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Italia di Massimo Bottura

Istanbul.
Quasi venti milioni di abitanti. Una metropoli in costante movimento ed in continuo fermento.
Un luogo in bilico tra Oriente e Occidente. Una città dove l’antico si fonde col moderno e nella quotidianità si convive al di sopra di ogni religione.
È proprio in questa terra, con i piedi in Asia e la testa in Europa, che Massimo Bottura ha deciso di esportare un pezzo della sua Emilia, o meglio, un gran pezzo della nostra Italia.
Nel Ristorante Italia non sono solo i ricordi dell’infanzia o il territorio dello chef modenese ad essere rielaborati -per quelli basterebbe andare in via Stella- ma l’intera storia della cucina italiana, quella intrisa di tradizione e familiarità, quella che tutto il mondo ci invidia.
Un viaggio che percorre tutto lo stivale, dal Piemonte alla Sicilia, senza i clichè che contraddistinguono la nostra cultura gastronomica all’estero.
Lo scopo è quello di cambiare radicalmente la considerazione che lo straniero ha della nostra cucina, sensibilizzarlo sulla materia prima (non per forza italiana), sulle sofisticate tecniche di cottura, sulla concentrazione dei sapori, lasciandogli intatte le sensazioni finali di piacevolezza e golosità.
Bottura -che quest’anno è volato ad Istanbul con una cadenza di tre/quattro volte al mese- ha accettato una sfida tutt’altro che facile e l’ha fatto mettendoci il grande entusiasmo che traspare dai suoi piatti.
Entusiasmo trasmesso a tutta la brigata di cucina, formata da undici giovani cuochi di cui tre italiani (Bernardo Paladini, Michele Castelli e Virginia Caravita) passati per via Stella e ben contenti di ricoprire il ruolo di ambasciatori del made in Italy all’estero.
Nei pochi piatti assaggiati svetta il marchio di fabbrica della Francescana, con la bellezza estetica e i sapori cesellati in maniera cristallina, con la giusta densità gustativa. Bottura è stato in grado di sdoganare piatti come la pasta e fagioli, il vitello tonnato, il pollo coi peperoni, il risotto alla milanese e tanto altro, in una interpretazione “d’autore”, totalmente inedita.
Non è la voglia di stupire o di giocare che prevale, non c’è “crostatina in caduta” che tenga, perché l’Osteria resta un unicum nel suo genere e non può essere esportata altrove. Ed è per questo che il lavoro fatto ad Istanbul è ancor più prezioso di quanto si possa pensare, perché anche qui, a 1900 km da Modena, la tradizione gastronomica viene scandagliata, scomposta, ricostruita rivivendo sotto nuove forme ma con l’onnipresente sapore del ricordo.
Viene subito voglia di tornare per soddisfare l’indomabile voglia di comfort food delle ricette regionali del Bel Paese.
Allestito all’ultimo piano di Eataly, nel nuovissimo Zorlu Center, il nuovo polo del lusso a nord della metropoli, il Ristorante Italia è un locale sobrio ed elegante che ricorda molto l’atmosfera della Francescana, con l’illuminazione fredda, moquette ed alcune opere d’arte. Si respira Italia non appena si varca l’ingresso, grazie anche alla colonna sonora di sottofondo che riproduce le canzoni di cantanti e musicisti italiani del passato.
E sui numeri non si scherza: circa una sessantina di coperti ben distanziati distribuiti in due sale molto spaziose (di cui una bellissima terrazza panoramica che, purtroppo e per ovvie necessità, è destinata agli incalliti fumatori), con un servizio già rodatissimo, dopo neanche un anno di vita, numeroso, formale e di eccellenza, formato da personale tutto locale e coordinato da un grande professionista dell’accoglienza, quel Daniele Montano che ricordavamo già al Pagliaccio di Roma e che ritroviamo con piacere tra questi tavoli a destreggiarsi con un passo felpato tra italiano, inglese e turco (!).
Non poteva mancare neanche una carta dei vini che parla prevalentemente italiano (ma occhio a non trascurare alcune sorprendenti etichette turche) e presenta tantissime etichette a prezzi tutto sommato corretti.
Difficile fare meglio come inizio.

sala, Bernardo Paladini, Michele Castell, Virginia Caravita
Come a Modena, olio toscano, selezione Villa Manodori (in vendita anche da Eataly), pane fatto in casa
Olio Toscano, Ristorante Italia di Massimo Bottura, Eataly, Istanbul, Turkey
ed eccellenti grissini.
Grissini, Ristorante Italia di Massimo Bottura, Eataly, Istanbul, Turkey
Una essenziale ricciola, servita soltanto con olio e sale. L’Italia è anche questa, esempio di grande semplicità e grande qualità.
ricciola, Ristorante Italia di Massimo Bottura, Eataly, Istanbul, Turkey
Il vitello tonnato. Succulenti fette di filetto cotto a bassa temperatura accompagnato da una densa salsa tonnata. Il colpo di classe sono le verdure in agro e la salsa di vitello.
vitello tonnato, Ristorante Italia di Massimo Bottura, Eataly, Istanbul, Turkey
Gnocchi di seppia. L’impasto è fatto con seppia e patate. La consistenza è conferita dal pane croccante. Sulla base c’è una interessantissima zuppa di pomodoro e seppia leggermente profumata all’aglio con qualche goccia di salsa al nero di seppia.
gnocchi di seppie, Ristorante Italia di Massimo Bottura, Eataly, Istanbul, Turkey
Una grandissima “pasta e fagioli” rivive sotto mentite spoglie di un raviolo farcito con parmigiano, ricotta e (altro grande colpo di classe) cicoria. Le note amare sono defatiganti e creano una sorta di dipendenza. Come le croste di parmigiano fritte sulla crema di borlotti.
pasta e fagioli, Ristorante Italia di Massimo Bottura, Eataly, Istanbul, Turkey
Guancia all’aceto balsamico. Più classico non si può.. se non fosse per la purea di carote e zenzero e i broccoli piccanti…
Guancia, Ristorante Italia di Massimo Bottura, Eataly, Istanbul, Turkey
Un sempre gradito intermezzo tra salato e dolce.
saltano e dolce, Ristorante Italia di Massimo Bottura, Eataly, Istanbul, Turkey
Anche qui i tortellini alla crema di parmigiano sono un imperdibile cult. Inoltre hanno una peculiarità che solo al Ristorante Italia è possibile trovare: sono rispettosi della religione locale e, pertanto, non c’è traccia di maiale, sostituito dal pollo. E’ noto che per ottenere 200 grammi di quella crema, serve un kg di parmigiano in infusione con l’acqua.
Tortellini alla crema di parmigiano, Ristorante Italia di Massimo Bottura, Eataly, Istanbul, Turkey
Semplice e geniale il pre-dessert, tutto da shakerare e da bere in un colpo solo. E’ un omaggio alla Turchia e alla stagionalità: succo di melagrana e yogurt.
pre-dessert, Ristorante Italia di Massimo Bottura, Eataly, Istanbul, Turkey
Siamo in Italia:un quasi tradizionale tiramisù.
tiramisù, Ristorante Italia di Massimo Bottura, Eataly, Istanbul, Turkey
E, sebbene il Natale fosse appena finito, non ci siamo fatti scappare un fuori carta: soufflé al panettone con crema alla vaniglia e gelato al fiordilatte. Ed è subito, nuovamente, Natale.
Soufflé al panettone, Ristorante Italia di Massimo Bottura, Eataly, Istanbul, Turkey
Minimale piccola pasticceria. Bombolini alla crema.
Bomboloni, Ristorante Italia di Massimo Bottura, Eataly, Istanbul, Turkey
Sala.
salsa, Ristorante Italia di Massimo Bottura, Eataly, Istanbul, Turkey

caesar salad, Prima della Prima, Massimo Bottura

CAESAR SALAD

Noli respicere, non voltarsi mai indietro. Per quanto Massimo Bottura abbia oltrepassato in scioltezza il codice binario che definisce l’avanguardia, la violazione della consegna di Orfeo punteggia il suo nuovo menu con un’insistenza martellante, che non può essere derubricata a casualità. Perché i piatti di nuovo conio si alternano a numerose riprese di spunti già svolti nel passato, talvolta vere e proprie icone: i ravioli con gamberi, gelatina di cotechino e lenticchie fritte, metempsicosi degli storici ravioli di cotechino, ormai traslocati nell’Eurasia vagheggiata da Beuys; la profondissima triglia alla livornese, intarsiata da una rimembranza di picassiano camouflage; e rubo la parte croccante della lasagna, d’après la parte croccante di una lasagna. Soprattutto un’irriconoscibile Caesar Salad che gira upside down, anzi outside in il modello di qualche anno fa. Composto, si ricorderà, di 22 elementi aromatici. Ieri in absentia, data l’assenza di lattuga; oggi più che mai in praesentia.
La frequenza del ricorso all’autoremake, in questo caso di un piatto già codificato, in una sorta di fuga dei remake, non stupisce in un cuoco che ha saputo centrifugare i suoi riferimenti pittorici in termini filosofici e di prassi creativa; cosicché il pittorialismo spiccio della citazione artistica ne rappresenta solo l’emergenza. Specie se si considera che “uno dei tratti salienti delle pratiche artistiche contemporanee consiste appunto nel tematizzare l’enigma della dissimmetria originaria insita nella coppia originale/rivisitazione, pari a quello tra rottura/continuità. E consiste nel cercare di mostrare (anche se non potendo veramente dimostrare) che l’opposizione fra originale e rivisitazione è essa stessa non originale”, si legge in Cover Theory, L’arte contemporanea come reinterpretazione di Marco Senaldi, dopo una disamina della boîte en valise, archetipo del genere a firma di Marcel Duchamp.
L’originalità, quindi, tema princeps della cucina degli ultimi decenni; ma anche fattore di destabilizzazione che instaura un’obsolescenza accelerata del piatto. “Abbiamo tolto alcune ricette, come Thelonious Monk, perché la loro ripetizione generava stanchezza”, è la versione di Massimo Bottura. “Rivoluzionare un piatto certe volte è il solo modo per tenerlo in carta”. Nel caso della Caesar Salad, a intervenire è stato un concetto rivoluzionario: il condimento dell’insalata dall’interno, fra foglia e foglia. Cosicché la lattuga “frigida” di Antonio Corrado fa esplodere in bocca con la sua acquosità una bomba crudista e antitecnica, potente e complessa, lubrificata da due diverse salse, micidiale grazie al grappolo degli ingredienti aromatici, dalle erbe alla pancetta. In accompagnamento un cocktail preparato al tavolo da Giuseppe Palmieri a base di Vodka, Ginepro, acqua tonica, gazzosa e pepe del Madagascar, con le sue note resinose e fiorite, quasi di lavanda, messe in circolo acceleratamente dall’alcol. Quando il cocktail è servito spaiato, anche un cuore di lattuga tuffato all’interno per l’acidità e la nota lattica, leggermente terrosa.
Gli autoremake: riflessività in senso stretto. La spia della maturità raggiunta da Massimo Bottura, capace di chiudere il cerchio dell’autosufficienza stilistica, fondare e fare evolvere il proprio lessico culinario, cannibalizzando materiali francesizzanti e popolari, emiliani o extraculinari. Ma anche un elemento di “anamorfosi ideologica”, per citare sempre Senaldi. “Ossia il collocare un artefatto culturale sullo sfondo delle proprie mancanze intrinseche”, al fine di confrontare l’originale con ciò che avrebbe potuto essere e invece non è stato”.
Dove la negatività finisce per propiziare un’espressione bianca. Perché “una poesia deve perdere ad una ad una tutte le corde che la legano a ciò che la motiva. Ogni volta che il poeta ne spezza una, il suo cuore batte. Appena spezza l’ultima, la poesia si stacca, sale come un pallone, bello in se stesso e senza altro aggancio con la terra” (Jean Cocteau).
E la cucina di Massimo Bottura vola.

Osteria Francescana, Chef Massimo Bottura, Modena

Tu e lui, il piatto. Affascinante, adulatorio, provocante.
Continui a scrutarlo curiosamente, in un misto tra la voglia di affrontarlo e quella di godere al massimo di quel momento.
La prendi larga, lo attacchi con l’olfatto, in una sorta di delicato e rispettoso preliminare.
Prima lieve emozione: quanto raccontato contestualmente al servizio ti si ricostruisce olograficamente di fronte, la gerarchia degli ingredienti è chiara, rispettosa dell’ordine di apparizione nella spiegazione.
Lo affronti successivamente con la posata, timoroso, conscio di un gesto irreparabile. Dopo aver esaminato con discrezione le singole componenti, con perizia cerchi di ricomporre parte del piatto in un boccone, assicurandoti scrupolosamente di non dimenticare nulla.
Porti il tutto in bocca. L’attenzione è tale da non vedere né sentire altro.

Uno shock, un pugno nello stomaco, uno schiaffone in pieno volto.
Ma non c’è dolore.

Ti viene da ridere di gusto, ti trattieni in modo da non passare per matto.
Quello che prima era olografia, prende forma davanti a te dieci, cento volte più grande. Puoi vedere distintamente quanto raccontato, singolarmente, poi nell’amalgama. Poi ancora singolarmente, poi di nuovo nell’insieme.
La definizione dei singoli componenti è sconcertante, ancor di più lo è l’armonia tra loro. Alzi gli occhi appagato e ti accorgi che come tu non badavi a nessuno, dagli altri tavoli nessuno bada a te.
E’ un momento estremamente intimo, tra te ed i tuoi sensi.

In una qualsiasi tavola, secondo dinamiche soggettive ma pressappoco simili, quando questo accade, nella sua completezza, almeno una volta, ci si può ritenere fortunati.
In Francescana, ciò avviene in non meno di dieci occasioni consecutive.

Dopo ogni pranzo -o cena- al 22 di via Stella, si ha la sensazione netta di aver raggiunto l’apice, che l’asticella posta lì, così in alto, sia impossibile da innalzare ulteriormente. E prontamente questa sensazione sarà smentita dalla visita successiva, e così in ogni occasione.
La stessa percezione di altezza è chiara all’interno del percorso, nei singoli piatti: si parte a rotta di collo e l’acceleratore viene chiuso soltanto dopo l’ultima portata. Una gara di dragster che, anziché durare dieci secondi, passa le tre ore. Non un crescendo, ma una linea orizzontale collocata abbondantemente in zona rossa.
E soltanto quel paio di piatti un filo meno che sublimi, nonché alcune blande -ma soltanto estetiche- reiterazioni stilistiche (il camouflage mimetico ripetuto in tre piatti, o l’uso del medesimo germoglio in tre piatti differenti) ti ricordano di essere sulla terra.

Quello di Bottura, per quanto riconoscibilissimo, è un non-stile, tracciato attraverso il volteggio armonico all’interno di tutti i campi del gusto: dal Pancake, piatto rotondo, morbido, di deriva dolce, che gioca sulla “rottura del confine tra il dolce ed il salato” tanto cara allo chef, fino al Raviolo di zucca, perfino disturbante nel contrasto tra il ripieno dolce e l’acidità ficcante del brodo, passando per piatti che fanno leva sulla memoria, come La parte croccante della lasagna. L’unica costante è la certezza di trovarsi di fronte sempre dei veri e propri piatti capolavoro che vanno a comporre un menù monumentale, nonché realmente sensazionale.
In Francescana pare abbiano trovato la formula magica per il piatto emozionante e vogliano riproporla dodici volte, sotto dodici forme differenti, senza spazio per alcun compromesso, né tantomeno sacrificio: massima finezza, nonostante i sapori netti ed amplificati. Eleganza e pulizia estreme, pur utilizzando ingredienti certo di qualità assoluta, ma di natura comune. Centralità gustativa da cecchino, nonostante il numero de la “regola del 3” qui sia da leggere come “al cubo”. Sapori dettagliati e sfaccettati al cesello, nonostante piatti all’apparenza semplici.

Il perfezionismo a 360° di questo ristorante, in quanto tale, coinvolge anche il feudo dell’ormai celeberrimo uomo di sala, Beppe Palmieri: l’accompagnamento al calice. Cosa praticamente più unica che rara in Italia, acquisisce qui una quarta dimensione, tanto da poterlo definire un ampliamento al calice. Ci si spinge oltre il concetto di abbinamento, sfruttando le note delle bevande (non necessariamente vino) per incrementare quelle dei piatti; non si intenda però come un completamento delle portate (che sono, ovviamente, compiute da sole), ma come una maniera per far si che il calice possa armonizzarsi nel miglior modo possibile con il piatto.

Torniamo con i piedi per terra: in fondo, l’Osteria Francescana è soltanto un ristorante, e Massimo Bottura ne è solamente il cuoco.
Sacrosanto e condivisibile: d’altra parte, anche Banksy è solamente un writer, anche Hirst semplicemente fa installazioni, anche Fontana solamente tagliava le tele, così come Pollock le macchiava.
In fondo anche noi appassionati veniamo definiti pazzi solamente perché spendiamo centinaia di Euro per un pugno nello stomaco.
D’altra parte anche a Modena, tra un piatto e l’altro, si sta solamente scrivendo il futuro della nuova cucina italiana.

L’ingresso.
Osteria Francescana, Chef Massimo Bottura, Modena
Champagne di benvenuto.
vino, Osteria Francescana, Chef Massimo Bottura, Modena
Il pane…
pane, Osteria Francescana, Chef Massimo Bottura, Modena
…con l’olio.
olio, Osteria Francescana, Chef Massimo Bottura, Modena
Si inizia. Il menù “Sensazioni” che vedrete qui sotto è stato introdotto in carta meno di una settimana prima del nostro pranzo. Riportiamo i nomi per come ci sono stati presentati i piatti al tavolo, ma sappiate che potranno essere assolutamente variabili.

Stuzzichino: Macaron all’acqua di pomodoro, mozzarella, e pasta di acciuga…
stuzzichino, Osteria Francescana, Chef Massimo Bottura, Modena
…con limoncello caldo/freddo. Un omaggio al Bulli di Adrià, in chiave italiana.
limoncello, Osteria Francescana, Chef Massimo Bottura, Modena
I panini, gli ormai mitici croissant salati, i grissini.
panini, Osteria Francescana, Chef Massimo Bottura, Modena
Pane Burro e Alici. In una cialdina di pane tostato sono contenuti l’alice, una spuma di pane calda e niente burro, ma al suo posto una riduzione di latte montato.
pane burro alici, Osteria Francescana, Chef Massimo Bottura, Modena
Con il suo accompagnamento: Malvasia 2012 Raccaro.
malvasia, Osteria Francescana, Chef Massimo Bottura, Modena
L’Est incontra l’Ovest. Una provocazione nei confronti dei famigerati ravioli cinesi, preparati malamente in mezzo mondo: ravioli cotti appena al vapore, con all’interno dei (fa-vo-lo-si) gamberi rossi siciliani. La testa del gambero è polverizzata e ricostruita in una concentratissima cialdina, per un travolgente umami mediterraneo. Le lenticchie sono disidratate e poi fritte, per essere al contempo leggere, croccanti ed estremamente concentrate. Piatto favoloso, che combina tecniche e sapori orientali ad altri più consoni alle nostre latitudini.
est incontra l'ovest, Osteria Francescana, Chef Massimo Bottura, Modena
Triglie alla livornese. Una triglia all’ennesima potenza, ripiena di scampi, coperta da una cialda croccante di pane e completata da disidratazioni di olive, di prezzemolo e di pomodoro (sull’idea del camouflage), accompagnata come da tradizione da un concentratissimo pomodoro. Un elegantissimo tuning della triglia alla livornese, tradizionale nei sapori ma assolutamente innovativa nelle tecniche e nelle concentrazioni.
triglia alla livornese, Osteria Francescana, Chef Massimo Bottura, Modena
Entrambi accompagnati dal Timorasso Farewell 2011, una collaborazione di Palmieri con Walter Massa.
Timorasso, farewell, Osteria Francescana, Chef Massimo Bottura, Modena
Terra e Mare. Un’ostrica cotta appena al calore, affumicata e passata in una “panatura” composta da innumerevoli erbe disidratate. Sul fondo una salsa al rafano. Le classiche note marine dell’ostrica si fondono a quelle terrose delle erbe e dell’affumicatura, sostenute dalla lieve piccantezza della salsa (che ne allunga la persistenza a dismisura) e dai germogli, che amplificano la percezione di terrosità mentre donano freschezza all’insieme. Alla faccia di tutti quelli che mettono germogli ovunque, senza alcun senso.
terra e mare, Osteria Francescana, Chef Massimo Bottura, Modena
La nostra Caesar Salad. Solamente il cuore dell’insalata, ove vengono inseriti gocce di senape, crostini di pane, pancetta croccante, uovo, aceto, cialda di parmigiano, acciughe… praticamente una versione emiliana dell’insalata internazionale per antonomasia. Le concentrazioni di tutti gli ingredienti fanno sì che attraverso un solo ciuffo, si ha la sensazione di averne mangiata una cassetta intera.
caesar salad, Osteria Francescana, Chef Massimo Bottura, Modena
Entrambi accompagnati dalla Genziana di Boroni: nel caso del primo piatto pura, con l’indicazione di berla solo dopo il piatto, per ampliare la sensazione di terrosità. Per il secondo piatto invece viene pesantemente diluita in acqua, in modo utilizzare soltanto l’aromaticità della Genziana.
Genziana, Osteria Francescana, Chef Massimo Bottura, Modena
Lumache in vigna. Omaggio al Piemonte: lumache di vigna cotte alla bourguignonne, con spuma di aglio dolce e succo di prezzemolo, con una miscela di erbe, polvere di porcini, tartufo nero. Come inciampare e cadere di faccia nella terra umida di ottobre, in vigna, durante la vendemmia.
lumache in vigna, Osteria Francescana, Chef Massimo Bottura, Modena
Accompagnate da una birra al Ginepro e Castagne affumicate del Birrificio Beltaine.
birra al ginepro, Osteria Francescana, Chef Massimo Bottura, Modena
La parte croccante della lasagna. Quando un nome dice tutto: una cialda croccante, che da sola racchiude il gusto di una intera lasagna, che copre una meravigliosa e leggerissima besciamella al parmigiano ed un concentrato ragù battuto al coltello. In pratica lo stesso effetto della Caesar Salad: una teglia da 60×40 di lasagne tradizionali, concentrate in un cucchiaio.
la parte croccante della lasagna, Osteria Francescana, Chef Massimo Bottura, Modena
Con la Ribolla di Damijan Podversic.
damjian, Osteria Francescana, Chef Massimo Bottura, Modena
Le rane nello stagno. Un piatto realmente spettacolare, nella sua complessità: delle coscette di rana avvolte in una leggera panatura, posate su una pasta tradizionale addizionata di innumerevoli elementi erbacei disidratati, disposti in maniera che la pasta tirata (e poi resa croccante) simuli un camouflage, che va a nascondere delle nocciole, un ristretto di bourbon e della crema di pinoli, entrambi dalla consistenza densa e quasi gelatinosa, per un reale effetto di “melmosità”, come ogni stagno che si rispetti.
rane nello stagno, Osteria Francescana, Chef Massimo Bottura, Modena
…accompagnate da un succo puro al 100% di rabarbaro.
succo puro di rababarbaro, Osteria Francescana, Chef Massimo Bottura, Modena
Il contenitore (una sorta pagnotta di sale alla cenere, portataci al tavolo soltanto in visione) all’interno del quale viene cotta la lingua di…

…Tutte le lingue del mondo. La lingua, compatta e morbida anche più di quanto non riesca a fare la cottura sottovuoto, acquisisce le note affumicate dalla cenere durante la cottura. Vere protagoniste del piatto sono però le meravigliose salse, un “giro del mondo” di sapori tradizionali. Secondo l’ordine di degustazione indicatoci, in senso antiorario: frutto della passione e semi di basilico disidratati, al coriandolo, al curry e lenticchie, ai peperoni, mostarda di mele campanine.
lingua, Osteria Francescana, Chef Massimo Bottura, Modena
Accompagnato da un fin troppo dolce, ma perfetto con le salse, Passo Nero 2010 di Arianna Occhipinti.
occhipinti, Osteria Francescana, Chef Massimo Bottura, Modena
Il maple syrup, versato a tavola…
maple syrup, Osteria Francescana, Chef Massimo Bottura, Modena
…sul Pancake. Un Pancake tradizionale farcito con bacon e foie gras, il tutto accompagnato da un gelato al burro salato e finito con uno sciroppo di acero (ottenuto affumicando il maple syrup con l’aggiunta di sciroppo di amarena). Labili le percezioni di caldo/freddo e dolce/salato, un piacevole esercizio di stile ricorrente su questa tavola.
pancake, Osteria Francescana, Chef Massimo Bottura, Modena
L’ultimo (per fortuna) abbinamento: il Moscato 2006 di Cà d’Gal
moscato, Osteria Francescana, Chef Massimo Bottura, Modena
Raviolo di zucca. Un raviolo estremo, l’unione di nord e sud: il tradizionale raviolo di zucca mantovano/cremonese (con mostarda, zucca ed amaretto) viene rivisto in chiave “dessert”, aggiungendo dei capperi e del bergamotto candito e servendolo in un acidissimo brodo di agrumi ed aceto di mele. Quasi borderline voler racchiudere spiccate dolcezza, sapidità ed acidità, davvero complesso bilanciarle quando tutte sono di questa entità. Spiazzante.
Raviolo di zucca, Osteria Francescana, Chef Massimo Bottura, Modena
Per finire con l’unico piatto “già visto” su questi schermi, ma solo perché richiesto esplicitamente: Camouflage, ovvero una lepre in civet proveniente dal futuro.
camouflage, Osteria Francescana, Chef Massimo Bottura, Modena
…con Torta Barozzi, Sbrisolona, Pralina…

…e una tazza di caffè lungo. Ci viene spiegato di raccogliere con il cucchiaino il camouflage da un lato all’altro del piatto, poi prendere un dolcetto, poi un sorso di caffè… e ricominciare.
Spettacolare. Una delle chiusure di pranzo più estreme della storia.
caffè lungo, Osteria Francescana, Chef Massimo Bottura, Modena
…è stato un lungo percorso il nostro, e ce ne rendiamo conto soltanto alla fine.
Osteria Francescana, Chef Massimo Bottura, Modena
La piccola pasticceria.
piccola pasticceria, Osteria Francescana, Chef Massimo Bottura, Modena
Natale è nell’aria.
piccola pasticceria, Osteria Francescana, Chef Massimo Bottura, Modena
Osteria Francescana, Chef Massimo Bottura, Modena
…grazie a voi!
Osteria Francescana, Chef Massimo Bottura, Modena

Non vorrei proprio fare lo strizzacervelli da quattro soldi, ma un’analisi di qualsivoglia tipo è la mia stessa mente urlante che me la richiede. Anche a rischio di prendere qualche cantonata, ma il mio pensiero ha voglia di fluire e fa scorrere veloci le dita su questa vecchia tastiera.
C’è stato un oggi nella storia dell’Osteria Francescana in cui tutto è cambiato: non so quando esattamente sia avvenuto e non so nemmeno cosa sia frullato nella testa di Massimo Bottura in quel dato momento. Ma c’è stato un prima e un dopo, ed è da quel punto che è iniziata la cavalcata senza fine del locale di Via Stella. (altro…)

Questa valutazione, di archivio, è stata aggiornata da una più recente pubblicazione che trovate qui

Recensione Ristorante

Bottura copia Bottura

Sottotitolo : la lenta ed inesorabile evoluzione statica.

Un grande, grandissimo interprete dell’alta cucina contemporanea. Che propone i suoi piatti-simbolo ma non li lascia immobili e statici. Qui alla Francescana è un continuo evolversi. Alcuni punti di riferimento di base fanno da pilastro a parti ed elementi in continua e dinamica modificazione. Dicono che l’arte contemporanea sia destinata a questo, alla perpetua contaminazione, commistione ed evoluzione. (altro…)