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Berton

Andrea Berton, o della cucina leggiadra

Nel quartiere di Milano, sempre più in sviluppo, di Porta Nuova, c’è il ristorante di Andrea Berton. Un locale che si inserisce perfettamente, come modernità ed eleganza minimale, nel contesto urbanistico nel quale è collocato. Il locale e l’universo gastronomico dello chef ben riflettono il fascino intrinseco della frenesia della City, rappresentandone l’indiscusso avamposto. La sua cucina è leggiadra, di indubbia finezza, armonica nello stile e nel gusto. I piatti sono esteticamente belli ed eleganti e riservano piacevoli sorprese al palato, in una dimensione di leggerezza di fondo ma con sapori comunque netti e anche decisi.

Il percorso degustazione che abbiamo intrapreso è un po’ diverso rispetto alle due proposte in carta ed è stato studiato per quelli che, come noi, nell’epoca della prima chiusura per lockdown, avevano approfittato della possibilità di acquisire un buono con la formula 1+1. Il percorso attinge in realtà ad alcuni piatti previsti nelle due degustazioni, ma ne presenta altri, non in carta; abbiamo anche apprezzato che abbiano, al momento dell’ordine, accettato volentieri un cambio rispetto alla loro proposta.

Classe e gusto camminano di pari passo

Gli amuse bouche introducono egregiamente nel mondo di Andrea Berton, con finestre che si aprono sul mondo, con i tamales, ripieni di pollo e verdure, con il coriandolo piacevole protagonista. La leggerezza, quasi eterea, delle salse torna in più piatti ed è davvero di notevole livello. La versione, completamente vegetale, del cappon magro, veicola una bella freschezza e il ruolo delle salse, oltre che coreografico, è fondamentale nell’innalzare la piacevolezza complessiva. L’insalata di gamberi prevede tre tipologie diverse di crostaceo, gamberetti, mazzancolle e schie, in un gioco piacevole di consistenze, dovute alle diverse cotture, dal crudo al fritto. È un piatto che riserva alcune sorprese per l’accostamento, insolito, con una salsa di mandorle e di lamponi e un bel match di dolcezza e acidità.

L’idea dell’accompagnare i piatti con una componente liquida, declinata in un menù degustazione che da alcuni anni è presente in carta e sul quale ha scritto anche un libro, è decisamente interessante, l’abbiamo apprezzata sia in una portata della parte salata, sia in una della parte dolce. I ravioli con ripieno di aglio, olio e peperoncino, sono serviti con una bruschetta con cicala di mare, che si ritrova come brodo: un trittico concettualmente sequenziale di pasta, pane e brodo, con una bella profondità di gusto e divertente al palato.

Il Sud America torna nella quaglia arrosto, dalla cottura assolutamente perfetta, accompagnata da mais, mole al sesamo e platano, con un gioco di raffinati equilibri grazie ad una indubbia maestria nel dosare i vari elementi, in primis il mole, che è “delicatamente” incisivo. Il calamaro al nero con maionese di pesce e salsa di carota e zenzero, insieme al pre-dessert, sono state invece due portate un po’ sotto le aspettative, mentre nel dolce abbiamo proprio apprezzato la bevanda di accompagnamento: in una piccola caraffa viene versato un liquido che ha tutta la parvenza di una birra, ma che in realtà è un brodo di limone, caramello e rosmarino, delizioso, che innalza e nobilita tutto il dessert.

Un percorso che, nel suo complesso, è stato decisamente e indubbiamente di livello, con un servizio rapido ed efficiente, che ben rappresenta l’anima frenetica milanese. Gusto e classe da Berton camminano, o forse meglio dire corrono, di pari passo.

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O, della resilienza

In primavera, da Piazza Gae Aulenti al Ratanà, è tutto uno zigzagare tra i fazzoletti di verde punteggiati dei vivacissimi colori dei papaveri, dei fiordalisi e delle margherite de La Biblioteca degli Alberi, tra le architetture e i cantieri della cosiddetta “Nuova Milano”. Qui, la sensazione è davvero quella di trovarsi nel punto più prossimo al nucleo profondo della città: un habitat che ha introiettato il cambiamento così visceralmente da farne la conditio sine qua non della sua esistenza, della sua resistenza e, non ultimo, della sua prosperità.

Perché è sempre attuale, Milano, e pertanto accondiscendente nei confronti di una trasformazione che è capace di far coesistere, in questo scenario avveniristico, anche una palazzina dei primi del Novecento. È quella del Ratanà, la dimora dove Cesare Battisti ha trovato la sua dimensione professionale ed esistenziale, anch’essa risolutamente avvitata attorno al concetto di resilienza che campeggia, a mo’ di monito, anche sul menù, dove si trova scritto quanto segue: “Adattarsi non significa accontentarsi. Anche l’acqua di un fiume si adatta alle sponde che la contengono, ma non per questo si accontenta: continua a cercare il mare.

La citazione, tratta da un brano di Giulia Bergonzoni, è però anche presagio di una cucina,  quella di Battisti, per cui “il mare” altro non è che la città stessa, che lo chef abita – e di cui è abitato – sin dall’infanzia, trascorsa tra le tentazioni e le desolazioni di via Padova anni ’90.

Il ristorante di Milano

Ratanà, infatti, ha oggi introiettato ciascuno degli stimoli progressisti della “primavera” post Expo e li ha impastati con le nostalgie della Vecchia Milano, che rivive in versione ipertrofica nel risotto omonimo col midollo in osso, la gremolata e il sugo d’arrosto, quasi un’allucinazione tanto potente e filologico, quanto nei mondeghili, attraversati però da un sospetto esotico: ovvero un’affatto ortodossa ancorché piacevolissima speziatura.

Molto coraggioso, come ci fa notare l’amico Gabriele Zanatta, “il punto di sale” sposato da Battisti, di certo più di un punto sopra quello imposto dalla vulgata popolare, e quindi squisitamente retrò. Una scelta, questa, che si rivela in tutta la sua sensatezza in particolare nelle strisce di pasta al ragù d’agnello e rigaglie, dove il supporto della pasta pallida, tumida e consistente, è opportunamente separato dal suo condimento, e rovesciato rispetto alla consuetudine che vorrebbe la pasta sotto e il sugo sopra. Qui, la pasta sormonta il suo condimento e si combina nella forchetta alternando la sacrosanta dolcezza e avvolgenza donata dall’amido con la sugosità saporitissima del sugo, a piacere del commensale. Un tributo al libero arbitrio, insomma, che ritroviamo in tutto il menù, posto che si sappia dove e come collocare le portate.

L’intera esperienza è difatti un agone tra due spinte: quella di piatti rinfrescanti, capaci di riconsegnare il milanese all’efficienza della produttività che la città ancora gli domanda – e che ritroviamo nel riposante ceviche con salmerino alpino e avocado siciliano, nei felici peperoni rossi in carpaccio e nel virginale vitello tonnato con capperi di Salina – e quella più meditativa imposta da piatti che, invece, esigono un periodo di decantazione postprandiale che riguarda, oltre i due primi già citati, anche la terrina di pecora brianzola alle erbe con crostone di polenta di mais rostrato rosso e aglio orsino: un piatto imponente e molto potente, prodigo della concentrazioni caloriche del cibo di montagna e dei suoi umori ovini.

Vivace e stagionale la sezione dedicata ai dolci – ci è rimasta la curiosità di assaggiare nespole e zenzero –  nonché il corposo compendio dedicato agli spiriti a suggello di una carta dei vini gremita di referenze interessanti, a ricarichi più che leali.

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Il rigore e la tecnica di una delle principali tavole milanesi

Nel recente fermento della ristorazione italiana, Milano interpreta senza dubbio il polo con il maggior numero d’insegne meritevoli di interesse. Anche quartieri un tempo poco rinomati (anzi, tornando indietro negli anni azzarderemmo il termine “poco raccomandabili”) come quello delle Varesine, si stanno gradualmente colorando di validi indirizzi, spostando il centro di attenzione e rimarcando la crescita del livello gastronomico avvenuta in città negli ultimi anni.

Proprio nel cuore del riqualificato -e attualmente vivissimo- quartiere Varesine/Porta Nuova, trova sede l’ultima creatura dello chef Andrea Berton: l’omonimo Ristorante Berton.
Cuoco maturo, dall’imprinting di scuola Marchesi, Berton ha saputo ritagliarsi una posizione importante sulla piazza meneghina sin dall’esperienza proficua del ristorante Trussardi alla Scala. Ovvero un passaggio che ha portato lo chef alle due stelle Michelin, e che lo ha in seguito reso protagonista di due (tuttora) valide aperture sul parterre milanese: la trattoria Pisacco e la pizzeria/cocktail bar Dry, con recente apertura della seconda sede.

Un atteso “alto” ritorno

Dopo queste due divagazioni dall’indubbio successo, Berton ha ripreso possesso del suo ruolo originale: quello di interprete di una cucina moderna dal dichiarato slancio gourmet. Il ristorante designato come nuova sede di questo re-start lavorativo rispecchia fedelmente l’indole e la personalità dello chef, attraverso una location spaziosa, raffinata e accogliente, che esibisce con fierezza l’ampia ed importante cucina a vista.
Una sala ricamata sul profilo rigoroso, solido e nitido dell’espressione culinaria presentata in tavola. E lo stile di Berton infatti si traduce come un sunto ben riconoscibile di grande padronanza tecnica, pulizia esecutiva e precisione millimetrica nell’assemblaggio di ingredienti e sapori. Identità facilmente riscontrabile nel suo menù dei classici: degustazione che forse a volte viaggia lievemente distante dalla ricerca dell’emozione netta all’assaggio, ma denota una caratterizzazione stilistica e tecnica davvero degna di nota.

Il brivido e il sussulto non sono per questo assenti in questa cucina, al contrario scegliendo l’altra anima della carta, ovvero il menu “Tutto brodo”, è possibile ammirare l’esemplare lavoro di ricerca e coerente applicazione attuato da Berton verso una lettura tanto algida quanto capace di sinceri acuti emozionali.
Il brodo recita il ruolo di protagonista in varie forme, anche apparentemente spiazzanti, sia come parte integrante del piatto che come accompagnamento complementare in forma “liquida”.

Un menù estremamente tecnico, ma altrettanto emozionante

Il perfezionismo innato dello chef, sommato a qualche indovinata contaminazione oltre alla volontà di evadere dagli schemi, concede una sequenza di assaggi del tutto centrati: carichi di sostanza, equilibrio e sfumature sempre ben definite. Dall’allungo piccante e aromatico gestito a mestiere dei Ravioli d’aglio in brodo di cicale di mare, passando ai rimandi vegetali, sapidi e fumé della Razza con scarola arrostita in brodo di olive verdi, fino all’imprevedibile Brodo di cioccolato con sandwich di latte, kumquat e sesamo nero.
Un tour di contrappunti dinamici studiati sempre in dettaglio, capaci di estrarre il massimo del potenziale da una tecnica tradizionale come il brodo, per poi tramutarlo in una veste contemporanea, efficace e del tutto innovativa.
Il servizio scorre con metrica puntuale e scattante; un’ampia cantina corretta e ben sintonizzata all’allure ricercata di questo bel ristorante milanese completano una proposta di alto profilo.

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Varcare la soglia del ristorante Berton è un atto che necessita riflessione, coscienza e attenzione. Non c’è gourmet, appassionato o semplice avventore infatti che possa permettersi il lusso di dare per scontato questo chef e la sua cucina.

Non è un elogio fine a se stesso. Non una adulazione smielata ed evitabile. È la naturale e caustica considerazione che si ha quando ci si trova al cospetto di un cuoco che non sovverte le regole della cucina in alcun modo, ma invece le interpreta in maniera personalissima, facendo apparire straordinario ciò che a molti altri colleghi risulterebbe ordinario.

Va dato atto a Berton di essere un uomo colto, intelligente, sofisticato ed elegante, certo, come già scritto più e più volte. Ciò che non viene mai scomodata è la figura del fuoriclasse. Rimane il fatto però che non trovare nel menù “Tutto Brodo” e “Insalate” tratti distintivi sia davvero impresa ardua. Se poi, come è successo a noi, i piatti vanno oltre l’idea di marketing, allora il bersaglio si può considerare assolutamente centrato.

Certo invece è che Berton, seppur con tratti sottili e quasi impercettibili, si presenti agli ospiti con una cucina scandita da coraggio e irriverenza, con una manovra eversiva mirata ad abbattere, riuscendoci sempre, tutti gli elementi pleonastici all’interno del piatto, ambendo a obiettivi di pulizia e nettezza quasi sempre raggiunti. Il tutto veicolando il gusto, con un moto morbido e piacevolissimo, attraverso l’unico ausilio di un liquido, nella fattispecie del brodo. Dieci passaggi scanditi e caratterizzati dalla presenza di dieci brodi diversi, impiegati come elemento principale, decorativo, di accompagnamento. Uno studio seguito ad una riflessione che realizza la fantasia di qualsiasi gourmet, facendolo approdare sull’isola che non c’è, o che non c’era, dalla quale sarà difficile volersene andare.

Il percorso di degustazione non si discosta da una linea solo in apparenza algida, studiata minuziosamente nelle retrovie delle cucine. Si rivela invece un tessuto tramato di lino e seta, che strizza l’occhio alla bella stagione, snellendosi e spogliandosi delle pesantezze invernali, andando incontro ad un gioco di leggerezze strettamente connesso all’alternarsi di consistenze dei vari passaggi. I contrasti cromatici, con esemplare coerenza, accompagnano cullando la vista lungo tutto il percorso, scostandosi dai toni della propria scala solo e soltanto con l’avvento di piatti ordinati alla carta. È questo il caso delle insalate, fantastica reinterpretazione della classica pausa pranzo italiana.

Ci auguriamo che quanto abbiamo riscontrato in questa visita, e con questo menù, si ripeta con costanza. Non sempre questo è accaduto in passato,  speriamo quindi in un futuro continuativo.

Berton, con questo suo modus operandi, si aggiudica di diritto un posto sul podio delle unicità, rendendosi artefice di una cucina neoclassica decorata da straordinaria avanguardia, fluttuante, apparentemente sussiegosa e inespressiva ma in realtà estrema e temeraria.

All’interno della scatola dorata di finissima eleganza, tra la leggera asimmetria studiata dei tavoli circolari, i rumori impercettibili dettati dalla maestria della sala evocano un parallelismo tra l’arte filosofica e quella culinaria, dando vita ad una cucina francesizzante ma contestualizzata a Milano, asettica ma di grande carattere, comprensibile ma di estrema complessità. Tutto questo sommato si traduce con la cucina di Andrea Berton, che noi siamo contenti e orgogliosi di poter avere a Milano.

La mise en place.
mise en place, Berton, Chef Andrea Berton, Milano
Chips allo zafferano, al nero di seppia e cialda di parmigiano croccante.
chips, Berton, Chef Andrea Berton, Milano
Brodo di granciporro alle erbe e lemon grass, granciporro, indivia belga e verdure. Basta guardare la brunoise di verdure sotto l’indivia per capire la cucina di Berton. Il resto del piatto è un omaggio alle consistenze con la croccantezza dell’indivia, la morbidezza grassa del granciporro e la lemon grass che verticalizza e allunga al palato il piatto. Il brodo accompagna con garbo.
Brunoise di verdure, Berton, Chef Andrea Berton, Milano
Il pane.
pane, Berton, Chef Andrea Berton, Milano
Grissini e schiacciatine.
grissini, Berton, Chef Andrea Berton, Milano
Insalata di gamberetti e salsa rosa. Il piatto della giornata. Un cocktail di gamberi 2.0. Le schie fritte raccontano le origini friulane dello chef, l’insalata croccante leggermente scottata dona un tocco orientale e la salsa di teste di gamberetti è una chiara citazione francese. Piatto che urla a squarciagola “Andrea Berton!”.
insalata di gamberetti, Berton, Chef Andrea Berton, Milano
Brodo di cicale di mare, ravioli aglio, olio e pepperoncino. Da mangiare in tre step: raviolo, cicala di mare e sorso di brodo. Divertente e incisivo. Qualità della cicala quasi inarrivabile.
cicale di mare, ravioli, Berton, Chef Andrea Berton, Milano
I ravioli nel dettaglio.
ravioli, Berton, Chef Andrea Berton, Milano
E la cicala.
cicala, Berton, Chef Andrea Berton, Milano
Brodo di grana padano, spaghetti al pepe e patata, scalogno e scorzone.
spaghetti al pepe e patata, Berton, Chef Andrea Berton, Milano
Risotto alla pizzaiola e mozzarella. Niente brodo questa volta ma piatto che non si discosta dall’amore perverso dello chef per i liquidi. Il risotto è cotto con l’acqua di governo della mozzarella. Risultato notevole, con una piacevole nota lattica-acida che accompagna l’incontro di una tapenade di olive con effetto sorpresa sul fondo del piatto.
risotto alla pizzaiola, Berton, Chef Andrea Berton, Milano
Insalata di cozze con zucchini liguri e zafferano. Una delle insalate proposte da Berton per le pause pranzo estive. Molto bene.
insalata di cozze, Berton, Chef Andrea Berton, Milano
Brodo di gallina, seppia cotta e cruda, riso selvatico e caviale Calvisius Oscietra Royal. Passaggio che gioca su un grande impatto platale dato dal caviale e dal geniale brodo di gallina, armonizzato e trasportato dal gioco di consistenze della seppia cotta e cruda e del riso selvatico soffiato. Piatto straordinario.
Brodo di Gallina, Berton, Chef Andrea Berton, Milano
Spalla d’agnello da latte arrosto, porro e aglio nero. Tanto classic quanto impeccabile.
Spalla D'agnello, Berton, Chef Andrea Berton, Milano
Brodo di vitello e verbena, animella di vitello, ciliege, crema di mandorle e lattuga romana. Molto più complesso di quanto ci saremmo immaginati. La crema di mandorla è l’ago della bilancia del piatto, da dosare accuratamente ad ogni boccone. Ancora una volta il brodo omaggia un’animella di cuore cotta in maniera esemplare, donadole un pizzico di leggerezza grazie all’apporto della verbena. Berton non lascia niente, ma proprio niente al caso.
animella, Berton, Chef Andrea Berton, Milano
Il predessert. Gelato all’olio, coulis di lamponi, pane sabbiato.
prendessert, Berton, Chef Andrea Berton, Milano
Brodo di cioccolato, sandwich al latte, kumquat e sesamo nero. Torna il brodo anche in pasticceria. Dissetante e freschissimo. Interessante l’inversione di consistenze canoniche con il latte reso solido e il cioccolato liquido.
dessert, Berton, Chef Andrea Berton, Milano
Piselli e gelato alla mozzarella di bufala. Dolce notevole che vira sui toni acidi e minerali.
 Berton, Chef Andrea Berton, Milano
Cioccolato menta e liquirizia. Anche la pasticceria da Berton è notevole.
Cioccolato, menta, liquirizia, Berton, Chef Andrea Berton, Milano
Girella di mango, gelato al tè affumicato, crumble ai frutti rossi e tè verde. Grande dessert. Fresco e sofisticato.
girella di mango, Berton, Chef Andrea Berton, Milano
Insalata di spaghetti al pomodoro, basilico e olive. Finale a sorpresa (riuscita) attinto dal menu insalate.
insalata di spaghetti, Berton, Chef Andrea Berton, Milano
La piccola pasticceria.
piccola pasticceria, Berton, Chef Andrea Berton, Milano
I vini in abbinamento.
piccola pasticceria, Berton, Chef Andrea Berton, Milano
vino, Berton, Chef Andrea Berton, Milano
vino, Berton, Chef Andrea Berton, Milano
vino, Berton, Chef Andrea Berton, Milano
vino, Berton, Chef Andrea Berton, Milano

A Milano,  la crescita esponenziale della ristorazione -a tutti i livelli di qualità- alla quale abbiamo assistito negli ultimi due anni, è uno dei più tangibili lasciti dell’ultima Esposizione Universale.

Un vorticoso movimento tra aperture, chiusure e trasferimenti di grandi chef, grandi tavole, concept di tendenza. Il movimento sotto il cielo meneghino ha visto la nascita di tavole etniche di qualità di cui, fino a poco più di un anno fa, non v’era traccia alcuna.
C’è chi ha fatto di Expo un punto di partenza, trasferendo marchio e concetto dalla periferia in uno dei nuovi e affascinanti scorci del centro della città.
Con che scelta?  Tra tante, la più intrigante era quella di dare lustro alla variegata cucina mesoamericana che, ormai è fatto notorio, rappresenta con quella sudamericana una delle nuove frontiere della gastronomia mondiale.
Vuoi per il ventaglio di prodotti, vuoi per il risvolto complesso del gusto tradizionale, con il quale ricorrono i sapori della cucina di strada, vuoi perché in Italia si è dato sempre importanza ai numeri, senza mai pensare al binomio tra questi e la qualità di determinate cucine.

Forse è stato l’insieme di tutti questi fattori, oltre ovviamente al business, che ha spinto Sandro Landucci, imprenditore italo-messicano, a replicare in pianta stabile, con l’idea che “squadra che vince non si cambia”, il progetto temporaneo che durante Expo era capace di macinare, tra ristorante e taco bar, poco meno di quattromila coperti al giorno.

L’investimento, si vede, è stato importante. Il locale è molto bello, oltre che spazioso e luminoso, alla base di Torre Solaria con vista sull’avveniristico quartiere di Porta Nuova e delle Varesine, e una grande cucina aperta. Location impreziosita da un design originale e assolutamente centrato (affascinanti le famose sedie Acapulco che tappezzano il soffitto).
Una buona margarita, una tequila o un mezcal sono un consigliato preludio a quelli che sono pezzi forti della cucina messicana.
Non si parla esclusivamente di tacos, burritos, nachos, fajitas e churros, ma di piatti più creativi che, al contempo, restano saldamente ancorati ai sapori della tradizione messicana.
A quanto pare non ci sarà un resident chef ma una girandola di grandi cuochi che, come ad Expo, si alterneranno proponendo piatti d’autore, durante periodi diversi.
Durante le nostre visite abbiamo conosciuto la cucina di Mario Espinosa, poco più di trent’anni, ex collaboratore del grande Enrique Olvera (“Pujol”), con esperienza dai fratelli Roca.
Più che la materia prima, dalla quale ci aspettavamo molto di più, c’è piaciuta la tecnica, assolutamente calibrata, e il controllato utilizzo delle salse che accompagnano tutte le preparazioni.
Un buon maialino confit, oltre le cotture dei pesci, sono i tratti distintivi della nostra esperienza.
I tacos sono buoni (meglio quelli di carne), la tostada con tonno, avocado e matcha di livello leggermente superiore così come le salse di accompagnamento.
Deludono invece i dolci, dall’esecuzione troppo scolastica ed estremamente banali, anche considerata la fascia di prezzo in cui si colloca il ristorante.
Il servizio è volenteroso, sorridente e gentile, ma il peso dei tanti coperti si fa sentire: alle volte capita che si crei un po’ di confusione, tanto a livello di tempistiche della cucina, quanto nelle incomprensioni, constatate più volte, nelle ordinazioni.
Il prezzo è più alto rispetto ai classici ristoranti messicani del panorama nazionale, ma a giustificarlo ci sono la location e la cura delle preparazioni che proiettano questa tavola etnica in un campionato di livello decisamente superiore.

E’ da apprezzare l’apertura a pranzo e cena, sette giorni su sette, per tutto l’anno.
Nell’attesa di una positiva evoluzione, consigliamo di provare il Besame Mucho prenotando un posto alla taqueria (al bancone), assaggiando qualche tacos o le tostada e pasteggiando con i buoni cocktails o con la più tradizionale birra: a nostro avviso è questa la formula ideale (nonché la più economica) per massimizzare la soddisfazione dell’avventore.

Besame Mucho, Chef Mario Espinosa, Milano

Purea di fagioli.
purea di fagioli, Besame Mucho, Chef Mario Espinosa, Milano
Salsa piccante.

Salsa piccante, Besame Mucho, Chef Mario Espinosa, Milano

Nachos.
Nachos, Besame Mucho, Chef Mario Espinosa, Milano
Lime.
lime, Besame Mucho, Chef Mario Espinosa, Milano
Tostada con tonno, avocado ed (evanescente) salsa matcha.
Tostada di tonno, Besame Mucho, Chef Mario Espinosa, Milano
Taco di pesce del giorno.
Taco di pesce, Besame Mucho, Chef Mario Espinosa, Milano
Gli ottimi tacos al pastor (con maiale cotto nello strutto).
tacos al pastor, Besame Mucho, Chef Mario Espinosa, Milano
Enchiladas di branzino.
enchiladas, Besame Mucho, Chef Mario Espinosa, Milano
Filetto di branzino, insalata di verza mista e maionese al peperoncino habanero. Tecnicamente ben fatto.
Filetto di branzino, Besame Mucho, Chef Mario Espinosa, Milano
Maialino confit, avocado e nachos con formaggio fresco. Una preparazione davvero gustosa.
maialino confit, Besame Mucho, Chef Mario Espinosa, Milano
Churros tradizionali.
churros, Besame Mucho, Chef Mario Espinosa, Milano
E i deludenti bunuelos.
bunuelos, Besame Mucho, Chef Mario Espinosa, Milano
Perfetta Margarita.
margarita, Besame Mucho, Chef Mario Espinosa, Milano

Besame Mucho, Chef Mario Espinosa, Milano

Besame Mucho, Chef Mario Espinosa, Milano

Besame Mucho, Chef Mario Espinosa, Milano