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Imàgo

Andrea Antonini un talento ormai ai vertici

Sono passati quattro anni, e in mezzo è successo di tutto, da quando il compianto Roberto Wirth decise di affidare le redini di uno dei ristoranti più affascinanti e iconici di Roma, non fosse altro per la vista unica sui tetti della Capitale, ad un ragazzo nemmeno trentenne, sconosciuto ai più, Andrea Antonini. Una scelta coraggiosa che ha pagato il suo dividendo: in quattro anni l’Imàgo è diventata una delle cucine più interessanti e stimolanti nel panorama fine dining capitolino e non solo. Una cucina che mette al suo centro italianità e, ancor più, romanità (le amate radici dello chef Antonini) riviste in tecnica e presentazione del piatto, ma sempre mantenendo la centralità dei gusti e sapori della tradizione. Importante in questo percorso l’aver saputo formare una squadra di altissimo livello, alla quale si è recentemente aggiunta la figura di Luca Villa, pasticciere con una lunga esperienza dai Roca. E non da meno la sala, coordinata da Marco Amato, che gira alla perfezione.

Una cucina rigorosamente italiana

Il nuovo menù primavera/estate esprime alla perfezione i concetti di italianità e romanità che Andrea Antonini sta sviluppando all’Imàgo. Niente fermentazioni (con l’eccezione della mela che funge da starter lievitativo in uno degli ottimi pani), niente sottovuoto, solo cotture dirette, orpelli estetici ridotti al minimo. E anche il menù si è asciugato: l’antipasto all’italiana o, ultimamente,  quello di mare che invadeva il tavolo di assaggio, ora è proposto piatto dopo piatto, a partire dall’inizio con la bottiglietta di bitter e le patatine confezionate che sono Pelle di pollo alla diavola, tutto preparato home-made, così come, quotidianamente, la magnifica Porchetta servita nel classico panino e le coppiette. Ma è con il Garofolato di manzo che si toccano i vertici: rispetto alla ricetta classica, la carne è cruda, a dare consistenza al morso, e i condimenti, a ricostruire il sapore, sono nel piatto dal soffritto alle spezie fino al fondo di carne. Un piatto emozionante così come l’unica concessione alla classicità internazionale del Raviolo di granchio con limone, mandorla e il tocco italico della pancetta. Poi, al netto di un Abbacchio, patate ed erbe che mantiene, nella sua semplicità, tutte le promesse, non si può non fare un plauso alla parte dolce finale: Rosa, panna e fragoline è un gioco (anche bellissimo) nel quale si uniscono dacquoise alla mandorla, vaniglia e meringa oltre agli interpreti principali, e senza dimenticare il ricco carrello dei dolci a cui, sia pur a fine pasto, non si può resistere.

Imàgo: un altro rapido passo verso i vertici della ristorazione capitolina e, per estensione, italiana.

IL PIATTO MIGLIORE: Crudo di manzo “garofolato”.

La Galleria Fotografica:

Continua la crescita di Andrea Antonini

Una crescita continua e a nostro avviso inarrestabile. Andrea Antonini, ne siamo convinti, non ha ancora mostrato interamente tutto il suo valore. Sta ancora prendendo le misure, sta passo dopo passo facendo crescere la sua idea di cucina all’interno di un luogo che ha giustamente tanti vincoli e deve tener conto del contesto. Ma la continua e progressiva evoluzione che sta compiendo la sua cucina la indica con il numero del menù, ad oggi l’ottavo da quando ha varcato per la prima volta la soglia di questo straordinario albergo.

Non dimentichiamoci l’età, 31 anni, e il curriculum di tutto rispetto che ha alle spalle, che bene abbiamo già raccontato qui. Queste sono condizioni necessarie ma non sufficienti per fare di un cuoco un potenziale grande cuoco. Servono anche idee, passione, tecnica… in poche parole, talento. E di talento dalle parti di Trinità dei Monti ne abbiamo trovato davvero molto.

La partenza, gli amuse bouche, così ricchi e articolati – qui si nota l’influenza del percorso spagnolo e crippiano – sono a dir poco paradigmatici di ciò che vi aspetta nel prosieguo. Una rilettura dell’italianità in cucina costruita su basi tecniche e inventive notevoli. Fine ed elegante il tagliere iniziale, apparentemente una selezione di prodotti, sì, ma che prodotti! Proporzioni e gusti concatenati perfettamente. E poi l’infilata di snack, tutti con un senso compiuto gustativamente parlando. Senza dimenticare il gioco, una componente cara al cuoco romano, che pare ancora più evidente nelle portate successive. Prugne e parmigiano nella crocchetta ? Al gusto, ad occhi chiusi, un erborinato… Qui inizia il gioco, senza terminare mai.

Nel Misto di mare un tripudio di piatti e porzioni che ironizzano sul gran misto pesce ma che al contempo fissano l’asticella del gusto e delle preparazioni molto in alto, con Alici e puntarelle, piatto caleidoscopico e delizioso nei sapori espressi. Il gioco continua con il fake risotto e la fake pasta, così soprannominati da noi perché trattasi di un risotto alla milanese eseguito al 100% con un calamaro e una splendida pasta di patate (non con patate) con zabaione salato al tartufo. Un tripudio anche la Faraona alla diavola, senza dimenticare il piatto che più ci ha colpito e intrigato: quel Carciofo e animelle che ci ha fatto intravedere le vere e reali potenzialità del cuoco. Un occhiolino strizzato appena all’umami, all’amaro, alle note tostate.

Cucina di palazzo? Cucina accomodante e confortevole? Solo all’apparenza. Il movimento sul fake, sulla trasposizione, sulla non-identificazione prosegue e proseguirà in questa direzione, crediamo con piccoli passi verso una identità ancora maggiore di gusto e intensità. Perchè i piccoli passaggi continui e costanti modificano senza apparire, rivoluzionano senza ostentare. E crediamo che nelle corde dello Chef ci sia molto di più e ancora tanto da vedere. Anche la dispersione dell’estetica di impiattamento crediamo sarà più indirizzata verso concentrazione e semplificazione, seppur apparente. Ci auguriamo che la strada verso la crescita di intensità e identità sia ancora lunga e piena di incrementi e che porti ad un cambio di colore, oggi oro ma in futuro certamente rosso, che non solo auspichiamo ma anche caldeggiamo.

Un plauso finale anche alla parte dolce, precisa come in pochi altri luoghi, e che ci ha divertito non poco.

Ad affiancare questo grande talento Marco Amato, storico padrone di casa e Alessio Bricoli, sommelier, entrambi talentuosi uomini di sala che sanno stare al passo di un cuoco di sicuro avvenire.

La galleria fotografica:

Se per la ristorazione di fascia media e l’onnipresente street food va riconosciuto a Roma un certo dinamismo, l’offerta di alta ristorazione resta abbastanza statica. I grandi ristoranti sono un pugno e sono sempre gli stessi e, tra questi, una certezza è l’Imàgo dell’Hotel Hassler.

Questo non significa che Francesco Apreda proceda col pilota automatico, tutt’altro, perché la sua cucina è sempre piena di stimoli, d’invenzioni e di riletture consapevoli e personali di cucine dei vari angoli di mondo, che ha frequentato e frequenta ancora: la Napoli delle sue origini, la Roma di oggi, l’India, il Giappone, l’America.
Di ogni posto e di ogni cucina lo chef pare aver tratto una conoscenza non superficiale, e gli va dato atto di essere capace non solo di sapercela restituire con i suoi piatti, ma di riuscire anche a mettere insieme questi elementi in una policromia davvero armoniosa.
Questo è vero sia nel menù dei suoi classici sia nel “sapori di viaggio”, che viene rinnovato spesso e contiene gli ultimi frutti di una creatività sempre vivace.

I piatti sono sempre ad alto grado di difficoltà, sia per l’uso di tecniche di cucina proprie di tradizioni distanti tra loro, sia per l’impiego di spezie che lo chef adora e seleziona con grande cura (il suo blend di pepi è una pozione magica…). La maestria si rivela nella resa, sempre capace di soddisfare anche palati meno avvezzi a queste contaminazioni.
Dell’ultima visita, ci piace ricordare (e lo abbiamo anche messo come copertina) un suo classico che ne sintetizza eloquentemente il lavoro, i vermicelli di soia al sugo di ricciola e cozze: grandissimo impatto visivo, gioco di texture seducente, matrimonio tra Napoli e Asia da antologia. Con, se si vuole essere fiscali, in nuce, anche uno dei pochi difetti di questa cucina: la tendenza, alle volte, a eccedere in sapidità.
Tutto il resto della carta o dei menu è pieno di piatti arditi, spiazzanti sin dai titoli e sempre risolti con tecnica matura in grado di renderli sensati, stimolanti, originali.
Anche la sezione dessert ha il pregio di proporre preparazioni bellissime e suggestive (il babà in sospensione al cioccolato e saké, ghiacciato alla banana, forse meno riuscito nel gusto di precedenti preparazioni di babà di Apreda, ma dall’impatto visivo davvero notevole), che rendono la chiusura del pranzo memorabile.

Servizio accogliente e molto meno paludato, per fortuna, di quello che ci si aspetterebbe in un ristorante collocato in un grand hotel storico: l’affettazione non ha posto all’ hotel Hassler, fatto a immagine e somiglianza dello straordinario Roberto. E. Wirth che lo dirige da una vita.
Una parola in chiusura per il locale: la vista sulla capitale, letteralmente dal suo centro, è impareggiabile. E se la sala è improntata a un lusso internazionale con qualche virata kitsch, il panorama vi aprirà il cuore e renderà ancor più piacevole l’esperienza.

Cappesante impanate e ripiene di mozzarella di bufala, foglie di sedano e tartufo nero.
Capesante, Imàgo, Chef Francesco Apreda, Milano

I celeberrimi e portentosi cappellotti di parmigiano in brodo freddo di tonno, doppio malto e 7 spezie.
ravioli, Imàgo, Chef Francesco Apreda, Milano

Risotto al pomo d’oro provolone e cardomomo nero.
risotto, Imàgo, Chef Francesco Apreda, Milano

Babà in sospensione al cioccolato e sake, ghiacciato alla banana.
babà, Imàgo, Chef Francesco Apreda, Milano

Francesco Apreda rappresenta una delle poche e solide certezze gastronomiche del panorama attuale della capitale.
E’ uno chef mai banale, data la sua incredibile curiosità e voglia di ricerca che lo ha portato ad approfondire diverse culture culinarie, soprattutto dell’Estremo e Medio Oriente, con cui ha avuto molti contatti nel suo incessante peregrinare. Le ha approfondite queste culture fino a padroneggiarle completamente, fondendo felicemente queste esperienze con la sua anima fortemente mediterranea in un blend unico di sapori, profumi e consistenze.
Il termine fusion, che può destare facilmente perplessità per un suo ricorrente utilizzo atto a dissimulare idee approssimate e confuse, assume qui un senso compiuto.
La sicurezza dello chef traspare anche dalla messa a punto di tecniche e accorgimenti che danno vitalità e sostanza alla sua cucina originale e davvero stimolante.
Un esempio è un piatto come lo spaghettoro al pomodoro e basilico, quasi spiazzante in una tavola del genere, sintomatico della capacità di dare sfumature diverse a ciò che appare, a prima vista, decisamente scontato. Ma la scelta dello chef è quella di esaltare il concetto di rivisitazione aggiungendo valore all’originale, non sottraendone.
Ecco allora un pomodoro San Marzano, che, frullato con aglio e aceto e successivamente filtrato, fornisce l’acqua in cui viene cotta la pasta che ne assorbe tutta l’acidità. A completare il quadro varie consistenze di diversi tipi di pomodoro che conferiscono notevole vivacità al piatto nonché una concentrazione persistente e significativa.
Sulla stessa linea concettuale si pongono i diversi modi di veicolare l’umami nei tagliolini alla seppia: nelle interiora del cefalopode mantecato col suo fegato, negli spinaci frullati con alga kombu e nell’alga nori di cui è fatta la pasta. Una serie di glutammati naturali che conferiscono sapore e leggerezza al tempo stesso.
Ogni spezia è impiegata con encomiabile accortezza, vero strumento per completare ed esaltare una pietanza, come nello splendido risotto dove una carezza soavemente piccante accompagna l’astice in modo ammirevole.
Più in generale, ogni portata è espressione di una sintesi riuscita tra grande padronanza dei fondamentali e la complementare, cosmopolita passione dello chef per le scuole gastronomiche che hanno forgiato la sua esperienza professionale: in primis il Giappone, con il suo rigore e il suo equilibrio, e l’India con ingredienti e spezie delle sue millanta cucine regionali.
Il tutto in una sala dai cui tavoli vicini alle vetrate si gode una vista spettacolare sulla città eterna e in cui il servizio, adeguato al livello del ristorante e dell’albergo che lo ospita, è piacevolmente privo di quelle ingessature formali che potrebbero facilmente alterarne la scioltezza.

Uova di quaglia in tempura su crema di peperoncino agrodolce, soia e polvere di lime, cannoli di riso con baccalà, polvere di pomodori e capperi e patè di olive nere e crema di maionese, frittelle di fiori di zucca e bianchetti polvere di curry.
appetizers, Imàgo, Chef Francesco Apreda, Roma, Hotel Hassler
Bruschetta di pane di Lariano, guacamole, pomodori, aglio nero, carpaccio di ricciola, olio extravergine liofilizzato, portulaca.
bruschetta di pane, guacamole,  Imàgo, Chef Francesco Apreda, Roma, Hotel Hassler
Selezione di pani. In evidenza il croissant al finocchio, i grissini alle noci con sesamo e la burrata con paprika dolce.
pane,  Imàgo, Chef Francesco Apreda, Roma, Hotel Hassler
Gelatina di alga Kombu, mousse di melone, crumble di taralli, peperoni allo cherry. Felice rivisitazione del prosciutto e melone.
gelato alga kombu,  Imàgo, Chef Francesco Apreda, Roma, Hotel Hassler
Terrina di foie con pistacchi e ciliegie al maraschino, betel nut (noce gommosa indiana dalle mille virtù) e galgant (spezia acida simile allo zenzero).
terrine di foie gras,  Imàgo, Chef Francesco Apreda, Roma, Hotel Hassler
Fluida di pomodoro con mozzarella, verdure in ceviche, patata viola peruviana, caviale. Piatto più leggero di quanto lascerebbe presagire la presenza della mozzarella. Caviale superfluo.
fluida di pomdooro,  Imàgo, Chef Francesco Apreda, Roma, Hotel Hassler
Tris di tartare: gobbetti su pane all’olio, scampi con carote, gamberi rossi con taccole e fresella alla soia, rinfrescante cetriolo aromatizzato al lime e pepe a mò di zenzero giapponese tra una tartare e l’altra.
tris di tartare,  Imàgo, Chef Francesco Apreda, Roma, Hotel Hassler
Tagliolini all’umami di seppia alla piastra, semi di finocchio selvatico e purea di spinaci
tagliolini all'umami,  Imàgo, Chef Francesco Apreda, Roma, Hotel Hassler
Spaghetto Verrigni, purea di pomodoro confit di tre pomodori diversi, polvere della buccia, pomini essiccati, parmigiano fluido.
spaghetto verrigini,  Imàgo, Chef Francesco Apreda, Roma, Hotel Hassler
Risotto all’astice cotto in infuso di verbena e blend di spezie Mombay dolcemente piccante.
risotto all'astice,  Imàgo, Chef Francesco Apreda, Roma, Hotel Hassler
Ravioli al vapore con coniglio e olive, asparagi e ricotta al rosmarino
raviolo di coniglio,  Imàgo, Chef Francesco Apreda, Roma, Hotel Hassler
Triglia, tartufi di mare, carbone di melanzana, spugne al prezzemolo e purea di ceci.
triglia,  Imàgo, Chef Francesco Apreda, Roma, Hotel Hassler
Vitello in casseruola al fieno, anguria piastrata, finferli e bianchetti.
vitello casseruola al fieno,  Imàgo, Chef Francesco Apreda, Roma, Hotel Hassler
Secreto (costato) di maiale, mango, miele di eucalipto, parmigianina di patate, pepe verde.
costato di maiale,  Imàgo, Chef Francesco Apreda, Roma, Hotel Hassler
“Ciliegie” con sherry e mollica di pistacchio.
ciliege con sherry,  Imàgo, Chef Francesco Apreda, Roma, Hotel Hassler
Yogurth con cioccolato bianco, frutti di bosco, crumble e caramello.
yoghurt con cioccolato,  Imàgo, Chef Francesco Apreda, Roma, Hotel Hassler
Luna (sfera di zucchero soffiato) con spuma di cheesecake al lemongrass, frutti di bosco, cupole di champagne e spumante.
sfera di zucchero soffiato,  Imàgo, Chef Francesco Apreda, Roma, Hotel Hassler
Interno…
interno,  Imàgo, Chef Francesco Apreda, Roma, Hotel Hassler
Cannoli di mango e albicocca, ghiacciato di cocco, terra chai (ispirata al tè chai fatto con tè darjelling, latte e varie spezie con cardamomo, cannella, zenzero).
cannoli di mango e albicocca,  Imàgo, Chef Francesco Apreda, Roma, Hotel Hassler
Petit fours
petit fours,  Imàgo, Chef Francesco Apreda, Roma, Hotel Hassler
Cristal
cristal,  Imàgo, Chef Francesco Apreda, Roma, Hotel Hassler
Dom
Dom perignon,  Imàgo, Chef Francesco Apreda, Roma, Hotel Hassler
Roederer rosé
roederer,  Imàgo, Chef Francesco Apreda, Roma, Hotel Hassler
Interno
 Imàgo, Chef Francesco Apreda, Roma, Hotel Hassler
Esterno lontananza
esterno,  Imàgo, Chef Francesco Apreda, Roma, Hotel Hassler
Roma…
Roma,  Imàgo, Chef Francesco Apreda, Roma, Hotel Hassler

Va preso atto che l’alta cucina nelle grandi città italiane passa sempre di più per l’hotellerie di alta gamma e che, contrariamente al passato, in molti alberghi di Roma e Milano ci sono ristoranti davvero interessanti.
In questa che è una tendenza recente, si distingue il caso di Francesco Apreda e del suo Imàgo, attivo oramai da molti anni all’interno dell’Hotel Hassler ma rarissimamente citato dalle cronache gastronomiche.
La cornice è fantastica: nel cuore di Roma e con vista, dalle sue vetrate, su tutta la città, la sala è in sé motivo di una visita. Questo che sarebbe, a tutti gli effetti, un plus, rischia però di offuscare un aspetto essenziale: all’Imàgo si mangia benissimo.
La cucina di Apreda è l’espressione matura di uno chef di grande personalità e con delle passioni forti: in particolare l’Asia, sia nella sua declinazione nipponica (Apreda ha lavorato a lungo in Giappone) sia in quella indiana (basti vedere come gli si illuminano gli occhi quando parla dei viaggi che fa da quelle parti per consulenze legate al suo lavoro). Asia che Apreda riesce a coniugare, spesso come elemento di sostegno e amplificazione, a una cucina di chiara matrice italiana e mediterranea, rispettata nei suoi dogmi ma resa moderna e stimolante.
Il tutto porta a preparazioni complesse, molto tecniche, di grande impatto visivo e, nel contempo, leggere, pulite, in cui tanti elementi eterogenei si fondono con sorprendente armonia.
Abbiamo spaziato tra classici e novità, nelle preparazioni di carni e pesci e nei dolci, trovando una cucina davvero riconoscibilissima e, che bello, senza una caduta.
Molte, anzi, le vette: splendidi tutti e tre i primi, dal risotto, ai capellini, alla pasta ripiena; molto buoni i piatti di pesce ed eccellenti le preparazioni di carne; dessert di grande tecnica e pieni di suggestioni, visive e di memoria gustativa.
Dovendo proprio scegliere un emblema, pescheremmo quello che è giustamente già un classico della maison: Cappellotti di parmigiano in brodo freddo di tonno, doppio malto e 7 spezie.
Solo a leggere il titolo tremano i polsi e invece si tratta di una preparazione esemplare: tutt’altro che accomodante, l’umami spinto del ripieno di parmigiano si abbina a un brodo di strabiliante complessità gustativa, ma rinfrescante. Sapidità spintissima, ma mai sgradevole e un matrimonio improbabile tra Italia e Giappone si celebra tra gli applausi. Altro che “cucina d’albergo”, intesa come tranquillizzanti preparazioni per ottuagenari benestanti, qui c’è personalità da vendere.

La carta dei vini permette di accompagnare la cena ai prezzi che ci si può aspettare in un locale della categoria (anche se non mancano bottiglie molto sotto le tre cifre). Interessante la selezione di bollicine italiche e francesi. Se dovessimo dare un consiglio (a questi livelli l’obiettivo è il cielo), ci piacerebbe vedere più ricerca di “chicche” e meno soliti nomi (ad esempio, oltralpe, nelle selezioni di Loira e Alsazia, regioni che possono proporre abbinamenti eccellenti con questa cucina).
Il servizio va segnalato per la capacità di dare calore alla professionalità: siete in un posto di lusso ma non ci sono affettazione né rigidità, una sensazione che all’Hassler proverete ovunque (compreso l’ottimo cocktail bar) e che è la cifra impressa dalla straordinaria direzione di Roberto E. Wirth, da oltre trent’anni al comando di questo hotel di culto.
Rapida conclusione: una meta obbligatoria.

In apertura: risotto allo spumante e blend di pepe e sesamo, caciotta e aceto balsamico. Un risotto memorabile.

Ottimi amuse-bouche

Terrina di foie gras con sgombro, miso e spezie. Coefficiente di difficoltà altissimo, abbinamento assai ardito. Risultato finale notevole

Tartare di gobbetti, pane, olio e cedro. Fine e rinfrescante, sarebbe perfetto se la proporzione fra tartare e elementi freschi fosse un po’ più spinta in favore dei secondi

Carpaccio di capesante, bacon, sale alla vaniglia. Più scolastico, ma comunque ben riuscito

Capesante impanate, ripiene di mozzarelle di bufala, foglia di sedano e tartufo. Il piatto più debole, anche se l’idea del sedano tiene tutto insieme

Cappellotti di parmigiano in brodo freddo di tonno, doppio malto e spezie. Già detto, una gran riuscita.

Capellini aglio, olio e peperoncino, anguilla affumicata e polvere di cacao. Un altro piatto di grande scuola. Splendida l’armonia tra i due mondi, impagabile la capacità di unire finezza e gourmandise.

Filetto di spigola alla Marinara fragrante, crescione e tataki di melanzana.

Grigliata di sciabola e gamberi rossi al balsamico, patate e asparagella. Come ingentilire i sapori delle grigliate estive. Tecnica spintissima.

Merluzzo carbonaro glassato al saké, verdurine in campo viola.

Piccione arrostito al tè nero e sherry, zolfini e porri strinati. La foto un po’ scura non rende giustizia a un piatto bello e buono in pari misura

Petto d’anatra in stile tandoori, lattughina e albicocche al vino. Passaggio in India, altro pezzo di bravura.

Agnello da latte alla brace di semi di coriandolo, fave e purea di pomodoro. Una delle vette della cena e un altro abbinamento oriente-occidente da applauso

Scenografica versione del babà, qui anche i dessert sono di livello.

Ricordo di uovo allo zabaione, granita di orzata alla crema di caffé. Piatto della memoria, tra le domeniche campane e le mattinate di vacanza nel salento. Regressivo e tecnico insieme.

Le bottiglie che ci hanno accompagnato durante la serata:


Il cocktail bar al piano terra, per iniziare con un Americano, se amate il genere, di rara bontà.