Passione Gourmet Stüa dla Lâ - Passione Gourmet

Stüa dla Lâ

Ristorante
strada Runcac 29, Badia (BZ)
Chef Andrea Irsara
Recensito da Gianluca Montinaro

Valutazione

15/20 Cucina prevalentemente classica

Pregi

  • La buona interpretazione della cucina di montagna.
  • Il calore alpino del locale.
  • La gentilezza del servizio.

Difetti

  • Il reparto dolci, da affinare.
  • La difficoltà di prenotare.
Visitato il 09-2022

La tavola della nonna

Che l’Alta Badia, con i suoi picchi dolomitici rosasvettanti, sia un luogo benedetto dagli Dei della buona tavola è cosa risaputa. Un po’ meno noto è come queste voluttuose divinità siano state capaci di far incontrare, in modo formidabile, una gastronomia autoriale a usi e modi ancestrali. Con il risultato che ingredienti poveri e ricette secolari, nobilitati i primi e modernizzate le seconde, assurgono ora a emblemi di cucina gourmet.

Ci si può render facilmente conto della validità di quest’assunto accomodandosi a uno dei pochissimi tavoli della Stüa dla Lâ (stube della nonna, in lingua ladina), all’interno dell’Hotel Gran Ander, a Badia (Bz). Questa bella struttura, nata nel 1968, sorge alle pendici del Gardenaccia, e sin dalla sua creazione è stata gestita direttamente dalla famiglia Irsara. Un calore di casa la pervade: le gentilezze profuse nei riguardi dell’ospite sono molteplici così come lo è l’attenzione in cucina. E non potrebbe essere altrimenti, considerato che il fondatore dell’albergo – Germano – è stato un cuoco di fama internazionale e, fra gli anni Cinquanta e Sessanta dell’ormai secolo scorso, ha lavorato in alcuni dei migliori alberghi d’Europa. Suo figlio, Andrea Irsara, che gli è subentrato nella gestione della struttura, e pure ai fornelli in cucina, ha ereditato dal padre capacità e passione. Sguardo franco e modi affabili lo contraddistinguono e, in un certo senso, rispecchiano il suo stile di cucina: la centralità della materia e i gusti diretti si illeggiadriscono negli abbinamenti e negli spunti più creativi e contemporanei che arricchiscono i piatti.

Come nel caso di altri celebri hotel badioti (Ciasa Salares, La Perla, Rosa Alpina… rigorosamente il ordine alfabetico) Andrea ha fatto la scelta di ritagliarsi un piccolo spazio – la Stüa dla Lâ – ove proporre la sua idea di ristorazione. Questa saletta appartata, nascosta appena oltre la hall, è un gioiellino: con i suoi legni antichi, i suoi ninnoli e le sue foto in bianco e nero accoglie appena cinque tavoli (la prenotazione, con settimane d’anticipo, è quindi vivamente consigliata, anche in considerazione del fatto che la Stüa dla Lâ è aperta solo tre sere alla settimana!). Andrea e la sua brigata propongono un unico menù degustazione, dal quale però l’ospite può anche scegliere liberamente i piatti che più gli aggradano, che varia di giorno in giorno, secondo stagione, approvvigionamento ed estro. Ciò significa che se da un lato difficilmente si possono ritrovare pietanze gustate in precedenti visite, dall’altro che ciò esce dalla cucina è preparato in giornata e, nel caso delle portate principali, sempre con cotture espresse.

Materia e contemporaneità

Alla Stüa dla Lâ è la montagna la protagonista. Al netto di uno o due piatti di mare (doverosi in un luogo così tanto e ben frequentato come l’Alta Badia), a trionfare in tavola sono carni, formaggi ed erbe spontanee, tutte di provenienza del circondario. E anche per il pesce – come nel caso del nostro Trancio di ombrina su crema di piselli e menta con quinoa soffiata – è spesso l’accompagnamento alpino – qui funghi cardoncelli, saporiti e ben spadellati – a risaltare sul resto. Le vette si affacciano sulla tavola con imperio sin da principio: le citazioni, più o meno palesi, sono continue nella teoria degli appetizers, degli amuse-bouche e dei pani. Così, mentre quest’ultimo è al sorbo (le cui bacche rosse tingono i rami in autunno), il Gin tonic sferificato è al pino mugo, le frittelle sono di patate e crauti, la panna cotta al formaggio grigio (il noto graukäse) e le Turtres miniaturizzate sono ripiene di ricotta del maso Chi Prà e spinaci selvatici. Certo, qua e là, appaiono centrate contaminazioni e divertenti ‘giochi delle parti’: l’apolide Tacos c’è, ma fatto (ben fatto) con farina di farro e farcito con petto d’oca affumicato ed erbe spontanee. Così anche il romagnolo Cappelletto, che diviene una variante sul classicissimo tema alpino ‘cervo-porcini’: il primo si trasforma in ripieno, i secondi in brodo. Non si pensi, però, a mere variazioni di maniera. Assodato che i risultati non peccano di gusto, e anzi appaiono meditati, bilanciati e centrati, a colpire nel segno sono anche i segni di contemporaneità che vivacizzano tutta la partitura. E ci si riferisce, nello specifico, sia alle note affumicate e amaricanti (apportate, quest’ultime, dal vegetale), sia alle divagazioni affidate a spunti fermentativi. Interessanti anche le ponderate modulazioni aromatiche che si muovono fra spezie, resine e più normali (ma sempre assai piacevoli) profumi agrumati. Appena un gradino sotto i dolci: se ottimi si rivelano friandises e petit four, un po’ meno lo sono i ‘lievitati’, da affinare meglio nella costruzione e nella presentazione.

Ad accompagnare l’esperienza alla Stüa dla Lâ ci sono infine un servizio solerte, curato dalla sorridente e gentilissima Evelyn, moglie di Andrea, e una cantina che, seppure non vastissima e centrata perlopiù sulla produzione regionale, permette di bere bene a prezzi corretti.

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