Passione Gourmet Lecce Archivi - Pagina 2 di 5 - Passione Gourmet

Dal Penga

Nel cuore di un minuscolo centro di provincia, si nasconde un’insospettabile conoscenza degli impasti

Negli ultimi anni la pizza ha trovato, anche fuori da Napoli e dalle roccaforti venete che han dato vita al fenomeno che non ci piace chiamare pizza gourmet, un pubblico mediamente più esigente e un elevato numero di artigiani disposti ad alzare il livello qualitativo. In tutta Italia e, oramai anche all’estero, gli indirizzi dove rintracciare un ottimo prodotto non sono esclusivo appannaggio dei grandi centri. Viceversa, sono moltissime le realtà di provincia che meritano il proprio spicchio di notorietà.  Come spesso accade, però, è sufficiente rileggere il passato alla luce del presente per notare come i prodromi, in realtà, ci fossero tutti. E così, uscendo dal cerchio dei nomi noti, si trovano pizzaioli di cui si continua a parlare pochissimo – talvolta troppo poco – e che invece hanno fatto la propria parte in tempi meno dorati.

Uno di questi è Raffaele Di Donfrancesco, salentino che dal 2005 officia nel centro del minuscolo abitato di Castri di Lecce, meno di tremila anime nell’entroterra a sud-est del capoluogo pugliese. Un antico palazzo nobiliare è lo scenario dove lui e la sua famiglia si disimpegnano, con eclettismo d’altri tempi, fra pizza e specialità marinare. Alla proposta ittica, che alla luce dell’assaggio dei gamberi e della vista dei piatti in sala ci è apparsa semplice ma centrata in proporzione alla fascia di prezzo non ambiziosa, abbiamo preferito la pizza, certamente più allettante.

Ottimi gli impasti, perfettibili le farciture

Il punto di forza del locale risiede certamente negli impasti, disponibili in un gran numero di versioni, tutte ottenute da lunghe maturazioni. Noi abbiamo provato quello classico, con rimacinato di semola, e le varianti con grano arso e cannabis sativa. Tutti gli impasti testati si sono rivelati saporiti, ben alveolati, in uno stile che non prevede sfoggio di cornicioni botulinizzati e con un buon equilibrio fra umidità e croccantezza. Le farciture, innumerevoli in carta, si sono invece rivelate più fragili, non tanto per la scelta degli accostamenti quanto per la qualità degli elementi utilizzati, in particolare di quelli che avremmo considerato più scontati, nel Basso Salento e in agosto, come pomodorini e rucola. Per chi risiede in zona o per i villeggianti, resta comunque un indirizzo dove passare una piacevole serata, d’estate in terrazza o d’inverno nelle sale al piano sottostante.

L’unica credenza a cui dare credito è quella da cui Daniela Montinaro tira fuori i suoi deliziosi ingredienti

La storia del secondo dopoguerra narra di figure femminili che, in virtù di poteri magici, incutevano timore e rispetto. Alle macàre ci si rivolgeva per risolvere problemi e affari di cuore: malocchio, filtri, pozioni magiche, unguenti, incantesimi e fatture erano le “armi” del mestiere.

Ad Alezio, nel profondo sud della Puglia, le streghe buone stanno in cucina e l’unica magia praticata per creare porzioni magiche è quella ai fornelli. Le Macàre è  un’osteria atipica pensata dalla madre e cuoca Daniela Montinaro. Una sala rinnovata in perfetto stile nordico, di grande eleganza e con un arrendamento vintage e minimal non lascia presagire affatto una cucina tutta tradizione che scalda il cuore e allieta la pancia, espressione autentica del migliore Sud.
Daniela è donna forte e tenace, ironica ed irruenta, ma è soprattutto una brava cuoca con basi solide e idee chiare in cucina. Le Macàre sono la seconda casa -non così lontano dal mare- che tutti vorrebbero avere, sono il luogo dove lasciarsi coccolare da piatti che abbinano grande materia prima a preparazioni tipiche delle più brave mamme pugliesi. Nessuna scorciatoia, pochi fronzoli e tanta manualità, dalla passata di pomodoro fresca ottenuta con l’indomabile spremipomodoro “della nonna”, alla pasta dei tortelli tirata in casa, al fragrante pane preparato con il lievito madre.  L’atmosfera in sala è leggera e informale grazie ad un oste d’eccezione, Pasquale Lippolis, che mesce del gran vino, incluse le intriganti bollicine fuori carta e decanta le preparazioni della cucina con dovizia di particolari, quasi fosse una formula magica da recitare a memoria.

Semplicità e gusto e sono il comune denominatore di una cucina della tradizione pugliese

L’antipasto è un buon viatico per scoprire la mano di Daniela e della sua folle e simpatica brigata. Tra le portate spicca una deliziosa Zuppa di cozze con crema di patate, sedano, carote e cipolla ed un delicato Crostino con cipolla rossa di Acquaviva in agrodolce. Non mancano piatti più golosi come le Alici fritte accompagnate da un’irresistibile maionese fatta in casa e le polpette rigorosamente fritte al sugo.

Il Tortello di melanzana che segue, ha carattere: la polpa morbida avvolge il palato, la pasta ruvida regala piacevoli sensazioni, il sugo di pomodoro, la cacioricotta e l’olio di basilico completano l’opera con grande equilibrio. La portata che ci ha lasciato un ricordo indelebile è la Pasta mista con la zuppa di pescato del giorno, con le papille gustative che esultano al solo pensiero di poter ritrovare il mare nel piatto. Tra i dolci, un intrigante Crumble con pere, ricotta e cioccolato merita menzione a parte: carico zuccherino misurato, frolla squisita, ricotta morbida.

La magia in tavola vi aspetta in Puglia, cosa aspettate ad inserire Le Macàre nel vostro prossimo tour salentino-pugliese?

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Cucina al servizio della materia prima, non senza gioco e guizzo creativo

Una cucina salentina moderna, i cui piatti  valorizzano le risorse di un territorio ricchissimo, ma spesso trascurato. Grafiche eleganti, qualche suggestione orientale, un bel giardino, una carta robusta sulla Puglia vitivinicola ma che sconfina piacevolmente anche molto lontano, ed infine un conto giusto. Alex da qualche anno ha cambiato le mura, spostandosi a ridosso della porta Napoli, uno degli ingressi del centro storico di Lecce, ed ha cambiato chef, con Alessandra Civilla che comanda in cucina con lucida e sapiente fermezza.  Alessandro Libertini, patron di quelli di che si impegnano a seguire tutti gli aspetti del ristorante, è rimasto e non ha certo cambiato filosofia. Anzi.

Ancor prima che di territorio, quello che si propone qui, è la cultura salentina della tavola. Così o che si scelga la degustazione o si distilli dalla carta, il percorso infilerà tutte le tradizioni di questa terra alternandone visioni ora familiari, talvolta moderne, infine più audaci, non tralasciando il fattore sorpresa o del gioco, altra deriva dell’amore della chef per la cucina giapponese che contamina alcune preparazioni.

Puglia, Giappone e molto altro in un mix geografico intrigante

Per cominciare c’è la frisa scomposta, con le licenze del pomodoro secco e dell’acqua di pomodoro,  c’è il tonno con la sua ventresca, ad ornare il nigiri e il katsuobushi condito con l’aioli. Nel cestino dei pani ci sono taralli e puccia così come il panino al curry ed alla curcuma. La grande qualità dei crudi che seguono faranno preferire lo strepitoso gambero con il solo olio al mandarino ed il sarago con la lievità del pomodoro in composta, alla triglia ed allo scampo viceversa soverchiati da un olio al curry e  fragola il primo,  alla aggressione del tabasco il secondo. Scampo che poi torna protagonista nel tagliolino, con il suo corpo dolce e suadente ed una stracciatella acidata dal limone che avremmo voluto ancor più deciso.

Tecnica in vista nell’esercizio del risotto, un Aquerello al nero di seppia con uova di salmone e plancton molto salini e quella nota spiazzante del baccalà in carpaccio con gli umori della terra di un tè al pino. Diverte infine la presentazione di triglia, fave e cicoriella, piatto di grande piacevolezza, dove al posto della classica campana in vetro per l’affumicatura, si viene dotati di un bisturi monouso per il taglio della pellicola che sigilla il piatto.
Si chiude per un buon ricordo con un carosello di dolcezze ancora una volta a rintracciare citazioni, memorie e divertissement. Fegato di pescatrice in salsa yakitori con fico bianco e cipolla caramellata,   stecco di cioccolato fondente a celare il cuore piccante di nduja per ribadire sino in fondo che con la tradizione ci si può anche divertire.

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Laboratorio di pasta “gourmet” nel cuore del Salento: il progetto artigianale dello Chef Alessio Gubello

Malgrado il Salento sia quasi totalmente delimitato dal mare, quando si parla di tradizioni culinarie l’entroterra sembra pesare in misura maggiore rispetto ai molti chilometri di splendide coste. Ne consegue che, dal punto di vista gastronomico, Lecce e dintorni siano, malgrado i ricettari idruntini e gallipolini non siano certo collezioni di pagine bianche, più affini a Foggia e alle zone più settentrionali della regione che non agli altri capoluoghi.

Per ricette che profumano di terra scura e pietre la pasta fresca di semola, con il suo spessore, la sua pronunciata callosità e i suoi aromi quasi primari, è la compagna ideale ed ha, nella gastronomia salentina, un rilievo non facilmente rintracciabile nel resto dello Stivale. Alessio Gubello, cuoco con passaggi in cucine importanti in valigia, ha scelto alcuni anni fa di affiancare l’attività di personal chef con quella di pastaio. Ha aperto perciò, con la moglie Emanuela Bruno, Pasta d’Elite, laboratorio in cui la pasta fresca, grazie all’accurata selezione delle farine, alla proposta di declinazioni meno scontate ma filologicamente inappuntabili e ad alcune creazioni più fantasiose, diventa meritevole di una menzione.

Protagonista assoluta è la combinata classica salentina, con orecchiette e maccheroni, proposti con farina Senatore Cappelli, con combinazioni di orzo, grano e con grano arso. Le Sagne ‘ncannulate e le Signorine, entrambe al ferretto, completano il cast, insieme a preparazioni meno tradizionali come gli scialatielli alle erbe e formaggio e ad altre varianti a rotazione. A corollario, una gastronomia pronta, una scelta vinicola locale piccola ma centrata e qualche prodotto completano l’offerta del locale. Una piccola bottega da visitare per i turisti in cerca di un souvenir masticabile. Ma anche per una clientela locale cui l’inesorabile scorrere del tempo sta, ahinoi, sottraendo molte mani capaci di preparare una grande pasta casalinga.

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Una rubrica su BBQ & Cocktail, in collaborazione con Bonaventura Maschio

Quarta puntata di “Cuochi alla Brace”: dopo Luigi Taglienti, è il momento dello Chef protagonista di una delle tavole più divertenti del Sud Italia, locale avviato da poco più di un anno ma già capace di sorprendere: Bros’, il ristorante di Floriano Pellegrino.

Nato nel 1990, Floriano è il maggiore di tre fratelli, e la passione per la cucina nasce in loro tra le mura dell’agriturismo di famiglia. A 18 anni inizia a lavorare con lo chef Ilario Vinciguerra, e nello stesso periodo ottiene il premio di Miglior Commis per il Bocuse D’Or. Un anno dopo approda alla corte dello chef Martin Berasategui, dove iniziano una serie di fortunate esperienze all’estero: Luis Andoni Aduriz, Eneko Atxa, Alexandre Gauthier, Rene Redzepi e il francese Claude Bosi a Londra. Nel 2016 grazie al suo ristorante Bros’ ha vinto il premio Top di Domani Touring Club e Sorpresa dell’anno di Identità Golose, oltre al premio Vent’anni di San Pellegrino e Acqua Panna.

Floriano Pellegrino, Bros, Lecce

Fin dai nostri esordi” racconta Floriano “il barbecue è qualcosa che ci appartiene. Il fuoco è un elemento endemico con il quale abbiamo preso confidenza fin da bambini: ricordo ancora le grigliate in famiglia o presso la nostra masseria, momenti di gusto e convivialità.
I numerosi viaggi all’estero se inizialmente ci hanno tenuti lontani, anche se solo per un breve periodo, da questa tecnica di cottura, ci hanno successivamente spinto a comprendere quanto bene si sposasse con l’alta cucina. Penso, ad esempio, all’esperienza da Seiji Yamamoto in Giappone o a quella in Spagna.
Impossibile non pensare, infatti, ai profumi e ai sapori che l’affumicatura rilascia a seconda dei carboni e dei vegetali utilizzati durante la combustione. Non si può neppure prescindere dalla storia: la cottura alla brace appartiene alle culture più antiche, ha resistito al trascorrere dei secoli e ad innumerevoli innovazioni in campo gastronomico. Le abbiamo solo riconosciuto il posto che meritava: abbiamo fatto un vero e proprio salto nel passato, abbiamo messo da parte la padella antiaderente per dare spazio alla brace e ai cocci di creta.

Per quanto riguarda la tipologia di bbq utilizzato, “Da Bros’ utilizziamo un barbecue stile “robatayaki”. Abbiamo scelto quindi, al posto della griglia che poco amiamo, delle stecche di ferro con le quali infilziamo ogni tipo di verdura, carne e pesce. Utilizziamo i carboni più svariati, dall’ulivo, al faggio, al ciliegio e in alcune preparazioni, per l’affumicatura, variamo tra il mirto secco, il lentisco e foglie secche di ulivo. In riferimento al piatto che vi presentiamo, il cui ingrediente principale sono le cozze, alquanto improbabili da immaginare su un barbecue, abbiamo scelto il semplice faggio.

Sempre riferendosi a “Cozze, tamarindo”, il piatto presentato, “…nasce dalla volontà di utilizzare un ingrediente tipico della nostra terra, le cozze per l’appunto. Da sempre il lavoro di Bros’ non è semplicemente orientato all’utilizzo di materie prime indissolubilmente legate al nostro territorio, ma si è spinto oltre nella ricerca. L’obiettivo che sempre ci prefiggiamo dinanzi ad un nuovo ingrediente sta, dunque, nell’individuarne il suo vero background gustativo. Ogni piatto che creiamo deve rinnovare, nella testa e nel cuore di colui che lo assaggia, un ricordo di gusto; deve consentirgli quindi di riconoscere le proprie origini e le proprie radici.
Ed ecco le cozze di Taranto, vera abitudine nelle nostre tavole, servite quasi crude, condite solo con del limone. Abbiamo cercato di creare qualcosa che potesse ricordare questo gusto così poco articolato ma deciso: contrariamente alla tradizione che richiederebbe l’apertura delle cozze “all’ampa”, come si usa dire qui da noi, le apriamo sul barbecue e sarà proprio l’affumicatura ad esaltarne la sapidità. Al termine di questo passaggio, vengono adagiate su una brunoise di sedano croccante fresco, le condiamo poi con il brodo di tamarindo, decisamente più profumato rispetto al limone, e per finire l’olio di sedano che ne completa l’intensità.

Cozze e tamarindo, Floriano Pellegrino, Bros, Lecce

Cozze, tamarindo

1kg di cozze tarantine
200g di sedano fresco
200g di foglie di sedano
250g di olio e.v.o.
90g di tamarindo
800g di acqua

Frullare le foglie di sedano con l’olio, quindi colare tramite carta. Fare poi un brodo con l’acqua e il tamarindo, infine colare. Con il sedano fresco fare una brunoise, pulendolo accuratamente dai filamenti interni ed esterni. Pulire bene le cozze dopo averle fatte depurare, ed aprirle utilizzando il barbecue. Levarle appena iniziano ad aprirsi, ed estrarre quindi le cozze dal guscio. Finire il piatto con il sedano sul fondo, copirlo con le cozze, e in ultimo aggiungere il brodo freddo con l’olio di sedano.

Cocktail in abbinamento powered by Bonaventura Maschio: Bitter Orange Fizz
2/3 di gin Barmaster
1/3 di succo di arancia amara fresco
1 dash di sciroppo semplice
Soda
Spuma di sedano

Shakerare il tutto, e in un tumbler completare con soda. Finire con una copertura di spuma di sedano. Servire spruzzando il bicchiere con acqua marina sterilizzata.