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Prima della Prima: Marcello Trentini

INSALATA DI LINGUE D’ANATRA, FEGATELLI BRUCIATI E GEL DI FRAGOLE

Ludwig Wittgenstein parlava di un’anatra-coniglio, sulla scorta della figura utilizzata dallo psicologo Joseph Jastrow. Forma bivalente che rimette allo sguardo di chi osserva la soluzione della sua ambiguità, leggibile in un senso o nell’altro come la testa di entrambi gli animali, rivolti verso sinistra o verso destra. Serviva al filosofo austriaco per evidenziare l’“aroma che il cervello aggiunge a ciò che vede”, il fraseggio dell’immagine che favorisce ora un’interpretazione, ora l’altra, abbracciando talvolta le due insieme. L’occhio come grammatica del vedere, insomma, poiché “tutto ciò che vediamo potrebbe essere altrimenti”. Guardare significa inviare una immagine al cervello affinché ne elabori la concezione visiva: è “un pensiero che echeggia nel vedere” piuttosto che una semplice ricezione.

Lo stesso rimpallo fra sensi e pensiero, veicolato da un’ambiguità tutta gastronomica, è sovrano nella cucina di Marcello Trentini, dove è il palato a fraseggiare gli scambi fra carne e pesce o fra culture alimentari differenti. Come accade in questa Insalata di lingue d’anatra con fegatelli bruciati e gel di fragole, crasi fra due specialità diverse, dove l’anatra riveste anche il pelo del coniglio, giocando un duplice ruolo. Ci sono infatti le lingue di anatra abbrustolite, tipiche della cucina asiatica nonché classico francese (Ducasse), e il torchon di fegatelli, sempre di anatra. Bruciati. Insieme si prestano a due letture: l’insalata piemontese di frattaglie, composta generalmente di nervetti e testina, e una specialità sabauda a base di selvaggina da piuma, foie gras e frutti di bosco. Un gioco tutto in casa, quindi.

“Ho cercato di far convergere l’evoluzione di due ricette tipiche in una entrata molto fresca, ma dai gusti profondi. Quindi le rigaglie di anatra cucinate in modo leggero, ma spinte da sentori di griglia e tostatura, e il torchon, che per me è il simbolo della joie de vivre, ma senza il foie, cioè il lusso e il grasso. Si tratta di una ricetta da me codificata: i fegatelli vengono marinati nel latte a 50 °C, poi bruciati con il cannello da pasticceria per simulare la rosolatura della scaloppa e modellati, invertendo le fasi della ricetta originale, in cui il fegato viene prima arrotolato e poi cotto al vapore o confit. La freschezza deriva dalle Mara des bois, fragole selvatiche che maturano da maggio a ottobre, carnose, acide, dolci, con un gusto spiccato di bosco che si lega all’evocazione della selvaggina. Il concept dell’insalata è completato da nasturzio, acetosella e portulaca, con la loro spinta acida e amara, e dalla salicornia per il côté iodato, sapido, croccante”.

Foto di Giorgio Cravero – Studio Blu 2.0.

Insalata di lingua d'anatra, fegatelli bruciati e gel di fragola, Chef Marcello Trentini

Il Maguràbìn probabilmente è una figura medievale, sorta di santone che peregrinava tra quelli che oggi sono le Langhe e i borghi limitrofi di Torino per fornire alla gente prestazioni (anche legali) di diverso tipo. Il termine era inoltre utilizzato per invocare “l’uomo nero” e spaventare i bambini inappetenti costringendoli a mangiare il pasto quotidiano.
Marcello Trentini, dieci anni or sono, decise di battezzare il suo piccolo ristorante all’ombra della Mole con un nome che rimanesse facilmente impresso in mente e, allo stesso tempo, che avesse uno stretto legame con la tradizione e il territorio.
Già, il territorio piemontese, vasto come pochi sì da non temere rivali in termini di prodotti alimentari e grandi vini.
Bene, se diciamo che a Marcello Trentini piace “sovvertire” il suo territorio, potete immaginare quanto sia interessante come persona. Ha una filosofia chiara, precisa e che aprirebbe dibattiti infiniti sul tema.
Dobbiamo ammetterlo, il suo ragionamento non fa una piega. Può non essere condiviso da tutti, ma è rispettabile come pochi.
E’ strettamente necessario servire frutta, verdura o altri prodotti fuori stagione? E perché no se, ad esempio, il sapore dell’asparago cileno nel pieno della stagionalità è comunque ottimo a febbraio anche in Italia? In effetti se pensiamo alla stagionalità delle banane e al fatto che solo in alcuni luoghi al mondo non sono fuori stagione, nessun ristorante europeo dovrebbe servirle.
È il “chilometro zero a livello globale” secondo il Trentini pensiero. La stagionalità non può prescindere dai confini geografici. Ricordiamo un suo piatto goliardico che era in carta qualche tempo fa, in pieno inverno, chiamato “Km 10.000”, con asparagi bianchi del Cile, piccione dalla Francia e ciliegie del Madagascar, quasi una presa in giro del chilometro zero.
Filosofia chiara, come lo stile di cucina del suo autore, personale, di stampo classico ma intriso di spunti e influenze estere, molti sono i rimandi ai cocineros spagnoli – specie per il quasi onnipresente connubio carne-pesce/crostacei – ma anche alla vicina Francia, fino a ritrovare alcune note orientali (vedi il bok-choy, sebbene coltivato in terra piemontese). Tutto questo però, partendo dalla base, ovvero dal territorio e dalla rivisitazione (ove possibile) dei classici della tradizione, come l’interpretazione del vitello tonnato, sempre in carta, insieme agli immancabili plin.
Al Magorabin troverete una cucina di sostanza e divertente, magari non sempre bilanciatissima, anche se vanno riconosciuti i meriti allo chef che si prende il rischio di giocare sul filo dell’equilibrio gustativo.
Alla piacevolezza complessiva contribuisce anche la curatissima location, in centro città e, dulcis in fundo, un servizio decisamente di alto livello – vi servono appetizers, due entrate e pre-dessert – e la carta vini sorprendentemente ricca e con bassi ricarichi.
Avanti così.

Piacevoli gli stuzzichini iniziali (molto rustici) serviti con un Bellini fatto a regola d’arte, con succo di pesche di Volpedo.

Club Sandwich al cucchiaio. Ottima materia prima e rivisitazione personale e intelligente.

Secondo amuse bouche. Ancora il territorio rivisitato: Rape e salsiccia.

Ottimo e vario il pane, ma anche i grissini e le schiacciatine.

Per non parlare del cremoso burro all’erba cipollina.

Oyster – Steak Tartare. Gioco acido-iodato bilanciato dalla mela verde. Bravo.

Lingua , Gamberi e Mandarino, dal gusto iniziale orientale, poi sul finale torna la rotondità gustativa della tradizione con la lingua brasata.

Castellana di Capesante 2.12. Bella idea con la capasanta che sostituisce il tradizionale vitello (tradizionalmente farcito con prosciutto e tartufo) e con i ripieni all’esterno. Il gusto però è poco convincente, con il tubero praticamente non pervenuto.

Impeccabili i Plin di Nonna Lucia. Preceduti dagli altrettanto classici Tortelli con scampi e bisque di crostacei (foto di apertura) questa volta con l’influenza transalpina a farla da padrone.

Maialino , Scampi e Bok-Choy. Piatto spagnoleggiante, ma il fondo bruno ti riporta sotto le Alpi. Da manuale la cottura del maialino.

Ricciola con fegato grasso, asparagi (appunto cileni) e scalogni glassati. Abbinamento riuscito, ma un piccolo errore tecnico c’è stato nella cottura pronunciata del pesce (forse dimenticato qualche secondo di troppo sotto la salamandra).

Pre-dessert golosamente appagante: krapfen alla crema con sorbetto al mandarino.

Pesca e cioccolato, una rivisitazione della Sacher.

Friandises



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Questa valutazione, di archivio, è stata aggiornata da una più recente pubblicazione che trovate qui

Recensione ristorante.

Chi ha paura del Magorabìn?

Bambini! Mangiate tutto, se no arriva il Magorabìn!
Ma no. Ma non qui.
Marcello Trentini: avvicinati e raccontaci.
Ma si, ma che venga al tavolo a parlarci di cucina e belle arti , di cultura e comunicazione, con chiarezza di idee e coerenza pratica.

Prima del suo habitat e poi della sua filosofia di cucina salutare che preferisce far soffrire il gusto tondo e ruffiano, eliminando grassi superflui e sale aggiunti, rinunciando apparentemente al raggiungimento di un facile obiettivo, cercando poi di arrivarci ugualmente lasciandoti lo stomaco libero da ricordi troppo marcati.

Quindi, il sale sotto media. I grassi al minimo storico. Il fritto questo sconosciuto.
Anche a costo di perdere qualche apprezzamento sul piano della facile piacevolezza ma guadagnandoci però nella digestione pomeridiana, che distoglie dal desiderio di un riposino sul prato del Parco Reale e consente una lucida visita alle Mummie nella penombra.

Carta vini importante per quantità , ma anche per una certa originalità, dove l’Italia dei rossi si erge alta quanto la vicina Mole ghemmese , dove i bianchi italici se la cavano con la diversificazione. Dove l’estero fermo è curiosamente solo d’oltre Oceano. Dove la Francia viene sdoganata ma anche contingentata solo in quote relative a Champagne e Sauternes.

Il piacevole ambiente e la professionalità del servizio al maschile nettamente sopra media alimentano il benessere complessivo.

La radice comune da cui parte questa filosofia di cucina profondamente aggrappata a certezze storiche che provengono come ovvio dal Piemonte , ma anche dalla vicina Liguria , dalla Provenza, a cui si aggiungono alcuni ricordi di viaggi extra europei , ma solo per condire lievemente la monotonia cittadina.

Niente paura, il Magorabìn vuole fare solo un po’ ” l’originale ” , ma non fa paura a nessuno.

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