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Barone Pizzini

Bagnadore Rosé 2011

Una Denominazione in grado di offrire, da sempre, vini di estrema eleganza, frutto, solarità. E un produttore, Barone Pizzini, baluardo della viticoltura biologica in Franciacorta: “Meno cemento, più vigneti” è il motto di questa storica azienda a cui va riconosciuto il merito, mentre una gran parte del mondo vitivinicolo solo negli ultimi anni ha perseguito un approccio più sostenibile, di avere portato la Barone Pizzini a essere la prima cantina a produrre un Franciacorta biologico, nel 1998. Oggi, più di due terzi della Franciacorta sono in conversione Bio.

Un uomo, Silvano Brescianini, da sempre sensibile alla necessità di una viticoltura attenta, rispettosa del territorio, intelligente. Un percorso iniziato nel 1997 quando la Barone Pizzini mette in discussione il modello convenzionale e inizia, così, le prove in biologico con una prima vigna; fase conclusasi solo nel 2001 quando ottiene la certificazione di tutti i vigneti e, nel 2004, quando vede la luce il primo Franciacorta Bio. Franciacorta, quelli di Barone Pizzini, raffinati, eleganti, luminosi, stilisticamente ineccepibili, senza per questo rinunciare ai caratteri distintivi del luogo di appartenenza. Vini trasparenti, puri, in cui lampeggia il frutto, il sale e dove si intrecciano complessità, densità, levità. E classe.

Caratteristiche che ritroviamo anche nel nuovo nato di casa Barone Pizzini, il Bagnadore Franciacorta Riserva Rosé. 100% Pinot Nero frutto di selezioni da clone tedesco Spätburgunder che si sono adattate nei decenni ai suoli e al clima di Roccolo e Gremoni, nel comune di Provaglio d’Iseo, dove si trova l’azienda. Qui sublimazione di quella splendida annata che in Franciacorta è stata la 2011: “la 2011 è la migliore vendemmia da quando è iniziata la mia avventura nel mondo del vino nel 1994, ma non sono l’unico ad avere questa convinzione” afferma Silvano Brescianini “la primavera è stata più calda rispetto alla media storica del periodo mentre l’estate è stata fresca e piovosa e ha garantito un’ideale alternanza fra temperature calde durante il giorno e fresche durante la notte. Una maturazione lenta, accompagnata da temperature miti e buone escursioni termiche giornaliere, favorevoli alla sintesi e all’accumulo dei precursori dei composti aromatici si sono rivelate un ottimo presupposto per ‘ottenimento di vini di eccellente qualità̀. Anche la composizione acidica e la concentrazione del prodotto hanno registrato condizioni ideali e hanno conferito all’annata prerogative di speciale pregio, con un grande equilibrio di profumi e dall’aroma intenso”. Viene attribuita, dal Consorzio Franciacorta, la medesima qualità dell’annata 2011 ad altre pochissime vendemmie negli ultimi 30 anni: la 1995, la 1997 e la 2005.

La degustazione

Presentato in anteprima al Ristorante Dal Pescatore a Canneto sull’Oglio, tempio della storica famiglia Santini, il Bagnadore Franciacorta Riserva Rosé 2011 si presenta con una veste magnetica, regale e invitante nel suo colore salmone dai riflessi corallo. È brillante, maestoso, dagli intensi e incisivi profumi floreali e minerali (grafite), agrumi rossi e ribes, spezie e balsami, suggestioni che inebriano e che ritornano in un sorso dal nobile portamento gustativo e dalla sapidità solida, rocciosa, ampia, nonché dalla freschezza infiltrante, perentoria. Un rosé di vitalità, e persistenza, infinite, che porta in dote armonia, energia. E che saprà crescere ancora. Dopo una pressatura soffice delle uve e la macerazione a freddo degli acini interi, avviene il frazionamento del mosto e quindi la fermentazione in barrique, dove sosta per otto mesi. Infine, ben 13 anni di affinamento sui lieviti e nessuna aggiunta di dosaggio. Bagnadore Franciacorta Riserva Rosé 2011 è stato prodotto in 3500 bottiglie e la prossima edizione prodotta sarà l’annata 2020.

Una piccola realtà nel cuore della Franciacorta

Nel cuore della Franciacorta, a Rovato, c’è un interessante indirizzo aperto qualche anno fa da tre giovani imprenditori: Al Malò, che propone una cucina ricca di spunti interessanti capace di attirare sia clientela locale sia gourmand di passaggio. Ai fornelli c’è Mauro Zacchetti: uno dei proprietari oltre che Chef dal lungo curriculum, appassionato d’oriente dove ha trascorso, a Hong Kong, alcuni anni della sua vita. Di questo emisfero ritroviamo nei suoi piatti soprattutto le tecniche di preparazione e cottura e l’uso di alcuni ingredienti. La proposta prevede dei percorsi degustazione e una carta delle vivande che non tiene conto delle classificazioni convenzionali ma divide le pietanze in base all’ingrediente principale; si può poi scegliere tra la porzione intera o la mezza.

Cucina locale che strizza l’occhio all’Oriente

Fresca, quasi balsamica, la Tartare di barbabietola cotta sulle braci esauste per una notte intera e servita con un olio al lentisco e nocciole: un piatto tutto vegetale che gioca sulle consistenze ed esalta la qualità del tubero. I Bottoni al vapore sono invece realizzati con una tecnica orientale che permette la realizzazione di una sfoglia eterea di acqua e farina, particolarmente adatta a raccogliere un cuore di aglio, olio e peperoncino. Piatto, quest’ultimo, ispirato a uno dei classici di Andrea Berton (col quale Zacchetti ha collaborato all’inizio del suo percorso professionale), e impreziosito da una maionese all’acqua di polpo dal sapore intenso ma non invasiva. Un gusto decisamente più rotondo per la Pasta con vongole e burro dove la nota iodata è accentuata dalla spuma di alghe e dalla salicornia. Ci si avvicina alla tradizione con la Millefoglie di lingua, piatto in carta sin dall’apertura, abbinata all’indivia in agrodolce con, di fianco, un eccellente assaggio, dei Cappelletti ripieni di stracotto di lingua con consommé al lemongrass.

La sala è sotto la guida dell’istrionico Ludovico Calabria, l’altro bravissimo padrone di casa che si occupa anche dei drink del lounge bar al primo piano del palazzo, dove si può sostare per un aperitivo o un dopocena. Sorprendente e personale la carta dei vini, con un gran focus sulle bollicine sia italiane sia estere, a cura del bravissimo Enrico Teli. Al Malò è una realtà giovane, in cui si sta bene grazie a un servizio di sala attento e appassionato e con una cucina stimolante, che a nostro avviso ha ampie potenzialità di crescita.

IL PIATTO MIGLIORE: Barbabietola al BBQ, nocciole, olio alle erbe, aceto di riso, fumo.

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Le Vedute

Si è soliti affermare che il talento di un vignaiolo si misuri soprattutto dal valore dei suoi vini di ingresso, prodotti più confidenziali, ecumenici, meno esclusivi rispetto alle selezioni di maggior prestigio. E nel caso de Le Vedute, piccola cantina inerpicata sulle pendici del Monte Orfano con 7 ettari distribuiti in diversi comuni del territorio franciacortino, questa affermazione possiede certamente un fondo di verità: Andrea Gozzini e Graziano Manenti hanno, infatti, meritato sin dall’esordio di essere inseriti nel novero dei Vigneron franciacortini più virtuosi, visto l’alto livello qualitativo delle loro cuvée: il Brut, il Dosaggio Zero, il Saten e il Rosé. Tuttavia, a lasciare davvero il segno oggi è la loro Riserva ‘Capitolo I’. Attesa con grande interesse, almeno dalla sottoscritta, Capitolo I – qui nel millesimo 2015 – rappresenta per Andrea e Graziano un importante traguardo: la conferma che i loro vini portino in dote, oltre a purezza, integrità di frutto e riconoscibilità territoriale, anche e soprattutto enorme potere evolutivo.

‘Capitolo I’ è composto da uve Chardonnay, ha trascorso 7 anni sui lieviti e non è dosato. Una Riserva che riesce a coniugare con la stessa disinvoltura suadenza e austerità, sapore e ritmo, complessità e facilità di beva, immediatezza e profondità. Un olfatto che incanta per l’austera raffinatezza, per le sue le note di fiori, nocciole, oli essenziali di agrumi, idrocarburi e grafite che sfumano, con l’ossigeno, su balsami e resine, a preludio di un’evoluzione che si profila già straordinaria. Una bocca avvolgente, risoluta nella sua forza minerale, dinamica e slanciata grazie a un’acidità perfettamente fusa in una materia prima di grande valore; per un finale dall’importante accelerazione salina e con una persistenza da fuoriclasse. Un vino aitante, che a tavola non teme le complessità, e la struttura, dei piatti più importanti.

Graziano Manenti e Andrea Gozzini sono due amici, entrambi laureati in Viticoltura ed Enologia all’Università di Milano, dalla solida esperienza nel mondo del vino e che fanno di un sogno quella che oggi è la loro piccola ma ormai solida realtà: una proprietà che si estende su 7 ettari di vigneti (ripartiti tra 4,3 ettari a Chardonnay, 2,1 a Pinot Nero, 20 are a Pinot Bianco e mezzo ettaro riservato alla Denominazione Curtefranca Rosso), tutti in conversione al biologico e distribuiti in diversi comuni del territorio franciacortino, in modo da coglierne le varie sfaccettature e i cambiamenti, in base alle annate. Vini identitari, quelli di Le Vedute, capaci di esprimere la sensibilità di un terroir e di coniugare, nella stessa cuvée personalità, purezza e classe. Vini dalla tempra nordica mitigati da calore esotico, dai profumi di agrumi e ananas che si miscelano alla roccia e alla grafite, corroborati da un’incisiva nota acido- salina, Infine, vini dalle chiusure succosissime, in grado di dare vita a persistenze sfaccettate e interminabili. Uno stile che alla raffinatezza contrappone facilità di approccio, purezza aromatica e grinta sapido-minerale; difficile rimanere indifferenti.

A Brione, una trattoria unica

A pochi minuti da Brescia, dopo una bella serie di tornanti a gomito, si arriva a Brione, e quindi al parcheggio sterrato situato di fronte al pergolato della trattoria sita all’inizio del paese. Basta volgere il capo a destra per ammirare il panorama che si estende sul Franciacorta. Varcata la soglia de La Madia si entra nella “tana del Bianconiglio”: grossi vasi di vetro sulla sinistra colmi di fermentati, licheni, essiccazioni, manca solo la scritta eat me o drink me come nella favola di Lewis Carrol, per sentirsi come Alice. L’interno è una commistione di antico e moderno, il legno e i colori caldi, tavoli lucidi, variopinti e senza tovaglia. Le pareti sono cariche di storia, foto, attrezzi, scritte, immagini, riempiono l’ambiente senza soffocare. Per scelta dello Chef il menù alla carta de La Madia è sparito, lasciando spazio a due proposte, una da 7 portate (45€) e l’altra da 10 (55€), rapporto qualità prezzo fantastico. La carta dei vini è moderna e varia, con un’ampia scelta di vini naturali, biologici e biodinamici. Un foglietto a parte presenta gli aperitivi, 8 cocktail inusuali con kombucha, sürlo (bitter naturale), verbena, tra i tanti abbinamenti.

Una cucina identitaria

La cucina di Michele Valotti, qui, è fortemente identitaria. L’utilizzo dei fermentati, le tecniche utilizzate, la materia prima, sono il linguaggio della sua voglia di fare “a modo suo”. La partenza è una dichiarazione d’intenti, Rapanello fermentato e Pastrami d’agnello con salsa bbq, aprono le danze e le porte della percezione. Un misto di acido e amaro che picchia e si dissolve spiazzando, per poi virare verso l’affumicatura dell’agnello e la salsa in accompagnamento. Prosegue il servizio con gli antipasti. Il Fico brutalista è un esercizio di stile, olio dalle foglie, pelli essiccate e polverizzate, gelato col frutto e frutti acerbi fermentati. Acidità e dolcezza a braccetto. Cavolo cappuccio, tartufo, è un gioco di consistenze piacevoli, mentre kombucha alla fragola in marinatura e tartufo creano un piacevole contrasto. Fagioli e melone ti stende con un uppercut: il piacevole “fastidio” di un piatto della memoria, come una pasta e fagioli che si evolve in bocca grazie all’acidità del melone e la grassezza dell’olio al prezzemolo. Lisergico. Il Risotto ai funghi e rape è mantecato con un burro affumicato alla pigna, e cosparso di garum essiccato di funghi polverizzato al posto della spolverata di parmigiano, umami e profumo intenso e gradevole: il palato, che sta facendo i salti mortali, non è aggredito.

All’aggressione ci penseranno i Cappelletti al pomodoro verde e gli Gnocchi di ricotta e radici che, come i fagioli di cui sopra, richiamano alla mente un primo domenicale della nonna, peccato che la nonna sia Norman Bates col coltellaccio. Il primo servito con brodo di giuggiole è difficile, graffiante, il sollievo arriva nell’abbinata con un infuso di menta che è caldo ma rinfresca e rimette in gioco le papille e le porta allo gnocco alle radici. Inizio tannico astringente, poi l’amarezza del tarassaco, gli isotocianati del rafano, competono con la dolce grassezza dello gnocco che cerca di riportarti a terra. Major Tom to ground control. I secondi sono tre: Pecora in brodo e corniole, cervo all’uva e ganasìt di maiale e tè rosso. La pecora è sorprendente, la carne tenerissima e il corniolo si sposa benissimo. Piatto iconico. La cottura del cervo e l’uva acerba fermentata è molto più a fuoco della salsa che li accompagna, e la guancia di maiale è ben fatta e piacevole ma a questo punto della cena lo stomaco è davvero pieno, le porzioni sono per tutti i passaggi molto generose. Pre-dessert e dessert: Sorbetto al limone e shiso e cialde di cannolo con gelato alla ricotta e polvere di ghianda. Dolce brezza fresca che fa il suo dovere senza spettinare.

Il servizio è informale e puntualmente pronto alla spiegazione dei piatti, e delle tecniche utilizzate. Ottime soluzioni alternative al vino in accompagnamento, fanno salire ulteriormente il piacere della cena.

A fine pasto viene data una busta contenente il manifesto ideologico della trattoria La Madia ed è con l’ultima frase che lo Chef scrive che concludiamo la nostra recensione: “Un piatto non si giudica solo dalla sua bontà, ma anche dalla storia che ci racconta, facciamo sì che questa storia sia fatta di emozioni e non di standard, che sia fatta di diversità, inevitabile come il mutare del tempo, che sia una storia rispettosa, della natura e del nostro essere uomini.”

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La punta di diamante della produzione dei Franciacorta Le Marchesine

Le Marchesine, azienda familiare giunta alla sua quinta generazione, produce in 47 ettari non distanti dal Lago d’Iseo circa 450 mila bottiglie l’anno, confermandosi tra i leader nella produzione di Franciacorta DOCG. La famiglia Biatta che la conduce, attiva nel settore vitivinicolo da oltre 110 anni, produce con continuità vini eleganti, freschi, piacevoli ed immediati alla beva, di grande pulizia e precisione, rispettando la materia prima e il territorio, sfruttando le moderne tecnologie di cui si avvale apportate da Jean Pierre Valade, enologo e membro dell’Istituto Enologico di Champagne. Con l’obiettivo di migliorare costantemente la produzione, puntando alla migliore eccellenza possibile, l’azienda ha deciso di ampliare la propria cantina – i lavori dovrebbero terminare entro un anno – triplicando gli spazi a disposizione per renderla un vero e proprio punto di riferimento per l’intera Franciacorta e non solo.

La produzione di Le Marchesine si suddivide ad oggi in diverse linee: Secolo Novo (Brut Millesimato, Riserva Brut Nature Giovanni Biatta, Riserva Dosage Zéro), Millesimati (Satèn Brigantia, Rosé Artio, Blanc de noir Nodens, Blanc de blancs Esus) e Classici (Brut Nitens, Dosaggio Zero Audens). A fianco ci sono poi gli Opera (spumanti metodo classico VSQ), i Curtefranca e le Grappe. Infin

Secolo Nuovo, tre gioielli di pazienza e dedizione

La trilogia, formata dal pluripremiato Secolo Novo Brut Millesimato 2012,  dal Secolo Novo Riserva Dosage Zéro 2012 e dal Secolo Novo Brut Nature Giovanni Biatta 2009, si può definire la punta di diamante de Le Marchesine. Tre autentici gioielli di pazienza e dedizione, vinificati soltanto nelle grandi annate, con lieviti selezionati che ne segnano il carattere inconfondibile. Le uve impiegate nella loro produzione provengono dalla collina La Santissima, ad un’altitudine di 270 metri, una delle zone più pregiate per le uve del Franciacorta caratterizzata da un terreno calcareo, ferroso e con presenza di marna bianca e rosa con un microclima unico a cui contribuiscono i venti che, dalle vicine Alpi, soffiano verso sud. Il processo di vinificazione prevede una pressatura molto lenta e soffice dei grappoli interi per il Brut e per il Dosage Zéro e una pressatura naturale delle uve (a pressione zero, nota anche come autopressurage) per il Nature Giovanni Biatta. La maturazione avviene in vasche di acciaio inox prima del passaggio in bottiglia per la presa di spuma.

Secolo Novo Brut Millesimato 2012

È un vino che ha sostato sui lieviti per 54 mesi e si presenta nel bicchiere giallo paglierino con riflessi verdognoli, con bollicine fitte, fini e continue. Il naso è espressivo e ampio con note fruttate di polpa di pera e cedro candito e floreali di sambuco e miele di tiglio, insieme a marzapane e spezie dolci. In bocca il vino è rotondo e cremoso all’attacco reso snello da una fresca acidità e dotato di una sapidità che allunga il sorso. Un vino di grande persistenza aromatica con retrogusto leggermente amaricante di canfora, selce e mandorla. Voto 93/100

Secolo Novo Riserva 2012 Dosage Zéro

È un vino che ha sostato sui lieviti per 54 mesi. Ha un colore giallo paglierino brillante con riflessi verdognoli. Al naso si colgono note balsamiche di finocchietto e anice stellato, floreali di lavanda e biancospino e fruttate di melone, mela e pera con sfumature di scorza di pompelmo e pepe bianco. E poi nocciole e mandorle tostate, ghiaia bagnata e una sensazione di fumo. In bocca il vino ha un’effervescenza fine e cremosa e un acidità fresca che insieme alla sapidità rende il vino teso e vibrante. Il finale è lungo con un retrogusto speziato e leggermente piccante. Sicuramente un vino a cui un po’ di permanenza in bottiglia farà bene. Voto 91/100

Secolo Novo Brut Nature Riserva 2009 Giovanni Biatta

È un vino che ha sostato sui lieviti per oltre 70 mesi e si presenta giallo paglierino brillante con riflessi dorati. Trasmette al naso invitanti toni fruttati di pesca, ananas e susina, seguiti da un’intensa rosa gialla, lavanda, miele, pasticceria secca e cardamomo. In bocca il vino è strutturato e nello stesso tempo elegante. Il palato è ricco, dall’avvolgente chiusura amaricante e con una lunga persistenza. Voto 92/100