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Ristorante Oste Scuro

Questo pezzo potremmo intitolarlo così: “ Dichiara il tuo intento e sarai già a metà dell’opera”.
Nella mia seconda (o prima?) vita la chiamerebbero “mission aziendale”.
“Mi chiamo Simone Lugoboni, cuoco e proprietario dell’Oste Scuro di Verona. I miei capisaldi: trovare la migliore materia prima che il mercato mi offre e presentartela con meno arrangiamenti possibili. Cotture brevi o inesistenti, pochi azzardi, pochi piatti strutturati.
L’ispirazione risale alle brasserie parigine, sai, quelle dove si propongono crudità di mare, plateau royal e poche preparazioni di pesce con un unico denominatore: semplicità e qualità.”

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Spalla sinistra l’angioletto, buono ed accomodante gourmand.
Spalla destra il diavoletto, acido ed esigente gourmet.

“Mamma mia, questo crudo di dentice è fenomenale!”

“Ci mancherebbe, vista la qualità del pesce, devi impegnarti per rovinarlo…”

“Uff, il solito noioso… parliamo dei Gamberi con la chutney di pesca?”

“Chutney che dir ruffiana è dir poco, la troverebbe golosa anche un bimbo che ancora non ha sviluppato i denti, figuriamoci il palato”

“Quante storie… e le cappesante con il foie gras?”

“…piacevoli come un politico prima delle elezioni, morbide e accomodanti, ma…”

“Gne gne gne… e la golosità delle fettuccine con il ragù di mare?”

“Si, golose, come quelle della mamma la domenica a mezzodì”

Questa, più o meno, è la sensazione provata durante la cena al Vigneto.
C’è grande qualità, indubbiamente, non solo del pescato ma di tutte le materie utilizzate. I tanto decantati arrivi dal trapanese sono una realtà e i porcini, in un veloce e semplice assaggio, davvero notevoli in stagione.
Il rapporto qualità/prezzo risulta eccellente: 50 euro a persona per un menù di crudi come quello assaggiato è degno di complimenti.
La sala è gradevole, tra legno e pietra, dominano le tonalità rosse, che creano un ambiente piacevole e conviviale … “…e poi?” E poi, ahimè, basta.
La cucina, che è il piatto più pesante della nostra bilancia critica, non tiene la scia del resto, arrancando proprio nelle elaborazioni, molto adulatorie, che non riescono a restituire stimoli degni di nota. Alcuni piatti, all’apparenza interessanti, si rivelano al palato eccessivamente sbilanciati verso uno degli ingredienti, compromettendo il delicato equilibrio. Il culmine negativo arriva in chiusura di una cena in faticosa salita (quasi a voler figurare l’amaro in bocca) con i dessert, molto banali e in verità nemmeno particolarmente piacevoli.
Anche la carta dei vini, quasi per assonanza, non si può definire né ampia né interessante, con i “soliti noti” di medio livello, proposti a prezzi ordinari. Non possiamo non far presente però che, rispetto alle precedenti visite, le referenze siano aumentate e, come suggerisce il nome del ristorante, si è circondati dai vigneti di proprietà, con la giusta attenzione ai propri prodotti.
Insomma, è lecito da uno stellato aspettarsi di più. La cucina non può limitarsi a far da sonnacchioso tramite tra la porta del retro ed il pass, conscia della qualità dei fornitori. Anzi, forte di una materia di questo livello, si otterrebbero senza dubbio risultati più alti trattandola in maniera più convinta.
Di certo non si può definire una cena “al Vigneto” un’esperienza totalmente negativa, la serata scorre comunque piacevole (salvo qualche episodio di servizio al limite del comico), ma è innegabile che ti resti un filo di frustrazione, come quello che prova il genitore del ragazzo svogliato a scuola, nel sentirsi ripetere, anno dopo anno, “…la base è buona, ma se solo ci mettesse del suo, se si applicasse un po’ di più…”

Il pane

Benvenuto: Cannolo con spuma di pesce

Scampo con cappesante e bianco di pesce

Medaglioni di cappesante e foie gras al lime

Baccalà e gambero rosso con mandorle tostate, pomodorini e basilico (con quest’ultimo che domina sul resto, creando una coltre simil-pesto)

Porcini freschi, mandorle tostate ed Emmenthal

Gli spaghetti di pasta fresca con delizie di mare sautè

Crudo di gambero rosso, chuteney di pesca

Il trancio di rombo con squaquerone, cipolla rossa e spinaci

Tartare di dentice alla mediterranea e sorbetto di mela verde

Piccole dolcezze (per 4 persone!)

Predessert: Gelato al caramello

La tartelletta con chantilly alla vaniglia e frutta fresca

Le pesche grigliate con gelato di amaretto e granella di cioccolato

Il “TI RA MI SU’“ (mi chiedo, che senso ha scriverlo in carta in maniera “estrosa”, quando poi lo si presenta a tavola in questa versione, molto Bindi-Edition?)

Il souffle’ freddo al mango, caramello di olive e cocco

Gewurztraminer Franz Haas 2011

All’Acquolina e al suo chef Giulio Terrinoni bisogna riconoscere di avere una filosofia chiara e coerente: proporre una cucina di mare in cui la materia prima sia selezionata con grande cura e rispettata, senza vietarsi qualche originalità, mai casuale e improvvisata.
Ed è per questo che il ristorante ha saputo garantirsi nel tempo i riconoscimenti della critica e una clientela fedele, disposta a venirci anche se non offre scorci della capitale tra i più affascinanti (la collina Fleming è un quartiere residenziale confortevole ma un po’ anonimo che potrebbe essere in qualsiasi città italiana). (altro…)

Il biglietto da visita della Buca di Cesenatico è senza dubbio la grande vasca in marmo a vista: carica di tutto il ben di Dio che il mare ha deciso di offrire.
E già si sviluppa una buona empatia: la mente vola alle mille vacanze sicule della mia infanzia, la barca che attracca e scarica direttamente il pescato all’entrata del ristorante..
Scegliere il pesce e poi indicare come doveva essere preparato era il momento di massima goduria: si diventava chef, anche solo per pochi secondi.
La Buca è ovviamente l’evoluzione moderna di questo concetto, ma ai fini pratici poco è cambiato: potete ancora entrare qui dentro, indicare quella bella rana pescatrice che vi fa gli occhioni dolci e poi decidere di mangiarne il fegato con gli spaghetti e il filetto alla plancia.
Voilà, executive chef per una sera.
La Buca è comunque molto di più.
Prima di tutto una carta dei vini veramente ben fatta, con tante chicche a prezzi da stappo selvaggio.
La qualità del pescato da urlo.
Poi i Bartolini, padre e figlio, che si dividono tra le insegne di Cesenatico e quelle di Milano Marittima.
Nella nostra visita era presente il Bartolini padre, gran personaggio.
La Romagna è straordinaria, patria di fantastici burberi: non saprai mai se stanno parlando seriamente o ti stanno prendendo per i fondelli.
Ne ricordo uno da olimpiade dei burberi, il “baffo” della collina di Scorticata.
Ma anche il Bartolini senior non scherza affatto.
Adoro questi soggetti, quelli che se gli schiacci il play dei ricordi ti raccontano la storia della ristorazione romagnola degli ultimi venti anni.
Ma pur affascinati da storie e persone (sarà l’influsso del meraviglioso libro di Bolasco-Trabucco, Cronache Golose?), siamo pur sempre qui per quello che ci riesce meglio: mangiare.
La cucina è certamente blu, materica, classica. Di ottimo livello, soprattutto dal punto di vista tecnico. Qui sanno cucinare davvero.
Una cucina già così di sicuro appagamento, ma che troverebbe ulteriore giovamento da un alleggerimento dei piatti, soprattutto nel periodo estivo: più freschezza, più acidità, pesce ancor di più sotto i riflettori.
L’eccezione che conferma la regola: il miglior piatto della serata è poi il più lipidico. Fegato di rana pescatrice alla plancia con salsa al gorgonzola. Pura libidine per un goal alla Pippo Inzaghi, sul filo del fuorigioco: sta sul filo, ma il goal è buono ed è un grande goal. Un piatto neoclassico, ha più di 20 anni ma potrebbe avere due giorni.
Però alla lunga le salse grasse e cremose appesantiscono e forse traviano anche dal concetto del locale.
Grandissimo colpo con i calamaretti e pomodoro: freschi, estivi. Solo due protagonisti: la morbidezza dei calamaretti e la dolcezza del pomodoro. Di piatti così non ci stanca mai.
Molto bella la nuova veste della sala, da poco ristrutturata.
I Bagni? Tutti da scoprire.
Ecco, così vi ho messo una curiosità in più e non potrete fare altro che prenotare un tavolo alla Buca di Cesenatico. Non ve ne pentirete.

Pan brioche, saraghina e cipolla di tropea

Carpaccio di ricciola, salsa tonnata alle mandorle e olio di artemisia

Seppia e piselli

Calamaretti e pomodoro

Croccante di triglia (con maionese fatta con le interiora)

Fegato e gorgonzola

Rigatoni, quinto quarto di ricciola e rosmarino

Fragola, basilico e aceto balsamico tradizionale

Tarte tatin alle pere, mascarpone e profumo di caffè

Cuvée Fiacre 2002 Chartogne Taillet (60% Chardonnay | 40% Pinot Noir da vigne pre-filossera)


Pur Sang 1999 – Dagueneau

Serve un albergo a Cesenatico?

Ecco un ottimo indirizzo a Cesenatico per gourmet erranti.
Se non altro per il fatto che non è previsto l’obbligo di mezza pensione in alta stagione, condizione difficile da trovare in buona parte degli hotel del circondario.
Qui solo bed & breakfast, e che breakfast!
Punto forte per noi strippati è senza dubbio il livello della colazione: ottime torte fatte in casa, frutta fresca e tante, tante attenzioni.
Sorrisi, gratis, finché ne volete: ricetta semplice per accontentare un cliente, chissà perché non così conosciuta.
L’albergo è stato ristrutturato l’anno scorso, quindi camere e bagni si presentano molto bene.
Intelligente la dotazione dello stendi-biancheria in camera: in una città di mare, quanto mai gradito.
Camere doppie a partire da 90 euro.

Il corridoio “viola”

La stanza in mansarda (ma ci sono anche stanze con balcone vista mare)

Dettagli della Hall


Le torte della colazione

MAREE HOTEL
Via Nicoloso da Recco 12, 47042 Cesenatico (FC)
Tel.+39 0547 673357
www.mareehotel.com

Recensione ristorante.

A Lecco, non sul lago ma nella parte alta, sulla strada che porta in Valsassina trovate il piccolo (appena 30 coperti) ristorante della famiglia Ferrari che da diversi anni rappresenta in zona un punto di riferimento per la buona cucina di pesce (di mare). Nasce nel 1984 e negli ultimi tempi si è evoluto grazie soprattutto al bravo e giovane Fabrizio che ha preso in mano le redini della cucina, subentrando alla madre Daria.
Evidente il contributo in termini di creatività che Fabrizio – forte di importanti esperienze all’estero, l’ultima delle quali niente di meno che dal buon Redzepi al Noma – sta apportando alla cucina, soprattutto – come si racconterà – in materia di antipasti. Il tutto senza però, allo stato, modificare del tutto la “filosofia di famiglia” volta ad una cucina di stampo nettamente tradizionale.
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