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Pellico 3

Il nuovo corso gourmet nel lussuoso salotto milanese del Park Hyatt

Dopo la proficua esperienza con lo Chef Andrea Aprea, che in qualche anno ha portato il ristorante del Park Hyatt alle due stelle Michelin, le cucine del lussuoso albergo nel cuore della Galleria Vittorio Emanuele sono state affidate al giovane Guido Paternollo, trentatré anni di cui molti passati a studiare ingegneria prima della folgorazione per l’alta cucina. Sono brevi ma importanti i suoi trascorsi alla corte di grandi cuochi di caratura mondiale: Yannick Alléno, Alain Ducasse e il pluripremiato Enrico Bartolini.

Potrebbero bastare questi tre pesi massimi della cucina per decretare, sulla carta, il successo annunciato del nuovo ristorante fine dining di via Pellico 3, la strada da cui prende, appunto, il nome l’omonima insegna. È anche vero, tuttavia, che non sempre un prestigioso curriculum sia foriero di grandi risultati, soprattutto quando c’è Il rischio di deludere le aspettative perché ci si deve confrontare con i gusti della clientela internazionale – e facoltosa – di un albergo di lusso nel cuore di Milano. Per fortuna che Paternollo e la sua giovane e motivata brigata sappiano il fatto loro e siano anche ambiziosi, lasciando intravedere grandi potenzialità e solide conoscenze tecniche per poter consolidare una cucina già con una interessante centralità gustativa.

Vocazione classica e anima mediterranea

Segnali che vanno ben al di là degli auspici all’assaggio di piatti che, oltre alla curata componete estetica, presentano compiutezza gustativa e rigore tecnico. C’è vocazione classica, di salse e intingoli concentrati e un’anima mediterranea che emerge in maniera netta dal combinato utilizzo di pesci e crostacei, erbe e verdure di stagione e interessanti speziature, che siano aromatiche o piccanti ma certamente dosate al millimetro. È concentratissimo nella sua essenza salmastra lo Spaghetto alla chitarra, zafferano ed estrazione di zuppetta di pesce, apparentemente un esercizio stilistico che mette in risalto i trascorsi del cuoco Paternollo in Francia con la rievocazione di una bouillabaisse che viene fatta ridurre ad essenza (sulla stessa scia delle “estrazioni” di Alléno) e poi mantecata con lo spaghetto. In verità si tratta di un piatto riuscitissimo nel gusto e persistente nella sua componente più interessante, quella della zuppa di pesce, la cui salinità viene accentuata da un profumatissimo zafferano e diventa ancor più briosa con la lieve piccantezza del peperoncino che esce sul finale. Anche il Rombo confit, confettura di alghe allo yuzu, emulsione di piselli, cassolette primaverile e lumachine di mare lascia intravedere le evidenti doti tecniche di Paternollo, che risaltano l’ingrediente principale nonostante il ricco accompagnamento a latere. Il discorso cambia nei Tortelli con ‘nduja di suino nero di Calabria, ricotta di pecora e melograno dove abbiamo riscontrato poco mordente, in quanto l’insaccato calabrese tende a latitare rimanendo fin troppo avulso dall’insieme degli ingredienti tra i quali spicca, invece, il latticino, oltre all’acidità del melograno. Freschezza e piacevolezza si ritrovano anche nei dolci, senza particolari complessità tecniche ma tutt’altro che banali al gusto.

L’ambiente è lussuoso ma al contempo sobrio e non lascia spazio a distrazioni; il personale di sala, giovane e premuroso, è guidato dalla brava Giusy Chebeir. La carta dei vini è fornitissima e custodisce anche etichette e annate importanti, con un ricarico consono all’insegna e all’ubicazione del ristorante.

IL PIATTO MIGLIORE: Spaghetto alla chitarra, zafferano, estrazione di zuppetta di pesce.

La Galleria Fotografica:

Da tempo seguiamo con interesse la carriera di Andrea Aprea, trentaseienne chef partenopeo con trascorsi importanti, su tutti presso il Fat Duck di Heston Blumenthal. La monitoriamo perché, fin dal primo contatto con la sua idea di cucina, avvenuto al Comandante dell’hotel Romeo di Napoli (che Andrea ha portato al conseguimento della stella Michelin), abbiamo avuto l’impressione che il ragazzo non fosse solo un solido professionista, ma avesse le carte in regola per giocare forte ai tavoli che contano.
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