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Il Pellicano


Questa è la storia di un cuoco molto speciale.
Il suo nome è Antonio.
Antonio si affaccia agli “anta” col sorriso sornione di chi la sa lunga e di fornelli ne ha visti dai suoi inizi in terra pugliese.
Il primo mentore, da buon italiano: la mamma. E non potrebbe essere altrimenti.
L’approccio al mondo della pasticceria con Raffaele Bello, e questo già spiega molto del suo stile di cucina oggi (non c’è niente da fare, l’arte pasticciera è più efficace dell’anno di naja per raddrizzare le schiene: obbliga alla precisione e dispone alla perfezione).
Poi qualche posticino così, en passant, Enoteca Pinchiorri, Don Alfonso, ma soprattutto due anni in cabina di regia al fianco di Pierre Gagnaire: un lungo viaggio nell’eccellenza e un colpo di fulmine per la grande cucina classica francese.
Dategli una scaloppa di foie e lui “si trasforma in un razzo missile, con circuiti di mille valvole … tra le stelle sprinta e va”.
Boom! Pare che una lièvre à la royale Pellicano-remix se la sognino anche i beneamati galletti.
Il 2004 e lo sbarco a Porto Ercole, località Sbarcatello per l’appunto, in quello che è uno tra gli alberghi più fascinosi ed esclusivi del globo.
Molto difficile in un ristorante stagionale formare una squadra rodata: troppo turn over per riuscire a costruire una sana amalgama.
Ma Antonio oggi ha tre angeli custodi: Costantino, Federico e Nicola. Sembrano una bella famiglia, perché in tutti e tre si avverte la serenità dei grandi. E una passione smisurata per il proprio lavoro.
Antonio, tutto di blu dipinto, è uno dei migliori cuochi in circolazione, e forse è arrivato il momento di gridarlo un poco più forte perché in pochi se ne sono accorti. In verità qualcuno la mano l’ha alzata, però non si capisce perché, quando si parla di grandi cuochi italici, questo omone non viene mai in mente. Poco mediatico?. Forse. O forse è solo questione di tempo.
Dicevamo che Antonio, o Antoine per gli amici francofili, ama la cucina classica d’oltralpe: salse tirate a regola d’arte su cui costruire mirabolanti invenzioni. La ama, ma come la può amare un pugliese: travestendola di verde, bianco e rosso in un connubio veramente unico.
Non è facile approcciarsi al Pellicano-World, perché devi sapere accontentare tante clientele diverse. Ma la magia del blu permette anche questo: leggibilità a più livelli, felicità democratica. Gourmet, gourmand, clienti occasionali: possono trovare tutti la loro chiave di lettura per stare bene a tavola.
La clientela, tutta, apprezza. Noi di più.
Qualcuno si chiederà il perché di questo voto.
Guida riesce a fare una cucina classica di alta tecnica in un contesto che non ha affatto questa cucina nel DNA, sapendo inserire in questa cornice ingredienti e abbinamenti totalmente contemporanei.
E’, in sostanza, molto più originale e unico di quanto possa sembrare a una prima lettura superficiale.
Ragioniamo per ipotesi: è come se trovassimo a Parigi uno chef francese che fosse un nuovo Pierangelini e che riuscisse a fare una cucina totalmente italiana, folgorante nella sua semplicità e non copiata, senza trascurare tocchi originali legati al posto in cui è e al momento in cui vive.
Una specie di animale mitologico insomma…
Lo diciamo: Antonio ha rapito il nostro cuore.
La sua è cucina di rassicurante solidità, quel lungo viaggio a velocità di crociera di cui non ci si stanca mai, coccolati da morbide spigolosità. Potremmo mangiare qui 30 giorni di fila senza problemi, e poi ancora e ancora.
Un classico moderno: basi di costruzione del piatto ben definite e poi contaminazioni a pioggia, dalle erbe, passando per le spezie, alla ricerca comunque e sempre di una leggerezza indispensabile in una grande cucina degli anni duemila.
E’ indubbiamente una foto a colori digitale ma non sapresti datarla con precisione.
E quando credi che niente possa alzare ulteriormente l’asticella, arriva una pasticceria da fuoriclasse. La migliore pasticceria classica godibile in un ristorante italico. Senza se e senza ma.
Alcuni amici di PG ci parlano di qualche affanno tra servizio e cucina in altissima stagione, quando sala e albergo lavorano a pieno regime.
Ma noi ci sentiamo di premiare questo chef che abbiamo visto crescere negli ultimi anni in maniera costante.
Allora rinunciamo a fare conti, a cercare inutilmente macchie dove splende l’eccellenza.
Rassegnati all’unica conclusione possibile.
Nuntio vobis guaudium magnum. Antonio Guida (executive chef), Federico Dell’Omarino (sous chef), Nicola Di Lena (pasticcere), Costantino Russo (restaurant manager): il Pellicano è in vetta.

Collo di pollo farcito di fegato, garusoli e alghe nori

Verdure del tempo nuovo con tartufi di mare, cipolla marinata al karkadè; brodo di lumachine di mare


Astice blu arrosto con salsa al marsala, crespino, patate affumicate e tè verde matcha

Risotto al nero di seppia e salvia con calamaretti spillo e crema di riso alla curcuma

Strigoli al grano arso con gamberi, crema di peperoni ai cetrioli e vodka

Nasello con brandade di baccalà, cappuccino allo shiso e cannolicchio con vongole e lumache di mare

Filetto di manzo servito rosa con crema di erbe alla malva e lumache

Piccione affogato con fegato grasso, crema di mais e brioche, ananas al lime

Ricci di mare, latte di cocco, gelato allo zenzero, tapioca e piselli al wasabi

Fragole al lime con pain perdu e gelato all bran

Tortino al pistacchio e fior di sale con gelato al latte

Forse non si stupiranno i giurati del 50 World Best Restaurants che lo pongono al n°22 della loro classifica.
E nemmeno gli omini Michelin strabuzzeranno gli occhi, visto che affibbiano a Heinz Reitbauer 2 bei macarons.
Lo stupito sono io, e forse anche molti di voi appassionati girovaghi di deschi apparecchiati e non.
Perché che a Vienna ci fosse un ristorante di questo livello, proprio non me l’aspettavo.
D’altra parte si parla pochissimo di questo chef, anche in rete, dove 4 righe non si negano mai a nessuno.
Un cuoco eccezionale a mio parere, moderno all’ennesima potenza.
Il voto è ribassato solo per prudenza, in attesa di nuove visite e conferme.

Grandi basi classiche su cui viene costruita una impalcatura di straripante personalità: c’è una idea di cucina ben chiara, basata sull’ampio uso di vegetali e di prodotti austriaci.
Germogli, largo uso di marinature e di fermentazioni, materia prima ricercata: non lussuosa ma curiosa, quella legata a un lavoro di scoperta, non all’apertura del portafoglio.
Capace di sfoderarti una salsa di lepre classica, addensata con il sangue, di disumana bontà, e poi stordirti tra marinature acide, semi di crescione e radici di nasturzio.
Questa è alta cucina. Originale, e questo ha già il suo bel valore.
In più, è buona e sana: è questo quello che intendo per cucina al passo con i tempi.
Ci sono anche tutte le attenzioni da grande ristorante: il carrello del pane, le piantine per la tisana finale “Pergola Style”, personale poliglotta molto preparato; tutti dettagli, graditi, al cospetto del resto.
Chi ci segue con assiduità avrà notato che non sono più avvezzo alle descrizioni minuziose dei piatti.
Ma per Heinz Reitbauer vorrei fare una ultima eccezione, perché la complessità di queste preparazioni merita due righe in più. Una complessità di ingredienti perfettamente trasfigurata in semplicità al palato: sferzate acide, grassi aggiunti quasi nulli, spezie ed erbe usate col bilancino.
Con alcuni ingredienti ho fatto qui la conoscenza per la prima volta: niente di più bello di scoprire piacevoli sapori fino a quel momento sconosciuti.
Sciroppatevi l’elenco: spero di rendervi partecipi almeno un pochino di questo bellissimo viaggio.
Si comincia con la Trota di montagna “Schwarzenauer” con melone, cetriolo e germogli.
Trota cruda marinata nel lime e sale, una varietà locale dimenticata con una carne soda ma tenera.
Questo pesce immagazzina i suoi grassi in modo uniforme nei muscoli, e questa morbidezza si sente tutta in bocca.
Melone invernale crudo e al vapore con la melissa.
Cetriolo sottaceto con verjus, ginger ale e aceto di vino bianco.
Germogli di scorzonera bianca, sono eziolati (crescono in scarsità di luce) così rimangono pallidi e teneri.
Germogli di fagioli mungo.
Salsa di lattuga con olio al basilico, miele di acacia e pepe di cayenna.
La foto non può esprimere l’esplosione di sapori di questo piatto.

Broccoli selvatici con quark affumicato, noci Pecan, carciofi e semi di crescione
Un’altra perla vegetariana, un altro capolavoro di complessità e persistenza gustativa.
Broccoli in parte al vapore, in parte marinati con succo di pastinaca che svetta per aromaticità e freschezza.
Semi di crescione e aceto bianco.
Noci tostate, cuori di carciofo croccanti, radice di nasturzio marinata con succo di limone e fiori dei broccoli.

Puntarelle e finferli con anacardi e germogli di ravanello
E sono tre…
Cuore di puntarella saltato con olio sale e zucchero.
Finferli al vapore saltati con burro noisette.
Anacardi tostati con emulsione di cerfoglio ed estragon.
Germogli di ravanello prima scottati e poi messi sottaceto.
Succo di pomodoro chiarificato con vino porto bianco, olive nere e lemongrass.

Carpa Argento, crosne, funghi Velvet Stem e nespole.
Carpa Argento fritta nel burro noisette, crosne (Stachys affinis bunge) brasato con timo limoncino e ginger, radice di nasturzio e senape marinati con succo e aceto di mela, purè di nespole con Verjus, funghi Velvet Stem al vapore.
Chapeau.

Fagiano con castagne, bietola e sorbe selvatiche
Petto di fagiano cotto lentamente sull’osso in un burro alle erbe.
Castagna al vapore ripiena di pane di segale e grano, semi di lino e levistico.
Gelatina di sorbe selvatiche e acqua di castagne con succo di sorbe e olio di castagne.
Brodo di fagiano e castagne.
Pepe verde.
Bietola.

Lepre con gnocco di topinambur e cavoletti di bruxelles
“Hasenpfeffer” dalla spalla della lepre: è uno stufato tradizionale tedesco a base di lepre in una salsa addensata con il sangue dell’animale.
Lombo arrostito.
Tobinambur alla brace.
Conserva di Limone “lemonade” dalle orangeries viennesi.
Cavoletti al vapore con olio di nocciola e succo di limone “lemonade”.
Salsa di fiore di topinambur.
Gnocco di topinambur .
Tra i piatti dell’anno.

Una “piccola” scelta di formaggi

Pera Abate Fetel con rosmarino e Loomi
Pera in infusione nel succo di pera con anice stellato e cardamomo.
Schiuma di pera, insalata di arance, briciole di torrone e rosmarino.
Gelato al latte di capra, pera e loomi (una preparazione araba fatta bollendo i lime in acqua salata e poi asciugandoli al sole: aroma speziato, affumicato con una intensa fragranza di limone)

Latte e miele con mandorle, arance, mandarini e tè
Un percorso tra i mieli austriaci: un dessert a forte rischio di overdose zuccherina, si risolve in un capolavoro sorretto dall’acidità dell’agrume.
Mandorle, amaretto.
Pelle del latte caramellata.
Mandorle e miele di fiori di ippocastano croccante.
Crema di mandarino.
Filetti di mandarino disidratati.
Miele di acacia e tea Darjeeling.
Sorbetto di latte di mandorla, earl grey tea e miele di fiori di tiglio

Vienna è più vicina di quanto si possa pensare, accorrete gente…


Trota di montagna “Schwarzenauer” con melone, cetriolo e germogli


Broccoli selvatici con quark affumicato, noci Pecan, carciofi e semi di crescione


Puntarelle e finferli con anacardi e germogli di ravanello


Carpa Argento, crosne, funghi Velvet Stem e nespole

Fagiano con castagne, bietola e sorbe selvatiche


Lepre con gnocco di topinambur e cavoletti di bruxelles


Il carrello dei formaggi


Pera Abate Fetel con rosmarino e Loomi


Latte e miele con mandorle, arance, mandarini e tè


Il vino, ottimo Riesling Goldberg Kremstal Reserve, biologico, annata 2008.



La sala


La cucina a vista


L’esterno


La cucina vista dall’esterno



Il bagno, design di rottura rispetto alla classicità della sala


Non è la nostra tavola a fine pasto, ma l’opera di Daniel Spoerri esposta al Mumok di Vienna (Hahn’s supper, 1964) – Un tocco di arte non fa mai male 🙂

Qual è il valore di un sogno?
Che misura dare a quell’impalpabile sensazione che è lo stare bene a tavola?
Le sentite ancora le farfalle nello stomaco quando progettate la visita ad un grande ristorante?
Quella sana emozione, come bambini al primo giorno di scuola, quello scintillio che ti scuote dentro in attesa di mettere le gambe sotto a quel sospirato tavolo. Fino alle ore che scorrono più rapide di tutte, che ti fanno sentire vivo come mai e ti sbattono in faccia la fortuna che questo giro di ruota ti ha voluto regalare. Le sentite? Spero di sì, perché sono la linfa vitale della nostra passione.
L’Enoteca Pinchiorri può tutto questo. E’ e deve essere un orgoglio per noi italiani. Una bandiera, come la Nazionale di calcio (quando vince) o la Ferrari (sempre).
Non dimenticate la prima parola: Enoteca, con la E maiuscola.
Il mondo del vino qui ha trovato casa, non esiste tavola al mondo più didattica di questa per chi voglia avvicinarsi ai più grandi vigneti e produttori di tutti tempi.
Qualsiasi appassionato di cucina, prima o poi, portafoglio permettendo, si appassiona al complicatissimo e affascinante mondo del vino. E il percorso vale anche in senso contrario.
Eppure lo scontro gourmet-appassionato di vino è a tratti esilarante: le accuse sono reciproche, come se gli interessi non fossero comuni. “Quello ci capisce di cibo ma sul vino è una capra.” “Quello conosce anche i moscerini del cros parantoux ma il suo livello alcolico è talmente elevato che troverà soddisfazione solo nell’acidità di una leccata di limone.”
All’Enoteca no, qui c’è spazio per tutti e due: abbracciamoci forte e vogliamoci tanto bene, perché stiamo per entrare nel Tempio.
Siamo vicini ai 40 anni di attività e il nome di questo posto in via Ghibellina non è mai cambiato: Giorgio Pinchiorri è il Signore del Vino.
La cucina corteggia questa personalità primaria: accompagna, non sovrasta; porge, non impone.
Attenzione: se lo volesse potrebbe tranquillamente primeggiare da sola, ne è la prova il magnifico risotto scampi e nervetti di vitello. Ma non è la sua natura, non è quello che vuole.
A volte sa pungere di fioretto, altre colpisce di sciabola, ora più rustica nel tentativo (riuscito) di ingentilire i grandi sapori toscani, ora più fine proponendo piatti da grande scuola.
Ma sempre al servizio di quello scrigno che avrete sotto i piedi, come un cavaliere che porta a braccetto la sua dama.
Le degustazioni vino sono infinite, di scelta e di prezzo. Dai 200 euro a quello che volete.
Questo è Il Ristorante, quello dal servizio perfetto, dall’ambiente affascinante, il modello “lampada di Aladino”: chiedi e ogni tua richiesta sarà esaudita. E’ l’emblema del lusso.
C’è Sara, c’è Giorgio, c’è Annie, ci sono Italo e Riccardo, c’è il nuovo pasticcere Luca, ci sono sommelier uno più bravo dell’altro. L’Enoteca Pinchiorri è viva come non mai.
Non c’è niente di tale caratura internazionale sul suolo italico. Siamo al livello delle grandi Maison Parigine.
Ma siamo a Firenze, stringiamoci, mano al cuore e cantiamo l’inno.
Sì, costa.
Ma, almeno una volta nella vita, è una tappa imperdibile per qualunque appassionato.
Di vino e di cibo.

Insalata di granchio reale con gelatina di crostacei, caviale, maionese di patate e salsa al cetriolo.

Tartare di ricciola, con agrumi, petali di cipolla marinati in succo di barbabietola, riso soffiato allo zafferano.

Capesante alla plancia con patate al limone, frangette e sfoglia di ceci croccante.

Coda di rospo farcita di fegato grasso, con funghi porcini alla nepitella e salsa al nero di seppia.

Astice gratinato alle olive taggiasche con passato di peperoni e granfarro.

Tagliolini con calamaretti alla salvia e fiori di zucca.

Risotto con scampi, nervetti di vitello e liquirizia.

Mezzi paccheri con ragù di piccione al timo e ricotta al miele.

Maialino di razza “Mora Romagnola” con cipolla rossa caramellata, patate e salsa alla senape.

Pernice con salsa al vino rosso e foie gras, polenta incatenata al cavolo nero.

Granita al frutto della passione con crema di arancia e vaniglia.

Lampone, cocco, sesamo nero: sorbetto e lamponi freschi in gelatina, meringa secca di sesamo nero, crema montata al cocco con un tocco di pepe Giamaica.

Fichi al vino rosso e Porto, gelato bianco alla vaniglia con pan di spezie croccante.

2 assaggi di capra per finire il vino…

“Piccola” Pasticceria.


Il confratello Cauzzi in versione scolaretto, a studiare tra i libroni dell’Enoteca.

Eh si, se poi ti capita di poter allungare una tripletta di degustazione come questa, in cui il Bienvenue Batard di Ramonet è tutt’altro che Batard, suadente, sottile, elegante ma raffinato e persistenze, incredibilmente lungo e profondo. Certo, quel village di Nostra signora del Pinot Nero, Maria Vergine di Chardonnay ha battuto tutti. Certamente quel simpatico ruffiano Château Leoville Las Cases, nella sua annata, dicono, del secolo scorso. Che ci è piaciuto tanto, nella sua austera profondità e tutto sommato elegante e sottile polposità. Però quel village di Vosne, ehmbè… con la sua liquerizia nobile, la violetta, elegante, raffinato. Come una sciarpa di seta, delicata, sfuggente, ma penetrante ed elegante.

Questa valutazione, di archivio, è stata aggiornata da una più recente pubblicazione che trovate qui

Recensione ristorante.

Lo scorso anno, al post su questo locale, seguirono 41 commenti. Nonostante ci fosse il ferragosto di mezzo.
Il 99% di questi commenti verteva sul prezzo del pasto: caro o costoso?
Penso non ci sia una risposta unica, soprattutto di questi tempi.
Ma la stessa domanda ce la si potrebbe porre per tutti gli oggetti di lusso che fanno capolino nella nostra vita.
(altro…)

Questa recensione aggiorna la precedente valutazione che trovate qui

Recensione ristorante.

Forma e sostanza. Non si può negare che siano obiettivi centrali nelle grandi tavole. Chi vuole essere al passo con i tempi deve necessariamente perseguire entrambi, anche se, ne siamo consapevoli, non sempre è facile bilanciare i due aspetti. Al Mosaico, Norbert ed io abbiamo avuto la netta sensazione che Di Costanzo, al timone delle straordinarie cucine (visitatele, vale la pena), sia fin troppo focalizzato sull’estetica dei suoi piatti, alcuni davvero bellissimi (non fatevi ingannare dalle foto, questa volta appena sufficienti, a causa della luce troppo soffusa in terrazza), ed abbia un po’ perso di vista la centralità che il gusto deve avere in ogni preparazione. (altro…)