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Café Sillon

E’ senz’altro vero che a Lione si mangia benissimo. La città offre di tutto, dai bouchon di qualità all’alta ristorazione, tutta francese o ibridata in varie salse, compresa quella giapponese degli eccellenti Takao Takano e Au 14 Février.
Se proprio bisognava trovare un difetto a questa offerta era l’assenza di un battitore libero, di qualcuno capace di spiazzare anche il gastronomo più navigato con un’idea di cucina inedita.
In realtà, per qualche tempo pare che questo si fosse già visto al 126, la prima avventura in città di Matthieu Rostaing-Tayard; avventura durata circa 3 anni di grande successo, e finita perché l’inquieto chef aveva voglia di girare il mondo. E l’ha fatto davvero: dal Nepal al Giappone, al Perù, dal Canada all’Italia, in particolare a Modena nella cucina di Massimo Bottura.
Oggi, a 34 anni, in un locale bello, di scabra e magari non originalissima eleganza nordica, tutto questo bagaglio di esperienze, insieme a una personalità davvero fuori dal comune, si riassumono in una carta molto corta ma piena di stimoli.

E’ davvero raro trovare, sotto i titoli apparentemente neutri dei piatti (Rostaing-Tayard è tutt’altro che un esibizionista), tanta originalità di abbinamenti, tecniche, consistenze.
In un menu pieno di virgole -i piatti sono una mera elencazione di ingredienti- molte pietanze fanno mettere a voi il punto esclamativo, alla fine, preceduto sempre da qualche punto di domanda.
Citazione d’obbligo come piatto più spiazzante per la melanzana poché, con tartare d’agnello, lamponi, menta, rabarbaro e coriandolo, che è tutta uno spigolo; e come più entusiasmante per il siero di latte con prugnoli, mandorle fresche e liquirizia, che non sfigurerebbe da Redzepi ma che in realtà riassume questa specifica idea di cucina.
In cui non esistono separazioni nette fra dolce e salato, caldo e freddo, in cui l’acidità non è usata per contrastare o alleggerire ma proprio per sferzare, in cui la materia prima emerge in forma anche brutale.
Carta dei vini corta ma molto pensata e coerente con la cucina, con la possibilità di bere al bicchiere o anche di ordinare alcune cose interessanti sfuse a mezzo litro (per noi l’ottimo Anjou Mozaik di Pithon-Paille).
Servizio sorridente di chi è platealmente entusiasta di partecipare all’avventura ed affiancare uno chef la cui tensione è evidente nel piatto, come nello sguardo che rivolge spesso, curioso e preoccupato, alla sala.
Una tappa davvero da non perdere, in una città che non ci stancheremo mai di consigliare a tutti.

Stuzzichini, impeccabili benché serviti trenta secondi dopo il vostro arrivo.
stuzzichini, Café Sillon, Chef Matthieu Rostaing-Tayard, Lyon
Per amuse bouche, fagiolini bianchi con uovo e albicocca, Un tromp l’oeil (l’uovo è quello grattuggiato, l’albicocca è sul fondo) che lascia intuire molto.
amuse bouche, Café Sillon, Chef Matthieu Rostaing-Tayard, Lyon
Calamari, grigliati, pomodori, salicornia, ribes, parmigiano, olive nere, origano. Estivo, fresco, con ruolo centrale dato alle consistenze turgide di calamari e pomodori, eccellenti
calamari, Café Sillon, Chef Matthieu Rostaing-Tayard, Lyon
La melanzana di cui sopra.
melanzana, Café Sillon, Chef Matthieu Rostaing-Tayard, Lyon
Il piatto più classico: manzo dell’Aubrac, patate novelle, gallinacci, nocciole fresche ed erbe selvatiche. Tecnica da manuale.
manzo all'aubrac, Café Sillon, Chef Matthieu Rostaing-Tayard, Lyon
Tonno bianco, mais, finocchio, cozze, burro al peperoncino, “radis serpent”, bottarga e limone. Il tonno è mera texture in un piatto che vede nella componente vegetale la protagonista. Sorprendente è dire poco.
tonno bianco, Café Sillon, Chef Matthieu Rostaing-Tayard, Lyon
Basilico, peperoni piquillo, more. Il solo piatto in cui il titolo fa pensare a una pietanza più spiazzante di quanto non sia. Comunque molto ben eseguito.
basilico, Café Sillon, Chef Matthieu Rostaing-Tayard, Lyon
Il petit-lait con prugnoli, mandorle e liquirizia.
petit-lait, Café Sillon, Chef Matthieu Rostaing-Tayard, Lyon

Chef Paul Bocuse

Lungo il percorso che, dalle sale dell’Auberge du Pont de Collonges, porta verso la salle de bains, s’incontra, sulla destra, una stanza che ospita i prodotti del merchandising targato Paul Bocuse. Accanto a bottiglie, canovacci e prodotti culinari, è difficile non far caso, sugli scaffali, a una non minuta serie di statuette, busti e icone, talvolta di gusto non esattamente cristallino come il dipinto qui sotto, esposto in compagnia di alcuni storici menu preparati per eventi di una certa rilevanza nazionale.

Chef Paul Bocuse

Il ghigno diabolico nei confronti del, chiamiamolo così, diverso understatement transalpino, a quel punto sarà già scattato, inevitabile, se non durante l’attraversamento del Pont Paul Bocuse, alla vista di uno dei numerosi cartelli (quelli stradali, che di solito segnalano le città) indicanti la distanza della celebrità locale da vari punti dei Quai della Saône.
Poi però si fa una piccola raccolta di informazioni. Si scopre, per esempio, che l’impero Bocuse dà lavoro a circa 700 persone. Non tutte in Francia, ovviamente, dato che una parte minore delle attività si svolge in Giappone e negli States.
Comincia però ad insinuarsi il dubbio che tutte le celebrazioni, talvolta dangerosamente confinanti col culto della personalità, in fondo non siano così lontane dall’avere una giustificazione plausibile.
E allora i busti, gli allori, la collezione di medaglie e onori degna di un Generale dell’Armata Rossa, persino quell’ Ultima Cena che grida vendetta, e non certo nei confronti di Giuda, prendono tutto un altro colore.
La Francia ha d’altronde ben chiaro, e non dall’altroieri, il ruolo tanto culturale quanto commerciale che la gastronomia può rivestire per il Paese, e non è certo ironizzando sulla dedica a Giscard d’Estaing di una zuppa di tartufi che si cancellerà il fatto che Oltralpe, nel 1975, mentre il resto del mondo restava in attesa di svegliare la propria kundalini gastronomica, un cuoco veniva insignito della Légion d’Honneur.

Chef Paul Bocuse

Sono ormai quattro volte venti e otto le primavere sulle spalle di Paul Bocuse, e lo chef ha recentemente dovuto allontanarsi dal ristorante che è casa sua dal lontano 1926 a causa di qualche acciacco di troppo, ma non per questo il veterano dei cucinieri francesi ha smesso di estendere i confini del proprio impero.
E’ di recente apertura infatti, accanto ad una delle brasserie targate PB che punteggiano Lyon, un fast food che porta in una dimensione a misura di tutte le tasche prodotti di grande qualità, come le carni che si ritrovano nei pregevoli Hamb..pardon, César. Non bisogna del resto dimenticare che la dimensione ludica e popolare non è mai stata assente dalla cucina di Bocuse; egli è stato, sì, fra i pionieri della nouvelle cuisine, adottando uno stile che ha fatto proprie la cuisine du marché e la tendenza all’alleggerimento delle pietanze del suo maestro e mentore Fernand Point (anche se ci pare che, in senso più stretto, degli allievi di Point, Bocuse sia quello rimasto più a contatto con la cucina classica), ma ha anche vissuto una parte consistente della propria formazione culinaria presso Eugénie Brazier, colei che aveva portato ai massimi livelli ancor più che la cucina lionese, la cucina dei lionesi.
E se è vero che i piatti che hanno proiettato il nome di Bocuse nel mito, prima ancora di lasciare questa valle di golosità, sono gli stessi da almeno tre decenni, è altrettanto innegabile che la loro dimensione non sia terrena, ma già quella eterna della leggenda. E mettere in discussione questo monumento vivente, cristallizzato nella Storia della cucina così come i tre inossidabili macaron appuntati a Collonges dal lontano 1965, suonerebbe assai più grottesco che rivoluzionario, come recensire la partitura della Sacre du Primtemps oggigiorno invece che dedicarsi alle creazioni dei compositori contemporanei.

Auberge du Pont de Collonges, Chef Paul Bocuse

I tavoli sono tutti occupati. I camerieri, dai nerovestiti maître e chef de rang, quasi costantemente impegnati fra porzionature e carrelli di formaggi e dolci, ai commis in livrea bianca, sciàmano fra le sale crepitanti di stupore e piccole gioie non quotidiane. C’è un fruscio sottile che accompagna la sensazione di assistere, nello stesso istante, alla routine di una sala attiva quattordici servizi la settimana e al manifestarsi di un’inesauribile varietà di sfumature umane: dalla ragazza che festeggia il compleanno con i genitori e piange al momento in cui, accompagnato dalle note di un Organo di Barberia e dall’applauso generale, giunge un petit gateau di compleanno, alla coppia di vecchi clienti per l’ennesimo anniversario nel solito locale, al gruppo di turisti d’oltreoceano con un assortimento di camicie decisamente poco trois étoiles.
Ad una sala in cui perfino un’insalata diventa un pretesto per dare un giro di ruote al guéridon qualche inezia talvolta scappa, ma non è possibile non provare sincera ammirazione per una brigata totalmente dedita ad una missione: far vivere ai molti convitati un’esperienza memorabile, anche nella sua fallibilità. Perché quello di Paul Bocuse non è solo un ristorante: è un parco giochi gastronomico dove la gioia viene assai prima dell’immota perfezione, una giostra in cui la girandola finale di dolci diventa inno alla vita, oltre che una sfida alla propria capacità produttiva di insulina.

Nel quadro d’insieme qualche dettaglio, certo, farà storcere il naso, dall’ineludibile iconografia del mitologico chef disseminata lungo le pareti alla presenza di un unico impiegato di colore, quello addetto al parcheggio e agli ingressi del sopracitato organetto, circostanza somatica che non noteremmo se non fosse per la bizzarra livrea che il poveretto deve indossare e per la sensazione di déjà-vu avuta in un tristellato italiano che, per molti aspetti, ricorda da vicino il lunapark gastronomico di Collonges.

Ci sono poi i piatti, e qui la storia prende la maiuscola e, talvolta, anche il volo: ad esempio con una salsa, che accompagna dei succulenti filetti di triglia in cui le scaglie sono state ricostruite con fettine di patata, che da sola vale il viaggio per intensità e misura di acidità e grassezza. Con un fegato grasso di qualità superba accompagnato da una più che pertinente salsa al frutto della passione, con dolci classicissimi mai sotto la soglia del molto buono. E’ certamente vero che il più recente di questi piatti, pur fatti oggetto di un minimo restyling che ha fatto entrare qualche schiuma all’Auberge du Pont, ha visto più primavere di una buona parte degli chef che attualmente li cucina, ma è per questo che ogni prospettiva critica qui decàde. Perché piatti che oggi ci sembrano persino troppo opulenti ed indulgenti verso le materie grasse sono gli stessi che meno di mezzo secolo fa hanno contribuito, pur in maniera assai inferiore a quelli di altri allievi di Point come Michel Guérard, all’alleggerimento delle preparazioni, ad una diversa sensibilità per le cotture, per le stagioni, per l’utilizzo della tecnologia in cucina e per un atteggiamento rispettoso per il passato ma non affondato dal peso della tradizione. E un pranzo o una cena a Collonges è un corso accelerato di storia della ristorazione che vale cinquanta libri letti, un’esperienza che non dovrebbe mancare ad alcun appassionato gourmet.

Piccola entrata stagionale: vellutata vegetale al tartufo nero.
entrata, Auberge du Pont de Collonges, Chef Paul Bocuse, Francia
Casseruola di astice all’Armoricana. Ad una temperatura da pomodorino fantozziano.
Casseruola d'astice, Auberge du Pont de Collonges, Chef Paul Bocuse, Francia
Fegato grasso in salsa al frutto della passione. Porzione alla carta: tre scaloppe. Follia!!!
fegato grasso in salsa, Auberge du Pont de Collonges, Chef Paul Bocuse, Francia
Il filetto alla Rossini in salsa Périgueux. Un piatto che va abbondantemente oltre la nostra abitudine a sezionare i sapori.
filetto alla rossini, Auberge du Pont de Collonges, Chef Paul Bocuse, Francia
Splendidi i filetti di triglia in scaglie di patate. Come già detto, salsa da applausi a scena aperta.
filetti di triglia, Auberge du Pont de Collonges, Chef Paul Bocuse, Francia
Gli accompagnamenti alla portata principale ordinata alla carta. A tal proposito: avendo provato entrambe le esperienze consigliamo caldamente di scegliere questo tipo di comanda rispetto ad uno dei tre menu disponibili; conterrete i danni al portafogli e nel contempo apprezzerete meglio piatti che non sono fatti per l’assaggio di più preparazioni ma danno il meglio di sé in porzione generosa.
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Auberge du Pont de Collonges, Chef Paul Bocuse, Francia
Ferve l’attività in sala: anche per un’insalata (e nel frattempo, purtroppo, non siamo riusciti a fotografare il carrello dei formaggi griffati Mère Richard)
Auberge du Pont de Collonges, Chef Paul Bocuse, Francia
Predessert: ganache al cioccolato (splendida) con amarena.
predessert, Auberge du Pont de Collonges, Chef Paul Bocuse, Francia
La scelta dal carrello dei dolci: tarte au citron, sorbetto ai lamponi…
scelta del carrello dei dolci, Auberge du Pont de Collonges, Chef Paul Bocuse, Francia
…una crème brulée da antologia…
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…babà generosamente innaffiato…
babà, Auberge du Pont de Collonges, Chef Paul Bocuse, Francia
…e un Paris-Brest “solo” buono.
Paris Brest, Auberge du Pont de Collonges, Chef Paul Bocuse, Francia
Piccola pasticceria. Davvero un di più a questo livello glicemico.
piccola pasticceria, Auberge du Pont de Collonges, Chef Paul Bocuse, Francia
La brandizzazione dilaga.
Auberge du Pont de Collonges, Chef Paul Bocuse, Francia
L’orgue de Barbarie.
Auberge du Pont de Collonges, Chef Paul Bocuse, Francia

Come il talento ai fornelli anche la professionalità del personale di sala può avere molte e diverse manifestazioni. La sopportazione per esempio è senz’altro una qualità di cui un ottimo maitre o commis dev’essere dotato in misura ampiamente superiore alla norma. Alla Mère Brazier i camerieri, veloci e felpati come un manipolo di ninja in abito da sera, sono ben selezionati, e ciò permette loro di assistere, non senza una punta di silenzioso divertimento, allo spettacolo inscenato dai due russi al tavolo a fianco al nostro. Dalle telefonate ad alta voce, a scene raccapriccianti come il sommelier evocato con schiocchio delle dita e costretto a bere dai bicchieri di entrambi per verificare il diverso stato dello champagne (neanche costosissimo, ragazzi, potevate fare di meglio), a salire con reboanti moti di gradimento fino alla conclusione con l’immancabile rovesciatamento della bottiglia nel secchiello come nei peggiori cinepanettoni, non ci è stato risparmiato alcun numero tra quelli nel manuale del piccolo oligarca.
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Recensione ristorante.

Il sublime dono della sintesi.
Virtù, specie di questi tempi, molto sottovalutata.
Essere in grado di riassumere riducendo all’essenziale quanto si conosce e quanto si è compreso è davvero un’encomiabile attitudine.
Attraversare le varie fasi del proprio processo evolutivo, utilizzando solo il meglio di quanto appreso e filtrarlo con la lente dell’esperienza e del proprio talento.
Se poi uno come Jacques Decoret (già Meilleur Ouvrier de France nel 1996) ha affinato le proprie qualità con maestri come Troisgros, da cui è stato tre anni, Passard, di cui è stato il sous-chef, e Regis Marcon, appare più chiaro il nitore, la pulizia, l’eleganza e la concentrazione che traspare dai suoi piatti. (altro…)