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Trinity

In una città sterminata come Londra, qualche volta è bello salire sulla metropolitana senza una meta e scendere poi casualmente ad una stazione lontana dal centro. Ecco quindi che si possono scoprire quartieri come quello di Clapham, a sud del Tamigi. Sorta attorno al bel parco di Clapham Common, questa area dalle sembianze eccentriche vede alternarsi edifici georgiani e vittoriani a case modernissime e palazzine fluorescenti. Che la zona sia in fermento lo si capisce dalla miriade di bar, pub, ristoranti e caffetterie che si trovano ovunque passeggiando per le sue caratteristiche vie.
Uno di questi locali, è il Trinity, del quale Adam Byatt è sia chef che proprietario dal 2006. Al contrario dell’eclettismo della zona in cui sorge, la sala del ristorante si presenta sobria, non particolarmente romantica e formale. Tale anonimia fa pensare, o forse sperare, che lo chef e il suo staff vogliano coccolare il cliente con premure e leccornie, facendolo accomodare in un ambiente quasi sterile in modo da non alterare il suo giudizio. Niente musica quindi, giusto un paio di quadri alle pareti, tovaglia bianca e nulla più.
L’idea di partenza viene subito confermata da un servizio di sala davvero lodevole. In perfetto stile londinese, città sempre di corsa, dopo essersi accomodati in un batter d’occhio è presa l’ordinazione e servito il benvenuto della cucina, tutto con grande garbo e smaglianti sorrisi. La prima nota dolente arriva però dalla carta dei vini, decisamente sottotono dal punto di vista della profondità ma piuttosto in forma sotto il profilo del rincaro economico.
Dallo chef, nato in campagna, nell’Essex, e ammaliato dalla vita ai fornelli sin da tenera età, sarebbe lecito aspettarsi ricerca di prodotto territoriale e competenza tecnica. Quest’ultima davvero non manca a Byatt, che si dimostra capace di cotture perfette, di accostamenti centrati, e perfino, per quanto riguarda la zuppa di piselli, menta e cagliata, di creare piatti fortemente evocativi. Quello che fa difetto allo chef del Trinity è invece quella parte di orgoglio nazionale che ogni cuoco dovrebbe avere insito in se stesso, senza per forza dover creare un intero menù ad immagine e somiglianza della vicina Francia. L’ostrica poché con salsa allo champagne, inchiostro sferificato e porri sbianchiti, è un grandissimo omaggio ad uno dei piatti più celebri delle coste normanne, les moules à la crème. Lo stesso concetto vale anche per la quaglia arrosto in brodo, con sedano rapa, levistico ed amarene di montagna, piatto tecnicamente ineccepibile, gustoso e bilanciato ma decisamente mal contestualizzato.
A rallegrare l’ambiente però, dove la cucina mostra i suoi limiti, ci pensa la clientela decisamente londinese. In poche altre sale può capitare di vedere tanta diversità da un tavolo all’altro. Un ragazzino lentigginoso costretto ad urlare per farsi sentire dalla nonna ultranovantenne, una coppia di signori in infradito e pantaloni corti, gruppi di amiche che fanno un paio di giri di gin tonic prima di ordinare e infine un paio di tavoli ai quali siedono dei perfetti gentlemen in tweed e bastone. Davvero molto divertente.
Il Trinity sorge in una zona in fermento, e dispiace vedere un locale che al contrario, pare essersi un po’ accomodato su una tipologia di cucina “sicura”, ben eseguita ma che decisamente non si fa ricordare né per personalità né per incisività. Viste le capacità tecniche dello chef, rimaniamo comunque fiduciosi che un giorno questo torpore possa finire, e che Byatt, guardando fuori dalle belle vetrate del suo ristorante, possa essere ispirato da qualcosa di nuovo e vibrante, proprio come Clapham stessa.

Mise en place
Mise en place, Trinity, Chef Adam Byatt, Londra
Benvenuto della cucina. Pasta sfoglia con tapenade di olive, rapanelli e maionese con pepe e paprika. Nulla da dire su rapanelli e sfoglia ma maionese da urlo. Complimenti davvero.
Benvenuto, Trinity, Chef Adam Byatt, Londra
Il pane fatto in casa con il burro salato.
Pane e burro salato, Trinity, Chef Adam Byatt, Londra
Primo piano del pane misto focaccia, buono anche se decisamente troppo grasso.
Pane e focaccia, Trinity, Chef Adam Byatt, Londra
Il burro salato montato prima del servizio. Molto buono.
Burro salato, Trinity, Chef Adam Byatt, Londra
Zuppa di piselli e menta, con cagliata fresca. Piatto della serata senza dubbio. I piselli, cotti e crudi, oltre che in forma di zuppa conferiscono una nota fresca e verde, amplificati da un lieve sentore di menta e smorzati dal tono leggermente grasso della cagliata. Si ha l’impressione di passeggire al parco dopo un temporale estivo. Piatto molto evocativo.
Zuppa di piselli e menta, Trinity, Chef Adam Byatt, Londra
Ostrica poché, salsa allo champagne, inchiostro sferificato e porro sbianchito. Piatto certamente riuscito e tecnicamente perfetto. Mangiato in Normandia avrebbe destato più interesse.
Ostrica poché, salsa champagne, Trinity, Chef Adam Byatt, Londra
Platessa arrosto, verdure di mare al vapore, limone e vongole. Platessa di primissima qualità, ma piatto sbilanciato sulle note acide.
Platessa arrosto e verdure al vapore, Trinity, Chef Adam Byatt, Londra
Quaglia arrosto in brodo, sedano rapa, levistico e amarene di montagna.
Quaglia arrosto, Trinity, Chef Adam Byatt, Londra
Pesca sciroppata, parfait al cioccolato bianco, ibiscus. Dolce deludente.
Dessert, Trinity, Chef Adam Byatt, Londra
La piccola pasticceria servita “al volo”. Macaron eccezionale, con miele e limone.
Piccola pasticceria, Trinity, Chef Adam Byatt, Londra

Dabbous, Chef Ollie Dabbous, London

Ollie Dabbous è attualmente, come lo ha definito Jay Rayner, critico gastronomico del Guardian, “the most wanted chef in Britain”. Siamo certi che in Italia il suo sia ancora un nome semisconosciuto. E non può essere altrimenti visto che il suo ristorante a Fitzrovia ha raggiunto un incredibile successo in meno di un anno dall’apertura.
La sua è la tipica storia di un predestinato. Figlio di un architetto italo-francese, Dabbous rimase folgorato dal cibo in età adolescenziale quando trascorse un mese in una cucina di una trattoria di Firenze. Da quel momento andò in cerca di esperienze presso grandi chef, prima tornando in Inghilterra, poi a Parigi, riuscendo ad entrare nel mondo di Guy Savoy, in cui trascorreva tutta la giornata nello scantinato a pulire carciofi e funghi.
Ma l’esperienza che gli cambiò la percezione del gusto, orientando definitivamente le sue aspirazioni verso la grande cucina, fu quella con Raymond Blanc a Le Manoir aux Quat’Saisons in Oxfordshire, dove comprese definitivamente concetti imprescindibili come freschezza e stagionalità. Qui si fermò, diventando senior chef de partie del ristorante.
Non pago delle sue esperienze, se ne procurò ulteriori, se pur brevi ma importanti, in giro per il mondo presso luoghi culto come il Fat Duck, l’Astrance, il Noma e il Mugaritz, al termine delle quali decise di tornare a Londra come executive chef al Texture. Dopo una permanenza di due anni, in cui prese anche la stella Michelin, si trasferì al Cuckoo Club. Qui entrò in contatto con il barman svedese Oskar Kinberg con il quale concepì, un paio di anni fa, il “Dabbous”, un ambiente che definirlo trendy è riduttivo, con enorme cocktail bar (al piano inferiore) annesso.
Il risultato? Librone di prenotazioni completo a distanza di 6-7 mesi e liste d’attesa per accaparrarsi un tavolino a cena nel weekend. Noi abbiamo avuto la fortuna di trovare un buco al primo turno (ne fanno almeno due, costantemente, a pranzo e a cena) di un sabato a pranzo e non ci siamo fatti scappare l’occasione prenotando comodamente sul sito web “Opentable”, cui si affidano praticamente tutti i ristoranti cittadini per le prenotazioni online.
Certo, il prezzo contenuto (ancora per poco?) influisce, e non di poco, al grande successo e non escludiamo che la grande popolarità presto andrà ben oltre i confini nazionali. Dabbous, infatti, oltre ad avere la stoffa del grande cuoco, sembra che sia uno dei più influenti comunicatori nell’ambiente gastronomico britannico. Inoltre, alcune delle sue preparazioni presentano un visibilissimo tasso di raffinatezza, nonostante le tradizioni inglesi impongano delle scelte in cui è difficile eliminare elementi grassi che incarnano l’indispensabile stile british. Sono davvero pochi i rimandi ai maestri e tante invece le idee che lasciano intravedere una spiccata personalità.
Sarà lui il degno successore di Blumenthal? Per il momento, la nostra esperienza ci ha regalato due piatti folgoranti e coraggiosi, entrambi presentati a una temperatura ghiacciata, praticamente ad apertura e chiusura del pranzo, in cui pochi e ben distinti elementi raggiungevano un’armonia gustativa tra note aromatiche, grasse, acide e floreali, difficilmente dimenticabili.
Incredibile (in senso positivo) il rapporto clienti/camerieri che, in una sala abbastanza angusta, si aggirano come falchi tra i tavoli, ma in maniera più che discreta e senza mai essere invadenti. Una nota positiva della sala, diversamente dalla predisposizione dei tavolini, praticamente separati da pochi centimetri l’un l’altro.

Olive per cominciare e
olive, Dabbous, Chef Ollie Dabbous, London
un fantastico pane con intenso burro dalla consistenza cremosissima.
burro, Dabbous, Chef Ollie Dabbous, London
pane e burro, Dabbous, Chef Ollie Dabbous, London
Come detto, la partenza è folgorante con l’Avocado, basilico e mandorle in un infuso ghiacciato di foglie di fico. Lo stordente inizio è soltanto apparentemente tale e lascia, ai successivi assaggi, il posto ad un gusto delicato e sorprendente. Geniale.
Avocado, Basilico e mandorle, Dabbous, Chef Ollie Dabbous, London
La seconda portata ci riporta sulla terra: halibut affumicato con sedano rapa marinato e uovo semi-bollito. Anche in questo caso mancano temperature. E’ forse il piatto più banale, pseudo nordico.
Halibut affumicato, Dabbous, Chef Ollie Dabbous, London
Il signature dish di Dabbous è il “Mash & Gravy”, rivisitazione di una tradizionale ricetta inglese, il purè con arrosto di tacchino. In questa versione il purè di patate viene alleggerito e presenta una consistenza cremosa perfetta, e il fondo di carne è concentratissimo. Bella idea che peserà, tuttavia, sulla pesantezza complessiva del pasto.
Mash&gravy, Dabbous, Chef Ollie Dabbous, London
Piacevole il merluzzo grigliato (avvolto in un sottilissimo strato di legno) con un dressing di rape, cipolle e miele, anch’esso con un gusto molto inglese.
merluzzo, Dabbous, Chef Ollie Dabbous, London
Dettaglio del condimento.
condimento, Dabbous, Chef Ollie Dabbous, London
E del pesce.
merluzzo, Dabbous, Chef Ollie Dabbous, London
Ottima l’oca arrosto con alghe fritte, miso bianco e linfa di betulla, un particolare sciroppo estratto dalla betulla, usato nel Nord America. Gusto a metà strada tra la tradizione francese e quella cinese. Interessante.
oca arrosto, Dabbous, Chef Ollie Dabbous, London
oca arrosto, Dabbous, Chef Ollie Dabbous, London
L’intermezzo (pagato come supplemento al menu a 9£) è il toast con formaggio e tartufo nero. Goloso ma con un predominante profumo di aglio che sovrasta il resto.
toast formaggio e tartufo, Dabbous, Chef Ollie Dabbous, London
Il pre-dessert è favoloso: rabarbaro candito dello Yorkshire con brodo di lavanda, foglie e semi di iceberg e olio di oliva. Intenso e rinfrescante.
pre dessert, Dabbous, Chef Ollie Dabbous, London
pre dessert, Dabbous, Chef Ollie Dabbous, London
Dal gusto diametralmente opposto il dessert, francesissimo: eclair con caramello e crema di banana. Decisamente impegnativo, a tratti stucchevole, sia nelle proporzioni, sia per il caramello che rende monocorde la portata.
eclair con caramello, Dabbous, Chef Ollie Dabbous, London
Straordinarie le baby pesche verdi dal Giappone.
baby pesche, Dabbous, Chef Ollie Dabbous, London
Uno dei ravvicinatissimi tavolini.
tavolino, Dabbous, Chef Ollie Dabbous, London
Ingresso.
Dabbous, Chef Ollie Dabbous, London

Recensione Ristorante

Chissà come sarebbe stata la vita e la carriera di Gordon Ramsay se fosse diventato un calciatore professionista – come sognava – invece che uno chef noto ed acclamato.
Di certo ormai lo chef scozzese è famoso in tutto il mondo, non solo per la sua abilità ai fornelli, ma anche e soprattutto per la sua partecipazione a programmi televisivi ed a format planetari di enorme successo, nonché per il suo proverbiale caratteraccio ed il suo modo non proprio british di rapportarsi con collaboratori e dipendenti :-).
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Recensione Ristorante

Questa volta mi tocca cominciare proprio dalla quaglia, probabilmente la migliore mai mangiata, perfetta per cottura, qualità della carne e fondo di cottura, ma soprattutto geniale per l’abbinamento con le prugne, ma ancor di più con i capperi disidratati che con la loro sapidità e aromaticità hanno trasformato il piatto in un piccolo capolavoro.
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Senza Valutazione

Recensione Ristorante
Nella sempre più modaiola Marylebone high street Bruno Barbieri ha da qualche mese aperto un locale di autentica cucina italiana.
Elegante e luminoso, con una brigata di sala italianissima e molto motivata, il Cotidie si contrappone alle centinaia di locali pseudo-italiani che propongono piatti della nostra tradizione di scarsa qualità. Qui quasi tutta la materia prima arriva direttamente dal Belpaese e, dalla madre patria, arriva anche ogni due settimane una sfoglina per preparare la pasta fresca tirata, come da tradizione, rigorosamente al matterello.
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