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Alajmo Cortina

La Cortina calandrosa degli Alajmo

Ci sono locali che hanno fatto un’epoca. Prendiamo Il Toulà a Cortina, aperto dal leggendario Alfredo Beltrame nel 1964 quando la regina delle Dolomiti era diventata meta ambita del jet set international, e non solo degli amanti di sci e arrampicate. Toulà, che in ladino sta per “fienile”, dopo aver concluso la sua splendida epoca, è risorto poche settimane fa come Alajmo Cortina. Gli “Alajmo Bros” non hanno bisogno di presentazioni. L’uno, Raffaele, a completare l’altro, Massimiliano, in una simbiosi creativa e operativa che ha saputo far sognare i palati devoti dalla culla di Sarmeola di Rubano sino agli scenari veneziani del Quadri (uno per tutti), Il Caffè Stern di Parigi, Marrakech, per non parlare di quella piccola chicca tutta da scoprire che è Le Cementine, in quel di Roncade, in collaborazione con il visionario Massimo Donadon, ideatore di H.Farm.

Ma torniamo con gli scarponi in altura. L’investimento non è stato casuale, posto che le Olimpiadi invernali del 2026 oramai sono dietro l’angolo: “Entreremo in punta di piedi, rispettando la storia e le atmosfere di questo luogo”, ricorda MassiMax. Con la loro impronta personale, come sottolinea Raffaele. “È la nostra nuova wunderkammer (camera delle meraviglie, n.d.r.), un luogo dove respirare il meglio che ci circonda, in un ambiente accogliente”. In sala troviamo il bravo Andrea Coppetta che coordina un team giovane ma già ben rodato. La prima sorpresa è in cucina. Il mestolo di comando è stato affidato a Mattia Barni, un comasco classe ’92, che da anni è parte del Calandre Team. A fianco di Silvio Giavedoni al Quadri, poi alle Calandre, al Sesamo di Marrakech, poi di nuovo Venezia e ora ai fornelli del ristorante con vista Tofane.

Sensibilità che valorizza profumi e sapori

La proposta al piatto si articola su tre linee. Fluidità, ovvero senza barriere di sorta per la materia prima. Mare e Orto. Caccia e… che non ha bisogno di ulteriori dettagli. Noi abbiamo saltellato qua e là, godendo dei cinque sensi in armonia conseguente.

Si parte di mira precisa con la Battuta cruda e affumicata di cervo con tartufo bianco, giusto per far entrare in coppia le papille con una “alajmitudine”, ovvero il Cappuccino di musetto, che fa il verso montanaro al cugino di pianura (e laguna), il Cappuccino di seppie al nero. “Il paradiso può attendere” con gli Gnocchi di patate al grano arso con trippette, gole di baccalà e salsa di ricotta affumicata. Qui il tocco assassino è stato tenuto anonimo sulla carta, ovvero quelle lamelle di porro fritto che vi sparano nella galassia, con un retrogusto che vi coccola a lungo. Un piatto che, da solo, vale la cortinata calandrosa. Si viaggia conseguenti con il pentagramma dei fornelli che vi riporta sulla terra con il Risotto all’amarone, lepre al tartufo bianco e radicchio di Treviso alla barbabietola e, a seguire, con la Scaloppina di scottona al Marsala con funghi, salsa di aglione e polenta croccante. Un piccolo stacco con il Sorbetto di pompelmo rosa e pino mugo con spuma frizzante di gin per concludere in gloria con i Bignè croccanti con crema allo zafferano, salsa di liquirizia e limone nero.

Pronto a scendere in pista con il gusto in discesa libera, di slalom tra fantasia e sostanza. Sia per la brigata di sala che per quanto arriva dalla cucina si sente la mano degli Alajmo Bros., ma è il saper fare squadra che fa la differenza. A Cortina dunque, ancora una volta, l’ennesima conferma. A postilla, l’attestato di stima del tristellato di lungo corso, il non ancora cinquantenne Massimiliano, per il giovane collega: “Mattia Barni sa trasmettere al cibo il suo fuoco interiore, che è il frutto di una sensibilità che valorizza profumi e sapori oramai dimenticati da un mondo spesso ingrato del passato”. Ipse dixit. Provare per credere.

Per un locale che è ancora in rodaggio di apertura, visto che ha aperto da una manciata di settimane, non c’è che dire, se non che ci limitiamo, per il momento, a uscire senza voto.

La Galleria Fotografica:

Una “giovane vecchia” conferma

Un passaggio a Le Calandre è sempre un momento di taratura fondamentale per il gourmet errante. Un po’ come il tagliando annuale dell’auto o il cambio gomme: un controllo per ricalibrare i giudizi e capire dove potrebbe andare, e dove forse sta andando, la cucina italiana. Massimiliano Alajmo, a dispetto della giovane età, è ormai un veterano nell’olimpo dei grandi e da anni segna la sua strada. Una strada che in tanti decidono di seguire.

Il paradosso è che Le Calandre, uno dei migliori ristoranti in Europa, non è necessariamente un ristorante per soli appassionati, ma è frequentato anche dalla clientela locale, in gran parte habituè, motivo per il quale il menu varia di pari passo con la stagionalità. Quest’aspetto si è rafforzato sempre di più nel corso degli anni tanto che, nella nostra visita di Novembre, non abbiamo trovato altro che l’autunno nei sapori, nei ricordi e negli stimoli: colori caldi, tartufo, vino rosso e morbide rotondità.

Una cucina dalle mille facce

I punti di connessione tra il mondo kaiseki e il mondo degli Alajmo sono tanti. Non certamente nei rituali ma, oltre alla citata stagionalità, nella scelta delle stoviglie, che qui assumono un valore tattile fondamentale: provare la Zuppetta di cime di rapa con ovetti di cipolla e tartufo per conferma. Quella pietra, al tatto e nel rumore del cucchiaio sul fondo, è ingrediente protagonista pur non essendo edibile. Le letture multiple di ogni portata sono un timbro marchiato a fuoco Alajmo. Il Fior di latte croccante può essere apprezzato per la sua golosità o per le sfumature di una preparazione superlativa. Una mozzarella disidratata e fritta in abbinamento alla polenta, il croccante e il morbido che si uniscono in un viaggio tutto veneto nelle case di campagna, tra la polenta sul paiolo e il formaggio alla piastra.
Un altro capolavoro è la Sogliola al vino rosso con zuppetta di legumi, tartufo bianco e crema soffice di funghi e semi di girasole, perfetta negli ingredienti, nelle cotture e nelle consistenze. Massimiliano Alajmo lo si può sentir parlare godendo dei suoi piatti sempre più rotondi, oppure si può decidere di ascoltarlo davvero, ammirando il modo in cui riesce a tenere in equilibrio dieci ingredienti in un piatto o lasciandosi rapire dalle sfumature, dal perfezionismo tecnico, dal coinvolgimento mirato di tutti i sensi.
A tutto ciò aggiungiamo un servizio di sala che da anni ha rivoluzionato il modo di servire in un ristorante di lusso.
Una critica a questo menu? Forse un filo troppo impegnativo, non certo in termini digestivi, ma per la mancanza di un pizzico di freschezza e colore. Ma d’altra parte siamo in autunno, cosa pretendiamo?

La galleria fotografica:

Abbiamo speso fiumi di parole su Le Calandre, ma soprattutto su Massimiliano e Raffaele Alajmo. Una grande famiglia della ristorazione italiana di qualità, non dimenticando i due genitori senza cui nulla sarebbe stato. Talento sì, ma anche abile e pragmatica capacità imprenditoriale. Che gli ha consentito di entrare a pieno titolo nella cerchia ristretta dei protagonisti della nostra cucina, la cucina italiana, nel mondo.

Oggi però vorremmo cercare di dare un punto di vista, forse più tecnico-analitico, che questa realtà merita. Perché questa cucina è un’ottima cucina, personale, pensata e cerebrale, ma al contempo molto diretta e limpidamente golosa, perchè questo cuoco è un cuoco di grande profondità e pensiero e ultimo -ma non per importanza- perché continuiamo a considerare Massimiliano Alajmo uno dei più personali, vividi e limpidi talenti italiani.

Il suo percorso, che seguiamo ormai da molti anni, ci sembra sia giunto quasi al suo culmine, intraprendendo la tortuosa strada che porta verso la Maestria. Quella profonda, viscerale, che emerge da una quasi sacralità del gesto e della sua ripetizione, dalla profonda religiosità di pensiero che sottende tutti i gesti e i movimenti di ogni giorno, anche i più semplici.
Ed ecco quindi tratteggiare questo percorso negli anni, fino a giungere a una cucina a cui si può muovere qualsiasi rilievo, ma non il difetto di personalità. Una cucina profondamente riconoscibile, come quella di nessun’altro, profondamente e radicalmente sua.

Il percorso, dicevamo, cominciato molti anni or sono attraversando il manierismo delle forme, degli impiatti precisi, dei pochi ingredienti, delle millimentrie e delle fitte ma precise trame elementari. Cammin facendo questa cucina, attraversando anche periodi di caos apparente e alquanto evidente, si è spostata su un piano molto più materico, vivo e carnale.
E’ oggi compiuta perchè divenuta complessa, ma si badi bene affatto complicata. Complessa nelle tessiture, nel numero di ingredienti che concorrono alla formazione del piatto. Ricca, opulenta, a tratti finanche apparentemente ridondante. Parallelamente sviluppando un caos, è il caso di dirlo, negli impiatti. Sempre più diretti, vivi, pulsanti e sempre meno manieristi e apparentemente precisi.

L’esempio per noi fulminante è stato (ma ne citeremo molti altri nelle didascalie delle foto) il riso giallo con gremolata di anguilla. Un riso mantecato al latte di mandorla e zafferano -connubio portentoso- arricchito da una gremolata all’anguilla affumicata, impreziosito dal tocco del sugo e gelato alla barbabietola. Sapori, consistenze e temperature che diventano un inno alla goduria più estrema.

Abbiamo usato il termine “apparentemente”, ce ne rendiamo conto, parecchie volte. Ma non è un errore. O meglio non è l’errore che pensate a prima vista. E’ come un piatto di Massimiliano, che può apparire difettante, con errori di impiatto, di eleganza, di sovrastrutture gustative.
Ma questo solo ad un occhio poco attento e superficiale. Perché in profondità, in quella più nascosta, questo tripudio di ingredienti e questa apparente confusione genera una linearità ed una pulizia di gusto, una golosità ed una sazietà per tutti i sensi davvero tremendamente straordinaria. E’ il primo ribaltamento di un dogma, il manierismo che lascia il passo al vero senso di un piatto, il gusto. Che ci fa pensare inoltre -altro dogma ribaltato- come questa cucina sia l’ideale rappresentante della nuova rivoluzione dell’Haute Cuisine, quella costruita attorno alla degustazione di qualche piatto a tavola, contro lo strapotere dei menù degustazione di interminabile lunghezza.

E proprio a dimostrare che questa profondità di pensiero è nascosta, ma neanche troppo, nella filosofia di questo luogo ecco comparire una gerarchica sovversione del menù a favore di una proposta trasversale di 3, 4 o 5 piatti molto interessante e accattivante, ben più del menù stesso di cui ne segna il netto e preciso superamento.

Geniale qui, come geniale questa cucina per addizione che, non dubitiamo, vi sorprenderà per la sua profondità.

Lo stupendo pane in accompagnamento: nulla qui è lasciato al caso.
Le Calandre: Pane
Fu Mare, primo colpo ben assestato: gelatina di brodo di sgombro, gelato alla ventresca di tonno, caviale, bottarga di muggine.
Le Calandre: gelatina di brodo di sgombro, gelato alla ventresca di tonno, caviale, bottarga di muggine
Nudo e crudo di carne e di pesce. Tonno nappato alla barbabietola, caviale e maionese di alghe, scampi panati e finti fritti con carciofi e salsa pistacchio, spaghetti di soia e funghi, brodo di funghi, dentice, calamaro e bottarga, carne cruda salsa curry radicchio e scampi crudi.
Le Calandre: Nudo e crudo di carne e di pesce 1
Le Calandre: Nudo e crudo di carne e di pesce 2
Le Calandre: Nudo e crudo di carne e di pesce 3
Le Calandre: Nudo e crudo di carne e di pesce 4
Le Calandre: Nudo e crudo di carne e di pesce 5
Fagioli e banana. Fagioli di lamon, granita di dragoncello, spuma di acqua di cottura dei fagioli, crema di fagioli, banana, radicchio e sedano (due aceti, uno balsamico di fondo e peperoncino). Nulla qui è pleonastico, tutto ha una funzione precisa e utile per il completamento di un piatto molto ma molto interessante. Fagioli e banana hanno connotati aromatici e texturiali sorprendentemente simili, che giocano a rincorrersi, sapientemente calibrati e dosati tra loro. Un piatto che, con questi ingredienti, in mano ad altri sarebbe stato un disastro annunciato.
Le Calandre: Fagioli e banana
Cappuccetto rosa. Crema di patate alla barbabietola, caviale, chips di riso, anguilla, ostrica. Un inno al cappuccino di seppia, qui migliorato e addirittura superato.
Le Calandre: Cappuccetto rosa
Spaghetti con latte di razza e canocchie. Oliva nera, ricci di mare, pane tostato, canocchie crude, con una punta di dragoncello e prezzemolo fondamentale.
Le Calandre: spaghetti con latte di razza e canocchie
La scarpetta.
Le Calandre: scarpetta
Gnocchi di patate e topinambur con spremuta di pastinaca e tartufo bianco.
Le Calandre: Gnocchi di patate e topinambur con spremuta di pastinaca e tartufo bianco
Riso giallo con gremolata di anguilla.
Le Calandre: riso giallo con gremolata di anguilla
Pasta al forno con lepre, salsa di zucca e tartufo bianco.
Le Calandre: Pasta al forno con lepre, salsa di zucca e tartufo bianco
Rombo con finta maionese di pastinaca e carciofi fritti.
Le Calandre: Rombo con finta maionese di pastinaca e carciofi fritti
Castrato abruzzese al limone con purè di liquirizia.
Le Calandre: castrato abruzzese al limone con purè di liquirizia 2
L’ottimo pre-dessert.
Le Calandre: Pre-Dessert
Sorbetto di melograno, hibiscus e rosa.
Le Calandre: Sorbetto di melograno, hibiscus e rosa
Bufala di mandorle, capperi, olive, olio.
Le Calandre: Bufala di mandorle, capperi, olive, olio
Mont Blanc.
Le Calandre: Mont Blanc
Il vino che ha accompagnato la cena: Moet & Chandon Grand Vintage 2008
Le Calandre: Moet & Chandon Grand Vintage 2008

Si puo’ cominciare il racconto di una cena in mille modi. Dal viaggio necessario, ad esempio, dalla difficoltà di parcheggio o dall’architettura della sala. Dalle osservazioni sulle sedute piu’ o meno comode, dalle luci, dalla carta delle vivande o addirittura dal finale, da quella addizione sulla carta come ultima portata. Ma qui a Rubano, nella periferia senza storia di Padova, dopo una cena ai tavoli delle Calandre dei fratelli Alajmo, puo’ capitare di essere innanzitutto folgorati dalla perfezione del servizio, dalla mirabolante squadra di sala capitanata da Andrea Coppetta Calzavara, da quella sensazione che quei piatti, tutti, senza il loro lavoro non sarebbero conclusi. Allora si puo’ cominciare a raccontare una cena anche da qui.

Del locale si è parlato già tanto. Forse troppo. Di come sia perfetta la luce che illumina il tavolo e null’altro al punto che puoi pensare di essere solo anche con la sala piena. E anche di come ogni orpello sia bandito al punto che si è osato eliminare la tovaglia. I tavoli poi. Già, i tavoli. Il legno naturale, nudo, con le vene come rughe, eppure lavorato dal tempo e poi dall’artigiano con maestria e tecnica impensabili. Non è lasciato a vista per caso, è filosofia, la semplicità come frutto della complicazione. A pensarci bene è proprio come un suo piatto. Uguale.

I tre menù degustazione sono come lunghe interviste, lo svolgimento di quel gomitolo di lana sul tavolo in una successione di piatti -precisa- che prima sollevano domande poi puntualmente ne contengono la risposta, anticipando le parole dello chef quando alla fine della cena si appoggia alla parete vicino l’ingresso e ricalca a voce ogni passaggio, affinchè sia luce sui dettagli e nulla si possa ritenere casuale. E’ la perfezione la sua cifra, una foga integralista inseguita senza paura, con una tecnica attenta a non rubare l’anima degli elementi anzi a restituirla integra, paradossalmente primitiva.
Così gli antipasti, quelli del menu Max, sono assoluti nella giustezza delle consistenze e delle temperature, con l’immensità degli spaghettini freddi con i gamberi crudi e quel fondo di salsa al pistacchio a rincorrere o ancora con la impudica passata di datterini crudi protagonista della scarpetta verde nell’orto. Così i dettagli, perché quelle chips, che compaiono qua e là nelle loro variabili, non sono ornamento, ma il croccante reso arte, da insegnare nelle scuole, inarrivabile. Così, infine, il filetto di pesce, quel dotto come laccato nel fumetto di scorfano, sembra fissare le regole della cottura e contemporaneamente rappresentare in maniera definitiva il mare, i suoi umori. C’e’ davvero tanto in una cena qui, certezza e divertimento, applicazione e ricerca, solo che ad un certo punto hai -improvvisa- come la paura di dimenticare, perchè alla memoria occorre il brivido, il fuoripista, lo spiazzamento, ecco, qualcosa che somigli ad una scena finale di un film che lasci qualcosa sospeso, sul quale tornare, discutere, litigare.

Qui forse questo si sta perdendo lentamente.

L’ingresso. Il logo sulla lastra di cor-ten. Introduzione alle complessità risolte di Alajmo. Apparente semplicità, ricerca e modernità.
Le Calandre, Chef Massimiliano Alajmo, Sarmeola di Rubano
Gli oramai famosi tavoli in frassino olivato ultracentenario.
Le Calandre, Chef Massimiliano Alajmo, Sarmeola di Rubano
La seconda sala con il tavolo conviviale.
Le Calandre, Chef Massimiliano Alajmo, Sarmeola di Rubano
Si comincia. Gondola di mais con baccalà, polpo e schia. Oltre alla tartelletta di pane carasau con crema alla bottarga e il cuscinetto di rapa rossa con crema alle mandorle. Ma è solo un riscaldamento…
benvenuto, Le Calandre, Chef Massimiliano Alajmo, Sarmeola di Rubano
Il cornetto al parmigiano. Un classico per chi frequenta questa tavola. Già si comincia ad avere il sospetto che con le cialde, le chips, il croccante in generale, Alajmo è di un altro pianeta.
cornetto di parmigiano, Le Calandre, Chef Massimiliano Alajmo, Sarmeola di Rubano
Carpaccio di zucchine e frutta. Un prologo alla cena ma già con gli indizi da cominciare a raccogliere… Consistenze e temperature sono oggetto di precisione impressionante e contribuiscono in maniera determinante al ritmo del piatto. La zucchina è solo marinata, la melenzana in crema, il sorbetto -salato- di kiwi e menta introduce la frutta. Contrappunti come solo la musica si pensava potesse esprimere.
Carpaccio, Le Calandre, Chef Massimiliano Alajmo, Sarmeola di Rubano
Carpaccio, Le Calandre, Chef Massimiliano Alajmo, Sarmeola di Rubano
Scarpetta verde nell’orto. Altro indizio: la perfetta sequenza dei piatti nella degustazione. Un vero racconto dove questo sembra concluderne la prefazione. Le incursioni del crescendo di amaro dei fagiolini, delle fave e delle olive nere come pungoli alla dolce rotondità di una straordinaria passata di datterini.
scarpetta verde, Le Calandre, Chef Massimiliano Alajmo, Sarmeola di Rubano
Il pane, unico ma sufficiente. Una scelta di essenzialità per un menù già molto complesso.
pane, Le Calandre, Chef Massimiliano Alajmo, Sarmeola di Rubano
Nudo e crudo di carne e pesce. Intanto il compendio necessario al tavolo nudo. Scompare anche il piatto per rimarcarne l’essenzialità. Stratosferici gli spaghettini freddi, notevole il carpaccio di ombrina dove rivaleggiano le estremità di zenzero e pesca, buono l’astice con una maionese (altro must dello chef) di mandorle, bottarga con un’acqua di pomodoro in gelatina. Chiude la braciola cruda di vacchetta piemontese con il segreto del crudo di pesce e un’altra maionese questa volta al curry.
nudo e crudo, carne di pesce, Le Calandre, Chef Massimiliano Alajmo, Sarmeola di Rubano
Le Calandre, Chef Massimiliano Alajmo, Sarmeola di Rubano
Le Calandre, Chef Massimiliano Alajmo, Sarmeola di Rubano
Le Calandre, Chef Massimiliano Alajmo, Sarmeola di Rubano
Lisca fritta. Esercizio di stile in modalità giapponese. La lisca è prima cotta sapientemente per domarne la consistenza, poi fritta. Cucina con gli scarti per dimostrare che può esistere il paradosso: fritto di pesce senza pesce.
lisca, Le Calandre, Chef Massimiliano Alajmo, Sarmeola di Rubano
Grissini.
Grissini, Le Calandre, Chef Massimiliano Alajmo, Sarmeola di Rubano
Linguine integralmente integrali. Un cimentarsi estremo con materie minime. Salsa di semi di papavero, foglie, polvere e briciole secche di capperi, semi per una pasta di grano duro integrale lasciata più che al dente per limitarne il rilascio di amido.
Le Calandre, Chef Massimiliano Alajmo, Sarmeola di Rubano
Ravioli a colori. Piatto della memoria e forse per questo virato sul dolce. Ravioli ottenuti senza farina, solo patate e caratterizzazione con diversi ortaggi e verdure. Cottura in due tempi, a vapore prima poi grigliati. Il brodo vegetale speziato a base di rapa rossa diluisce l’impasto, di consistenza importante, il sorbetto di cipollotto sgrassa e fredda il boccone rendendolo fluido. Chips da fantascienza.
Le Calandre, Chef Massimiliano Alajmo, Sarmeola di Rubano
Risotto bianco con polvere di alloro e caprino fresco. Con lo storico risotto alla zafferano e polvere di liquirizia ha fissato uno standard. Qui si propone in una variante dall’approccio sicuramente più semplice e riconoscibile. Una piccola pausa. Solo un ottimo risotto.
risotto, Le Calandre, Chef Massimiliano Alajmo, Sarmeola di Rubano
Dotto scottato con zuppetta di scorfano. Il pescato secondo Alajmo.
Le Calandre, Chef Massimiliano Alajmo, Sarmeola di Rubano
Cuore di costata con crema di tartufi di mare e caviale. Piatto poco convincente. Sebbene la crema di tartufi è come abitudine dello chef molto magra, l’impatto gustativo del caviale e della foglia d’ostrica sembra essere già imponente, conclusivo. La carne non si limita al solo supporto, non ne rappresenta la continuità e nel contempo neanche l’elemento di contrasto.
crostata, Le Calandre, Chef Massimiliano Alajmo, Sarmeola di Rubano
Frutta marinata. Il piacevole intermezzo. La frutta è caratterizzata con le essenze artigiane di agrumi e spezie spruzzate in un gioco di contrasti e profumi molto potente.
frutta, Le Calandre, Chef Massimiliano Alajmo, Sarmeola di Rubano
Bellini margarita. Indulge alla piacioneria, fusion-cocktail di gradevole impatto e calibro preciso.
bellini, Le Calandre, Chef Massimiliano Alajmo, Sarmeola di Rubano
Dolce far niente. Epico e didascalico. A metà strada tra esperimento e divertissement. Un percorso di 16 tappe -troppo impegnativo a fine pasto- che potrebbe essere snellito con qualche eliminazione di ridondanza.
Le Calandre, Chef Massimiliano Alajmo, Sarmeola di Rubano
Le Calandre, Chef Massimiliano Alajmo, Sarmeola di Rubano

Basta mettere in fila un po’ di numeri per avere un’esaustiva sinossi della carriera di uno tra più grandi cuochi che la cucina abbia mai avuto.
Quarantuno anni. Tre stelle Michelin consolidate da ormai tredici anni di cui la terza presa a soli ventotto anni. Un unicum nella storia della rossa.
L’uomo de Le Calandre è lui, innegabilmente un genio. Sotto tutti i punti di vista.
Nessuno in Italia, né in Europa e, probabilmente, nel Mondo, ha bruciato le tappe come ha fatto Massimiliano Alajmo.
Sono solo dettagli. Certo.

Il resto è ricerca, tecnica contemporanea a maestosa personalità di una cucina che ha saputo sfornare grandissimi e già affermati talenti.
Non possiamo che constatare il momento di forma smagliante di questa tavola, con un menù, il “tinto”, perfetto punto di incontro tra complessità tecnica e immediatezza gustativa, in cui si resta sopraffatti dall’esasperato inseguimento dell’essenza del cibo e dalla costante ricerca di sensazioni ed elementi ludici che necessitano interazione e coinvolgimento totali da parte del commensale.
Penetrare nella materia è l’unico modo per conoscere tutte le possibilità di espressione della stessa.
La carrellata di piatti provati, in un’incerta primavera, offre una sequenza di ingredienti di incredibile qualità, salse di concentrazioni uniche, tecniche di preparazione da alchimista, leggerezza, disarmante golosità. E poi ci sono tanti “dettagli culinari” come le “essenze”, a corollario di pietanze già strutturate, oli essenziali, il cui aroma accelera il gusto di ogni singolo piatto partendo dall’olfatto.
Alajmo non ha mai inseguito mode, si è lasciato solo ispirare dai suoi maestri (Veyrat e Guerard) e ha dato vita alle sue idee e immaginazioni. Non un classico che sia stato concepito o già visto prima di lui, nè una tecnica che sia già stata utilizzata da altri.
Non è un percorso perfetto, non vuole esserlo perché l’aspetto che prevale è più quello emotivo, seguito a ruota dal divertimento.
Il commensale si ritrova catapultato in uno spettacolo multi sensoriale in cui si respira un’aria scanzonata. Tant’è che, in un menù così ampio e articolato, si perde ad esempio il piacere dei sofisticatissimi virtuosismi tecnici del Gocciolato, un menù nel menù che invece sarebbe opportuno gustare quasi come un assolo per comprenderne al meglio raffinatezze stilistiche e contrappunti, giocati su sensazioni infinitesimali che, dopo tante portate, in realtà si perdono nella sensazione di sazietà generale. Consigliamo difatti come dolce conclusivo la “mozzarella di mandorla”, sicuramente più calata in un percorso in cui la leggerezza gioca un ruolo importantissimo.
E poi ci chiediamo se si possa (per noi si deve) fare di più sul versante delle “testure”, dato che ci è sembrato piuttosto strano il reiterato uso del riso soffiato su ben tre preparazioni. Ma sono domande che sorgono spontanee al cospetto dell’indiscutibile talento di Alajmo.
Una cucina che è perfettamente integrata alle bellissime ed uniche stoviglie firmate dallo stesso chef e al contesto della sala, minimalista, in cui spiccano i meravigliosi tavoli, ricavati da un unico tronco di frassino olivato di quasi duecento anni, sui quali la luce risalta i colori del cibo e qualche dettaglio di colore sparso per la sala (riteniamo Massimiliano un genio perché le “sgocciolature” sui muri e sui tendaggi, in pieno stile pollockiano, pare li abbia concepiti e realizzati in una mezz’oretta, il che sembra incredibile per quanto siano affascinanti).

Il servizio, formidabile in termini di tempistiche, è uno dei più intelligenti e divertenti d’Italia. Raffaele Alajmo -insostituibile il suo ruolo imprenditoriale nell’azienda- ha saputo formare una squadra giovane e affiatata, oggi capitanata da Andrea Coppetta Calzavara.
Tutto questo è Le Calandre, un ristorante che ha fatto la storia della ristorazione mondiale. E chissà ancora quanto avrà da dire.

Le Calandre, Chef Massimiliano Alajmo, Sarmeola di Rubano, Padova
Il fantastico pane.
pane, Le Calandre, Chef Massimiliano Alajmo, Sarmeola di Rubano, Padova
I famosi snack della casa.

snack, Le Calandre, Chef Massimiliano Alajmo, Sarmeola di Rubano, Padova
Amuse bouche:
dotto fritto con caviale, airbag di pane con carote e cumino e barchetta con piselli e Joselito.
Amuse Bouche, Le Calandre, Chef Massimiliano Alajmo, Sarmeola di Rubano, Padova
Primavera di verdure cotte a freddo.
Verdure cotte a crudo marinate al sale, gelato all’estragone e crema al pistacchio. Notevole inizio.
Primavera di Verdure, Le Calandre, Chef Massimiliano Alajmo, Sarmeola di Rubano, Padova
Nudo e crudo di carne e pesce.
Carpaccio d’astice e riso croccante, fassona farcita con calamari, caviale e salsa ai fasolari; gambero impanato, radicchio e maionese di mandorle, curry, curcùma e mandarino. Che bocconi!
Nudo e crudo di carne e pesce, Le Calandre, Chef Massimiliano Alajmo, Sarmeola di Rubano, Padova
Linguine di calamari con vongole cannolicchi e asparagi.
Finta pasta di calamaro e dotto (i pesci vengono destrutturati disidratati e reidratati). La salsa è fatta con cannolicchi, vongole, granchio, asparagi e crema di ricci di mare. Piatto da 20/20 per tecnica, gusto ed emozioni.
linguine di calamari, Le Calandre, Chef Massimiliano Alajmo, Sarmeola di Rubano, Padova
Spaghetti con salsa di moeche.
La pasta non può che essere Benedetto Cavalieri e il sugo è fatto con moeche, pomodori e ricci di mare per accentuare la sapidità marina.
spaghetti con salsa di mosche, Le Calandre, Chef Massimiliano Alajmo, Sarmeola di Rubano, Padova
Consapevoli dell’immensa bontà del sugo, dalla cucina arriva la padella per il piacere della scarpetta.
scarpetta, Le Calandre, Chef Massimiliano Alajmo, Sarmeola di Rubano, Padova
Risotto all’olio extra vergine di oliva con capperi, caffè e rosa.
Versione 2015 del classico risotto capperi e polvere di caffè. In questa nuova versione spicca il potente profumo floreale della rosa che lascia in bocca un fragranza prolungatissima.
risotto all'olio, Le Calandre, Chef Massimiliano Alajmo, Sarmeola di Rubano, Padova
10 grammi di pasta alla carbonara.
Si tratta di una sfoglia sottilissima di pasta all’uovo con crema d’uovo, pecorino, pepe nero e speck.
Un po’ più rustica rispetto al resto, comunque una riuscitissima variazione.
pasta alla carbonara, Le Calandre, Chef Massimiliano Alajmo, Sarmeola di Rubano, Padova
Rombo al mais con bottarga e crema di carciofi e pistacchio.
Rombo al mais, Le Calandre, Chef Massimiliano Alajmo, Sarmeola di Rubano, Padova
Carpaccio sottile di cervo in agro di vino. Piatto preso in prestito dal menu “istinto” al posto delle animelle.
Una combinazione di gusti di lieve acidità che caratterizzano il piatto nella sua notevole eleganza.
Carpaccio sottile, Le Calandre, Chef Massimiliano Alajmo, Sarmeola di Rubano, Padova
Animelle dorate al curry e liquirizia.
Il piatto meno convincente.
Animelle dorate, Le Calandre, Chef Massimiliano Alajmo, Sarmeola di Rubano, Padova
Piccione con barbabietola rossa, topinambur e tartufo nero. Il volatile subisce due cotture differenti. La coscia viene padellata con il maraschino. Forse una versione ancora un po’ autunnale.
piccione con barbabietola, Le Calandre, Chef Massimiliano Alajmo, Sarmeola di Rubano, Padova
Degustazione di frutta aromatizzata.
degustazione di frutta aromatizzata, Le Calandre, Chef Massimiliano Alajmo, Sarmeola di Rubano, Padova
E poi il palato si resetta con il Lemon sour. Un sorbetto al limone con frizzi pazzi, granita al rhum e una spruzzata di essenza alla limetta.
predessert, Le Calandre, Chef Massimiliano Alajmo, Sarmeola di Rubano, Padova
Sul dessert si può scegliere tra la “Mozzarella di mandorla” che straconsigliamo, anche perché più in linea con il concept del menu. Un’isola del sud in un piatto.
dessert, Le Calandre, Chef Massimiliano Alajmo, Sarmeola di Rubano, Padova
Parecchio più impegnativo il “Dolce far niente (gioco al cioccolato 2015)”.
Sicuramente divertente ma impossibile da finire dopo un percorso degustazione.
Alcuni scatti del curioso dessert.
dolce far niente, Le Calandre, Chef Massimiliano Alajmo, Sarmeola di Rubano, Padova
Dita con crema alla curcuma, crema di noci pecan e crema alla nocciola.
dessert, Le Calandre, Chef Massimiliano Alajmo, Sarmeola di Rubano, Padova
Fiocco di curcuma.
ficco di curcuma, Le Calandre, Chef Massimiliano Alajmo, Sarmeola di Rubano, Padova
I vini degustati.
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brunello, vino, Le Calandre, Chef Massimiliano Alajmo, Sarmeola di Rubano, Padova
sherry, Le Calandre, Chef Massimiliano Alajmo, Sarmeola di Rubano, Padova
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Le Calandre, Chef Massimiliano Alajmo, Sarmeola di Rubano, Padova
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Ingresso.
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