Passione Gourmet Milano Archivi - Pagina 7 di 54 - Passione Gourmet

28 Posti

Il bacino del Mediterraneo

Milano e i suoi Navigli poco fuori dal centro città rappresentano un luogo culturalmente e socialmente vivo e dinamico; è qui che da qualche anno Marco Ambrosino, originario di Procida, ha deciso di insediarsi e portare la sua visione di cucina. 28 Posti, con i suoi piccoli spazi, è un luogo dalle mille influenze, sia nel design degli interni che nei gusti e profumi delle pietanze, i quali provengono dai paesi che si affacciano sul bacino del Mediterraneo. Una location con un ambiente semplice, rilassato e dinamico con la possibilità di godere del pasto anche nel dehors quando il tempo e le temperature lo permettono.

Una filosofia di cucina e uno studio, quelli di Ambrosino, che hanno portato lo Chef a fondare il “Collettivo Mediterraneo”, dove porta avanti i suoi studi e le sue ricerche sulle culture e le tradizioni annesse delle popolazioni che vivono questa parte di orbe terracqueo.

Un viaggio culturale prima ancora che gustativo

Il menu degustazione di 28 Posti è la rappresentazione di un grande studio sulle tecniche, sui prodotti e sulle ricette, che vengono poi trascese e applicate al gusto e ai prodotti al quale lo Chef è affezionato. Un percorso dinamico nel quale si gioca disinvoltamente con sapidità, acidità e leggeri amari, e la cui ricerca finale è la profondità gustativa. Su tutti i piatti del percorso, spiccano, ancora, l’Ostrica alla brace glassata al lievito, aronia, lentisco, succo di insalata del pastore dove il gioco tra la sapidità e grassezza dell’ostrica, la nota lattica del lievito e l’acidità dell’aronia portano lunghezza, dinamicità e profondità, così come la “Pasta e Fagioli” e vino fortificato di pasta servito come dessert; un grande lavoro sul carboidrato, a cui Ambrosino ci ha da sempre abituati, qui in combinazione col legume dove entrambi gli elementi vengono lavorati in modo da aumentarne la profondità gustativa ed estrarne tutte le sfumature possibili. Un piatto che si sviluppa in modo orizzontale e verticale ampliando le nuance e lo spettro dei due ingredienti.

Il risultato è una tavola dinamica, vivace e spaziale che porta a fare un viaggio culturale e di conoscenza dei profumi e sapori del “Collettivo Mediterraneo” scoprendo sfumature e sapori persi o dimenticati; dove forse l’unico appunto è in alcuni casi una sapidità leggermente eccessiva e, nelle Trottole, una salsa che va a coprire e arrotondare, non permettendo al piatto di esprimersi al meglio.

In complesso, si ritrova qui una cucina di alto spessore gustativo e culturale, unica nel panorama meneghino e italiano dove ricerca, studio e personalità vanno di pari passo, cui solo lo spazio di lavoro così ristretto, per lo Chef e la sua brigata, costituisce, in ultima analisi, il limite. Non solo spazio fisico ma anche prospettico di sviluppo.

La Galleria Fotografica:

Sapori di Puglia a due passi da Corso Como

Enrico Bartolini è stato eletto dalla Guida Michelin N°1 assoluto in Italia in una categoria ben precisa, anche se non ufficialmente definita, quella dello “chef-imprenditore”, ovvero una figura professionale capace di guadagnare una posizione di vertice con il proprio ristorante di riferimento, e di creare una rete di locali satelliti di alto profilo, in altre sedi nella stessa nazione o all’estero. All’ultimo piano del Museo Mudec, Bartolini ha costituito il proprio quartier generale; all’interno del design Hotel Milano Verticale (gruppo Una), un avamposto nella affollata Milano di Corso Como, a due passi da Porta Nuova. Vertigo, Urban Bar e Anima, secondo uno schema collaudato, sono rispettivamente “bar e osteria contemporanea” e “fine dining”: entrambi eleganti e modaioli nelle intenzioni, nessuno dei due particolarmente coinvolgente nell’atmosfera.

Cucina del sud

Il ristorante Anima beneficia dell’opera di due professionisti giovani e preparati: Giacomo Morlacchi guida la brigata di sala e gestisce una cantina (a vista) ampia, ricercata e adeguata al contesto sia nella selezione che nei prezzi. Michele Cobuzzi, pugliese con un bagaglio di esperienze a fianco di cuochi importanti, porta avanti un lavoro interessante in cucina. Non c’è scelta alla carta ma due menu degustazione: “Intensità” (otto assaggi a 150 euro, con la possibilità di estrarne tre a 90 euro o quattro a 110 euro), e “Le mie certezze” (125 euro), che rappresenta le origini e la storia dello Chef.

I piatti di quest’ultimo, quasi tutti di ispirazione pugliese, fanno perno sull’alta qualità della materia prima; sono eleganti nelle presentazioni e intensi nei sapori e negli aromi, come ci si aspetta in una cucina del Sud. Particolarmente centrati i Bottoni di gallina nostrana con cime di rapa, pomodoro confit e limone candito e l’Agnello del Gargano con carciofi, liquirizia e cipolla marinata. Chiude il cerchio un dessert altrettanto convincente, a dimostrazione che la pasticceria tiene il passo della cucina: Veli di cioccolato caramellato, ricotta di pecora, sorbetto alla pera e pera speziata.

La Galleria Fotografica:

Il Giappone a Milano

Milano, giovane, dinamica, multiculturale, polo economico ed artistico, rappresenta da sempre un luogo in cui la gastronomia ha avuto un ruolo fondamentale, un terreno in cui tradizione, innovazione e la fusione di differenti culture danno vita a nuovi e interessanti progetti. Bentoteca nasce dall’incontro di un bisogno e un momento storico particolare. Inizialmente avviato come delivery di cucina nipponica durante la pandemia, con il tempo si è trasformato in un vero e proprio ristorante, sostituendo il precedente e stellato Tokuyoshi.

Alla guida troviamo lo chef giapponese Yoji Tokuyoshi, il quale propone un’autentica cucina di fusione tra Giappone e Italia, che mai disdegna rimandi al paese che lo ospita. Prodotti di prima qualità, tecnica e rispetto degli ingredienti sono i fondamenti di questo luogo, a cui si aggiunge una carta del menù non troppo articolata ma molto dinamica, composta da “assaggi da condividere” e varie portate principali. Si spazia da piatti a base di pesce crudo, ramen, sushi, sashimi, e pietanze tradizionali giapponesi con influenze italiane.

La forza della semplicità

Una semplice insalata di melanzane, daikon e finocchi tsukemono, condita con una salsa al sesamo e erba cipollina può risultare un piatto semplice ma, supportato da differenti texture e sapori, si rivela complesso e stratificato. Le note leggermente dolci della melanzana ben si bilanciano con la marinatura – composta di aceto, alghe kombu e scorza di limone – del daikon e del finocchio, terminando nel finale aromatico e sapido della salsa di sesamo. Il bao – Butaman – a sua volta, uno dei signature dish dello Chef, è qui proposto con ripieno di carne di maiale, anatra, gamberi, funghi e spezie, e accompagnato da una salsa a base di peperone crusco che perfettamente si presta come in intingolo e che ne esalta l’umido ripieno, concludendone l’equilibrio del gusto. La qualità delle materie prime, eccelse, si rivelano anche nel nighiri di tonno. Un boccone semplice ma elegante dove la grassezza del taglio Otoro viene accompagnata dalla leggera sapidità della salsa soia ed esaltato dal leggero tocco di wasabi e dalla freschezza dell’erba cipollina: un ultimo passaggio fresco prima di passare alle portate principali.

Il Nambazuke, bianchetti in stile carpione con verdure di stagione congiunge due culture così lontane da risultare, in questo caso, molto vicine e simbiotiche in un connubio divertente e ben riuscito. Si prosegue con un passaggio alle pietanze calde che si concretizza nella torta di Gyoza, servita con salsa ponzu e olio di gamberi, dal gusto confortante e gradevole. Ma il vero pezzo forte sono gli Sukiyaki udon e il Kama barbecue. Il primo, un ramen con brodo di manzo dal gusto profondo e intenso si fregia di udon fatti in casa e della complessità della nota calda di sottobosco apportata dai funghi shimeji. Un piatto magistrale, che rappresenta la complessità della semplicità.

Il Kama barbecue, o collare di tonno, risulta invece una creazione d’autore: un susseguirsi e rincorrersi di sapori che spaziano dal leggero sentore affumicato della sapiente cottura al barbecue, mai invadente, al koshu che ripulisce il palato con la sua acidità e piccantezza e, infine, la salsa yukke, a donare sapidità e umami. Nota di merito per il friggitello al limone in accompagnamento nell’enfatizzare la sensazione di un unicum di sapore.

Ci troviamo di fronte a una cucina dinamica che fa di autenticità, tecnica, precisione e semplicità i suoi punti di forza. Altrettanto, nella sala giovane e dinamica, sempre attenta, sorridente e disponibile, si ritrova la giovialità e semplicità della cucina. Unico difetto, forse, la sezione dei dolci, dall’impronta poco personale. La carta dei vini, non eccessivamente vasta ma ben costruita, custodisce all’interno qualche etichetta di piccoli produttori e piccole realtà con un focus sui vini bio-dinamici e naturali e con ricarichi che risultano in linea con città come Milano. 

La Galleria Fotografica:

Sulla via della seta

Serica è un locale che, sin dall’inizio, si è caratterizzato, sia per il nome, sia per la filosofia di cucina – il collegamento, da un punto di vista gastronomico, fra la Cina e l’Italia – come “la Via della seta”, ripercorsa grazie all’apporto creativo di Chang Liu. A seguito del suo rientro in Cina è arrivato, nell’ottobre 2020, lo chef Nicola Bonora, poco più che trentenne, sardo di origine, con varie esperienze precedenti, sia ad Amburgo, sia nella terra natia, al Forte Village nel ristorante di Gordon Ramsey e poi all’Escargot a Costa Rei; da ultimo con Enrico Bartolini, come responsabile eventi.

Non era facile, per un italiano, prendere le redini di una cucina con importanti riferimenti e connotazioni orientali ma Bonora si è lanciato in un periodo di studio approfondito, effettuato con il proprietario del locale, il giovane Mauro Yap, che ha fortemente creduto in lui. La fiducia è stata ben riposta e lo Chef è davvero riuscito a tirare, molto bene, le fila di un percorso via terra, via mare e via fiume, con una visione chiara, profonda e originale.

Tessere il filo del gusto

La carta si intitola, appunto, “Assaggi lungo la via della seta” con piatti in cui influenze, materie prime, tecniche di cottura e ricette passano attraverso un processo di contaminazione, in un gioco originale di sapori, sempre legati, concettualmente, a un filo logico che lega Asia, India e Mediterraneo. E allora il riso, patate e cozze viene rivisto, con il riso, utilizzato come farina, per dare forma a deliziosi e croccanti gnocchi, crogiolati in aglio, olio e peperoncino. Il risotto, superlativo, è con caglio di capretto, aglio nero e alghe. Gustosità e golosità di fondo, con punte interessanti di acidità nel mapo-tofu di tonno, limone in conserva e cavolo viola, così come nella verticalizzazione del broccolo in varie consistenze e temperature: in granita, fermentato, crudo, con una salsa sfiziosa di pistacchi. Oriente al 100% nel Chilli Crab con gnocco di tofu e mantou fritto e l’India fa capolino, con il curry, nella pescatrice con salsa mugnaia. Interessante nota di amaro nel diaframma con fondo al prezzemolo e cicoria.

Qualche problema di temperature di servizio, eccessiva sapidità su un piatto, alcune reiterazioni nell’utilizzo di polveri e sifoni ma, complessivamente, un’esperienza davvero interessante che pone le basi, solide, per ambire a punteggi più elevati. Resta, poi, la curiosità di tornare per vedere come la vis creativa di Bonora quale fine tessitore del gusto prenda forma in nuovi piatti di commistione, sempre, ovviamente, sulla “Via della seta”.

La Galleria Fotografica:

Unica e inimitabile

Se chiedete a Diego Rossi come è nata Trippa, lui, con quel pizzico di saccenza che può permettersi solo il fuoriclasse, vi dirà che l’ha creata perché non c’era nulla che a lui piaceva in giro. Infatti, fin dai primi mesi dopo l’apertura di questo locale, sono stati in molti a voler replicare la creatura di Diego Rossi e Pietro Caroli, tutti tentativi poco riusciti perché Trippa non è una trattoria e neppure un ristorante, è un vero e proprio microcosmo. Ne fanno parte i fornitori, la brigata di sala e cucina, i clienti (più o meno affezionati), le modalità di prenotazione e quella voglia di rompere e sovvertire le regole che sono l’essenza intrinseca di ogni avanguardia. Volendo paragonare Diego Rossi a un artista, la migliore similitudine è quella con Michelangelo Merisi, perché questo cuoco, come Caravaggio, padroneggia la tecnica ma eleva a protagonisti i vegetali più bistrattati così come i pesci e le carni dimenticate. Il tutto innovandosi sempre mediante la leva di quanto stagioni e mercato offrono ogni giorno.

La nobiltà delle materie “povere”

Tra i piatti più riusciti ci sono sicuramente la zucca arrosto con la bagnacauda oppure il cavolfiore, dal sapore schietto, con fonduta e tartufo nero. Croccanti e delicati invece i carciofi, proposti in insalata con sarde di lago e pompia, un agrume, quest’ultimo, quasi sconosciuto ma di estrema bontà.

Tra i primi sono imperdibili le paste fresche col ragù del giorno, nel nostro caso un sugo di daino dal gusto ricco ma non invadente. Eccellenti anche i secondi, dove meritano di essere citate le cotture alla brace eseguite sempre a puntino. Lo chef è bravissimo anche a nobilitare il quinto quarto in tutte le sue forme, non solo la classica trippa, quasi sempre in carta e proposta in vari modi, ma anche qualcosa di meno usuale come il fegato di coniglio alla veneziana oppure il lampredotto all’amatriciana.

Se si è fortunati tra i fuori carta si possono trovare le parti meno nobili del pescato, dalla buzzonaglia di tonno ai sottogola alle teste del pesce arrostite, da mangiare rigorosamente con le mani.

Ma quando si parla di Trippa non si può dimenticare Pietro Caroli, l’alter ego di Diego, tra i tavoli, e tutto il personale di sala, per metà rimasto immutato dall’apertura e capace di instaurare un rapporto diretto con gli avventori, pur restando molto professionale. La carta dei vini è cresciuta col tempo, purtroppo anche nei prezzi, conservando la sua originalità e offrendo un’abbondante scelta, comunque per tutte le tasche.

Dopo varie visite, pensiamo sia arrivato il momento di valutare Trippa alla stregua di un ristorante, perché si può fare avanguardia e ricerca anche riscoprendo le tecniche di cottura classica come avviene tra questi tavoli, oppure proponendo dei prodotti vegetali alla stessa stregua di ingredienti più nobili e costosi. E poi ci sono piatti iconici come il vitello tonnato o la trippa fritta, ormai “classici” della cucina italiana d’autore.

La Galleria Fotografica: