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Bistrot

La Versilia autentica e vera nel piatto

La storia del bistrot è, come spesso accade in Italia, la storia di una grande famiglia italiana. Piero Vaiani, il capostipite, che è mancato lo scorso novembre, ha lasciato in eredità alla sua famiglia e in particolare ai suoi due figli un vero e proprio impero gastronomico dell’eccellenza, composto da ben 4 locali e una azienda agricola che produce gli elementi fondamentali, oltre al mare, altro grande alleato, per elaborare ciò che viene portato in tavola.

Un impero che spazia dal locale popolare di pesce, da oltre 1000 coperti al giorno in alta stagione, al bistrot raffinato, al sushi-corner in spiaggia per terminare con la punta di diamante, lo stellato Bistrot appunto. Ed in questo gruppo così variegato e strutturato, che sicuramente aiuterà in questi periodi difficili, il Bistrot, oggi guidato da una coppia d’oro è una vera oasi di piacere gastronomico. I due Andrea, Salvadori in sala e Mattei in cucina, sono due autentici fuoriclasse che si completano a vicenda.

Una sala giovane, dinamica, attenta e molto presente dialoga con una cucina classico-innovativa che ha una cifra stilistica davvero interessante. Uso calibrato delle sapidità, mai di troppo e sempre in sottrazione, accompagnata da discrete acidità donano ai piatti una eleganza e una raffinatezza uniche.

L’emblema sicuramente di questa stilistica è sicuramente il risotto, che invita a ordinarne un altro per quanto è goloso, bilanciato, intrigante. Ma ciò che sorprende è l’intensità della razza nei ravioli con ricci di mare, usati come spezia a condurre il gusto. E potremmo continuare così, su tutti gli altri piatti del menù. Anche i dolci, di buona tecnica e fattura, ci hanno pienamente soddisfatto.

Ottimi anche i secondi di carne, come il maialino, e ottime tutte le verdure in accompagnamento, che arrivano integralmente dalla tenuta agricola di proprietà del gruppo situata nella campagna lucchese.

Una valutazione lievemente arrotondata per difetto, quella di oggi, che invita a una visita in questo splendido luogo della Versilia più vera e più autentica.

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Il Tiglio è rinato dalle sue ceneri

Si autodefinisce “cuoco di montagna” e ne ha ben donde, Enrico Mazzaroni. Abbarbicato su pendii scoscesi alle falde del Monte Sibilla, dopo una parentesi di un paio di anni in quel di Porto Recanati, dall’estate 2019 il ristorante ha ripreso a respirare a pieni polmoni aria di casa. Un ritorno a Isola di San Biagio (piccola frazione dell’altrettanto piccolo borgo di Montemonaco) tanto atteso, tanto agognato e forse arrivato nel momento migliore, quando il dolore causato dagli eventi sismici del 2016, lungi dall’essere dimenticato, è stato metabolizzato e stigmatizzato iniettando nelle vene dello chef nuova linfa creativa.

Una transumanza (così è, tra l’altro, chiamato il menù degustazione) dal mare ai monti che porta con sé la consapevolezza che ogni esperienza, anche se nata da eventi sciagurati, può essere foriera di novità e miglioramenti prima di allora neanche lontanamente immaginati.

Il “cuoco di montagna” sempre più “di mare”

Ecco, quindi, che la cucina del nostro “cuoco di montagna“, comunque baricentrata sulla cacciagione, viene arricchita da un uso più frequente rispetto al passato di prodotti ittici; commistioni terra-mare che, rispetto al biennio rivierasco, sono parse più bilanciate e caratterizzate da un’encomiabile distinguibilità dei sapori di tutte le componenti del piatto, ciò che è senza dubbio alcuno evidente riflesso di una ritrovata tranquillità e serenità tra le radure che lo hanno fatto crescere come uomo e come professionista, commistioni particolarmente apprezzate nelle seppie, foie gras e castagne e nel latte fermentato, rognone marinato nella brace, canestrelli e crema del loro corallo.

Nel menù degustazione, che si presenta variegato e mai monocorde, non mancano omaggi a ingredienti tanto cari allo chef, nella specie le cervella di agnello e l’ostrica. Il primo ingrediente, già utilizzato negli anni scorsi in un tanto azzardato quanto apprezzato dessert, viene accostato al tonno per creare un’inusuale sushi marchigiano; il mollusco bivalvo, invece, viene inserito all’interno di un saccottino di pasta friabile che dona al boccone quella croccantezza che, in uno con la freschezza dell’ostrica, sprigiona con veemenza l’energia iodata del mare.

Due chicche del percorso degustativo meritano una menzione particolare ossia burro nocciola, foie gras, limone e caviale e fondo di tordo e cioccolato amaro, cialda fatta con interiora del tordo e frutti rossi, nati come intermezzi defatiganti tra le varie fasi del menù ma caratterizzati da quella nettezza e incisività di gusto che rappresentano la cifra stilistica dello chef.

Infine, non si può parlare compiutamente de Il Tiglio se non si spendono parole di elogio anche per Gianluigi Silvestri, partner in crime in sala di Enrico. Coadiuvato da un giovane e altamente professionale Nicola Coccia, si muove con il savoir-faire tipico di chi conosce perfettamente tutti i segreti del suo lavoro, capace di adattare il proprio atteggiamento agli umori di ciascun tavolo. Perfetto anfitrione.

Il Tiglio si piega ma non si spezza e, anche questa volta come l’Araba Fenice, è rinato dalle sue macerie in un modo tanto convincente che gli appassionati gourmet non potranno che rallegrarsene.

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A Lido di Camaiore la cucina classica rinasce

Il ristorante Merlo è a Lido di Camaiore, sul lungomare, anzi proprio sulla spiaggia, negli ex locali dell’Ariston Mare. L’ambiente è luminoso grazie a un’ampia vetrata con vista panoramica sulla spiaggia. C’è anche uno spazio esterno in cui, con il bel tempo, si può mangiare sia a pranzo che a cena. Angelo Torcigliani, chef e patron del locale, dal 2017 propone una cucina fatta degli ingredienti tipici della Versilia, incontro e unione tra i sapori del mare e dell’entroterra, la pasta fresca emiliana, tirata a mano dalla mamma, sfoglina, e salse di origine transalpina: la sua grande passione.

I piatti di pesce variano in base al pescato del giorno. Tra gli antipasti spiccano le ostriche gratinate, lardo di Colonnata e peperoncino, erotico insieme alle crudità di mare, basate su una materia prima freschissima e di grande qualità, oltre a un paté in crosta di oca e il suo fegato grasso, strepitoso. I primi sono caratterizzati dall’impronta emiliana della madre di Angelo, ecco dunque i ravioli di astice in salsa all’americana o i cappelletti di stracotto e burro con nocciole piemontesi tostate grattugiate. La qualità della sfoglia è perfetta: sottile, leggera ma al contempo elastica e lievemente consistente. La bisque di crostacei, base della salsa all’Americana, è eseguita alla perfezione: le paste ripiene esigono il bis!

E per secondo, oltre al pescato del giorno, si può scegliere tra caciucco, mazzancolle croccanti e insalata ai ricci di mare, aragosta intera, e testina e piedini di maialino cotti nella rete di maiale, con salsa di tartufi neri. Ogni giorno viene preparata la millefoglie, dolce simbolo del locale, assolutamente da non perdere.

Scuola classica francese, in salsa versiliese

La passione di Angelo per la cucina è davvero lapalissiana: la sua indole e la sua storia lo portano, decreti permettendo, a girovagare presso le tavole dei grandi ristoranti, soprattutto d’Oltralpe, per assaggiare le prelibatezze della grande scuola classica francese. Inoltre, è da sempre affascinato e quasi rapito da terrine, pâté en croûte e aspic, che al Merlo troverete, a rotazione, sempre impeccabili, variegate e golosissime.

D’altronde il ricordo delle esperienze di alta gastronomia di paese che Angelo ha vissuto e fatto sue lo hanno indelebilmente segnato. Ecco quindi che qui, al Merlo, troverete una cucina dicotomica quasi a tratti disorientante: grande materia prima ittica nel piatto, come ormai un buon gruppo di colleghi riesce a fare in zona, ma anche l’originalità di proposte, prevalentemente di terra ma non solo, che donano un’impronta personale, ancorché di grande valore storico e filologico. Interessante, davvero, anche la riscoperta di salse antiche, quasi dimenticate, che qui ritrovano forza, vigore e dignità.

In sala, una menzione speciale va al giovane sommelier Nicola Busetti, che propone etichette biodinamiche e biologiche, oltre a un’attenta selezione di rossi piemontesi e vini francesi. Da visitare!

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Il nuovo corso di Romano, a Viareggio

Siamo a Viareggio, in viale Mazzini, da Romano, locale storico, aperto nel ‘66 da Romano Franceschini insieme alla futura moglie Franca Checchi, che quest’anno festeggerà ben 55 anni di onorato servizio. Si tratta di uno di quei ristoranti che rappresenta al meglio la migliore tradizione culinaria italiana e che, negli anni, ha mietuto ambiti riconoscimenti tra cui la stella Michelin, le Tre Forchette del Gambero Rosso e il Cappello d’Oro della guida de L’Espresso.

In sala, insieme a Romano, c’è il figlio Roberto, una combo che si dimostra capace di creare sintonia col commensale, proiettandolo in un’atmosfera magica. In cucina, da meno di un anno, officia Nicola Gronchi, fresco della stella Michelin conquistata dopo solo un anno al Villa Grey di Forte dei Marmi, a lavorare la straordinaria materia prima che, ogni mattina, dopo aver fatto il giro delle barche Romano porta al ristorante. Qui, le proposte del giorno convivono con quelle, senza tempo, della signora Franca, come i mitici calamaretti ripieni di verdure e crostacei.

Nelle proposte più attuali, Nicola porta in tavola un po’ della sua personalità, che emerge in piatti dove la qualità della materia prima è esaltata da una mano capace di grande equilibrio, come la seppia alla brace, cime di rapa e ricci di mare, le trippe di baccalà, funghi cardoncelli e zenzero, lo spaghetto aglio, olio e peperoncino con gamberi biondi, polvere di olive e bottarga di Cabras, il risotto con ricci di mare, rafano e sgombro, o il rombo chiodato alla griglia, rape marinate e cremoso ai pinoli.

Noi che li conosciamo da anni crediamo che Nicola rappresenti davvero la scelta più azzeccata che i Franceschini potessero fare per continuare la tradizione e il lustro di mamma Franca, ora in pensione, ma tutelata da questo giovane ragazzo che decisamente sa il fatto suo. E va elogiato innanzi tutto per non averne stravolto i piatti, splendidi quelli che hanno fatto la storia di Romano, aggiungendo qua e là solo qualche piccolo accorgimento tecnico, una variazione di cottura, un alleggerimento, che hanno reso immortali piatti già magici. Oltre a ciò, Nicola non disdegna di mettersi al servizio del cliente e delle sue richieste, proponendo anche piatti fuori carta, apparentemente semplici, ma realizzati con amore e dedizione. Con mano felice e la rara dote di dosare e combinare ingredienti spesso ostici, Nicola dimostra di avere il dono dell’equilibrio: come nel persistente brodo di funghi con le trippette, un sorta di dashi di riviera, così come nella cottura millimetrica di uno straordinario piccione e dell’animella, impreziosita dalla salsa champagne. E qui, ultimo punto ma non per importanza, un plauso a tutte le salse, i brodi e i fondi. La valutazione, arrotondata per difetto, prelude a una crescita che noi diamo, in tutta franchezza, per certa.

Una menzione speciale, infine, alla carta dei vini, profonda e con ricarichi molto corretti, da dove emergono la passione e la competenza di chi l’ha creata, in gran parte Roberto. Non abbiate remore, a questo proposito, a farvi consigliare da lui anche per l’abbinamento perfetto.

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A tavola nella Venezia nativa

Una costellazione di 62 isole compone l’arcipelago della Laguna più famosa del mondo: oltre a Venezia, Santa Cristina, Sant’Erasmo, Mazzorbo, Torcello, San Michele, ciascuna con la sua anima, ciascuna con la sua storia. Mazzorbo è legata a Burano da un ponticello, lo stesso percorso in passato da chef del calibro di Paola Budel e Antonia Klugmann. Un gineceo culminato, e forse anche superato, da Chiara Pavan che, qui, officia oggi con la complicità, nella vita come dietro ai fornelli, di Francesco Brutto.

Sorprendente la sinergia che lei prima e, poi, la combo dei due ha instaurato con Matteo Bisol, tenutario non solo del progetto fisico ma anche di quella visione di recupero di una Venezia nativa che qui si ritrova già nel nome, Venissa, oppure Venisia o Venusia, come canta il poeta Andrea Zanzotto. E che si concretizza nel coinvolgimento attivo degli abitanti dell’isola, che nei ventimila metri quadri del parco agricolo cinto ancora dal muretto medioevale – clos, per gli amici –  vantano orti dove, oltre alle coltivazioni, crescono spontanee tutte le erbe della laguna: salicornia, salsola soda, santonico, erba stella e così via.

Etica ed estetica in cucina

Un progetto di spessore e non solo, a tavola come anche nella vita, considerando che la sua madrina vanta trascorsi accademici in filosofia, indirizzo estetico. E proprio questo impianto, che non è solo dunque etico ma anche profondamente estetico, è alla base di una filosofia che sarebbe piaciuta a Gualtiero Marchesi e non solo per l’encomiastico spaghetto all’oro, ma anche per il suo legame viscerale col territorio, lui che presagiva un futuro culinario in cui l’effetto campanilistico della cucina italiana si sarebbe moltiplicato fino a trasformare il chilometro in metro zero.

Il menu è, quindi, quanto di più mutevole si possa immaginare, cambia quotidianamente e quotidianamente mette alla prova i suoi interpreti, chiamati a misurarsi con la fluidità di gradienti che investono non solo le componenti organolettiche degli alimenti ma anche i loro cromatismi: ed ecco che tutto è verde, in questo preciso momento dell’anno, e verde è anche lo spirito che anima ogni piatto abitato da una superba immediatezza di gusto che sa, però, anche prendere una traiettoria ascensionale e  incalzante nel corso dell’intero menù.

Ove spiccano ravioli di artemisia, con miso di pinoli ed erbe, dove il  carboidrato lascia al vegetale il ruolo del protagonista, o i mitici (nel senso di mitologici) spaghetti all’oro, intinti nel succo della Dorona acerba, varietà autoctona dell’arcipelago della Venezia nativa.

Un leitmotiv assai lieto e fecondo, questo della Venezia nativa, e tutto avvitato intorno ai frutti di Mazzorbo che si corona in un gioco finale – il ghiacciolo di Dorona acerba e liquirizia – vessillo di un palato tanto sensibile quanto peculiare: che non ha bisogno dei fuochi d’artificio per stupire.

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