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Uliassi

Maturità, a Senigallia, non fa rima con saggezza

Mauro Uliassi è, prima di tutto, un uomo di spessore e, poi, un grande cuoco. Possiamo tranquillamente affermare questo perché il suo tratto distintivo, da sempre, è stato quello di non scartare mai con superficialità una critica, un consiglio, una riflessione o un’osservazione. Anzi, si è costantemente messo in discussione, ha migliorato, ha progredito in tecnica e precisione, senza mai scordare il suo imprinting iniziale: la gradevolezza, la piacevolezza della sua cucina.

Molte osservazioni fanno pensare al ristorante Uliassi come a un luogo che nel tempo si è fin quasi snaturato per rincorrere il piacere di pochi. Ecco quindi menù che si susseguono per e a favore del critico di turno. Menù dai toni spigolosi, accentuati, con virtuosismi tecnici fini a se stessi. Mai osservazione fu più superficiale. Mauro ha sempre teso, e crediamo continuerà per lungo tempo, a migliorarsi, a progredire, a raggiungere finezze e sensibilità che ha rincorso e studiato con tenacia e determinazione. Senza, però, snaturare la sua indole, i suoi connotati, e il suo contesto. Del resto, un ristorante è pur sempre un’attività imprenditoriale e, pur volendo scomodare pensieri più profondi, siamo al cospetto di un uomo, e di un intero gruppo capitanato dalla fantastica sorella Katia Uliassi, che fa del servizio e dell’appagamento del cliente il punto di riferimento assoluto, perseguito con umiltà e dedizione che generano, come conseguenza immediata, un grandissimo successo di pubblico.

Non sarà dunque che la chiave di lettura risieda nella volontà di accontentare un più ampio spettro di pubblico possibile? Forse, accontentando i palati estremi più esigenti e, al contempo, accontentando anche i clienti diciamo “normali” non sarà che, così facendo, non solo si aneli e si tenda ma, di fatto, ci si avvicina tremendamente a quell’idea di ristorante perfetto, a quel luogo in cui tutti, o quantomeno tantissimi, escono “felici e contenti”? Ma non è questa, dunque, l’estromissione completa dell’ego del cuoco a favore della cultura del servizio e dell’accoglienza? Non è forse questa l’essenza di un ristorante?

Il ristorante perfetto

Ebbene, noi crediamo proprio di sì. Che la famiglia Uliassi, e per famiglia s’intende Mauro e Katia in testa a un gruppo solido e coeso, stia proprio rincorrendo il sogno del ristorante perfetto e, con questa ultima stagione, la 2020 iniziata con le difficoltà che tutti conosciamo, crediamo proprio che a quel modello gli Uliassi si siano infine avvicinati tantissimo.

La carta propone il menù dei piatti che hanno fatto la storia del ristorante, una carta ampia e in grado di accontentare tutti i palati; poi, loro due: il menù “caccia” e il nuovo “lab 2020”, disponibili solo su prenotazione anticipata. Una strategia brillante, perché quei menù, simbolo della ricerca più estrema dell’Uliassi-pensiero, devono essere prenotati e, dunque, voluti: fortemente voluti. Ecco quindi accontentato un enorme numero di appassionati e, contemporaneamente, salvaguardato il vero bacino di sostentamento del ristorante, con accortezza e tatto.

Il nuovo “lab 2020”, voluto dal cliente con piena consapevolezza, è un inno ai toni amaro-rancido-acidi visti con l’occhio felice, e moderato, di Mauro Uliassi. Ma questo menù, lo diciamo, è decisamente diverso da tutti i lab che lo hanno preceduto. E benché l’occhio attento avrà notato, soltanto l’anno scorso, alcune timbriche ricorrenti nel pancotto e nell’ossobuco di mare, quest’anno le ritrova amplificate, dirompenti, debordanti.

Oltretutto, si tratta di un menù pensato dall’inizio alla fine, molto più articolato nelle sue cadenze e nei suoi passaggi di un tempo. Non una sequenza di piatti, ma una serie di passaggi che compone una sinfonia d’insieme. Ogni boccone finale di un piatto anticipa e riverbera il successivo, e così di seguito.

Un cambio di paradigma accentuato, molto accentuato con, al centro del percorso, Uliassi stesso che nella sequenza amaro-rancido-acido porta al tavolo capolavori quali l’indivia di calamaro con essenza di alloro, in cui l’ortaggio appare a tutti gli effetti una illusione di forma ma anche di sapori – un calamaro con tanto di nappatura di estratto del cefalopode – davvero incredibile. Immenso lo spaghetto ai peperoni, polvere di friggitelli, olive ed estratto di eucalitpo, in cui la nota balsamico-rancida (tra olive e eucalpito) rinforza la polvere di friggitello sostenuta dalla dolcezza dell’amido in accompagnamento: un piatto apparentemente semplice che serba una complessità gustativa e un tasso di avanguardia assoluti. L’imperioso rognone, nobilitato e nobilitante e quasi urticante nella rincorsa tra l’estratto di arancia e l’olio alla cannella, esprime la potenza di un grande pepe nobile e agrumato. Lo stesso simile sentore di pepe che troviamo nella pasta in bianco, tutt’altro che un esercizio di stile, in cui burro di aringa e pepe timut si rincorrono vorticosamente nell’esaltazione della finezza e della lunghezza gustativa. Anche qui grasso, quasi rancido, affumicato e agrumato nobile.

E potremmo continuare per ore, e ore. Non un piatto sotto tono, non un accenno alla discesa. Non una crisi di identità e di gusto. Non un dopo che non abbia senso rispetto al prima. Cadenze pensate con un filo conduttore ben delineato.

Il menù perfetto, insomma, in un ristorante perfetto di un cuoco, una cucina e una sala gestita, semplicemente, alla perfezione. Evviva gli Uliassi, evviva l’Italia!

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La contemporaneità in tavola

Disseminati per la galassia gastronomica, ci sono alcuni – pochissimi, in realtà – ristoranti che non solo centrano il duplice obiettivo di convicere critica e gourmet ed entusiasmare il pubblico generalista, ma possiedono il dono di riuscirvi senza cadere nella trappola del cerchiobottismo. Nel ristretto novero di tali locali si colloca, a nostro avviso, Uliassi. Quella di Uliassi non è una cucina in assoluto anticipo sui tempi per tecniche, ingredienti impiegati, arditezza degli accostamenti.
Eppure, muovendosi  disinvoltamente sul filo della contemporaneità – ma senza assumere del tutto su di sé i rischi dell’avanguardia – lo chef ha dimostrato lungimiranza e coerenza, impiegando in modo intelligente e fantasioso le tecniche più funzionali alla propria visione gastronomica e, allo stesso tempo, lasciando in vita un lumicino dell’originaria vocazione di trattoria di mare di questo indirizzo. Il tutto accade, qui sulla Banchina di Levante dell’affascinante Senigallia, senza sforzo apparente, senza l’ansia di rincorrere ogni occasione per dimostrare di essere sempre al passo coi tempi. Ecco perchè la valutazione ormai stretta, se continuamente confermata ai livelli odierni, potrebbe crescere presto.

Da trattoria di mare fino all’olimpo gastronomico

La terza stella, recentemente conseguita, sembra aver caricato a molla cucina e sala, convincendo tutti che il percorso fin qui seguito sia stato meritevole di ogni fatica e di ciascun occasionale inciampo. Abbiamo trovato così, in occasione delle nostre visite più recenti, un Mauro Uliassi in grandissima forma: né vate dell’avanguardia né tantomeno umile servo della tradizione ma, e del resto così è sempre stato, un cuoco che ama giocare con i sapori e che, nel tempo, ha saputo circondarsi di una brigata di grande professionalità ma allo stesso tempo partecipe del processo creativo. Sembra vedersi, lo chef, in un ruolo di capitano/allenatore, allo stesso tempo coordinatore e compagno dei ragazzi in cucina, ai quali non manca di rendere omaggio citando, per molti dei piatti assaggiati, l’ideatore. 

Come ogni anno, l’apertura primaverile del ristorante ha visto l’esordio in carta di numerose nuove creazioni, che confluiscono nel menu Lab. Siamo stati testimoni di una fase di transizione, con alcuni piatti che, in una versione perfezionata, erano già stati presentati nella collezione 2018.
Tra questi, meritano una citazione il pancotto con mandorle e granita di ricci di mare, ancora più intenso della versione precedente e miracoloso per gestione di temperature e consistenze, e lo straordinario colombaccio, la cui cruda carnosità riesce a contenere un fondo all’eucalipto di raro potere perforante. Citiamo, fra i piatti nuovi, l’eccellente anguilla, sapiente rimodulata su tratti acidi, tannici e affumicati e un reparto dolci in grande spolvero.
Il servizio si mantiene sorridente senza essere scanzonato e lascia che al centro della scena restino le non rare uscite dello chef, vero mattatore della sala. Qualcosa in più, in termini emozionali, si potrebbe chiedere al servizio al calice per quanto, in quest’occasione,  l’unico vino insolito della serie abbia finito per ripagarci ampiamente di qualche proposta eccessivamente scontata.

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Dalla colazione alla cena, pied dans l’eau

Un bar adatto a colazioni? Uno stabilimento balneare? Un ristorante da rapida pausa pranzo o da lunga cena serale? O un luogo ideale per un aperitivo di qualità vista mare?
La risposta al Marè è: di tutto un po’.

Passare qualche ora in questo bello stabilimento balneare, in cui torniamo sempre volentieri, ci ricorda quanto sia importante la vision in una impresa di successo: saper immaginare il proprio scenario futuro, anticipando anche le richieste del mercato… Quando, nella primavera 2010, vedeva la luce Marè, Luca Zaccheroni, il proprietario, sapeva esattamente dove voleva andare: fare del suo locale un punto di riferimento, dalla mattina alla sera, prima di tutto per la clientela del posto e poi, perché no, per gli appassionati disposti a fare km per passare qualche piacevole ora a tavola. Un locale dal respiro internazionale, dove abbinare l’unicità dell’accoglienza romagnola con le idee e le scelte di un viaggiatore curioso.

Il piacere di una cucina gourmand

Il duraturo legame con Omar Casali, lo chef del Marè, è stato quanto mai azzeccato: un cuoco con solide basi tecniche ed evidenti capacità organizzative, in grado di gestire un grande numero di coperti senza rinunciare a qualità e attenzioni. La scelta è caduta su una cucina gourmand, morbida e gustosa, finanche eccessivamente rotonda in alcuni frangenti ma mai stucchevole. Una cucina che è il giusto compromesso tra qualità e costi, che magari non farà gridare al miracolo ma che certamente appagherà in tutto e per tutto, donando una rappresentazione moderna della classica cucina da “bagno” romagnolo aperto, in stagione, tutti i giorni, da mattina a sera.

Il risultato è, come nelle nostre precedenti visite, una sosta di grande piacevolezza in un ambiente che, anche a cena, sa essere estremamente accogliente e confortevole, anche con bambini al seguito. L’ennesima conferma che, in fatto di ristorazione, la Romagna ha sempre qualcosa da insegnare!

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Il felice ritorno di Alessandra Moschettini a Lecce: un nuovo indirizzo per la cucina di mare fra i vicoli del centro cittadino

Avevamo lasciato Alessandra Moschettini in uscita da Alex Bar, al termine di un percorso in crescendo dopo alcune nostre visite deludenti. Dopo alcune stagioni passate fra consulenze ed incarichi in strutture alberghiere, ritroviamo la chef salentina in ottima forma alla guida di un interessante locale a tema marinaro nel centro storico di Lecce.

La barca di Mario è il progetto che vede la Moschettini impegnata gomito a gomito con Mario Marzo, avvocato pentito datosi all’ittica e responsabile degli arrivi giornalieri dalle coste adriatiche verso le cucine del locale. La proposta è semplice: i pesci proposti in cottura sono quelli di giornata, con l’inevitabile variabilità, mentre leggermente più costante è la proposta dei crudi, più gestibile grazie all’abbattimento di temperatura. Alessandra Moschettini si conferma eccellente interprete di alcuni capisaldi come la pasta (in questo caso linguine) ai ricci di mare e sensibile alla materia ittica, con preparazioni di crudo equilibrate ma intriganti, geolocalizzate, come nel caso di un ceviche di gamberi ben calato nello spirito mediterraneo. Il ricordo di alcuni accostamenti poco centrati e di qualche barocchismo in fase di impiattamento è assai lontano e la cosa non può farci che piacere.

Grazie alla filiera corta anche i grandi crostacei vengono proposti a prezzi decisamente abbordabili e il conto finale, salvo pesci interi e, appunto, grandi crostacei, si attesta facilmente al di sotto dei cinquanta euro e tiene fede, insieme ad una carta dei vini semplice e alla curata rusticità del luogo, a un’insegna che recita “Osteria del mare”. Da segnalare il servizio da asporto e la possibilità di giornate didattiche pesca-degustazione.

Albergo, ristorante e luogo dell’anima. Tutta la magia di Salina racchiusa in un piccolo borgo antico

Un albergo di raro fascino su un’isola incantata, un’accoglienza di smisurato calore umano, una cantina profondissima e una cucina materica, appagante e intelligentemente territoriale. La sommatoria dei predetti elementi conduce ad un unico risultato: il Signum.

La creatura della famiglia Caruso, così autentica quanto ormai di caratura internazionale, cresce e diventa sempre più preziosa col passare delle stagioni. Sarà perché Salina è baciata dal sole o forse è merito del cielo stellato con quella luna così presente. O può darsi sia semplicemente la passione nel fare le cose per bene e far sentire l’ospite una persona speciale. Bastano poco più di 24 ore in questo luogo per trovare la pace dei sensi, rigenerandosi tra smisurate coccole e attenzioni. Tra queste, c’è la cucina della giovanissima Martina che, affiancata dal suo fidato braccio destro Giacomo Caravello, sta tracciando un percorso evocativo e proverbiale tra sapori dell’isola e tradizione mediterranea.

La schiettezza della pasta mista con spatola e bottarga, da bis, è il viatico tra sapori marinari, tradizione ed il lusso della semplicità. Subito dopo si assaggia l’elegante filetto di san pietro, acqua di capperi -di straordinaria densità ma controllata nelle tonalità più amare- cetrioli cotti e crudi e ricotta, o l’ennesima interpretazione della triglia con suo fegato, salvia fritta e salicornia, e si schiarisce nitidamente l’indole più creativa di questi giovani cuochi che ci avvisano che, se vogliono, sanno sganciarsi da quella dimensione rassicurante che, per certi versi, può apparire più scontata. Dopo una cena di una dozzina di portate ci si sente leggeri, soddisfatti e con la voglia di assaggiare tanto altro. Cosa che, personalmente, non ci siamo fatti mancare venendo, per nostra fortuna, ripagati anche l’indomani con un pranzo confortevole, rappresentato da piatti buonissimi come gli spaghetti aglio, olio, peperoncino, guazzetto di mare e prezzemolo, lo scorfano ‘a ghiotta o il tonno scottato con melanzana bruciata.

Sono tante le note positive di questa tavola, dall’approvvigionamento di materie prime di grande valore (non c’è solo la Sicilia), trattate con grandissima mano, al servizio di sala, supervisionato del primogenito Luca, di grande professionalità ed empatia, alla cantina, calata benissimo nel contesto della cucina e capace di impreziosirla con abbinamenti la cui accurata scelta passa in rassegna etichette locali, nazionali e internazionali.

Coccole su coccole, dal momento in cui si varca il cancelletto d’ingresso, in una vicolo nascosto, di questo piccolo mondo, fino al commiato.

Pernottare in una delle bellissime camere per godersi a pieno la magia dell’isola (c’è una affascinante e funzionale spa nell’hotel) e rilassarsi sulla terrazza mozzafiato ammirando Panarea e Stromboli durante un aperitivo al tramonto con gli eccellenti cocktail di Raffaele Caruso sarà la ciliegina sulla torta di un’esperienza tra le migliori del nostro Sud enogastronomico.