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Akelarre

Pedro Subijana è un altro dei numi tutelari della nuova cucina basca.
Come le buenas brujas (le streghe benevole) animano un gioioso sabba (akelarre in basco) all’insegna dell’allegria, allo stesso modo questo gioviale chef, per nulla appesantito dagli anni, celebra, da ormai quasi quarant’anni, la propria concezione di cucina elegante e assai moderna.
La meravigliosa sala arrampicata sulla sommità del monte Igueldo permette una vista mare a perdita d’occhio ed è il palcoscenico ideale per un’esperienza gastronomica che coniuga felicemente bello e buono.
L’attuale linea di cucina nasce da un percorso, come detto, cominciato diversi decenni fa, quando la cucina nei paesi baschi era rappresentata da una serie di ricette tramandate di generazione in generazione senza la minima ombra di una rifinitura.
Subijana insieme ad altri chef, tra cui il suo compagno di merende Juan Mari Arzak in primis, è stato il pioniere di un movimento che ha ingentilito e raffinato il modo di concepire l’alta ristorazione, facendo entrare la Spagna nel novero delle mete gourmet europee.
Lo status quo da quel momento, parliamo degli inizi degli anni settanta, ne è stato completamente rivoluzionato e ha trovato nel corso degli anni altri importanti interpreti.
La leggerezza, l’eleganza, la stagionalità sono i diktat cui il nostro chef si attiene con il naturale corollario di una cucina gustosa e oltremodo curata.
Niente fritti o cotture iper elaborate o, ancora, golose ma estenuanti salse ipercaloriche, piuttosto la ricerca di materie prime di livello e un’attenzione spasmodica alle preparazioni e alla ricerca di ingredienti locali in un vero e proprio omaggio alla guipuzkoa, la provincia basca di cui San Sebastian è capoluogo.
Tale processo è sublimato da ricette che riescono ad amplificare la qualità delle materie prime e le proprie caratteristiche attraverso l’utilizzo di pochi, sapienti, tocchi.
Ed ecco allora, solo per fare un paio di esempi, le mitiche acciughe del Cantabrico, preparate al tavolo utilizzando il sale di Anana e un aceto di acciughe e zenzero o, ancora, la perfetta e mirifica cottura del maialino accompagnata da una emulsione del suo lardo.
L’unico appunto in tanto stile e nel perseguimento di una golosità costante, raffinata e nitida è lo sviluppo di essa senza attriti né apposizioni capaci di produrre quelle sferzate che facciano sobbalzare; il che è ancora più evidente nella selezione dei dolci che, pur buoni, hanno lasciato una sensazione di opera incompiuta.
Niente di esiziale, comunque, in una tavola che resta impressa in modo indelebile e che spinge a tornare, memori di un’esperienza appagante a 360°.

Magnifico panorama.
Panorama, Akelarre, Chef Pedro Subijana, San Sebastián, Spagna
Jardin marino: foglia di erba ostrica con riduzione di Txacoli, cozza con il suo “guscio”, spugna con ricci di mare, scalogno e mais, Codio (alga) in leggera tempura, polvere di gamberi.
Jardin marino, Akelarre, Chef Pedro Subijana, San Sebastián, Spagna
Ottimo pane.
Pane, Akelarre, Chef Pedro Subijana, San Sebastián, Spagna
Gamberi con polvere del proprio guscio e taccole.
Al tavolo prima di essere serviti sono portati imbevuti di orujo (grappa locale) e scottati per pochi secondi insieme a un ciuffo di timo per dare una sapiente affumicatura. Scandaloso non succhiarne la testa. Squisiti.
Gamberi e taccole, Akelarre, Chef Pedro Subijana, San Sebastián, Spagna
Pisellini lacrima, crema di patate e uova, asparagi bianchi alla brace, elegante salsa wasabi.
Pisellini lacrima e asparagi bianchi alla brace, Akelarre, Chef Pedro Subijana, San Sebastián, Spagna
Un classico di Akelarre fuori carta: riso con lumache di mare e di terra. Un convincente carnaroli in versione basca mantecato col sugo dei molluschi. Delizioso il film che contiene un concentrato dei due molluschi
Riso con lumache, Akelarre, Chef Pedro Subijana, San Sebastián, Spagna
Acciughe del cantabrico, pomodori, guindillas (sorta di piccolo peperoncino locale), fiori di cipollina, salty fingers (fuori menù).
Le acciughe sono cotte al tavolo utilizzando un’apposita clessidra e il sale di Anana (un lago salato nei pressi di Alava) e guarnite, poi, con una specie di aceto di acciughe e zenzero e lo stesso sale “grattugiato” al momento. Un gustoso piatto di stagione.
Acciughe del cantabrico, Akelarre, Chef Pedro Subijana, San Sebastián, Spagna
Tartare di manzo finissima, capperi, mostarda, uova, patata soffiata. Una versione diversa, stilizzata, meno appassionante in verità, di una tartare.
Tartare di manzo finissima, Akelarre, Chef Pedro Subijana, San Sebastián, Spagna
Pane alle erbe e spezie in accompagnamento.
Pane alle erbe speziato, Akelarre, Chef Pedro Subijana, San Sebastián, Spagna
Patate soffiate.
Patate soffiate, Akelarre, Chef Pedro Subijana, San Sebastián, Spagna
Merluzzo con intingolo di cozze ed erba ostrica, ostrica e gola (kokotxa) del merluzzo, quest’ultimo un boccone da re.
Merluzzo e cozze, Akelarre, Chef Pedro Subijana, San Sebastián, Spagna
Cernia con cous cous con uova di merluzzo e cuori di mare (mollusco simile alle vongole). Cottura impeccabile per un piatto di matrice vagamente fusion
Cernia e cous cous, Akelarre, Chef Pedro Subijana, San Sebastián, Spagna
Brodo di cuori di mare (berberechos) in accompagnamento.
Brodo con berberechos, Akelarre, Chef Pedro Subijana, San Sebastián, Spagna
Maialino, pomodoro confit, emulsione di grasso, suo ristretto. Eccellente.
Maialino e pomodoro confit, Akelarre, Chef Pedro Subijana, San Sebastián, Spagna
Xaxu, rustico dolce fatto di una sfera di marzapane fritta ripiena di crema di uovo e mandorle accompagnato da spugna gelata al cocco.
Xaxu, Akelarre, Chef Pedro Subijana, San Sebastián, Spagna
L’interno mantiene ciò che promette…
Xaxu interno, Akelarre, Chef Pedro Subijana, San Sebastián, Spagna
Il barattolo rotto di yogurth con frutti rossi… Francamente un po’ banale e non particolarmente significativo.
Dessert allo yogurt, Akelarre, Chef Pedro Subijana, San Sebastián, Spagna
Petit fours
Piccola pasticceria, Akelarre, Chef Pedro Subijana, San Sebastián, Spagna
Un cava come si deve.
Cava, Akelarre, Chef Pedro Subijana, San Sebastián, Spagna
Tramonto…
Tramonto, Akelarre, Chef Pedro Subijana, San Sebastián, Spagna
Il raggio verde?
Tramonto sul mare, Akelarre, Chef Pedro Subijana, San Sebastián, Spagna

I congressi sono come i calabroni: non dovrebbero eppure continuano a volare. A dispetto dei calcoli degli entomologi sull’apertura alare, il loro ronzio ogni tanto riesce persino a ficcare il pungiglione nel cuore vivo della contemporaneità. Provocando choc non solo anafilattici, che rimettono in discussione assetti dati comunemente per scontati. Ce l’ha fatta, almeno in parte, Gastronomika 2013, che a San Sebastian in questo mese di ottobre ha inquadrato con taglio a dir poco inusuale il panorama gastronomico internazionale. Dalla messa a fuoco sono stati infatti esclusi i paesi del nord Europa, ma non è andata molto meglio al continente americano, che ha visto il solo Acurio sul palco. Forse per sfatare il cliché di una cucina irrimediabilmente nomizzata, aureolata di una corona di fiori ed erbe spontanee nella scampagnata georgica dalle Ande alla tundra, giù giù fino alle foreste australiane. Quella forse ha già preso residenza in qualche evento più o meno clandestino (ma l’anno prossimo sarà la volta dell’Italia, presente quest’anno con Gennaro Esposito).

Focus su Londra, allora, e sulla sua cucina metropolitana, che significa Heston Blumenthal (un po’ stanco sul palco, alle prese con il filo da lui stesso tranciato del food pairing, complessificato dalla volatilità e dagli ingredienti ponte) e soprattutto tanta, tantissima fusion. Talvolta di enorme interesse, come nel caso del giapponese Junya Yamasaki del ristorante Koya, che ha illustrato sul palco passo dopo passo la complessa preparazione di un piatto tradizionale giapponese, il calamaro fermentato nel suo fegato (ikano shiokara), bomba vischiosa che adopera anche per condire, al posto delle acciughe, o preparare la maionese. “Sulle montagne i vecchi usavano fermentare in questo modo, con le sue interiora, anche la selvaggina, che così si conserva per sempre: sto attualmente investigando questi procedimenti nel tentativo di riproporli”.

E anche un’altra tecnica conserviera di matrice asiatica ha avuto la sua celebrazione sul palco: l’essiccazione, soprattutto dei prodotti ittici. Quasi che tramontato il sole della lunga estate spagnola, la cucina avesse messo mano alle dispense dei vasetti senza tempo per superare il grande freddo dell’immaginazione. Ad aprirli sono stati due “outsider” di razza. Corey Lee, chef coreano che per 8 anni ha affiancato Thomas Keller alla French Laundry, oggi al Banu di San Francisco, e Nuno Mendes del Viajante di Londra. Davvero eccellente la ponencia del primo, che continua ad attingere suggestioni dalla cucina quotidiana della madrepatria, incollandone i frammenti con l’oro di una tecnica francesizzante, quasi fosse una ceramica crepata e nobilitata dal kintsugi. L’essiccazione gli serve per variare la tavolozza delle testure nel senso, modernissimo, del gelatinoso e del gommoso (è il caso dell’orecchia di mare e dell’oloturia, essiccata, reidratata, farcita come la ballotine di un MOF); ma è anche simulata con mossa di flamenco nella zuppa di finta pinna di pescecane, trompe-l’oeil obbligato dalla messa al bando dell’ingrediente originario. “Sono prodotti da valorizzare nelle loro differenze dal fresco: stanno al pesce come l’uva sta al vino o il prosciutto al maiale”, ha spiegato.

Anche lo chef portoghese è voluto transitare per il ciclo delle metamorfosi, a lui congeniali grazie alla familiarità col baccalà. A sua somiglianza, la superba capasanta britannica viene marinata, disidratata e nuovamente marinata con il brodo delle barbe, sempre per ragioni di testura; mentre il “dashi” è preparato con il baccalà vero e proprio. Un accanimento impensabile fino a pochi anni orsono, che tuttavia non invade il perimetro dell’autonomia dell’ingrediente, regista e cuoco di se stesso.

Folate cariche di spore che non sembrano aver lambito la Spagna, dove gli chef continuano a fare finta di niente. Quique Dacosta come Dani Garcia e Pedro Subijana, Martin Berasategui e Juan Mari Arzak, inceppati nel tartagliamento dei trompe-l’oeil più improbabili. Con le solite eccezioni di Angel Leon, che dal mare trae non solo plancton, ma oggi anche zuccheri e peperoncini; Josean Alija, sempre più elegante ed epurato; Joan Roca, che tuttavia cerca l’innovazione lontano dal pass, nella creazione di un’opera d’arte totale chiamata Somni con l’artista visivo Franc Aleu. Mentre Andoni Luis Aduriz, che ha dedicato il suo intervento alla “rete neuronale delle idee” sottesa al balzo della creatività, forgia come un ingegnere venusiano i suoi UFO (Unidentified Food Object), esperimenti sul limitare stesso della cucina e del gusto. Spesso evanescenti come una fata morgana che si dilegua nella bocca (ieri le pompas, oggi le scaglie di ghiaccio al sugo di gamberi rossi), quasi un monito sull’obsolescenza programmata della cucina d’avanguardia.

L’impressione è che dopo un decennio a forma di freccia, monodirezionale e dromocratico dietro la punta sibilante di Ferran Adrià, la cucina abbia imboccato percorsi plurali e paralleli, dove a spuntarla è chi possiede un universo di sapori propri. Un po’ come è accaduto dopo lo spegnimento dell’incendio avanguardista, quando Michelangelo Pistoletto scriveva: “Per me non ci sono forme più o meno attuali, tutte le forme sono disponibili, tutti i materiali, tutte le idee e tutti i mezzi. Il cammino dei passi di fianco porta fuori dal sistema che va diritto… Procedendo di fianco, la corsa fra gli individui diventa parallela, perché ogni individuo procede individualmente senza proiettarsi fuori di sé né in punti astratti né sugli altri. In questo cammino non ci sono i più bravi e i meno bravi, perché ognuno è quello che è e fa quello che fa; nessuno ha bisogno di fingere per mostrarsi migliore e diventa facilissimo comunicare senza strutture di linguaggio perché è facile capire di ognuno chi è e come è”.

Tre istantanee di una cena da Andoni, al Mugaritz:

Toast affumicato, 100% astice.

Erbe fritte dell’orto con aromi stridenti (shiso e cannella).

Carote con i loro fiori.

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Recensione ristorante.

Prenderò in prestito una riflessione di un amico di grande cultura, pensiero che sposo e condivido al 100%:
“Trovo perfettamente naturale il pensiero che, come il portato di un’opera d’arte visiva non si dirige, se non in transito, alla corteccia cerebrale visiva, così anche quello della cucina di qualità non si rivolge, se non in transito, alla corteccia cerebrale olfattivo – gustativa.
In entrambi i casi (sommariamente ‘visivo’ e ‘gustativo’), a partire dalla rapida percezione, lettura e appropriazione del senso in sé, è ormai persino scientificamente provato (ce ne fosse mai stato bisogno), si passa poi a coinvolgere, con varietà di tempi e modi, soggettivi ed oggettivi, altri e più estesi territori della mente. Territori culturalmente decisivi per dare un ‘gusto’ ricco alle cose, tra ‘mente’, ‘cuore’ e ‘pancia’.”
Cibo, cultura, arte, artigianato, tradizione, modernismo. Tante volte abbiamo affrontato discussioni su questi temi, litigando amichevolmente sulle appartenenze a questo o quel settore.
Beh, tradizione e innovazione, artigianato e arte, a questa tavola si siedono una vicina all’altra.

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