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Venissa

Un’esperienza che riconcilia con la vita

In una piccola oasi lontano da tutto e da tutti, un vero e proprio paradiso in miniatura posto sull’isola di Mazzorbo, nel cuore della laguna veneta e più specificamente della “Venezia nativa” (come si definisce l’agglomerato delle isole di Burano, Torcello e, appunto, Mazzorbo), è possibile regalarsi un’esperienza gastronomica di quelle che riconciliano con la vita. Nel vero e proprio hortus conclusus messo sei anni fa dalla famiglia Bisol a disposizione di Chiara Pavan e Francesco Brutto, quest’ultimo in pianta stabile al Venissa dopo l’esperienza dell’Undicesimo Vineria a Treviso che lo vedeva alternarsi tra i due indirizzi, il contratto tra rispetto per l’ambiente e armonia con la natura circostante viene sublimato dall’utilizzo compiuto del mondo vegetale che funge da passepartout di un’idea di cucina semplice (apparentemente), elegante e diretta.

Se lo stile dell’Undicesimo Vineria si esprimeva attraverso timbri amari ed acidità spinte con strappi che ne rappresentavano caratteristica essenziale, qui, insieme a Chiara Pavan, si percorre una strada decisamente più equilibrata e armoniosa dove fermentazioni, estrazioni e cotture millimetriche esaltano una materia prima che letteralmente circonda il ristorante nella sua interezza garantendone, per quanto riguarda gli approvvigionamenti, un’autonomia prossima alla totalità oltre che una gamma di potenzialità espressive davvero notevole.

Dichiarazione di intenti

I piatti che si succedono nel menù degustazione, presente nelle varianti di 5-7-9 portate, sembrano quasi una dichiarazione di intenti di questa filosofia dettata da una natura che i due bravissimi Chef intercettano seguendone la stagionalità e traducendola in preparazioni che la celebrano degnamente. Un lactokoji di pinoli accompagna felicemente, ad esempio, una delicata Insalata di ravioli di burro di artemisia cui le erbe aromatiche donano ricchezza e complessità in un piatto-compendio essendoci fattura, nuance selvatiche e idee.

Squisito, e goloso, il Toast di granchio blu nappato da una maionese delle proprie teste davvero comme il faut e, per quanto riguarda le cotture, la gola di gallinella alla brace con la vescica natatoria brasata sono lì a dimostrarne la completa padronanza. Non manca un tuffo nel passato con gli iconici Tortellini ripieni di tamarindo, doppia panna e bitter di angostura a testimoniare i fasti del passato e sancire al contempo ulteriore demarcazione con lo stile attuale.

Non potrà mancare, a fine pasto, una passeggiata nella silenziosa quiete del piccolo Resort che circonda il ristorante, e nella quasi fiabesca Mazzorbo, a terminare una giornata che definire gratificante sarebbe alquanto riduttivo.

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A tavola nella Venezia nativa

Una costellazione di 62 isole compone l’arcipelago della Laguna più famosa del mondo: oltre a Venezia, Santa Cristina, Sant’Erasmo, Mazzorbo, Torcello, San Michele, ciascuna con la sua anima, ciascuna con la sua storia. Mazzorbo è legata a Burano da un ponticello, lo stesso percorso in passato da chef del calibro di Paola Budel e Antonia Klugmann. Un gineceo culminato, e forse anche superato, da Chiara Pavan che, qui, officia oggi con la complicità, nella vita come dietro ai fornelli, di Francesco Brutto.

Sorprendente la sinergia che lei prima e, poi, la combo dei due ha instaurato con Matteo Bisol, tenutario non solo del progetto fisico ma anche di quella visione di recupero di una Venezia nativa che qui si ritrova già nel nome, Venissa, oppure Venisia o Venusia, come canta il poeta Andrea Zanzotto. E che si concretizza nel coinvolgimento attivo degli abitanti dell’isola, che nei ventimila metri quadri del parco agricolo cinto ancora dal muretto medioevale – clos, per gli amici –  vantano orti dove, oltre alle coltivazioni, crescono spontanee tutte le erbe della laguna: salicornia, salsola soda, santonico, erba stella e così via.

Etica ed estetica in cucina

Un progetto di spessore e non solo, a tavola come anche nella vita, considerando che la sua madrina vanta trascorsi accademici in filosofia, indirizzo estetico. E proprio questo impianto, che non è solo dunque etico ma anche profondamente estetico, è alla base di una filosofia che sarebbe piaciuta a Gualtiero Marchesi e non solo per l’encomiastico spaghetto all’oro, ma anche per il suo legame viscerale col territorio, lui che presagiva un futuro culinario in cui l’effetto campanilistico della cucina italiana si sarebbe moltiplicato fino a trasformare il chilometro in metro zero.

Il menu è, quindi, quanto di più mutevole si possa immaginare, cambia quotidianamente e quotidianamente mette alla prova i suoi interpreti, chiamati a misurarsi con la fluidità di gradienti che investono non solo le componenti organolettiche degli alimenti ma anche i loro cromatismi: ed ecco che tutto è verde, in questo preciso momento dell’anno, e verde è anche lo spirito che anima ogni piatto abitato da una superba immediatezza di gusto che sa, però, anche prendere una traiettoria ascensionale e  incalzante nel corso dell’intero menù.

Ove spiccano ravioli di artemisia, con miso di pinoli ed erbe, dove il  carboidrato lascia al vegetale il ruolo del protagonista, o i mitici (nel senso di mitologici) spaghetti all’oro, intinti nel succo della Dorona acerba, varietà autoctona dell’arcipelago della Venezia nativa.

Un leitmotiv assai lieto e fecondo, questo della Venezia nativa, e tutto avvitato intorno ai frutti di Mazzorbo che si corona in un gioco finale – il ghiacciolo di Dorona acerba e liquirizia – vessillo di un palato tanto sensibile quanto peculiare: che non ha bisogno dei fuochi d’artificio per stupire.

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Brilla sempre di più l’astro della ristorazione di Treviso e Provincia

Iniziamo con le novità: Francesco Brutto e il suo sodale, il sommelier Regis Ramon Freitas, hanno ampliato il proprio ristorante, Undicesimo Vineria, aumentando i coperti e predisponendo, convertendola al bisogno a coperti aggiuntivi, una sala in passato destinata a degustazioni o esposizioni di prodotti. E ciò è davvero curioso, perché la cucina, storicamente sottodimensionata in rapporto ai tavoli, ora lo è ancor di più, eppure nonostante tale aumento di coperti tutto gira come deve.

A cominciare proprio dall’opera sapiente svolta da Regis in sala, uno dei più “virtuosi” maitre/sommelier che ci sia capitato di apprezzare. Regis scova e suggerisce sempre l’abbinamento perfetto, fa scoprire al cliente vini mai scontati, anzi sorprendenti e interessanti. Insomma, dimostra e sa trasmettere passione e conoscenza; nel suo caso, entrambe fuori dall’ordinario. L’abbinamento al calice qui è letteralmente parte del menu degustazione. Più che un accompagnamento, è realmente il suo completamento ideale.

E in cucina si suona lo swing

La cucina di Francesco Brutto è schietta, selvaggia, a tratti brutale, sebbene mai troppo esagerata, mai “oltre”, soprattutto se si arriva preparati. E’ una cucina fatta di tanto talento e improvvisazione, prima ancora che di tecnica. Una immediata e profonda esecuzione jazz, più che un brano di musica classica. Tuttavia, i piatti di Francesco Brutto esprimono uno stile tanto estroso ed egocentrico che il risultato finale può apparire senza capo né coda, soprattutto a coloro che non conoscono il passato e i trascorsi dello chef, e pertanto faticano non poco a contestualizzare la sua cucina. Un po’ come ascoltare per la prima volta un disco di John Coltrane, intuendone il talento, se non addirittura il genio, ma senza riuscire ancora ad inquadrarlo in una precisa prospettiva.

E allora ripassiamo i suoi migliori “brani”. I Tortellini di tamarindo fermentato, doppia panna e angostura e ancora gli Spaghetti, cervello e uova di aringa affumicata, oltre ai Capelli d’angelo, pinoli e pino marittimo, un terzetto di primi strabiliante, di rara precisione, profondità e definizione. Eccellenti sono anche il Rognone e tandoori (un piatto davvero wild, dall’idea e dal risultato tanto primitivi quanto interessanti) e la Verza, fondo di verdure, mandorla e timo, estremamente romitiano nel concetto.

Un ulteriore plus come già detto per l’abbinamento al calice, eseguito singolarmente su ogni portata, con ogni calice perfettamente compiuto, in grado di valorizzare il piatto. Davvero un risultato degno di applausi.

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Una fontana centellina le gocce in un angolo buio della città, mentre i passi sporadici dei passanti accompagnano lo scorrere di una serata apparentemente semplice come molte altre. Tra vicoletti stretti e grandi piazze che si aprono improvvisamente, Treviso si concede a cittadini e visitatori con un fare malinconico e rassegnato.

Eppure, anche il cuore di una roccaforte serafica può essere scalfito dall’irriverenza di un eroe, nel caso specifico sotto sembianze di cuoco, che porta il nome di Francesco Brutto.
Carattere istintivo, dai tratti anarchici di chi vuole raggiungere un obiettivo nella maniera più esplicita e diretta possibile. Senza curarsi della cornice raffinata che lo circonda, fa immergere il cliente in un’atmosfera cruenta e accelerata, a tratti spiazzante.

All’interno di una ex vineria, oggi riabilitata a ristorante, il copione viene recitato alla perfezione e variato di giorno in giorno.

La luce che avvolge ogni singolo tavolo, isolandolo idealmente dal resto del locale, aiuta a contestualizzarsi intimamente con quanto sta per accadere. Le pareti foderate con casse di vino ovattano l’ambiente, mentre Regis Ramos, esemplare maestro di sala, introduce con grazia e delicatezza alla serata. La porta della cucina oscilla, si intravvede il cuoco al lavoro, saltellante ed entusiasta. Una musica contorcente è la perfetta colonna sonora di un’opera vibrante e violenta, dai toni umoristici marcatamente macabri, che fa dell’esecuzione brutale una forma didattica dalla quale attingere e rimanere sbalorditi.

A metà tra una formazione culinaria pariniana e una cinefila tarantinina, il percorso emozionale non subisce alcuna evoluzione all’interno del suo essere, dimostrandosi fin da subito di cristallina purezza. Un profluvio di assaggi estremizzati da accostamenti inconsueti, che non trovano riferimento alcuno nei manuali di gastronomia, che riescono grazie ad una adorabile sfacciataggine a mettere in discussione quanto fino ad allora assaggiato, senza perdere di vista la meta da raggiungere, ovvero l’appagamento sensoriale completo.
Certo, ad Undicesimo Vineria, non si andrà incontro ad una cena facile da assimilare, né sotto il punto di vista palatale né tanto meno sotto quello psichico. La tecnica e l’efficacia con cui Brutto tratta gli elementi nel piatto si contestualizza con quanto letto sul menù, di esemplare reinterpretazione marchesiana.
Italia, Giappone, Danimarca, Spagna, Marte e Saturno. Queste le mete gastronomiche dalle quali il cuoco attinge, senza porsi ostacoli, o forse ponendoseli volontariamente alla ricerca di una forma di sadico stimolo autolesionistico. Un tour de force che trova il suo apice nel piatto “rapa rossa, sangue al camino, rose e chiodo di garofano” che si poggia su un improbabile equilibrio, tra i ricordi ferreo-terrosi e aromaticità invernali, grazie alla consistenza che accompagna la degustazione, morbida e suadente.
Gli appetizer non sono da meno, in un evidente omaggio trionfale al maestro di Torriana. Erbe aromatiche, verdure personalmente coltivate e raccolte, formaggi e salumi affinati e stagionati in casa. Una filosofia di una semplicità primordiale entusiasmante, riletta in chiave moderna sotto sembianze hardcore. Il risultato è sorprendente, forse non sempre del tutto comprensibile ma sicuramente incisivo.

La carta dei vini non banale propone, grazie alla professionalità di Regis, abbinamenti al calice emozionanti, che accompagnano, alleggeriscono e smorzano i colpi di mortaio sparati da Brutto, rendendo il tutto paradossalmente armonioso.

Gli appetizer. Frittata di Anguilla e sedano citrino; taco di mandorle, mandarino e origano; cavolo viola soffiato e fegato di ricciola; cono di parmigiano e polipodio; bietola e imperatoria fermentate e mela verde; cagliata di cardi e olive verdi.
appetizer, Undicesimo Vineria, Chef Francesco Brutto, Treviso
Il pane.
pane, Undicesimo Vineria, Chef Francesco Brutto, Treviso
Burro acido e dragoncello.
burro acido, Undicesimo Vineria, Chef Francesco Brutto, Treviso
Ostrica e ortensia. Grande rincorsa alternata di sentori iodati ed amaricanti. Prima freccia scoccata e primo bersaglio colpito in pieno.
ostrica, Undicesimo Vineria, Chef Francesco Brutto, Treviso
Canocchia, semi di girasole, pistacchi, kombu, crescione di fontana e foglie di chulo.
Canocchia, Undicesimo Vineria, Chef Francesco Brutto, Treviso
“Fugu” (pesce gatto crudo, yuzu, nanami togarashi). Sarcastico omaggio al sol levante in cui emerge una materia prima ittica eccezionale.
Fugu, Undicesimo Vineria, Chef Francesco Brutto, Treviso
Scarpetta di occhi di calamaro. Semplicemente geniale.
occhi di calamaro, Undicesimo Vineria, Chef Francesco Brutto, Treviso
Calamaro, concentrato di cipolla al meliloto, buccia di cipolla.
Calamaro, Undicesimo Vineria, Chef Francesco Brutto, Treviso
Tortelli di magro (tortelli ripieni di formaggio “quadrello”, cicoria belga, finocchio marino, ruta, cicoria bruciata e cicoria secca). Passaggio estremizzato all’ennesima potenza. Tutto giocato sui toni amari, armonizzati e sedotti dalla grassezza comunque verticale e amarotica del formaggio. Una botta di adrenalina inconsueta. Molto molto divertente.
Tortelli di magro, Undicesimo Vineria, Chef Francesco Brutto, Treviso
Tortellini ripieni di germano reale, fieno greco e frattaglie crude. Il palato comincia ad essere stanco ma ci stiamo divertendo davvero tanto!
tortellini, Undicesimo Vineria, Chef Francesco Brutto, Treviso
Riso, melograno, karkadè, limone bruciato e frutti di bosco. Dolce, amaro, acido, poi dolce, amaro, acido, poi ancora dolce, amaro e acido. Smettiamo di tentare di capire e ci godiamo lo spettacolo.
Riso, melograno, Undicesimo Vineria, Chef Francesco Brutto, Treviso
Carciofo, concentrato di carciofo, tuorlo d’uovo marinato, nepetella, ambretta.
Carciofo, Undicesimo Vineria, Chef Francesco Brutto, Treviso
Storione del Sile e cervello di vitello. Da mangiare con le posate sporche del piatto precedente… Colpito e affondato.
storione, Undicesimo Vineria, Chef Francesco Brutto, Treviso
Rapa rossa, sangue al camino, rose e chiodo di garofano.
Rapa rossa, Undicesimo Vineria, Chef Francesco Brutto, Treviso
Agnello e cappuccio viola fermentato nel malto.
agnello, Undicesimo Vineria, Chef Francesco Brutto, Treviso
Pancia di agnello, radicchio di Treviso macerato, pastinaca e cannella fermentata.
pancia di agnello, Undicesimo Vineria, Chef Francesco Brutto, Treviso
Topinambur, cavolo nero, pu-erh, noci. Conclusione fitoforme. Ottima chiusura.
Topinambur, Undicesimo Vineria, Chef Francesco Brutto, Treviso
Meringata di sedano e bergamotto. Non si abbassa il coefficiente di difficoltà nemmeno sui dolci.
meritata, Undicesimo Vineria, Chef Francesco Brutto, Treviso
Foresta nera (cioccolato al pino, cioccolato Claudio Corallo soffiato, semifreddo al cioccolato more di bosco, spremuta di foglie di camelia, foglie di ginepro, gelato di muschio e rovere).
Foresta nera, Undicesimo Vineria, Chef Francesco Brutto, Treviso
La piccola pasticceria. Gianduiotto alle bucce di nocciola; macaron di imperatoria; gelatina di limone bruciato.
piccola pasticceria, Undicesimo Vineria, Chef Francesco Brutto, Treviso
I vini e i cocktail in abbinamento.
vino, Undicesimo Vineria, Chef Francesco Brutto, Treviso
cocktail,
vino, Undicesimo Vineria, Chef Francesco Brutto, Treviso
5vino, Undicesimo Vineria, Chef Francesco Brutto, Treviso
vino, Undicesimo Vineria, Chef Francesco Brutto, Treviso
barolo chinato, Undicesimo Vineria, Chef Francesco Brutto, Treviso