Passione Gourmet Masterchef Archivi - Pagina 3 di 5 - Passione Gourmet

Cannavacciuolo Café & Bistrot

La prima succursale di Cannavacciuolo: un bistrot comme il faut

Il termine bistrot, oggi molto abusato nella ristorazione, viene associato a una tavola economicamente accessibile, poco formale o, come nel caso del coinvolgimento di un grande cuoco, a una sorta di versione low cost del ristorante principale, una (preziosa) vetrina accessibile a una ampia e disparata gamma di clienti.

Raramente però evoca quello che forse è il significato più autentico da cui nasce il termine transalpino, ossia un caffè/osteria con vini alla mescita.

Ecco, il bistrot di Antonino Cannavacciuolo, tavola pilota delle sue aperture “pop”, che esprime al meglio il vero significato di bistrot.

Dopo essere entrato nelle case di molti italiani, facendosi amare dal pubblico di tutte le età per la sua genuina presenza, Cannavacciuolo ha deciso di ampliare il suo raggio d’azione – per il momento all’interno dei confini sabaudi – cavalcando l’onda del successo televisivo, con due poliedriche succursali del suo bellissimo ristorante sul Lago d’Orta. E, neanche a dirlo, il successo non si è fatto attendere.

Certo, è inutile ribadire quanto lo chef partenopeo sappia il fatto suo in cucina e, soprattutto, quanto sia bravo come ristoratore. Il progetto novarese, sorto negli spazi del foyer dello storico Teatro Coccia, ne è una piacevolissima conferma. Anche al di sopra delle aspettative.

Sala piena, servizio rapido e piatti all’altezza

Il fatto che ci facciano aspettare qualche minuto per (ri)apparecchiare il nostro tavolo (al secondo turno!), servendoci al bar una bollicina e una eccellente pizza fritta, ci fa subito capire che siamo al cospetto di una piccola macchina da guerra. La sala è piena, ma tutto scorre con ritmo incalzante. Nel menu gli antipasti, i primi, i secondi e i dolci sono suddivisi in metaforiche categorie teatrali, ouverture, musical, opera e balletto.

La cucina, affidata al bravo Vincenzo Manicone, viaggia in parallelo con lo stile proposto al Villa Crespi; i piatti sono equilibrati e armoniosi. È una cucina solida ed elegante, caratteristica, quest’ultima, che ha sempre contraddistinto lo stile dello chef partenopeo.

Ad esclusione del sapore evanescente di uno degli stuzzichini iniziali e del pre-dessert (una spuma al basilico e limone), abbiamo apprezzato praticamente tutto: dalla rotondità degli Spaghettoni con trippa, burrata e gamberi rossi, ai domati contrasti fenico-acidi del Risotto con ricci, cavolfiore e tuorlo d’uovo marinato al bergamotto, fino al classico Capocollo di maialino con zucca e aglio nero. Interessanti e moderni anche i dolci, a tratti anche più audaci dei piatti salati, inclusa la golosissima piccola pasticceria nel finale.

Troviamo intelligente anche la politica sui ricarichi delle bottiglie. Assolutamente in linea con i prezzi (contenuti) dell’intera offerta. Bravi.

Il servizio è ben oliato, sebbene si mostri un po’ distaccato e sbrigativo (forse c’e qualche coperto di troppo?); gli ambienti sono poco ariosi e gli spazi ridotti, anche se i dettagli degli arredi sono curati e conferiscono al luogo una identità ben definita.

Un’esperienza complessiva decisamente di qualità.

La galleria fotografica:

Carlo Cracco nel salotto di Milano

Carlo Cracco è prima di tutto un temerario. Solo un pazzo, un visionario con una buona dose di coraggio, lascerebbe, nel momento di maggior splendore e remunerazione, una carriera televisiva che ormai l’ha proiettato nello star system dello stivale, e forse oltre, per investire pesantemente in un luogo tanto bello quanto difficile.

Ma il mondo è pieno di visionari e pazzi che hanno avuto ragione. E noi siamo i primi sostenitori di Carlo Cracco e del suo progetto. Perché predisporre un luogo così ricco di fascino, così importante, così autorevole significa scommettere sul proprio futuro tutto quanto. Un giro di roulette, in cui solo la grande e instancabile vena creativa di uno tra i migliori cuochi dello stivale può far gridare al moderato rischio, invece che alla pazzia più folle ed estrema.

Solo alcuni scatti, che non rendono giustizia alcuna al luogo, perché vederlo dal vivo è tutta un’altra storia:

Uno dei ristoranti, dicevamo, tra i più belli d’Italia, e forse d’Europa. Un progetto complicato, con una stupenda sala eventi all’ultimo piano, il ristorante gastronomico al secondo piano, il bistrot e la caffetteria al piano terra. finemente ed elegantemente ristrutturato, tutto pensato nonché studiato nei minimi dettagli. Un investimento importante e impegnativo per dare lustro a Milano, con il progetto di alta ristorazione più importante, a nostra memoria, che sia mai stato concepito.

La cucina? La grande impronta di Cracco è evidente, l’avanguardia è ancora qui…

Fiumi di parole sono già corsi. E c’era da aspettarselo. Anche Cracco se l’aspettava, l’ha messo in conto. Lo chef interpreta la sua personale versione di una pizza? Bum! Parte lo sparo alzo zero. La cotoletta al Bistrot, dopo due giorni dall’apertura, era meno che perfetta? Ri-bum!

Noi, che non siamo mai passati per buonisti, siamo certi che il rodaggio, appena iniziato, di una macchina così complessa e complicata non può che essere ancora all’inizio. Inciampi, qualche svista, piccole cadute sono possibili quando c’è da far girare un locale così ricco di offerta e pieno di potenzialità.

Ecco perché ripartiamo dalla valutazione del Cracco di via Hugo, non perché non si meriti di più. Già oggi il nostro pranzo è stato ben al di sopra di questa valutazione. Ma preferiamo essere parchi, morigerati, preferiamo dare la possibilità a Carlo Cracco e al suo instancabile braccio destro Luca Sacchi, ormai in simbiosi totale con il suo maestro, di potersi fregiare di ulteriori traguardi in un prossimo futuro non troppo lontano. Saremo lì, presenti, costantemente. Anche perché il posto, e la cucina che esprime, sono degni di tante, tantissime visite.

Siamo convinti che Carlo Cracco e Luca Sacchi siano solo all’inizio di una trance agonistica positiva, che proietterà la loro cucina ben oltre le alte vette raggiunte già nel nostro pranzo con la crema cotta ai ricci di mare, moscato e rose cristallizate o il crudo di dentice, capesante, lime e caffè, con il lieve ma centrato tocco di burro di cacao grattugiato o la battuta di cervo, caviale, tartufo nero e lenticchie tostate e infine l’uovo, ingrediente feticcio di Cracco, sublimato in un irriverente sbeffeggio francofono al tartufo nero.

Completano il progetto una equipe di sala giovanissima, ancora in rodaggio, ma che, giustamente, ha dalla loro la freschezza e la voglia di emergere.

Non mancate una visita, vi divertirete e potrete vedere una maestosa macchina da guerra in costante e continua crescita, ne siamo certi.

La galleria fotografica:

Una cucina da Masterchef, con i piedi piantati nella tradizione italiana, sapientemente alleggerita e resa elegante, con piccoli tocchi di creatività

Cucine di incubo lo ha reso famoso, Masterchef lo ha definitivamente consacrato come icona della grande cucina italiana. Ma Antonino Cannavacciuolo non dimentica affatto da dove viene. E quando il suo ristorante riapre, a fine Marzo, lui è lì presente, salterà sì e no una manciata di servizi.
Vuole essere presente, vuole essere attento ai suoi ospiti, si prodiga in abbracci, pacche sulle spalle ormai famose in tutto il mondo, in selfie e ritratti. Ma non manca mai di far sentire la sua presenza in cucina. Perchè Antonino Cannavacciuolo è cuoco, ma prima di tutto uomo, di sani principi.

Lui cuoco è e cuoco vuole rimanere. Il suo capolavoro, Villa Crespi, è ormai l’emblema della cucina classica italiana sapientemente ed abilmente rivisitata. La commistione e contaminazione tra cucina del nord e quella del sud, suo cavallo di battaglia da tempo, ha veramente raggiunto l’apice ora e la cura nei dettagli la fa continuamente progredire verso l’alto. Nessuna ossidazione presente, cotture più che impeccabili, proporzioni e geometrie elaborate e qualche tocco di creatività rendono questa cucina tremendamente golosa e bella da vedere.

Si mangia un gran bene a Villa Crespi, si è coccolati da un servizio attento e preparato, capitanato ora da un nuovo Maitre di Rango -Massimo Raugi- che saprà aggiungere ancor più classe ed eleganza ad un servizio già di prim’ordine.
Piatti come l’imperiosa triglia o il fantastico piccione, sono esempi di classicità internazionale impreziositi da piccoli tocchi d’Italia. Fenomenali i primi piatti, capitanati da tagliatelle ai fagioli -con farina di fagioli- al limone e bottarga, un colpo diretto al cuore. Attenzione estrema per le entrate, la piccola pasticceria, ed una cura perfetta e qualitativamente elevata per i dessert ne fanno una delle tappe più interessanti dello stivale.

Speriamo solo che Antonino riesca anche ad inserire, moderatamente, qualche piccola novità nel percorso. Qualche stimolo ulteriore a piatti che sono ormai diventati un’icona, che sono incredibilmente buoni e attuali.
Quest’anno, alla riapertura, una sorpresa: le stupende sale alleggerite da molti fardelli, seppur belli, e ammodernate con piccoli tocchi di classe. Così come la cucina, che si libera pian piano del superfluo per giungere all’essenza.

Un grande, grandissimo ristorante, alla cui guida c’è un grande, grandissimo cuoco… in tutti i sensi.

Carlo Cracco si è montato la testa, Carlo Cracco non sa cucinare, Carlo Cracco è antipatico. E al ristorante di Carlo Cracco non si mangia poi così bene.
E’ il destino di chi diventa famoso, sembra quasi il pegno da pagare quello che contrappone la fama e la notorietà al chiacchiericcio e alla delazione sotto varie forme e sfumature.
Bene, noi possiamo tranquillamente affermare, dopo molteplici visite, che non è affatto così.

Carlo Cracco è e rimane un grande cuoco. E sopratutto, la cosa più importante (e anche l’unica che di fatto ci riguarda), al suo ristorante si mangia molto bene. Carlo ha una dote in particolare, tra le tante: sapersi scegliere i collaboratori. E dopo la dipartita del fuoriclasse Matteo Baronetto la sfida si prospettava molto ardua. Luca Sacchi, ex capo pasticcere, viene messo alla guida delle cucine. Quanto vociferare a questo annuncio alcuni anni or sono. Ma Luca Sacchi ha dimostrato quanto Carlo Cracco abbia l’occhio lungo, perché questo ragazzo ha talento e stoffa da vendere.

Nel solco cracchiano, che imprime una cucina fatta di morbidezze, di rotondità e di nuances sucrè-salè, in cui l’incursione delle acidità è sottile quanto secondaria, Luca ha contaminato le preparazioni con tecniche di pasticceria e tanta originalità spostando, crediamo volutamente, il gusto verso un più internazionale sentore agrodolce.
Il tutto pare studiato attentamente a tavolino, dopo il successo mediatico del Carlo nazionale. Orde di stranieri, del nuovo mondo ma non solo, potrebbero colonizzare via Victor Hugo, in attesa che questo prezioso scrigno si trasferisca l’anno prossimo nella vicina Galleria Vittorio Emanuele II.

Ecco allora uscire dalle cucine un sentimento volto all’accoglienza di ospiti stranieri, oltre che italiani, decisamente adeguato al momento storico che il ristorante sta attraversando. Aggiungendo qua e là un pizzico di provocazione, con una spezia o con un contrappunto. Molto meno azzardo di un tempo, quando alla corte era presente l’enfant prodige Baronetto. Molta la precisione gustativa, molta la tecnica, come sempre del resto. E, forse voluta, molta meno attenzione all’impiatto. Che, seguendo illustri predecessori (pensiamo a Massimiliano Alajmo) potrebbe circostanziarsi in un distacco progressivo dalla forma per arrivare dritti alla sostanza e alla centralità gustativa. Più jazz, più apparente improvvisazione, più fascino dello “sporco” e dell’imperfetto. O per lo meno speriamo sia così.
Seguendo una scia che trascina di fatto il profilo gustativo ancor più in alto: pensate a quanto di saggio e concentrato -è ovviamente un’iperbole- c’è nei ” Brutti ma buoni”. Quel ma vuol dire e significare molto.

Ecco quindi arrivare in questo palcoscenico vere e proprie opere prime come i fusilli al plancton con polvere e crudo di funghi porcini, piatto sensazionale. Oppure ancor di più un germano cotto nella terracotta al lentisco, che dona una nota balsamica a questo ottimo volatile della macelleria Zivieri, accompagnato da castagne al rhum -qui il tocco fine del pasticcere- e da una eterea purea di topinambur, intensa e aromatica. E che dire del colpo di genio di Cracco con granita di nocino, caviale, panna, crema di mandorle e scalogno? Come definire se non geniale un cuoco che ha inventato questo abbinamento riuscendo a tenerlo in equilibrio?
Ma, durante la lunga cena, troverete innumerevoli altri spunti interessanti.

Crediamo solo che sia il momento, per ora, di tenere il freno a mano tirato nel giudizio. Solo per avere il giusto margine alla prossima visita, sperando -ma non ne abbiamo dubbi- nella continuità, in qualche impiatto più consistente e meno rude e in qualche ulteriore sottolineatura. Certi che già ora, qui, in via Hugo, vale la pena di venire per trovare una cucina tra le più originali dello stivale, per idee e per esecuzione.
Qualche difetto? La sala, non all’altezza della cucina. E quelle sfumature descritte più in alto, che possono avere una spiegazione logica e coerente ma che a noi non hanno convinto sino in fondo.

Il pane, tra gli aspetti migliorabili (l’abbiamo trovato troppo biscottato).
pane, Ristorante Cracco, Chef Carlo Cracco, Milano
Amuse bouche.
amuse bouche, Ristorante Cracco, Chef Carlo Cracco, Milano
amuse buche, Ristorante Cracco, Chef Carlo Cracco, Milano
Il vino.
vino, Ristorante Cracco, Chef Carlo Cracco, Milano
La famosa e sempreverde insalata russa caramellata.
insalata russa caramellata, Ristorante Cracco, Chef Carlo Cracco, Milano
Ecco il biglietto da visita: Branzino marinato e servito crudo con mais liofilizzato, insalata di mare a foglie (gamberi e seppia), erbe e croccante di cipolla caramellata, aceto di scalogno, pepe di sancho – che fornisce una lunghezza impressionante – lime, gamberi e barbabietola liofilizzati. Un tripudio di ingredienti, tutti centrati e tutti al loro posto. Un perfetto inizio.
branzino, Ristorante Cracco, Chef Carlo Cracco, Milano
Gamberi Viola di Albenga, polvere di pistacchio, barbabietola. Qui il tocco geniale è la barbabietola aromatizzata al caffè e arancio, che dona una nota terrosa-speziata e acida all’insieme per proseguire. Interessante il dolce-grasso del pistacchio ad accompagnare ed allungare la dolcezza del gambero, di qualità elevatissima.
Gamberi Viola, Ristorante Cracco, Chef Carlo Cracco, Milano
Pappa al pomodoro che sistema il difetto atavico della pasta di uovo di Carlo Cracco, donando morbidezza, acidità e arrotondando l’appiccicoso senso degli spaghetti. A completare foglie di lardo affumicato e polvere tannica di un’erba.
pasta di uovo, Ristorante Cracco, Chef Carlo Cracco, Milano
Fenomenali fusilli al Plancton e funghi porcini.
fusilli al plancton, Ristorante Cracco, Chef Carlo Cracco, Milano
fusilli, Ristorante Cracco, Chef Carlo Cracco, Milano
Stupendo risotto ai tre pomodori caramellati, con il tocco della crema di mozzarella e della polvere di cumino, la chiusura del cerchio gustativo.
risotto, Ristorante Cracco, Chef Carlo Cracco, Milano
Il germano cotto nella crosta al lentisco.
germano cotto in crosta, Ristorante Cracco, Chef Carlo Cracco, Milano
Chapeau!
Germano, Ristorante Cracco, Chef Carlo Cracco, Milano
Astice blu con bernese all’arancio.
Astice blu, Ristorante Cracco, Chef Carlo Cracco, Milano
Nocino, mandorla, caviale, panna… et voilà!
Nocino, Ristorante Cracco, Chef Carlo Cracco, Milano
Un formidabile arancino al riso e latte ripieno di zabaione.
arancino, Ristorante Cracco, Chef Carlo Cracco, Milano
arancino, Ristorante Cracco, Chef Carlo Cracco, Milano
arancino, Ristorante Cracco, Chef Carlo Cracco, Milano

Cividale del Friuli è un affascinante borgo, a due passi dal confine sloveno, che custodisce straordinari reperti della cultura longobarda, inseriti nel 2011 nella lista dei beni considerati patrimonio dell’Umanità dall’UNESCO. Forse basta un giorno per visitare ed ammirare le bellezze della città, dai musei alle rilassanti camminate a ridosso del fiume Natisone, per terminare la visita contemplando dal belvedere quel Ponte del Diavolo la cui storia è in bilico tra realtà e leggenda; una visita a Cividale è sicuramente uno dei più caldi consigli che ci sentiamo di dispensare per un fine settimana alla scoperta del nord-est.

Nella frazione di Gagliano Lidia e Joe Bastianich, da qualche anno, hanno coronato il loro Italian Dream aprendo Orsone e portandosi dall’America tutto il loro (enorme) know-how di ristoratori di qualità e successo.
Prima ancora di essere un raffinato ristorante, una taverna con una concreta proposta gastronomica italo-americana e un bed & breakfast con poche camere, Orsone è una casa in mezzo ai vigneti.
Una locanda di campagna immersa nel verde, ideale scenario per staccare la spina e godersi momenti di quiete.
Se la sala da pranzo ha un’eleganza quasi retró ma di grande fascino, la taverna, anticamera del ristorante, ha pochissimi tavoli e un affascinante bancone New York style, con le vetrate che scrutano i vigneti. Un ambiente caldo, finto semplice, ma con dettagli curatissimi.

Non abbiamo ancora provato la cucina di Edoardo Valle Lobo, lo chef di casa, ma ci siamo soffermati sulla proposta più semplice e meno impegnativa della Taverna. Una proposta che ci è apparsa, comunque, concreta, omaggio ai clichè italo-americani, con poche proposte ma decisamente autentica nel suo stile.
Alla carta, che conta qualche piatto cult della cultura fast food a stelle e strisce, si affiancano i “today’s specials” che variano a seconda dell’ispirazione dello chef. Durante la nostra visita era proposto il “padellino alla bolognese”, appunto una padella con paccheri e ragù alla bolognese, consigliato per due o più persone.
I classici del locale sono la caesar salad, lo steak sandwich e i cheese fries. Ma, considerata l’origine dei proprietari, il pezzo forte sono gli hamburger, presentati in un paio di varianti, entrambi rigorosamente con formaggio (curiosamente vengono usati due formaggi spagnoli, il queso Valdeon e il queso El Esprimijo).
Il nostro appetito, ça va sans dire, da un lato, ci ha condotti direttamente su uno di questi, il Calabrone Burger: carne di fassona con formaggio Valdeon e cipolle caramellate, dall’altro si è lasciato incuriosire (o forse intenerire ricordando qualche frame di Lilli e il Vagabondo) dagli spaghetti pomodoro, basilico e grana “with meatballs”, una delle icone gastronomiche dell’emigrato italiano in America.
L’hamburger è notevole, con la polpetta servita leggermente al sangue ed un bun, fatto in casa, che è una goduria… merita assolutamente l’assaggio. Gli spaghetti, serviti in una porzione abbondantissima, sono ordinari, con una buona salsa e (ancora una volta) delle ottime polpette. Peccato per la pasta, di qualità leggermente inferiore al resto, nonostante fosse correttamente cotta al dente.
Anche sui dolci proposti la scelta è limitata; abbiamo scelto entrambe le torte in carta: la fudge cake, discreta, e la golosissima key lime pie, decisamente migliore della prima.
Tutti i vini di casa Bastianich sono disponibili, anche in mescita. C’è poi qualche Champagne importante e, se si considera la carta dei vini del ristorante, molto altro in più.
In sala c’è un clima giovanile ma professionale, che si sposa perfettamente con il concetto del locale e la cornice circostante. Durante il nostro pranzo abbiamo registrato soltanto qualche attesa di troppo, nonostante né il ristorante né la taverna fossero piene.
Anche considerata l’affascinante location, torneremo sicuramente per testare la tavola gourmet.

Orsone - La Taverna, Lidia e Joe Bastianich, Cividale del Friuli
Il bellissimo bancone del bar.
Orsone - La Taverna, Lidia e Joe Bastianich, Cividale del Friuli
Aperitivo.
aperitivo, Orsone - La Taverna, Lidia e Joe Bastianich, Cividale del Friuli
Il notevole Calabrone Burger.
calabrone burger, Orsone - La Taverna, Lidia e Joe Bastianich, Cividale del Friuli
Davvero meritevole, il bun in primis.
calabrone burger, Orsone - La Taverna, Lidia e Joe Bastianich, Cividale del Friuli
Così come le ottime patatine.
patatine, Orsone - La Taverna, Lidia e Joe Bastianich, Cividale del Friuli
Lo spaghetto al pomodoro, basilico e grana con le ottime polpette. Carne a parte, nel complesso di discreta fattura, la pasta è di qualità a nostro avviso inferiore.
spaghetto, Orsone - La Taverna, Lidia e Joe Bastianich, Cividale del Friuli
La fudge cake.
fudge cake, Orsone - La Taverna, Lidia e Joe Bastianich, Cividale del Friuli
E la buonissima key lime pie.
key lime pie, Orsone - La Taverna, Lidia e Joe Bastianich, Cividale del Friuli
Orsone - La Taverna, Lidia e Joe Bastianich, Cividale del Friuli
Orsone - La Taverna, Lidia e Joe Bastianich, Cividale del Friuli
Orsone - La Taverna, Lidia e Joe Bastianich, Cividale del Friuli