più affascinanti segnaliamo i Bottoni di pasta fresca, alici e finocchietto con la salsa allo zafferano che fa da sontuoso ed elegante collante tra i pronunciati ingredienti siculi. Anche il Baccalà, barbabietola, arancia, e briciole di nocciole al caffè si mostra molto equilibrato sebbene ci saremmo aspettati l’utilizzo di un prodotto ittico locale. Nel Risotto con i tenerumi, mantecato con talè di capra girgentana, limone femminello e pane, invece, il territorio c’è tutto ma il piatto, nel complesso, potrebbe avere maggiore sapidità e persistenza gustativa dell’ingrediente principale. I dolci rispettano la dolcezza tipica della regione ma sono eseguiti con ottima tecnica. Si registra qualche rotondità di troppo ma l’entusiasmo è tangibile per auspicare una intrigante evoluzione del progetto.

La carta dei vini, come è usuale trovare a queste latitudini, ha un interessante focus sulle etichette regionali e gli abbinamenti consigliati dal giovane sommelier si sono rivelati una piacevole scoperta. Nota di merito per il personale di sala, tre ragazzi che accolgono gli ospiti con cortesia e dedizione, rendendo l’atmosfera rilassata. Precisiamo che il nostro è un giudizio cauto che vuole fungere da maggiore stimolo per la creatività e il coraggio di Procopio e della sua brigata, consci delle possibilità e dei mezzi tecnici che gli stessi hanno e che, siamo confidenti, potranno mostrare alle prossime visite.

IL PIATTO MIGLIORE: Il carrello dei vegetali.

La Galleria Fotografica:

…e la Malvasia delle Lipari

La storia della Malvasia delle Lipari è finemente intrecciata con quella di un designer di fama internazionale, Carlo Hauner, che recuperando le viti storiche in quel di Salina ha dato vita a un vino apprezzato in tutto il mondo.

Di origini bresciane e ancor prima boeme, Carlo Hauner arriva a Salina nel 1963. È il padre a portare qui la famiglia in vacanza quell’estate, ma ben presto la bellezza del luogo irretisce gli Hauner, che vi ci trasferiscono definitivamente poco tempo più tardi. È lo stesso Carlo a raccontare – in un’intervista rilasciata al Consorzio Malvasia delle Lipari – come l’idea di iniziare a produrre vino fu del tutto naturale per loro: “mio padre diceva che era tutto meraviglioso… ma si beveva male.”

Ecco quindi prendere piede quell’idea, sbocciata con la modesta pretesa di produrre vino per le proprie cene, che ha infine portato gli Hauner a far riscoprire la viticoltura a Salina e a renderla l’oasi verde che è oggi. Al tempo, infatti, l’isola eoliana non era certo la meta turistica che è ai giorni nostri, inoltre risultava spopolata a causa dei fenomeni di migrazione occorsi nel ‘900. Della vite, e più nel dettaglio la Malvasia, importata qui ai tempi degli antichi greci, non restavano che pochi esemplari, sopravvissuti in qualche modo alla fillossera, coltivati dai contadini del posto secondo le tecniche ancestrali tramandate di padre in figlio.

Gli Hauner impiegano alcuni anni per mettere insieme una ventina di ettari di vigneti; vigneti che ripulirono e nei quali ripristinarono gli antichi terrazzamenti. Introdussero piccole innovazioni nel processo di vinificazione, pur salvaguardando gli usi tradizionali, come l’appassimento dell’uva sui “cannizzi”, servendosi di tecniche quali l’appassimento dell’uva sulla pianta, il controllo della temperatura in fermentazione e infine lo stoccaggio in acciaio.

La svolta arriva nel 1974, quando le prime bottiglie vengono portate al Vinitaly e subito si fanno notare dal mitologico Luigi Veronelli, che dedica un articolo all’azienda “che al tempo non aveva neanche una vera e propria cantina.”

Il successo è immediato. La Malvasia passita degli Hauner riporta alla luce quel “nettare degli dei” decantato da Alexandre Dumas che, in viaggio alle isole Eolie, scriveva: “venne portata una bottiglia di Malvasia delle Lipari; fu il vino più eccezionale che abbia mai assaggiato nella mia vita”.

Negli anni ’80 viene costruita la cantina e si inizia a vinificare anche l’uva conferita dai piccoli produttori locali, che sull’onda del successo di questi vini riprendono a coltivare la vite. Oggi sono oltre una decina le aziende produttrici che coi loro vigneti colorano di verde l’isola di Salina, un luogo che vive di un perfetto equilibrio tra vino e turismo.

La cantina insediata a Lingua, incantevole frazione di Santa Marina Salina, oggi produce circa 50.000 bottiglie di Malvasia, suddivise in due versioni, la naturale e la passita. A queste nel tempo si sono aggiunte altre etichette per offrire una panoramica più completa del territorio, che oggi è rappresentato, oltre che dalle Malvasie, anche da un Salina Bianco, Salina Rosso, Hierà, Hierà Rosè, Antonello, Iancura e Carlo Hauner, blend di Inzolia, Catarratto e Grillo che omaggia lo storico proprietario, scomparso nel 1996, cui è succeduto il figlio Carlo Junior con la preziosa collaborazione della moglie Cristina e dei figli Andrea e Michele.

All’affascinante storia degli Hauner abbiamo dedicato anche un podcast, che potete ascoltare qui.

Le Malvasie

Malvasia delle Lipari DOC naturale

Alc.: 12,5%
Vitigno: Malvasia delle Lipari 95%, Corinto Nero 5%

Ambrata, con qualche riflesso che vira verso il verdolino, questa Malvasia raccolta tardivamente matura dapprima in serbatoi di acciaio termocondizionati, quindi finisce l’affinamento in bottiglia, dove riposa per almeno sei mesi. Il naso è un’esplosione di albicocche e nespole mature, alle quali si intrecciano note di erbe aromatiche. Dolce, sapida, con una bella freschezza che rende la beva estremamente piacevole.

Malvasia delle Lipari DOC passito

Alc.: 13%
Vitigno: Malvasia delle Lipari 95%, Corinto Nero 5%

Dopo essere stata vendemmiata tardivamente, l’uva viene lasciata appassire sui cannizzi al sole per un tempo che va dai 15 ai 20 giorni; quindi, continua la vinificazione maturando in acciaio e in bottiglia. Il sole sembra quasi venire intrappolato nel colore di questo vino: ambrato e dai caldi riflessi dorati. Al naso spiccano i datteri e i fichi freschi, note di camomilla e torrone. Al palato è pieno e vellutato, sostenuto da una vivace freschezza e da grande sapidità.

Malvasia delle Lipari DOC selezione Carlo Hauner

Alc.: 13,5%
Vitigno: Malvasia delle Lipari 95%, Corinto Nero 5%

Solo le uve migliori vengono esposte sui cannizzi ad appassire per un tempo che va dai 30 ai 40 giorni. Il nettare che ne viene estratto, poi, matura in barrique per almeno 40 giorni prima di passare alla bottiglia e ivi riposare per almeno otto mesi. Il risultato è un colore ambrato che vira verso i toni scuri dell’oro verde, che regala un naso esemplare ed elegantissimo di albicocche secche e frutta esotica candita, macchia mediterranea e miele. Sapidissimo, quasi salato, opulento e con una vena di freschezza che ne mantiene inalterata la piacevolezza.

* I vini dell’Azienda Agricola Hauner sono distribuiti da Sagna Spa.

I nostri migliori assaggi della varietà autoctona siciliana

Nella prima parte dell’articolo vi abbiamo raccontato di quel vitigno tutto da (ri)scoprire che è il Frappato, una varietà autoctona siciliana che dà vita a vini dai tratti sottili, piuttosto scarichi di colore e dal piglio austero, dove l’indiscussa predominanza di un croccante frutto rosso – che tradizionalmente gli è valso il nome di “rrappatu”, ossia ‘fruttato’ in dialetto siciliano – si mescola alle note salmastre e della macchia mediterranea.

Dopo aver delineato le caratteristiche di questo vitigno e averne tratteggiato brevemente la storia, veniamo dunque alla ciccia: i nostri migliori assaggi.

Le aziende

Arianna Occhipinti

Occhipinti è certamente uno dei nomi che sempre più porta l’attenzione verso questa remota area della Sicilia; merito di Arianna e di Giusto (Azienda Agricola COS), autentici custodi del territorio. Arianna conduce i suoi 30 ettari di vigne con un approccio biodinamico, che fa della biodiversità la sua bandiera. Nonostante le temperature proibitive di queste zone, le vigne non vengono irrigate e traggono dal suolo calcareo sottostante la riserva idrica necessaria per vivere. Chiaramente le rese sono basse, si produce meno di un chilogrammo di uva per pianta, ma i vini sono di grandissimo carattere.

Particolarmente interessanti i Vini di Contrada, tre Frappati in purezza vinificati allo stesso modo, ma provenienti da tre contrade con sottosuoli differenti, così che sia il territorio a parlare per mezzo del vitigno.

PT 2020 – Contrada Pettineo
Uno strato di sabbia di origine marina sciolta e profonda (50-60 cm) con poca presenza di ciottoli calcarei in superficie”.
Un vino di buona acidità e freschezza, dove emerge netta un’amarena ancora croccante e succosa, accompagnata da sbuffi marini e tannini rotondi e gentili.

FL 2020 – Contrada Fossa di Lupo
Le terre sono sabbiose con sfumature che vanno dal rosso al castano e con una sostanziale presenza di calcare in sasso in superficie. Dopo i primi 40 cm di sabbia si presenta uno strato piuttosto duro di calcare roccioso.”
Più austero all’impatto, con il frutto che vira verso le note del ribes e del melograno, una freschezza sempre elevata e il tannino che si fa più presente.

BB 2020 – Contrada Bombolieri
Qui le terre variano dal castano al bianco, ma lo strato di sabbia superficiale è decisamente inferiore, solo 25 cm. Appena sotto si trovano rocce calcaree solide.”
Grande acidità, più potente e tannico pur mantenendo una finezza estrema, profondo e sapido. Emerge una splendida nota di rosa rossa assieme al melograno e un sentore pepato che impreziosisce ulteriormente il sorso.

Azienda Agricola Cos

Al timone della cantina fondata da tre giovani amici nel 1980 – i cui cognomi, Cilia, Occhipinti e Strano, diedero luogo al nome dell’azienda – troviamo ancora oggi Giusto Occhipinti e Giambattista (Titta) Cilia, pionieri e custodi di quest’angolo di Sicilia certificato biologico, ma a conduzione biodinamica, la cui latitudine in una linea immaginaria si pone perfino al di sotto di Tunisi. A contribuire alla crescente notorietà dell’azienda negli ultimi anni è stato l’uso delle 150 anfore di terracotta delle quali ci si serve per la linea ‘Pithos’. Vero emblema dell’azienda, tuttavia, è il Cerasuolo di Vittoria Classico (che in tutte le sue declinazioni prevede il Frappato al 40% e il Nero d’Avola al 60%, che qui rivela alcune delle sue migliori espressioni ottenute per mezzo di affinamento in botti di Slavonia e bottiglia.

Frappato IGP 2022
Terre rosse, media consistenza, da sabbie sub-appenniniche, di origine pliocenica e di natura calcarea.
Un vino salato, fresco, di grande pulizia. Al naso si esprime con un tripudio di note floreali, per poi cedere il passo ai consueti frutti rossi e a una piacevole arancia sanguinella.

Cerasuolo di Vittoria Classico Docg 2020
Terre rosse, media consistenza, da sabbie sub-appenniniche, di origine pliocenica di natura calcarea.
Verticale e profondo, fresco e spiccatamente salino. Al naso il melograno, le note scure del cipresso e dell’oliva nera. Un vino sicuramente già buono, che tuttavia, come ci dimostra la degustazione successiva, è meglio dimenticare in cantina.

Cerasuolo di Vittoria Classico Docg 1999
Un vino che è ancora in forma smagliante, rosso rubino brillante a vedersi e un tripudio di aromi non appena avvicinato al naso, in un bouquet nel quale compare la nota balsamica dell’eucalipto e quella calda e speziata del cacao amaro. La trama tannica è finissima, ogni componente è in perfetto equilibrio, è un vino bellissimo sotto ogni punto di vista.

Valle Dell’Acate

L’azienda di Gaetana Jacono da sei generazioni porta avanti la tradizione. All’interno della cantina, ormai in disuso seppur perfettamente funzionante, uno splendido palmento testimonia la lunga storia che lega la famiglia Jacono al vino. Il Cerasuolo di Vittoria Classico è il fiore all’occhiello di questa azienda, certificata biologica e da sempre attenta a mantenere intatto il legame con il territorio.

Il Frappato 2022
La terra è nera (prevalentemente argillosa, nda), abbastanza compatta, con ciottoli bianchi.”
Il frutto è l’indiscusso protagonista, con note di ciliegia e di lampone che spiccano particolarmente. Il vino è abbastanza fresco e sapido, equilibrato e di grande piacevolezza.

BDN Cerasuolo di Vittoria Classico Docg 2020
La struttura dei terreni è composta da sabbie rosse chiaro o scuro di medio impasto con una buona profondità. I vigneti che si trovano su una terra di colore rosso scuro producono il Nero d’Avola mentre i vigneti che si trovano su terreni di colore rosso chiaro producono il Frappato.”
Ritroviamo la ciliegia, ma anche note più scure, che vanno verso la mora matura e la liquirizia. La struttura si arricchisce grazie all’aggiunta del Nero d’Avola (60%), i tannini si fanno più presenti.

Iri da Iri Cerasuolo di Vittoria Classico Docg 2015
Terra rosso arancio.”
Un vino molto piacevole e armonico, dove il legno è stato ben digerito, donando al tannino una grande rotondità. Al naso ancora i frutti rossi, ormai meno croccanti e più maturi, intrecciati a sentori di frutti di bosco, cacao e macchia mediterranea.

Caruso & Minini

Lasciamo la zona storica del Frappato per recarci a Marsala (TP), dove le giovani sorelle Giovanna e Rosanna Caruso perpetrano l’attività di famiglia assieme agli storici soci bresciani, i Minini. Uno splendido baglio dei primi del ‘900 ospita la cantina dove vengono vinificate le uve provenienti dai 120 ettari di proprietà. I vitigni sono per lo più quelli autoctoni siciliani, dislocati fino a 450 m.s.l.m. Le vigne insistono su terreni franco argillosi che andando in profondità ospitano una sempre maggiore componente calcarea, ricoperti in superficie dai “cuti”, ciottoli che rendono piuttosto difficoltosa la lavorazione del terreno. Il risultato sono vini che si caratterizzano per la grande pulizia e precisione, mediamente di ottima freschezza e con una piacevolissima sapidità.

Frappo Rosé
Appena introdotto nel portfolio aziendale, Frappo Rosé è un 100% Frappato vinificato in rosato. Sottile, fresco, vivace ed equilibrato, al naso rivela note di fragola e ciliegia.

Frappello 2021
Nuova etichetta anche per il blend di Frappato e Nerello Mascalese, dove il legno sapientemente dosato dona sentori speziati, rotondità ed eleganza ai tannini, mantenendo inalterata la fragranza dei frutti di bosco. Sapido, fresco, pericolosamente bevibile.

Altri assaggi

Victorya 1607 Cerasuolo di Vittoria Docg 2021 – Casa Grazia
Terreno sabbioso e scistoso
Emergono nettamente le spezie in questo Cerasuolo di Vittoria da uve di Frappato e Nero d’Avola al 50%. Il chiodo di garofano nitido e avvolgente cede il passo alla succosità della ciliegia. Un vino piuttosto sapido, intenso, di grande piacevolezza.

Carolina Marengo Frappato – Feudi del Pisciotto
Terre gialle e rosse a medio impasto, ricche di scheletro
Questo 100% Frappato si distingue per la maggiore estrazione, riflessa al naso come nel colore. È un concentrato di frutti dalle note scure, vaniglia e cannella.

Disiato 2022 – Tenute Navarra
Terreno di medio impasto tendente al sabbioso
Le vigne che danno vita a questo 100% Frappato hanno solo due anni, sono delle bambine. Bisognerà aspettare qualche tempo per apprezzare tutto il potenziale di questo Frappato in erba, che oggi si muove tra la ciliegia e il lampone, rivelando una leggera volatile giovanile al naso.

Frappato Vittoria Doc 2021 – Planeta
Sabbie rosse sciolte con scheletro presente di piccole dimensioni, mediamente profondi; a circa 90 cm si trova uno strato tufaceo.
Una splendida espressione di Frappato in purezza da solo acciaio, che oltre ai consueti aromi di frutti rossi ancora croccanti rivela note floreali di rosa e la suadente comparsa del dattero. Un vino sottile, elegante, piacevolissimo.

Dumé Frappato Sicilia Doc 2022 – Gorghi Tondi
Substrato calcareo, di medio impasto tendente al sabbioso.”
Un vino estremamente fine e sottile, di buona freschezza e ottima sapidità. Al naso spiccano il lampone e il melograno, con rimandi di sbuffi marini.