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Miramonti l’altro

Continua l’evoluzione della cucina di Philippe Léveillé

Una cucina in continua evoluzione, quella del Miramonti l’altro. E questo è un merito di per sé nel panorama di un’alta ristorazione italiana che molto spesso preferisce non abbandonare la propria comfort zone e starsene comodamente seduta sugli allori. Non è questo il caso di Philippe Léveillé che, perfettamente spalleggiato dalla brava Arianna Gatti ha, nel tempo, abbracciato un percorso di coraggioso rinnovamento.

Senza abbandonare i grandi classici – il cremosissimo risotto ai formaggi di montagna, il crescendo di agnello con il suo carré, il celeberrimo gelato alla crema, per citarne solo qualcuno –  che hanno fatto di questo luogo una meta imperdibile per ogni gourmet che si rispetti, la proposta del Miramonti l’altro è oggi più varia e complessa e senz’altro più leggera, perché lontana dagli eccessi “burrosi” di un tempo.

Ma partiamo da quello che, qui, non cambia, come il livello dell’accoglienza: uno dei punti di forza del locale grazie allo splendido lavoro orchestrato in sala da Daniela Piscini, e la qualità delle materie prime. E non potrebbe essere diversamente dal momento che questo bravo e simpaticissimo cuoco bretone – ma ormai franciacortino d’adozione – è uno di quelli (e non sono ormai in molti) che la mattina ama ancora alzarsi presto e andare in giro a “fare la spesa” per mantenere un costante dialogo coi fornitori che lui ama definire “collaboratori”, per sottolineare l’importanza dei rapporti umani e del gioco di squadra che sono alla base del successo di ogni ristorante.

Una cucina di materia, che si evolve sempre senza dimenticare la sua anima francese

Artigiani e piccoli produttori locali come Franco Lancini per le carni. E poi le verdure e gli ortaggi di Casali che raccoglie il meglio dai contadini della zona, e l’elenco potrebbe continuare… Il risultato è tutto nei piatti: come nell’eccellenza dell’animella cotta alla brace, affumicata e arricchita da un fondo di capretto, piatto per la cui riuscita non si può prescindere da una materia prima più che perfetta e di rara intensità gustativa, eloquentissima per esprimere al meglio l’anima francese di Léveillé e il livello di maturità a cui è giunta la sua cucina.

E straordinaria materia prima sono anche le ostriche protagoniste di “Ostriche e birra“, piatto essenziale nell’estetica ma in grado di celebrare in maniera magistrale lo strano abbinamento tra i due elementi, complice la birra di ostriche disidratate non filtrata, non pastorizzata e rifermentata in bottiglia, che lo chef produce in collaborazione con un’altra eccellenza del territorio: il birrificio artigianale Curtense.

Quello che è cambiato da qualche anno e continua a cambiare è l’impronta di una cucina che, ormai, ha abbandonato gli eccessi lipidici di un tempo, diventando man mano più leggera ed acquisendo in molti piatti una marcata nota di freschezza. Molto più presenti rispetto al passato i toni iodati e vegetali e le acidità a contrastare la grassezza di qualche passaggio.

All’interno di un percorso di degustazione in cui, a dir la verità, non tutte le preparazioni ci sono parse avere quel quid in più che in un posto del genere è lecito aspettarsi, vince, però, a nostro giudizio, ancora il Léveillé più deciso, più classico, quello dell’anatra come una lepre alla royale, preparazione di grande tradizione eseguita perfettamente e rifinita al tavolo, con il petto dell’anatra tenuto al sangue e il fondo legato con il suo sangue, emulsione di foie gras e tartufo nero, così come quello dell’eccellente animella di cui si raccontava poco sopra.

Ma, tutto sommato, riteniamo che ciò possa considerarsi fisiologico per una cucina costantemente in evoluzione, che ha scelto di non crogiolarsi nelle sue certezze ma di affrontare un cammino di innovazione non facile e, proprio per questo, intrigante e meritevole di attenzione.

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La riconferma di una tavola che riesce sempre a stupire

Il Miramonti l’Altro è, da anni, un avamposto saldo e rinomato per tutti i gourmet itineranti.

La classicità proposta all’ennesima potenza è un marchio di fabbrica che Philippe Léveillé, coadiuvato dall’imprescindibile apporto della sous-chef Arianna Gatti, non smette di perseguire con un’eleganza e una perizia tecnica semplicemente squisite. Dati i presupposti, poteva quindi sorgere una domanda: cosa aspettarsi ancora (e di più) da una cucina con un’impronta così ben delineata?

La riconferma, avremmo potuto pensare di prim’acchito, e in parte avremmo avuto ragione. Ma non totalmente perché fermandoci a questo assunto ci saremmo incamminati lungo il sentiero dell’ovvietà, mentre il Miramonti è riuscito a stupire sfornando un coup de théâtre che solo uno chef dal palato fine e intelligente come quello del bretone Philippe poteva garantire. Sì, perché nella nostra visita abbiamo (ri)provato il piacere della riconferma filtrato attraverso il registro della rivisitazione.

Nella prima parte del percorso siamo infatti rimasti sorpresi e compiaciuti nel saggiare una cucina fondata su portate aventi una freschezza e una pulizia semplicemente irresistibili. E a ciò si è unita una predisposizione a un aspetto ludico delle preparazioni, un camouflage estetico, che ha svelato una natura della proposta lieve e scherzosa, atta a coinvolgere attivamente la vista. Non a caso il menù si chiama “Sapori e colori”.

 Un menù diviso tra freschezza e robustezza, in perfetto equilibrio

In tema di “freschezza ludica” abbiamo cominciato con un ottimo Volevo essere un pomodoro, dalla matrice estetica di vesuviana memoria, con all’interno una squisita rotondità di tartare di gambero rosso ed emulsione di burrata, smorzata in chiusura da un gazpacho in guarnizione e un sorbetto al basilico d’accompagnamento.

Secondo step con le alici nel giardino delle meraviglie, rivisitazione culinaria del classico di Lewis Carroll, splendido quadro composto da verdure marinate e farcite con maionese ai funghi e alle acciughe e salsa verde. A chiudere e donare lunghezza, un nuovo sorbetto, stavolta di Bloody Mary.

Cetriolo, ostrica e lime si è rivelato un altro piatto completo sotto tutti i punti di vista grazie al contrasto di consistenza tra il vegetale e il mollusco, a cui poi si è aggiunto un ottovolante di rimbalzi tra lo iodato dell’ostrica, l’acidità della marinatura in miele e aceto del cetriolo e la spuma di acqua di ostriche e lime, a garantire struttura all’insieme. La nota alcolica del mini Moscow Mule ha completato il quadro.

Se la prima parte del menù ha stupito per pulizia e inventiva, nella seconda il registro ha dato vita a una proposta caratterizzata da struttura e rotondità.

Intorno al coniglio ne è stato un esordio fulminante: un wafer croccante ha accolto la pancia e le interiora fredde del leporide con puntarelle e fiori eduli a chiudere il cerchio. Morbidezza delle carni, persistenza delle frattaglie, amaricante della parte vegetale e croccantezza del wafer hanno costruito una portata di un equilibrio disarmante.

Ma era solo il preludio di quello che è stato il miglior piatto del servizio: animella come un capretto al coccio. Portata semplicemente magnifica, emblema delle competenze tecnico-concettuali del suo ideatore e dello staff che lo aiuta. La ghiandola, scottata e lasciata riposare una notte nel latte, è stata terminata in padella con burro e fondo di capretto: il risultato? Uno splendido gioco di consistenze delle carni tra croccantezza esterna e morbidezza interna, a cui ha fatto seguito una lunghezza dai toni affumicati semplicemente micidiale. Piatto elegante, preciso e indimenticabile.

Un plauso, quindi, a quest’ottima tavola, al suo chef e al giovane staff, perfettamente sincronizzati nel regalare al commensale un’esperienza davvero emozionante. Chapeau!

La Galleria Fotografica:

Una brezza inebriante soffia alle porte della Val Trompia

L’avevamo già percepita in occasione della nostra ultima visita, con l’elegante casa di accoglienza di Philippe Léveillé e Daniela Piscini ancora nel pieno di importanti lavori di rinnovamento di Miramonti l’Altro.
A distanza di quasi un anno e mezzo rieccoci qui, curiosi di toccare con mano e con le nostre papille i risultati a metamorfosi completata.
Tinte chiaro-scure, una cucina a semivista, Miramonti l’Altro oggi ha un piglio più fresco e moderno che forse indisporrà i nostalgici più intransigenti, ma che ci è decisamente piaciuto per la sua capacità di rinnovare pur nel rispetto della classicità della struttura. Caratteristica che anche Philippe, nel solco della strada da un po’ di tempo intrapresa, ha con coerenza portato nella sua cucina.

Intendiamoci, nessuna rivoluzione, nessun rinnegamento del passato. La cucina di Léveillé resta una cucina innanzitutto di solida sostanza, che diverte, stimola e appaga. In tempi più recenti abbiamo percepito una volontà di personalizzazione più definita, perfino una sorta di serenità interiore prima non così evidente, a cui fanno eco le parole dello stesso chef a fine pasto: “sono felice di poter fare una cucina finalmente mia”.

Classicità e nuovi orizzonti. Un ricco dialogo tra cultura transalpina e tradizione italiana

Così in questo perpetuo scambio culturale tra tradizione gastronomica transalpina e italiana c’è spazio per entrambe le anime, sia laddove presentate autonomamente sia in stimolanti dialoghi, marchi di fabbrica della casa.  I toni salmastri e amaricanti  di capesante appena scottate e arricchite da acqua di mare, il croccante di quinoa e sfere di Blu Curaçao, sorta di evocazione visiva e gustativa delle selvagge coste bretoni, di pulizia e potenza gustativa assai inusuali nel passato di questa tavola; la golosità quasi plateale di uno scampo con panatura di popcorn di cicciolo di maiale, gelatina di piedino e musetto di maiale, mayonnaise di dragoncello e olio di semi d’uva. Entusiasmante nella sua capacità di coniugare classicità e nuovi orizzonti prospettici la carbonara di ostriche, cui la sferzata iodica data dal mollusco riesce a conferire un linguaggio familiare e insieme spiazzante, ulteriormente valorizzato da un azzeccato abbinamento con un particolarissimo gin piemontese, preparato con infusione di capperi di Pantelleria ed essenze mediterranee.

Di grande mano la preparazione del sontuoso Rognone come a Lione, cotto e servito al tavolo intero, con una perfetta padronanza della componente acida, così come la coda di rospo servita in bianco con porro di Cervere e una royale al fegato di coda di rospo di grande potenza e persistenza. Ineccepibile, ma non vi erano dubbi, la perizia sulla selvaggina di piuma, con una pernice nella quale la prorompenza e la complessità del battuto alla base del piatto, dai toni fermentati, trova la sua perfetta armonia con petto e cosce cotte a regola d’arte, senza inutili orpelli. Non mancano quindi i grandi classici, quali il leggendario carrello dei formaggi e l’iconico gelato alla crema.

La cantina è di buona profondità e prezzata onestamente. Il servizio di sala conferma il livello di sempre, con Daniela Piscini perfetta e premurosa padrona di casa, maestra di accoglienza scevra da qualsiasi forma di eccessivi formalismi.

La galleria fotografica:

Esiste un luogo comune figlio di anni in cui, è innegabile, nel mondo della gastronomia sembrava vigere una sorta di regola non scritta, che voleva che l’alta cucina fosse giocoforza parca nelle quantità. Ma se negli anni più recenti tale mantra sembra essere stato un po’ rivisto, nel segno di una maggior apertura al principio che un pasto debba sì essere interessante ma soprattutto, appunto, un pasto, i luoghi comuni sono duri a morire. Certo, qualche baluardo ancorato ai vecchi stilemi esiste ancora, anche tra le eccellenze assolute, tuttavia la direzione verso la quale ci si sta muovendo parrebbe confortante.

Ed è proprio da questo assunto che è necessario partire per raccontare l’evoluzione di un ristorante come il Miramonti l’Altro, da tempo ormai quasi immemore meta tra le più ambite degli stoici della forchetta. Non è cosa da sottovalutare infatti la capacità di sapersi reinventare, dote che non appartiene a tutti e che soprattutto viene sfruttata da pochi. Ebbene, nel caso specifico, Philippe Léveillé e Daniela Piscini si possono tranquillamente inquadrare come due icone dalle quali, d’ora in avanti, sarà difficile sapere cosa aspettarsi. Paradossale? Può darsi, ma alla luce della nostra ultima visita, è un dato di fatto che il Miramonti l’Altro abbia effettuato una virata in direzione di un rinnovamento a tutto tondo.
Mentre il locale è in procinto di cambiarsi d’abito, potendo così sfoggiare a settembre tinte e disposizioni nuove, anche la cucina pare essersi avvicinata ad una deriva più contemporanea, andando a toccare toni iodati e vegetali, per poi passare a contrasti acido-speziati, senza dimenticare sentori terrosi ed affumicati. Tutto questo, vada bene inteso, non trascurando minimamente la natura prima del locale, ancora assolutamente tangibile e riconoscibile a prima vista.

Mai ci saremmo aspettati un tale cambiamento da un tempio della cucina classica. Mai avremmo potuto immaginare di sederci ad uno degli eleganti tavoli e rimanere quasi sgomenti di fronte all’energia nuova che scaturisce dalle preparazioni che nel loro susseguirsi danno vita alla degustazione. Eppure la cosa ci piace, eccome.

Il rinnovamento si sa, va di pari passo con la riflessione e con la presa di coscienza, andando così ad affiancare il concetto di crescita. Il rinnovamento però necessita anche di un tempo di accettazione, ed è proprio di questo che il Miramonti l’Altro e i suoi clienti avranno bisogno. Nulla di violento, nessuna preparazione che strizza l’occhio alla provocazione o alla satira. Semplicemente una cucina già vista in altri lidi, ma che non eravamo abituati ad affrontare all’interno di queste mura.

Rimane quindi un velo di perplessità, sotto una potente raffica di emozioni scalpitanti, positive, entusiastiche e coinvolgenti. Rimane la voglia di tornare a metamorfosi completata, per accertarsi che la nuova strada possa essere migliore di quella vecchia. E soprattutto rimane la curiosità di capire quanto la tradizione possa essere di supporto all’innovazione, andando a seguire una frase fatta che finalmente potrebbe risultare non più banale.

Il ristorante visto dall’area di parcheggio.

Miramonti l'Altro, Chef Philippe Léveillé, Concesio, Brescia
L’ingresso.
Miramonti l'Altro, Chef Philippe Léveillé, Concesio
Il dehors.
Miramonti l'Altro, Chef Philippe Léveillé, Concesio
La mise en place.
mis en place, Miramonti l'Altro, Chef Philippe Léveillé, Concesio
Le bollicine di benvenuto.
bollicine, Miramonti l'Altro, Chef Philippe Léveillé, Concesio, Brescia
Il benvenuto della cucina.
Bagnacauda di zucchine trombetta e salmone selvaggio marinato e affumicato.
benvenuto, Miramonti l'Altro, Chef Philippe Léveillé, Concesio, Brescia
La selezione di pani e grissini.
pane, Miramonti l'Altro, Chef Philippe Léveillé, Concesio, Brescia
Il bianco che ci accompagnerà per la prima parte della degustazione
vino, Miramonti l'Altro, Chef Philippe Léveillé, Concesio, Brescia
Inizia il percorso.
Insalata liquida di terra e di mare.
Apertura di bella freschezza. Simpatica la chiusura con un distillato di riso ad alto potere pulente.
insalata liquida, Miramonti l'Altro, Chef Philippe Léveillé, Concesio, Brescia

Miramonti l'Altro, Chef Philippe Léveillé, Concesio, Brescia
Lo “shottino” a chiudere.
shottino, Miramonti l'Altro, Chef Philippe Léveillé, Concesio, Brescia
#Volevoessereunpomodoro!!
Alla base una tartare di gamberi rossi, la cui grassezza risulta amplificata dalle note burrose dell’emulsione di mozzarella di bufala, che costituisce di fatto la polpa di questo falso pomodoro. A contrappunto acido la “pelle”, costituita da una gelatina di gazpacho e a chiudere un rinfrescante sorbetto di basilico. Divertente.
volevoessereunpomodoro, Miramonti l'Altro, Chef Philippe Léveillé, Concesio, Brescia

volevoessereunpomodoro, Miramonti l'Altro, Chef Philippe Léveillé, Concesio, Brescia

Miramonti l'Altro, Chef Philippe Léveillé, Concesio, Brescia
Pane, burro e alici…
Vivace intermezzo nel segno di un finger food croccante. Nel tubetto della salsa verde, da spalmare a discrezione.
Miramonti l'Altro, Chef Philippe Léveillé, Concesio, Brescia
Merluzzo black cod con purè di patate ratte al tartufo nero.
black cod, Miramonti l'Altro, Chef Philippe Léveillé, Concesio, Brescia
Miramonti l'Altro, Chef Philippe Léveillé, Concesio, Brescia
Gallinella cotta all’unilaterale, chips e marinata di asparagi.
La cottura unilaterale evoca sentori di brace, che ben si amalgamano con l’acidità del pomodoro confit. La chips di pelle croccante è ideale elemento di variazione per la texture di un piatto altrimenti giocato su consistenze morbide.
gallinella, Miramonti l'Altro, Chef Philippe Léveillé, Concesio, Brescia
Riccio di mare, uovo alla cocque e lemongrass.
Uovo di quaglia in camicia, lingue di riccio e polvere di pomodoro.
Un equilibrio di grande mano e di estrema eleganza, sulla carta inaspettato ma forse per questo ancora più sorprendente.
riccio di mare, Miramonti l'Altro, Chef Philippe Léveillé, Concesio, Brescia
Spaghetto al tè nero affumicato e aglio fermentato.
Pasta all’uovo con thè nero affumicato in macerazione tagliata alla chitarra, condita con aglio fermentato e accompagnata da aria di tè e croccante di aglio nero.
spaghetto, tè nero, Miramonti l'Altro, Chef Philippe Léveillé, Concesio, Brescia

spaghetto, Miramonti l'Altro, Chef Philippe Léveillé, Concesio, Brescia
Il croccante di aglio nero.
aglio nero, Miramonti l'Altro, Chef Philippe Léveillé, Concesio, Brescia
Si passa al rosso.
vino, girlan, Miramonti l'Altro, Chef Philippe Léveillé, Concesio, Brescia
Parmigiana di melanzane.
Neve di parmigiano, pomodoro, melanzana, semi di basilico disidratati e cialda di parmigiano.
Il gioco è conosciuto: un piatto noto in una forma alternativa, peraltro composta al tavolo e quindi anche di piacevole impatto scenografico. Piatto decisamente riuscito.
parmigiana, Miramonti l'Altro, Chef Philippe Léveillé, Concesio, Brescia
Confit di coscia d’anatra al miele, aceto balsamico tradizionale e pepe di Sichuan.
Coscia confit nel suo grasso, servita con salsa all’aceto balsamico tradizionale, pepe di Sichuan e miele e accompagnata da invidia brasata e ciccioli di anatra. A completamento cioccolatini al pepe, cannolo di polenta di Quarantino con battuta di interiora d’anatra, insalata di speck d’anatra con fegato grasso e infuso di frutti rossi, pepe di Sichuan e anice stellato.
Menzione d’onore per i cioccolatini al pepe. Chapeau!
confit, anatra, Miramonti l'Altro, Chef Philippe Léveillé, Concesio, Brescia

confit, anatra, Miramonti l'Altro, Chef Philippe Léveillé, Concesio, Brescia
Complementi al piatto.
Miramonti l'Altro, Chef Philippe Léveillé, Concesio, Brescia
Una piccola sorpresa per il prossimo fuoriprogramma.
Miramonti l'Altro, Chef Philippe Léveillé, Concesio, Brescia
Stravaganza di piccione cotto alla brace all’unilaterale e calamari in salsa di crostacei al fegato d’oca.
In realtà il concetto esposto dalla denominazione è più di forma che di sostanza, traducendosi il piatto in un finissimo esercizio di eleganza gustativa e di texture, cui non manca la vocazione golosa che ci aspettiamo da questa cucina. La grassezza del crudo alla base costituisce elemento di contrappunto ideale alla consistenza della carne.
piccione, Miramonti l'Altro, Chef Philippe Léveillé, Concesio, Brescia
Selezione di formaggi.
formaggi, Miramonti l'Altro, Chef Philippe Léveillé, Concesio, Brescia

formaggi, Miramonti l'Altro, Chef Philippe Léveillé, Concesio, Brescia
L’accompagnamento all’ultima parte del percorso.
vino, Miramonti l'Altro, Chef Philippe Léveillé, Concesio, Brescia
La piccola pasticceria.
Cannoncino con crema, nocciole meringate, madeleine, pie con composta di ciliegia e mirtillo, meringhe con panna e cheesecake rivisitato con frutto della passione.
piccola pasticceria, Miramonti l'Altro, Chef Philippe Léveillé, Concesio, Brescia
Immancabile il leggendario gelato alla crema, proposto con fragole calde ma da noi preferito nella sua voluttuosa naturalezza.
gelato, Miramonti l'Altro, Chef Philippe Léveillé, Concesio, Brescia
gelato, Miramonti l'Altro, Chef Philippe Léveillé, Concesio, Brescia
La conclusione.
vino,Miramonti l'Altro, Chef Philippe Léveillé, Concesio, Brescia

Ogni volta che percorro i circa cento chilometri che separano Costoro di Concesio da casa mia inizio il viaggio con lo stesso pensiero: ed ora quanto ci metterò a digerire tutta questa roba?
La riflessione è d’obbligo, perché studi recenti hanno scientificamente dimostrato che sia impossibile uscire dal Miramonti senza sentire le pareti dello stomaco implorare spazio a tutti gli altri inquilini della cassa toracica.
Ciò che mi sorprende invece è che, una volta giunto a casa, tutte le sofferenze notturne preannunciate dall’abnorme quantità di cibo ingerita si sciolgono regolarmente in un sonno dolcissimo. Philippe Lèveillè, tra l’altro fresco di sbarco ad Hong Kong con suo nuovo locale L’Altro, non è certo avaro di burro e di aglio nei proprio piatti. L’intelligenza e la tecnica di cui dispone però, gli consentono di fare una cucina di matrice sfacciatamente gourmande e renderla al massimo grado possibile di raffinatezza.
Il Miramonti è un luogo magico in cui ogni componente sembra incastrarsi miracolosamente nell’altra: la cucina, l’ambiente accogliente in cui è praticamente impossibile non sentirsi a casa propria ed infine il servizio, gestito con mirabile cortesia e buonumore da Daniela Piscini che vi porterà, con un sorriso che non ammette un no come risposta ed in realtà nasconde una vena sadica, ai limiti della vostra cilindrata gastrica (Sararlo, torna! Questa casa aspetta attè).

Come in tante maison d’Oltralpe il menù ruota intorno ad un nucleo di piatti che rimangono pressoché immutati negli anni e diventano punti fermi per gli appassionati, must che non possono non far parte del bagaglio di esperienze di ogni gourmet che si rispetti. Se già nelle precedenti schede dedicate a questo locale abbiamo parlato del celebre risotto ai funghi e formaggi dolci di montagna e del fantastico gelato alla crema, è tempo di trattare del piatto più hard core fra quelli presenti in carta: il crescendo d’agnello con finale del suo carré.

Diversamente dagli altri classici del locale, questo piatto non è incluso nei vari menù degustazione, probabilmente perché ne costituisce uno da sé. Il carré, cotto perfettamente ed uniformemente rosa, è preceduto da una collezione di frattaglie, che dapprima sfilano per la sala ciascuna nel proprio pentolino, il cui solo pensiero è in grado di far rabbrividire qualsiasi angiologo e di mandare in deliquio il gourmet rotto ad ogni esperienza. Le cervella fritte, le animelle con i funghi, il groppetto (ossia la saporita carne fra le costole), il ragù, il fegato con le cipolle, il rognone, la trippa piccante, il filetto con il suo jus da bere senza ritegno ed il crostino con una mousse di piedino vengono accomodati nel piatto intorno al protagonista e ad un crostino di polenta. Tante cotture diverse, tanti bocconi straordinari che trascinano le papille su un ottovolante di sapori estremi ma sempre domati con la frusta del cuoco di classe. Il finale, un pezzo di carne che già di per sé rappresenterebbe per molti una sfida dall’esito non scontato, diventa con la sua facile succulenza praticamente un dessert.

A proposito di dolci: alla settima visita a questo locale ho finalmente trovato il coraggio di non cedere alle sirene del gelato (al cui assaggio sarò comunque piacevolmente “costretto” da Daniela) per testare un dessert al piatto, trovando piena soddisfazione nella vigorosa millefoglie croccante al pistacchio con latte di mandorla e gelato alla fava tonka.

Una nota di merito ed una dolente, per concludere. Ho sentito talvolta dire che il difetto del Miramonti sia l’eccessivo gap qualitativo fra i classici ed i piatti di più recente concezione. Le ultime due visite mi hanno convinto che questa differenza si sia nel tempo notevolmente ridotta, tanto che il piatto più banale come il galletto alla griglia con agretto di aglio e prezzemolo con rosti di patate si colloca comunque su un ottimo livello. Non inganni la presentazione: la carne è cotta ed insaporita al meglio salvo che per un certo eccesso, qui sì, d’aglio. Le lumache all’acetosella con baguette di lumache ai sapori mediterranei e mozzarella di bufala sono anzi un piatto che tiene l’asticella sullo stesso altissimo livello delle preparazioni più note.
Una piccola tirata d’orecchie bisogna farla per una carta dei vini di eccessiva pesantezza, con ricarichi che fanno passare all’appassionato la voglia di pescare pesci grossi. Bastino i 30 euro (regolarmente indicati in carta) richiesti per un calice di Terre di Lavoro 2003 a dare il termometro della situazione. Vista la simpatia di Taeko Nishikawa, spiace non darle maggiore soddisfazione.

Entrata: coniglio in porchetta e cannoncino di coscia confit su purea di cannellini e aria al rosmarino.

Lumache all’acetosella e “Baguette” di lumache ai sapori mediterranei e mozzarella di bufala con gazpacho e gelato alla senape.

Terrina di anatra selvatica, fegato grasso d’anatra, cipolle caramellate….

… e variazioni di fegato grasso.

Galletto nostrano alla griglia con agretto all’aglio e prezzemolo.

Arrivano i pentolini…

…ed il carrè pronto nel piatto in attesa di compagnia.

Groppetto.

Ragù.

Trippa.

Cervella.

L’interno del carré, dilaniato dalla mia foga golosa.

Polenta tiragna e rane alle verdure (omaggio della cucina prima dei formaggi…)

Panorama caseario.

Millefoglie croccante al pistacchio, latte di mandorla e gelato alla fava tonka.

Piccola pasticceria.