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Gagini

Un brasiliano a Palermo

Un brasiliano, con genitori italiani, un po’ di anni trascorsi con Matias Perdomo al Pont de Ferr come secondo poi chef del Rebelot. Decide di aprire un ristorante a Parigi, poi va a Barcellona per un’altra esperienza, per poi prendersi un anno sabbatico. In procinto di partire per Shangai a insegnare la cucina italiana, resta in Italia e viene contattato da un imprenditore di Palermo che vuole affidargli la cucina del Gagini Restaurant.

Come già da Ngonya Bay, ecco un altro caso in cui il Covid ha portato in Sicilia un bravo chef. E Mauricio Zillo è un talento irrequieto, costantemente alla ricerca di stimoli si è applicato a studiare la storia gastronomica siciliana trovando in Palermo, in una bella location a pochi passi dalla Vucciria, la confusione, la luce, l’ambiente e, in una parola, la location ideale per porre le basi di un laboratorio gastronomico dove colpire i sensi ed edificare la nuova frontiera dell’osteria gastronomica, versione  3.0.

Un posto perfetto dove Zillo riesce ad ambientare una cucina dalla forte personalità e contemporaneità, con una visione chiara di come valorizzare la fantastica materia prima dell’isola e, non ultima, la voglia di divertirsi e far divertire pur negoziando il suo talento – debordante, dirompente – con le esigenze di un progetto imprenditoriale solido come Good Company srl.

“Keep your senses alert”

Sul sito troviamo il claim sopra riportato che ben rappresenta l’esperienza culinaria. Si parte con due lievitati, una focaccia con lardo di suino nero dei Nebrodi e senape e, a seguire, un fantastico pane di Tumminia e Senatore Cappelli servito con un ottimo olio. Il menù degustazione inizia con un eccellente tonno rosso crudo, con una texture quasi setosa al palato, servito con pomodoro pizzutello e gelato di fico d’india. Il fico ricoperto di provola con prosciutto crudo di suino nero e aringa affumicata trova il jolly grazie alla freschezza e all’acidità di un estratto di fagiolini.

Le linguine allo zafferano, con quinto quarto di tonno, scorfano, pinoli, uva passa e tenerumi rappresentano la cucina di Palermo nella sua essenza: si tratta di un piatto che gioca volutamente sulla dolcezza naturale degli ingredienti, fra i quali il quinto quarto (buzzonaglia, lattume, guancia e cuore) davvero squisito, vince su tutto, se ne vorrebbe una quantità maggiore…. Il morone alla brace con latte di mandorla, limone, cappero e cipolla è un piatto sorprendente per la gustosa armonia dei vari elementi. Il capocollo di maiale nero, che ricorda per bontà la pluma iberica, gioca con l’acidità del pomodorino verde acerbo e la dolcezza della pera, a chiudere le alghe marine e il fondo di ostrica. Il dessert con il pane di Monreale, crema chantilly e sorbetto di gelsi riporta all’idea della colazione siciliana con granita panna e brioche.

Una cucina solida, senza tanti fronzoli, di personalità, con sapori forti e decisi che tiene i sensi all’erta, rigorosamente Made in Sicily, con tutti i doverosi rimandi ai piccoli produttori locali selezionati. Non possiamo dunque che aspettarci, conoscendo il fermento creativo dello chef, una evoluzione continua di questo laboratorio di cucina.

Un gran bell’acquisto per Palermo e la Sicilia.

La galleria fotografica:

Eravamo venuti due anni fa in questo ristorante, e ci aveva molto colpito la capacità di Rino Duca di esprimere con la propria cucina un pensiero preciso, la sua curiosità, la sua evidente voglia di crescita: avevamo intuito insomma fosse una cucina autoriale, con ottime possibilità evolutive.
Dobbiamo dire con franchezza che la maturazione è andata oltre ogni più rosea aspettativa.
La linea è stata demarcata con grande convinzione: Rino Duca ha trovato con precisione il settore in cui muoversi, e lo sta interpretando in maniera entusiasmante.

Memoria, ricordo, storie: i suoi sono piatti che parlano, che raccontano episodi, emozioni, sensazioni.
La Sicilia, le sue atmosfere, i suoi odori.
Le inevitabili contaminazioni emiliano-romagnole di un cuoco che ha mosso i suoi passi verso la pianura padana.
La ricerca delle radici e la necessità di raccontare sé stesso ai clienti attraverso i propri piatti.
Piatti come la Melanzana alla parmigiana o il Timballo del Gattopardo parlano di tutto questo, e ci hanno portato alla memoria la cucina di un altro grande interprete siciliano, Pino Cuttaia, che in egual modo riesce a concentrare in pochi ingredienti interi episodi di vita.

Chi c’è stato lo sa: la Sicilia è un luogo che ti rimane addosso. E quella di Rino Duca è una cucina assolutamente siciliana, quindi coerentemente aperta a mille contaminazioni.
Una cucina di forte impronta classica, ma assolutamente moderna per leggerezza e gusto estetico: il gusto vince sopra ogni cosa, ma le vie per raggiungerlo sono quelle del rispetto degli ingredienti, delle cotture al vapore, del corretto uso delle materie grasse.
La cucina siciliana popolare, quella domestica, di tutti i giorni, portata a un livello superiore: una missione difficilissima, ambiziosa ma incredibilmente stimolante.
Rino Duca, superati gli “anta”, dimostra che non è mai troppo tardi per inseguire un sogno e per mostrare il proprio talento al mondo. Il confine tra ottimo interprete e autore a noi sembra superato.
Ora viene il bello, ora viene il difficile.
Il locale completamente rinnovato, la carta vini ampliata (con un ovvio occhio di riguardo per Sicilia ed Emilia Romagna), un servizio sempre più attento e cordiale, completano un quadro felicissimo che lascia presagire buone vibrazioni per il futuro.
Segnatevi questa meta: Ravarino, il Grano di Pepe… poi fateci sapere.

Panelle (per ricordarmi da dove vengo).
Pane e panelle: un grande classico come biglietto da visita, piatto del popolo per il popolo, che richiama il mercato, le grida dei venditori, la grande cucina di strada siciliana.
pane e panelle, Il Grano di Pepe, Chef Rino Duca, Ravarino, Modena
pane e panelle, Il Grano di Pepe, Chef Rino Duca, Ravarino, Modena
Ottimo il pane, in particolare lo sfincione.
sfincione, Il Grano di Pepe, Chef Rino Duca, Ravarino, Modena
pane, Il Grano di Pepe, Chef Rino Duca, Ravarino, Modena
Cronaca di un’estate.
Un piatto che è racconto, la storia di un episodio tragico vissuto con gli occhi di un allora adolescente Rino Duca, ancora nella “sua” Palermo.
1983: l’assassinio del giudice Chinnici; il cartoccio sul piatto riproduce la prima pagina dell’Ora di quel fatidico 30 luglio, rintracciata con non poca fatica alla Biblioteca di Palermo e riprodotta con il nero di seppia su carta di riso. All’interno pesce grigliato (fantastiche le sarde) e a lato una macchia di nero di seppia a richiamare il sangue che ha macchiato la Sicilia in quel momento storico.
Il nero di seppia a richiamare anche l’inchiostro dei giornali in cui veniva avvolta la spesa nei mercati di Ballarò.
Cipollotto a fette, finocchietto selvatico e finocchio marino completano un piatto intenso visivamente, ma prima ancora buonissimo.
chinnici, Il Grano di Pepe, Chef Rino Duca, Ravarino, Modena
chinnici, Il Grano di Pepe, Chef Rino Duca, Ravarino, Modena
Tartara di gamberi di Mazara con succo di pepe Timut, piccola catalana ed estrazione di teste.
Ingrediente, ingrediente, ingrediente. E la firma dell’autore sull’angolino, con il pepe timut ad allungare il piatto in bocca.
tartara di gamberi, Il Grano di Pepe, Chef Rino Duca, Ravarino, Modena
Involtini di sciabola alla palermitana e zuppa fredda di olive verdi.
La protagonista, sorprendentemente, è l’oliva. Ottimo piatto di forte impostazione tradizionale.
involtini di sciabola, Il Grano di Pepe, Chef Rino Duca, Ravarino, Modena
involtini di sciabola, Il Grano di Pepe, Chef Rino Duca, Ravarino, Modena
Melanzana alla parmigiana.
Melanzane cotte al vapore. Sopra, un velo di provola delle Madonie affumicata (all’alloro) e una grattata di parmigiano reggiano, quasi a sottolineare una ambiguità identitaria.
Un capolavoro, perché riesce a reinterpretare un classico domestico senza far rimpiangere il piatto della “mamma”. Il gusto, ma anche la leggerezza. E la valorizzazione di un grandissimo formaggio siciliano. Solo un cuoco con un grande palato può portare in tavola un piatto così.
parmigiana, Il Grano di Pepe, Chef Rino Duca, Ravarino, Modena
parmigiana, Il Grano di Pepe, Chef Rino Duca, Ravarino, Modena
Zuppa di pesce.
zuppa di pesce, Il Grano di Pepe, Chef Rino Duca, Ravarino, Modena
zuppa di pesce, Il Grano di Pepe, Chef Rino Duca, Ravarino, Modena
Palermo – Marsiglia andata e ritorno.
La zuppa è di pesci di scoglio e pesce azzurro (alici, sarde e sgombro), a rinsaldare quel legame con le barche di Porticciolo (piccolo borgo di pescatori vicino Palermo) e le zuppe per il cous cous alla trapanese. La salsa all’aglio, a ricordare la rouille provenzale. Il caciocavallo allo zafferano, immagine di Palermo. Il pane.
Un filo sottile tra la soupe de poisson de roche di Marsiglia e la zuppa di pesce della costa occidentale siciliana: il mare a dividere e a racchiudere un mondo intero.
Pausa rinfrescante: acqua, ghiaccio, anice. Nel più puro spirito palermitano.
Anice, Il Grano di Pepe, Chef Rino Duca, Ravarino, Modena
anice, Il Grano di Pepe, Chef Rino Duca, Ravarino, Modena
Riso alla mandorla, polvere di capperi e gambero crudo.
Per quanto interessante, forse il piatto meno riuscito in termini di concentrazione dei sapori. Ma effettivamente concentrare troppo il gusto della mandorla potrebbe risultare molto pericoloso.
Riso alla mandorla, Il Grano di Pepe, Chef Rino Duca, Ravarino, Modena
Spaghetti Cavalieri al nero di seppia ed essenza di mandarino.
Un grande classico ormai di questo ristorante, immancabile.
spaghetti al nero di seppia, Il Grano di Pepe, Chef Rino Duca, Ravarino, Modena
Il timballo dei Gattopardo.
Altro grandissimo piatto, che riporta agli interminabili pranzi delle famiglie siciliane, alla immancabile pasta al forno, all’abbondanza e alla gioia.
I fantastici anelletti (formato di pasta da riscoprire), la carne, i piselli, l’uovo e a ricoprire una fonduta di piacentinu ennese. Piatto totale e totalizzante. Un ritratto del Sud in pochi centimetri quadrati.
il timballo del gattopardo, Il Grano di Pepe, Chef Rino Duca, Ravarino, Modena
Tonno al ricordo di Palermo.
Anche questo un classico, in carta da sempre. Buonissimo.
Tonno, Il Grano di Pepe, Chef Rino Duca, Ravarino, Modena
Predessert: come una Weiss.
Gioca ancora sui ricordi d’infanzia questo riuscitissimo predessert: la classica insalata di agrumi, olio e sale che ogni mamma siciliana prepara al proprio figlio.
Succo di arancia, olio, sale, pepe, spuma di limone al sale e una grattata di limone verdello sopra.
Ma il pensiero di chi vi scrive non può che andare a uno dei tanto chioschi del centro di Catania…
Predessert, Il Grano di Pepe, Chef Rino Duca, Ravarino, Modena
Cannolo della tradizione e sorbetto alla pesca.
Perfetto, anche nella scelta intelligente di usare una buonissima ricotta locale (quella della Azienda Caretti di San Giovanni in Persiceto) invece di fare viaggiare un prodotto così delicato e deperibile.
Cannolo, Il Grano di Pepe, Chef Rino Duca, Ravarino, Modena
Cassata.
Basta l’immagine.
Cassata, Il Grano di Pepe, Chef Rino Duca, Ravarino, Modena
Piccola pasticceria.
piccola pasticceria, Il Grano di Pepe, Chef Rino Duca, Ravarino, Modena
Una grande espressione della nuova Sicilia.
vino, Il Grano di Pepe, Chef Rino Duca, Ravarino, Modena
vino, Il Grano di Pepe, Chef Rino Duca, Ravarino, Modena
vino, Il Grano di Pepe, Chef Rino Duca, Ravarino, Modena

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Consci dell’ormai impressionante numero di tavole di qualità sparse per la costa sud-orientale della Sicilia, ci siamo spostati sul fronte diametralmente opposto dell’Isola per vedere che aria tira. A detta di tanti palati levigati, infatti, anche la west coast parrebbe in fermento.
Le nostre riflessioni partono dalla provincia di Palermo. In particolare da Terrasini, borgo marinaro ad un quarto d’ora di macchina dall’aeroporto Falcone-Borsellino. Qui troviamo il giovanissimo Giuseppe Costa, uno di quei cuochi-ristoratori con idee chiare e voglia di fare.
Già qualche anno fa si accorse di lui Luigi Cremona che, dopo averlo scovato nel suo piccolo ristorante, lo selezionò per il concorso Miglior Chef Emergente del Sud, nel quale Costa ha conseguito una meritata vittoria. Era il 2009, anno in cui il ristorante “Bavaglino” aveva appena aperto i battenti.
Nonostante la sua età – è nato nel 1982 – Costa ha alle spalle dura gavetta consacrata in cucine stellari da Sud (al fianco di Pino Lavarra al Rossellini’s) a Nord (alla corte del duo Cracco/Baronetto e da Arturo Chiocchetti a Trento) ed è riuscito in poco tempo ad acquisire una certa esperienza e sicurezza che gli hanno consentito di fare i primi passi nel business della ristorazione, dedicandosi anima e corpo ad un locale tutto suo, nella sua terra. Una scelta di cuore e grande coraggio in un ambiente in cui fare ristorazione di qualità, si sa, è sempre stata e continua ad essere impresa ardua.
Lui ha scelto di correre il rischio e di scontrarsi con una certa mentalità, consapevole però di avere delle buone armi nelle sue mani: oltre alla sua esperienza, può contare su una materia prima (soprattutto ittica) di grandissima qualità ad un costo sicuramente contenuto.
Il ristorante è davvero piccolo. Una saletta con cinque tavolini. Ventiquattro coperti e qualcosa in più se si conta il dehors estivo dal quale si intravede il bellissimo mare.
Costa vuole dare ai suoi clienti un servizio ed un’esperienza su misura e ad aiutarlo in questa avventura c’è l’altrettanto giovane ma levigato Andrea Paduano, friulano, anch’egli una vecchia conoscenza delle tavole stellate (al Miramonti, da Sadler e, sempre a Milano, dallo stesso Cracco dove ha iniziato il sodalizio lavorativo con Costa). Definire la sua una scelta coraggiosa ci sembra a dir poco riduttivo.
La cucina del Bavaglino parte dalle ricette isolane e, come tale, è di immediata intelligibilità. Sapori chiari e rotondi che fanno leva sui prodotti locali e puntano dritto alla gola. Un approdo felice per chi ama la via di mezzo tra tradizione e innovazione, ma senza troppe concessioni azzardate.
Noi in tutta franchezza abbiamo trovato una cucina un po’ diversa da come c’era stata preannunciata. Secondo alcuni, infatti, allo stato attuale è più rassicurante, appunto più votata alla pancia che alla testa; probabilmente l’entusiasmo dei primi tempi aveva spinto Costa a pensare e proporre preparazioni più coraggiose. La scelta di cambiare registro a favore di una cucina più decifrabile ma allo stesso tempo statica, ci sembra di capire, pare sia stata dettata proprio dagli avventori abituali della sua tavola. Del resto, oggi più di prima, è impossibile pensare di poter sorvolare sulle considerazioni e impressioni del cliente. Si tratta probabilmente di una fase creativa interlocutoria, forse dettata dalla voglia di comunicare in primis l’accessibilità di questa cucina. Sicuramente si cerca di accontentare tutti e non solo i gourmet, ma lavorare sul compromesso potrebbe essere una buona base di partenza per continuare a migliorarsi. Del resto, alcuni grandissimi della regione sono partiti proprio dai compromessi, per poi raggiungere un risultato più colto ed evocativo di maggiore finezza espressiva.
Di strada da percorrere verso l’eccellenza ne resta ancora molta, del resto Costa è giovane e la sua già consolidata notorietà nella zona, insieme alla perseveranza ed al coraggio di fare alta ristorazione in questo angolo di Sicilia può condurlo verso traguardi più importanti. E noi non possiamo che augurargli il meglio.

Cestino del pane: al nero di seppia, classico, cipolla, noci e grissini.
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Gamberi crudi con punte di riccia, pesca marinata al catarratto e pepe di Sichuan. Buona materia prima locale per una preparazione d’assemblaggio, fresca e collaudata. Non invadente e piacevole il condimento. Avremmo preferito una distribuzione più omogenea del frutto, magari con un taglio più piccolo.
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Arancino di cous-cous e granita di pomodoro e semi di basilico. Costa reinterpreta l’arancino sostituendo il riso con il cous-cous e farcendo lo stesso con un ragù di polpo. L’Idea è nata per necessità, in occasione del Cous-Cous Fest di San Vito Lo Capo. Costa ha fatto di necessità virtù e si è aggiudicato il premio anche in quell’occasione.
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Spaghetti ricci di mare e polvere di zenzero. La spezia è dosata al millimetro e si trasforma in un perfetto esaltatore dell’uovo di riccio. Scongiurato il pericolo di un sapore aggressivo su ambo i versanti. Ottimo piatto di pasta.
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Accompagnato da “Lalùci” grillo dell’azienda Baglio del Cristo di Campobello.
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Pescatrice panata al basilico -“Schibece” e caponata. Un piatto da rivedere. Senza sussulti il pesce panato e assolutamente ridondante la cipolla per la cui consistenza sarebbe più appropriata una maggiore croccantezza. A regola d’arte e poco unta invece la caponata.
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Abbinata al Catarratto di Nino Barraco.
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Scorfano cotto al tegame con contorno alla Messinese – Fili di sedano. Esecuzione che denota la mano dello chef in fatto di materia prima e cotture.
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Interessantissimo il pre-dessert: panna cotta di prugna e semi di finocchio. Fresco, rigenerante.
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Nuvola di cassata (omaggio alla nuvola di mascarpone di Cracco). Rivisitazione light di uno dei dolci più famosi dell’Isola con la ricotta sifonata e panata in granella di pan di spagna sbriciolato, canditi e granella di cioccolato.
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Abbinato al modesto moscato Pellegrino.
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Interni
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Dehors
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Il Faro Verde potrebbe essere la classica bella scoperta in una calda estate di vacanze. Spesso si vaga nei paesini marinari senza una meta precisa, buttando l’occhio nei menù appesi fuori dai locali, sbirciando nei piatti degli avventori già intenti a cenare, facendo appello a decenni d’esperienza per azzeccare una cena di qualità. Anche quando il critico veste i panni del turista non può prescindere dal suo tirannico animo gourmet.
E se ci fossimo capitati per caso a Porticello avremmo senza dubbio scelto questo locale tipico, proprio di fronte al mare.
Ma al Faro Verde non ci siamo capitati per sbaglio, ci siamo andati appositamente per mantenere una promessa fatta qualche mese prima a Milano. Era passata da poco la mezzanotte in Piazza della Scala, eravamo gli ultimi clienti rimasti estasiati dalla sorpresa di scoprire un Trussardi e un Luigi Taglienti in stato di grazia. Ma non eravamo gli unici. Intenti a gustarci un meritato sigaro un simpatico signore dall’aria affabile si avvicinò presentandosi così: “Sono Francesco Balestrieri, sono un ristoratore siciliano vicino a Palermo. Ho intuito che siete degli appassionati gourmet, vi volevo raccontare del mio locale”. L’entusiasmo e la franchezza con cui Francesco ci ha parlato, raccontandoci la sua vita e le sue esperienze, ci ha colpito e ci ha insegnato una lezione importante. Ha dimostrato in pochi minuti quanto sia fondamentale nella nostra epoca l’etica e l’orgoglio del proprio lavoro, ma anche quello delle proprie passioni. Davanti ad un santuario dell’alta cucina Francesco descriveva una semplice realtà a noi sconosciuta.
Nell’era di internet e della comunicazione globale, l’approccio diretto e sfacciato ha ancora il suo fascino.
Ed eccoci dunque pochi mesi dopo a Porticello, piccolo borgo marinaro che in realtà risulta essere il secondo porto della Sicilia con oltre 400 barche registrate.
L’aria è densa e sapida, sa di mare, di bontà. Il Faro Verde fu fondato nel 1974 dal padre di Francesco, Benito, e l’insegna è ancora lì a ricordarlo. Si cena ovviamente nella bella veranda, ma il locale ha anche ampie sale interne, calde e ben arredate.
Qui una volta si inscatolavano le acciughe, ancora prima addirittura c’era una chiesa. Francesco è in cucina, assieme al giovane fratello Maurizio, in sala gli altri due figli di Benito, Marcello e Stefano. Lasciate il menù ai turisti dall’idioma straniero e chiedete a Francesco & Co. di condurre il gioco (privo di sorprese perché superare i 50€ qui è impresa difficile).
Solo il meglio che i pescherecci hanno da offrire entra nella cucina di Francesco e Maurizio: la loro idea di ristorazione travalica, ma con giudizio, la semplicità e la tradizione. Qualche ricetta si spinge più in là, si avverte la curiosità nel proporre qualche accostamento inusuale, la presentazione è curata, chiaro indice di vivacità, buon senso, desiderio di uscire dagli schemi ferrei della frittura, del sauté, della grigliata. Nel complesso oggi la cucina del Faro Verde si distingue meritatamente per elevarsi dalla macchia indistinta che fagocita i molti locali marinari della penisola, le molte fotocopie di un’offerta banale e poco stimolante. E la prossima volta di sicuro troveremo novità e miglioramenti. Ne siamo certi.

Alici marinate all’aceto, olio e miele d’acacia. Ottima materia prima, buon contrasto agrodolce.
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Primo vino consigliato: un buon Grillo, sapido e minerale.
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Il classico pane che dà dipendenza. Provenienza: forno Valenti a Bagheria.
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Variazione di tonno: Tagliata, prosciutto affumicato e tartare. Eccelsa materia prima, su tutti la tagliata ma anche la tartare ha una buon equilibrio aromatico.
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Gambero rosso di Palermo e Porticello. Anche qui ottima materia prima, centrato il condimento.
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Buone bollicine siciliane.
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Sformatino di pesce spada, salsa di erbe aromatiche. Molto goloso, molto siciliano.
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Calamarata con pescatrice. Cotture perfette, buon piatto in cui spicca il gusto dei ricci dosati con buona mano.
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Ravioli di ricotta al nero di seppia. Piatto dai sapori intensi ma centrati.
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Polipo lesso. Più semplice di così… eppure ecco come far felice un gourmet.
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Chiudiamo la cena con l’acqua di cottura del polipo, che ci assicurano essere uno straordinario digestivo. Confermiamo in pieno.
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L’ampia veranda del Faro Verde.
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Uno dei tanti pescherecci che fanno ritorno al tramonto: un ottimo indizio…
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