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A Spurcacciuna

Un locale storico dalla rinnovata identità gastronomica

Il ristorante A Spurcacciuna è poco lontano dal centro di Savona, percorrendo la strada che porta verso Vado Ligure, si trova all’interno del complesso dell’Hotel Mare, con spiaggia privata e piscine. D’estate la terrazza accoglie i clienti, regalando un pasto fronte mare. Il nome risale a una storia dei primi del ‘900: si narra infatti che nonna Paola sia stata scoperta intenta nella pulizia dei fagiolini in un momento di stanchezza con i piedi in una tinozza “Ti sé proprio una spurcacciun-a, ti stàa in cucina con i pê a bagno”. Fu proprio la figlia Giuliana Pessano, storica figura della ristorazione ligure, a dare questo nome nel 1952.

In cucina c’è Simone Perata, un curriculum blasonato che vede, al culmine, un grande ritorno. Dopo una breve permanenza al ristorante Del Cambio, infatti, qui a Savona ha proseguito il suo percorso formativo sotto l’egida dei patron, Pervinca e Claudio Tiranini, per poi veleggiare verso il Marchesino e, da qui, in Francia, al Taillevent e, quindi, al Lasarte di Martín Berasategui, dove trascorrerà tre anni prima di tornare a Savona nel 2018. Lo Chef cellese ha così avuto modo di far tesoro di quanto appreso e applicarlo a quella che è la sua stilistica culinaria attuale, esaltando la materia prima locale. La proposta è di due menu degustazione, oltre alla carta, che sin dai nomi e dalla descrizione delle portate ci riportano alla tradizione ligure con note internazionali e guizzi opulenti. 

La cucina del Ponente ligure

L’aperitivo è una buona sintesi della strada che percorreremo, in piena tradizione ligure: Acciughe ripiene con gel al limone, crocchette al nero di seppia con maionese sesamo e wasabi, tartellette di bagna cauda con una brunoise di zucchine trombetta, cannolo siciliano con pistacchio, cono di paprika con formaggetta di capra di Stella. Il menu “alta marea” inizia con un piatto dalla piccantezza aromatica molto piacevole, acidità, croccantezza: Spuma di jalapeño, gelato all’oliva taggiasca, alghe croccanti. 

Un piatto che conquista: Tortelli di nocciola piemontese accompagnata da zuppa di miso. In primis colpisce la ceramica, Kitch tea appunto. Inoltre il contrasto con i tortelli di nocciola, la sapidità della zuppa di miso e la piccantezza della stessa (vi è infatti del peperoncino) lasciano davvero il segno. L’arrivo del pane è un colpo al cuore: pane al burro, focaccia tradizionale e sfogliato alle olive taggiasche. Accompagnati da due tipi di burro: bianco con spezie liguri salato e al pomodoro e origano. Proseguiamo col Gambero viola, scottato al forno, carpaccio di fragole, pesto di mandorle, gocce di aglio nero fermentato e piccola tartare di gambero. Croccante la testa, delicato l’insieme. L’Anguilla è ben succosa, la glassa al rossese morbida. Cappon magro, super classico ligure, intrigante sin dall’aspetto.

L’azzurro del mare colpisce, non è altro che la ceramica del piatto sotto ad una gelatina di pomodoro e un goccino di olio al prezzemolo e poi sgombro, polpo, acciuga, gambero crudo, verdurine, spuma di barbabietola e gelato alle acciughe. Un bel gioco di colori, di odori, consistenze, centrato il contrasto con barbabietola e acciuga. Mentre i Bottoni risentono un po’ dell’ingombrante ripieno di toma di Pecora Brigasca, lo Spaghettone con murici è piacevolmente deciso, la scelta dell’aglio fritto vincente e la chicca del finger lime chiude il piatto perfettamente.

Quanto ai secondi, il Rombo chiodato alla mugnaia, servitoci dallo Chef in persona, è cotto nel burro e salvia e non infarinato, tanto che la salsa alla mugnaia, ottenuta con burro noisette, fondo di rombo e dashi, appesantisce un po’ il piatto, forse non favorito dall’alta temperatura di questo luglio bollente. Il Piccione in due servizi contempla il petto di piccione alla griglia, nocciole e spezie, ciliegia, mele e verdura alla griglia, con coscia con Gram Masala.

Per prepararci al dolce, dopo un menù decisamente impegnativo, arriva una granita di mojito, mela osmotizzata al rhum e meringhette. Chiosa golosa molto piacevole è Ligurian breakfast, la vecchia colazione ligure: focaccia e caffelatte. La focaccia è più alta, cotta al forno e passata in padella, fiammeggiata con zucchero semolato e servita con gelato di caffè e latte, crema di mandorle e cioccolato amaro, puntine di basilico e limone. Decisamente una ottima chiusura di questo giro del mondo in 11 portate che ci delizia infine con la piccola pasticceria.

Il servizio di sala è cordiale, tenta di tanto in tanto di contenere l’entusiasmo degli ospiti della piscina al fianco della terrazza.  Ben gradito il supporto nel selezionare cosa bere all’interno della loro interessante e smisurata lista dei vini, colma di grandi classici e bottiglie di spessore.

La Galleria Fotografica:

Il Gabbiano, Chef Paolo Quartero, Alassio

Alassio, e più in generale le cittadine della Riviera Ligure, nelle giornate soleggiate di fine inverno hanno un fascino tutto particolare: si può godere appieno del panorama senza ostacoli che osteggino lo sguardo, camminare in pace, parcheggiare con facilità e, con un po’ di accortezza, anche godere di un pasto soddisfacente a pochi metri dal bagnasciuga.
Il Gabbiano ad Alassio, se desiderate tutto questo, può fare al caso vostro: un locale con un’impronta chiara e ben articolata, lontano anni luce dai troppi ristorantini acchiappaturisti che affollano i nostri litorali con proposte almeno improbabili.
Il Gabbiano, gestito con passione da Paolo Quartero e da sua moglie, si trova sulla passeggiata a mare della famosa località rivierasca e, nella bella stagione, permette di mangiare sia nella luminosa veranda panoramica sia nei tavolini esterni posizionati praticamente sulla battigia.
Al Gabbiano, però non si viene solo per il panorama, ma soprattutto per provare la cucina di Paolo.
Il mare è il grande protagonista e non potrebbe essere altrimenti, ma anche i carnivori possono trovare alcuni piatti non banali.
La cucina è piuttosto semplice, il grande protagonista è il prodotto che viene trattato con rispetto e cucinato il minimo necessario per esaltarne le peculiarità senza per questo fargli perdere l’identità.
Cotture precise, sapori netti e un buon equilibrio complessivo, anche se con qualche piccolo eccesso di sale qua e là, fanno sì che il tempo passato a tavola sia nel complesso più che positivo.
Ma oltre agli amanti della tavola, anche i seguaci di Bacco possono qui trovare soddisfazione; infatti l’altra grande passione dello chef è il vino e l’importante carta ne è la dimostrazione tangibile; ben compilata, con in grande evidenza la Francia tutta e la Champagne in particolare, riflette, nel suo complesso, la competenza e l’amore per il vino del suo redattore e permette di bere anche molto bene a prezzi tutto sommato ragionevoli.

Focaccia, siamo in Liguria e non può mancare.
Il Gabbiano, Chef Paolo Quartero, Alassio, liguria
Pane bianco e con la polpa di oliva.
pane bianco, Il Gabbiano, Chef Paolo Quartero, Alassio, liguriaBenvenuto della cucina: involtino di melanzana ripieno di palamita.
melanzana ripiena di palamita, Il Gabbiano, Chef Paolo Quartero, Alassio, liguria
Scampi cotti a vapore, carciofi di Albenga, salsa al lemongrass: buoni con un pizzico di sale di troppo nei carciofi.
Scampi cotti a vapore, Il Gabbiano, Chef Paolo Quartero, Alassio, liguria
Passatina di ceci, calamaretti spillo e bacon croccante.
passatina di ceci, Il Gabbiano, Chef Paolo Quartero, Alassio, liguria
Ottima sogliola cotta alla brace con maionese fatta in casa, tortino di patate e dadolata di verdure.
sogliola cotta alla brace, Il Gabbiano, Chef Paolo Quartero, Alassio, liguria
Triglie spinate e fritte con carciofi: il pesce forse complice un’impanatura piuttosto spessa è risultatato troppo secco.
triglie spinate, Il Gabbiano, Chef Paolo Quartero, Alassio, liguria
L’ottimo vino in accompagnamento.
ottimo vino in accompagnamento, Il Gabbiano, Chef Paolo Quartero, Alassio, liguria
Cannoli di pasta fillo ripieni di crema al mascarpone e ananas.
Cannoli di pasta fillo, Il Gabbiano, Chef Paolo Quartero, Alassio, liguria
Piccola pasticceria.
Piccola Pasticceria, Il Gabbiano, Chef Paolo Quartero, Alassio, liguria

Locanda dell'Angelo, Chef Torterolo, Millesimo, Savona

Lasciare un lavoro sicuro, una vita tranquilla, buttare il cuore oltre l’ostacolo per aprire un ristorante ambizioso in una zona lontana dai principali centri abitati, ai più potrebbe sembrare un azzardo o una follia soprattutto in tempi di crisi economica.
Eppure per Maria Rosa Lauro non è stato così.
Proveniente da esperienze lavorative di tutt’altro genere, contro tutto e contro tutti, con coraggio e feroce determinazione, ha deciso di intraprendere la via della ristorazione, attraverso la via più difficile, quella della qualità.
La Locanda dell’Angelo sorge nel cuore del centro storico di Millesimo, in Val Bormida: uno dei borghi più belli d’Italia, circondato dai boschi e il fiume Bormida, che scorre a pochi passi dalla Locanda. Situato a poca distanza dal casello autostradale sull’autostrada Torino-Savona, questo ristorante rappresenta un’ottima sosta per chi si trova a transitare da quelle parti.
L’inizio di questa avventura, come si può immaginare, non è stato dei più agevoli: educare la clientela locale, abituata alle classiche trattorie, richiede impegno e tanta perseveranza, ma quando si ha coraggio e le idee chiare prima o poi i risultati arrivano.
La vera svolta arriva però nel 2010, con l’arrivo di Massimiliano Torterolo in qualità di socio e chef.
Massimiliano, Cairese doc, nonostante la giovane età vanta già importanti esperienze professionali: dapprima in Piemonte con Mariuccia Ferrero al San Marco di Canelli, poi in Liguria con Flavio Costa all’Arco Antico di Savona, a Milano con Andrea Berton e a Erbusco con Gualtiero Marchesi.
La cucina della Locanda è un calibrato mix fra tradizione e innovazione, fra mare e terra, fra Liguria e Piemonte, ma con occhio attento anche alle tecniche ed alle tendenze avanguardiste del momento.
Il menù si compone di tre parti: tradizione, innovazione (con piatti a discrezione dello chef) e la proposta alla carta.
I piatti più riusciti, nella nostra esperienza, ci sono parsi quelli più collaudati e legati alla tradizione: perfetti i ravioli di coniglio, verdure, burro e nocciole, un vero inno al territorio, così come la guancia di vitello, purè di patate e salsa alla birra, tenera e con il fondo tirato alla perfezione.
Nei piatti a più alto coefficiente di difficoltà, invece, abbiamo riscontrato qualche problema.
Ad esempio il baccalà latte e caffè e finferli, dove né il latte né tantomeno il caffè, sbiaditi nel gusto, apportavano il loro contributo alla riuscita del piatto e la seppia ripiena di carne cruda e chips di patate (poco croccanti) ci hanno convinto poco.
Abbiamo notato anche qualche reiterazione di troppo nelle presentazioni: la fogliolina di prezzemolo praticamente ovunque e le poco entusiasmanti chips di patate presenti nell’antipasto e nel secondo.
Particolari che non inficiano un’esperienza comunque piacevole, ma che devono essere assolutamente assestati per far crescere ulteriormente una proposta comunque già interessante.
Un risultato sicuramente realizzabile curando maggiormente la progettazione, puntando di più sulla semplicità e sulla pulizia dei sapori, utilizzando soltanto il necessario per completare il piatto, senza inutili orpelli e ingredienti ridondanti.
Ottimo il servizio coordinato con competenza e cordialità dalla titolare e interessante e completa la carta dei vini con una buona selezione di etichette italiane e qualche non banale rappresentante d’Oltralpe.

Cappasanta rosticciata, broccolo, tartufo nero.
capasanta rosticciata, Locanda dell'Angelo, Chef Torterolo, Millesimo, Savona
Scampo, foie gras, mela.
scampo foie gras e mela, Locanda dell'Angelo, Chef Torterolo, Millesimo, Savona
Cotechino e topinambur.
cotechino e topinambur, Locanda dell'Angelo, Chef Torterolo, Millesimo, Savona
Pansotti ripieni di roquefort, fichi, pere e noci: piatto in equilibrio precario ma tutto sommato interessante, con il formaggio grande protagonista.
PAnsotti ripieni, Locanda dell'Angelo, Chef Torterolo, Millesimo, Savona
Ravioli di coniglio e verdure (foto di apertura).
ravioli di coniglio e verdure, Locanda dell'Angelo, Chef Torterolo, Millesimo, Savona
Scamone di vitello, carciofi, tartufo nero, cialda di panissa (anch’essa poco croccante).
scamone di vitello, Locanda dell'Angelo, Chef Torterolo, Millesimo, Savona
Guancia di vitello, puré di patate, birra Scarampola.
guancia di vitello, Locanda dell'Angelo, Chef Torterolo, Millesimo, Savona
Millefoglie alla nocciola e caffè.
millefoglie di nocciola al caffè, Locanda dell'Angelo, Chef Torterolo, Millesimo, Savona
Cioccolato bianco, crumble di pinoli e agrumi.
cioccolato bianco, Locanda dell'Angelo, Chef Torterolo, Millesimo, Savona

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Se si vuole avere un’esauriente panoramica delle potenzialità gastronomiche della Liguria godendo di un’esperienza davvero piacevole e istruttiva, siete nel posto giusto.
Flavio Costa è un giovane maturo, come si può definire di questi tempi un 43enne con la testa sulle spalle. Lasciata da poco la graziosa location nel decentrato quartiere di Lavagnola di Savona per trasferirsi, armi e bagagli, sulla strada principale di Albissola marina, molto saggiamente ha deciso di misurarsi con una clientela ancora più ampia e disparata.
Nella saletta, invero un po’ anonima, e nel sovrastante dehors estivo dove è possibile contemplare il mare al di là degli stabilimenti balneari, va in scena un pezzo importante di cucina nazionale.
Adesso che l’aggettivo territoriale è un refrain talmente diffuso da essere spesso usato a sproposito (allo stesso modo dell’espressione km zero), è da sottolineare che la cucina di Flavio Costa è davvero legata ad un terroir, ma nobilitata da esso nel senso più alto del termine.
Piatti saldamente ancorati a ricette concepite con semplicità, quasi neoclassici per come i sapori antichi e veri, chiaro bagaglio culturale dello chef, sono preservati e ammodernati da una leggerezza votata alla sapiente esaltazione delle materie prime.
Ingredienti primari come, ad esempio, la zucchina trombetta, la barbabietola, l’asparago o il fagiolino, qui meritano l’articolo determinativo fungendo da vero e proprio passepartout per un viaggio completo aller-retour nella Liguria da mangiare.
La compiutezza del piatto passa attraverso semplici costruzioni: un elemento principale, il più ruspante possibile, accompagnato da salse, creme, passate che supportano, degne spalle, senza mai sovrastare né deludere.
Il registro avviene immediatamente al tavolo con l’olio che viene portato all’inizio, un prodotto apparso, in tutto e per tutto, degno della stessa rispettabilità di un piatto cucinato per come l’aroma e il gusto hanno allertato i sensi.
Questo nettare prezioso si chiama programmaticamente “senz’acqua” in quanto estratto, e di conseguenza concentrato, senza l’aggiunta d’acqua ad opera del microproduttore La Baita, da cultivar taggiasche e usato saggiamente dallo chef soltanto per completare qualche piatto con il più funzionale dei giri d’olio.
Dopo un tale e promettente inizio arrivano tutti piatti di impeccabile abilità tra i quali non è possibile non menzionare il cappon magro. E’ l’incarnazione della regione come pochi altri sanno fare, un incrocio tra la cucina dei nobili e quella più popolare: la salsa verde funge da base, insieme al pane ammorbidito e acidulato, per verdure tutte cotte separatamente, funghi, pesce bollito, scampi, uovo di quaglia, in un tripudio di sana e imperdibile golosità.
Non sono da meno le altre preparazioni concepite con misura e abilità da uno chef, che nonostante qualche lieve imprecisione, è ormai da tempo una garanzia di costanza.
Carta dei vini dai ricarichi accettabilissimi che invitano a stappare anche bottiglie importanti senza eccessivi sensi di colpa.

Mise en place.
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Olio, come Dio comanda.
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Senz’acqua…
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Pane.
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Stoccafisso mantecato con erbe selvatiche: in questo caso prevale una nuance amara (borragine?) a testimonianza che le creme di questo chef non sono mai tutte uguali.
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Dadolata di seppie, zeste di limone candito, passata di zucchine trombetta.
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Cappon magro, insalata incrocio tra cucina nobiliare e quella popolare.
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Baccalà al latte, purea di piselli, fave fresche. Piatto fresco, forse un eccesso d’olio.
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Moscardini, spuma di patate, emulsione di aglio e prezzemolo, richiamo alla salsa verde con patate che la ingentiliscono, buccia di patata fritta.
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Astice, asparagi crudi e cotti, salsa bernese. Consistenza ottima.
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Sgombro croccante, germogli (amari) di zucchine trombetta, emulsione di champagne e salsa in agrodolce di tartufo. Squisito.
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Animella croccante, scampo, brodo di coniglio ristretto, spinaci, polvere di liquirizia. Centrato, appena un po’ troppo sapido.
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Lumache, erbe selvatiche e fiori. La Francia non è lontana, e si sente.
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Foie con ciliegie, vino rosso e cannella.
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Ineccepibili tortelli ripieni di brasato, formaggetta (un caprino tipico ligure), burro e capperi.
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Filetto di manza piemontese, fagioli di pigna, crema di cipolle bruciate, riduzione al vino rosso.
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Essenza di fragole: al naturale, in sciroppo, in sorbetto e spuma di ricotta di pecora. Dolce molto saggio.
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Petit fours tra cui dei gobeletti alla marmellata davvero notevoli.
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Un piccolo produttore per scaldare i muscoli…
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…in attesa di questo Signore.
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Particolare della sala.
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Citare Il Palma di Alassio o Massimo Viglietti significa semplicemente affermare la stessa cosa: mai un’identificazione tra un ristorante e il proprio chef è stata in pratica così perfetta. Sospettiamo anzi che sulla carta d’identità del Viglietti sia riportato il nome del ristorante e non il suo appellativo anagrafico.
Questo a testimonianza della sua grande personalità.
Non tragga in inganno l’aspetto austero, vecchio stile, del Palma, classe 1922, ospitato in una delle stradine nel pieno centro di Alassio: lo stile di cucina che si trova all’interno non ha nulla di tradizionale o classico.
Nella prima sala è possibile ambientarsi consultando i due menù degustazione presenti, quello lungo e quello più breve, sorseggiando magari con calma un aperitivo, abitudine che il ristorante ha mutuato, precursore dei tempi, dai ristoranti d’oltralpe; mentre nella seconda sala, in studiata penombra anche in pieno giorno, ci si accomoda contemplando un arredamento dove nulla, e diciamo nulla, è lasciato al caso, e dove tanti piccoli particolari sono segnali del tipo di esperienza che si andrà a vivere.
La storia del ristorante è lunga, certamente gloriosa, ma vive oggi una fase di riflusso: la realtà italiana in generale, e quella di Alassio in particolare, non sembrano essere il terreno di coltura ideale per la ricezione e la diffusione dello stile gastronomico di uno chef simile.
Un vero peccato, perché ci troviamo di fronte a una tavola tutt’altro che anonima, con una cucina mai accomodante, che fa della ricercatezza, della capacità di stimolare, di essere in continua tensione e dell’anticonformismo, le sue chiavi di lettura più interessanti.
Il carattere dello chef, in questo caso, non può essere considerato un semplice elemento accessorio, bensì il vero e proprio protagonista di un’esperienza gastronomica che è filtrata attraverso idee, cultura e sensibilità.
Il territorio, occitano e ponentino com’è definito dallo stesso Viglietti, è solo il punto di partenza che sa anche arricchirsi d’inflessioni piemontesi e provenzali. Tramite allusioni, commistioni e un pizzico di trasgressività, lo chef crea pietanze che trovano nell’assoluta originalità il proprio minimo comun denominatore.
Certo, gli intenti non sempre sono coronati da successo, alcune volte qualche elemento sembra essere in eccesso, altre volte un fallito gioco di consistenze può lasciare perplessi, ma siamo sempre di fronte ad una cucina pulita ed essenziale, misurata nel numero d’ingredienti, capace di spunti di valore assoluto.
Molti gli esempi: le lenticchie, il sugarello, il midollo oppure la riuscitissima mousse di limone, bottarga e gelatina di Campari.
Una cucina a volte spiazzante, perché obbliga a soffermarsi un attimo, a sospendere le proprie certezze, a cercare di capire prima, durante e dopo l’assaggio. Ma proprio per questo avvincente, sia per il gourmet, sia per chiunque voglia approcciare un’esperienza non banale e desideri la ludica complicità di uno chef che profonde nel proprio lavoro infinita passione.
E Dio solo sa quanto siamo sensibili alla passione.

Interno
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Singolare, o forse solo coerente, mise en place.
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Focaccia bianca, alle olive taggiasche, alle cipolle ed erbette.
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Influenze leggere di piemonte e provenza: insalata di nervetti, stracchino, squisita cipolla brasata alla lavanda, saba (aceto balsamico, fichi secchi, olio di oliva). Molto buona, anche se alla fine la freschezza risente dell’eccessiva presenza del formaggio.
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Dentice marinato, asparagi crudi, passata di fragole all’acetosella (al naturale, niente limone olio, sale) ovvero: morbidezza e freschezza in un piatto che volutamente non mette il pesce al centro dell’attenzione.
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Posate di tendenza (Daniele Ardissone). Per una volta estetica e funzionalità si sposano.
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Non è di Paolo Parisi: uovo strapazzato, gambero, infusione di crescione. Passaggio più semplice ed elegantemente goloso.
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Crema di mozzarella di bufala, cozze aperte al naturale, terrina di trippa, riduzione di caffè. Piatto vivace con ingredienti che si rincorrono senza trovare mai una stasi. Alla fine, tirando le somme, prevalgono un po’ le note dolci.
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Nasello cotto al vapore nel bamboo con parmentier al Laphroaig (molto presente), corn flakes croccanti (sulla falsariga del texture del fish and chips). Tecnica, conoscenza ed esecuzione in un piatto evocativo più in teoria che in pratica. Comunque molto buono.
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Lenticchie di Puy croccanti, cotte in acqua, sugarello battuto al coltello (niente succhi o altro) e midollo. Gusto amplificato al massimo. Gran piatto.
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Acciughe fritte con robiola, salsa di pan di spezie (fiori d’arancio, miele, anice stellato, cannella, pinoli e uvetta). Molto riuscito. In questo caso il formaggio è calibrato alla perfezione.
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Pastina con passata di pomodoro e arancio, pan grattato alle erbe, tagliatella di seppia. Qui l’intento è quello di dare un contrappunto cremoso alla masticabilità della seppia. L’azzardata strada scelta è quella di una pasta, anzi pastina, volutamente scotta, che non ha convinto appieno.
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Mousse di limone, bottarga e riduzione di campari. Acido, grasso, umami, amaro, mirabilmente fusi. Gran dessert.
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In giardino. Inno alla maggiorana. Crema pasticcera alla maggiorana, biscotto al cioccolato misto a crumble. Qui, forse, paradossalmente, un pizzico di maggiorana in più non avrebbe nuociuto, ma, come dice lo chef, il piatto gourmand trova l’appagamento in sé, quello gourmet tende sempre verso qualcosa.
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Un considerevole de Battè selezionato dallo chef.
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Altra scelta dello chef, meno significativa della prima, ma ugualmente soddisfacente.
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Altro curioso particolare.
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Salottino sociale.
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Alassio tra una cabina e l’altra…
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