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La Capanna di Eraclio

Sospesi, tra terra e acqua

Teniamocele ben strette le vere trattorie ‘del tempo che fu’: scrigni di storie familiari, di ricette tramandate di generazione in generazione, di ineguagliate conoscenze del territorio e dei suoi prodotti, di piatti davvero unici nella loro genuina fattura casalinga, di sincero calore umano e di profonda passione per il proprio lavoro. Sicché teniamocele ben strette, e sosteniamole, perché queste trattorie sono espressione tangibile e reale di una identità culturale condivisa che si rischia, ogni giorno di più, di imbastardire e di perdere. Non sono più tante queste insegne e – par quasi assurdo – è più facile oramai imbattersi in un buon ristorante di cucina contemporanea che in una tavola che racconta, senza infingimenti, la verace tradizione. Fra queste preziose insegne c’è ne è una che svetta: è La Capanna di Eraclio, della famiglia Soncini.

Un bianco casale, appena sotto l’argine di un canale, circondato da un pergolato. È lì – in quest’angolo sperduto della Bassa ferrarese – da tanti e tanti decenni: da quando ancora non c’era il telefono, né giungeva la corrente elettrica, né la strada era più di una semplice carrettiera. Eppure, in questo luogo appartato, quasi dimesso, si può gustare la miglior cucina di tradizione ‘di valle’ del nostro Paese. Già arrivare qui è una emozione: si attraversa un paesaggio magico dove acqua e terra sono perennemente in lotta fra loro. I piatti campi sono intervallati da macchie d’alberi, e continuamente intersecati da canali che riflettendo la luce rendono diafani i colori. Pare quasi che una atmosfera di sospensione assoluta regni su queste lande: e non è un caso – infatti – che Gabriele D’Annunzio abbia definito Ferrara «città del silenzio», che Giorgio de Chirico sia rimasto talmente affascinato da questi luoghi da dipingere qui alcuni dei suoi capolavori e che, proprio a una manciata di chilometri, dalla Capanna sorga Tresigallo, la ‘città metafisica’ e razionalista costruita negli anni Trenta dall’illuminato ministro Edmondo Rossoni.

La Capanna pare immersa in questo stato di ‘sospensione’: la sua cucina segue un tempo tutto suo, dettato dalle stagioni, dai cicli lunari, dalle maree, senza quasi tener conto del tempo che fugge, e tutto divora. Lo sa bene Maria Grazia Soncini che, con suo fratello Pierluigi, porta avanti questo luogo di famiglia, scrigno di ricordi e di sensazioni. La sua è una cucina fatta di materia: non ci sono trucchi né inganni. Il pesce è quello di giornata. I molluschi sono quelli che arrivano dalle ‘sacche’. I crostacei quelli che si pescano al largo. E la caccia si gusta in stagione. Secondo un ovvio principio: «si mangia quello che c’è oggi». È la mano, poi, a fare il resto. Ed è una mano ben allenata quella dei fratelli Soncini: tanto nello scegliere la materia quanto nel trattarla, senza ‘bis’-trattarla.

La felicità dei piatti

E così si legga pure la carta. Ma si ascolti bene ciò che Pier Luigi propone come pietanze del giorno. Così può capitare una profumatissima Vaporata di crostacei e molluschi, accompagnati da maionese maison. O – se si è fortunati – un assaggio delle rare Canocchie molecate (ovvero pescate nel momento della muta del carapace: si mangiano intere, fritte, come le più ‘comuni’, ma pur sempre preziose, moleche). O ancora – in autunno – un’Alzavola o un Germano. La cucina di Maria Grazia non mente. Nel piatto parlano i grandi prodotti della laguna: le Schie (gamberetti di laguna) e le moleche fritte sono soavi: un concentrato di gusto e di croccantezza (alla Capanna il fritto lo sanno fare per davvero!). Mentre alle cozze – le migliori, perché provengono dalla Sacca degli Scardovari – è ‘delegato’ il compito di impreziosire dei fini Spaghettini con pomodorino giallo (che dona una leggerissima spinta acida) e mollica croccante aromatizzata alle erbe selvatiche (che fornisce il tocco cruncky). Infine, fra i secondi, sia che si scelga una Pernice ripiena di foie gras, sontuosa e ricca, sia che si decida per l’incisiva Anguilla arost in umad (arrosto in umido), grassa e morbida, a colpire è la nettezza dei profumi, e la precisione dei gusti, quasi cesellati.

Un piacere, insomma. Una felicità. E pure tutto il resto – la semplice ma valida carta dei vini (ricca di bollicine, anche francesi), la simpatica cortesia del servizio, l’arredo d’antan… – contribuisce a creare questa felicità dell’‘esserci’. Proprio qui, in questo luogo, alla Capanna. Sospesi. Un po’ fuori del tempo…

IL PIATTO MIGLIORE: Anguilla arost in umad.

La Galleria Fotografica:

Cucina di mare tradizionale in un’atmosfera senza tempo

Nella Bassa Ferrarese il tempo sembra essersi fermato in questo storico ristorante dove, con una cucina rassicurante, si trasformano i prodotti della caccia e della pesca. Tra gli arredi, semplici ma eleganti, il protagonista di un pranzo primaverile è stato il pescato, che arriva giornalmente dal vicino Adriatico, preparato in maniera tradizionale con cotture semplici e un pizzico d’innovazione in alcune portate.

Si parte con un’eccellente carrellata di crudi: buonissimi e saporiti i canestrelli serviti al naturale assieme ai dolci scampi di Goro; il carpaccio di tonno, invece, è accompagnato da una delicata cipolla di Tropea, lasciata addolcire nel latte e che ben bilancia il boccone. Il branzino e la cannocchia, serviti con un goccio di olio, sono un concentrato di mare per il palato.

Buono e originale il risotto, anche se nel complesso un po’ troppo dolce. Ottimo il fritto misto, asciutto e croccante; meritano il bis invece i giottoli, che vengono fritti per intero e, in bocca, sprigionano un intenso sapore marino.

Si fa ricordare per garbo e cordialità il servizio.

La galleria fotografica:

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La potenza di un luogo, la forza degli ingredienti: è straripante la sensazione che può lasciare una visita alla Capanna di Eraclio.
Come un viaggio senza tempo, lontani dall’oppressione della routine quotidiana.
La Capanna accumula storia, giorno dopo giorno, e poi si fa guardare con ammirazione da quelli che hanno ancora gli occhi per vedere.
Pesce o selvaggina: non sapremmo dire cosa è meglio, perché percorrere questa strada in un nebbioso novembre e poi tuffarsi nel risotto alla folaga ha il suo perché.
Ma godere dei primi caldi, sfogliando la carta comodamente seduti in giardino prima di accomodarsi a tavola, riappacifica con il mondo.
Soprattutto se ne esce il migliore pasto da quando frequentiamo questo indirizzo.
Parlavamo di ingredienti e qui c’è n’è motivo come in pochi altri posti: ai canestrelli che potete vedere poco più sotto mancava solo la parola. Parliamo noi per loro: “unici”.
Ma la mano del cuoco, pardon, della cuoca, c’è ed è una grande mano. Sono piatti indiscutibilmente della tradizione, ma non quella statica di cui poco ci interessa, ma quella viva e piena di energia, quotidianamente in movimento verso un posto al sole. La tradizione che sa continuamente rinnovarsi.
Ecco il piatto di capellini con i giotoli, pieni certamente di materia ma anche di tanta finezza ed eleganza di preparazione.
O l’anguilla, prima scottata sulla griglia al calore di pioppi, sarmenti di vite e carbone, poi passata in forno a cuocere nel suo grasso: il risultato è meglio di un compendio di storia delle Valli. Questo significa guardare al passato con i piedi ben piantati nel presente.
O ancora una maionese che merita il viaggio: che qui venga fatta con il mestolo di legno forse è solo una nota di romanticismo, però è tanto, tanto buona proprio così.
La sala non è da meno: della grande atmosfera abbiamo già scritto, ma anche quando si tratta di servire il cliente tutto si incasella al posto giusto. Cordialità, sorrisi, disponibilità: tutte cose che non si vendono a peso.
Che dobbiamo dire di più?

Una bollicina nel giardino prima di accomodarsi al tavolo…
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Attrezzi del mestiere
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Il benvenuto: giotoli fritti con polenta
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Ostriche e canestrelli: il lusso della semplicità
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Dategli la parola…
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Con i crudi, alla Capanna non si scherza: scampi di Goro, tonno, ombrina. Da urlo.
Geniale la leggera incisione sulle chele degli scampi in modo da poterli succhiare con grande godimento.
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La seppia con la crema di patate: un cappucino Alajmo al contrario.
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Questa vi consigliamo di ordinarla: pulire una grancevola in questo modo richiede un lavoro immane. Un gusto unico, per di più in abbinamento a una maionese home made che merita il viaggio da lontano e di cui è impossibile non chiedere il bis.
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Un grande piatto: capellini con i giotoli. Ancora migliorato rispetto alla precedente visita.
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Le Moeche fritte: altro must.
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Ci sono tre cose a Ferrara su cui non si scherza: la Salamina, la Spal e l’Anguilla.
Questa viene dalla Sacca di Gorino, dove l’acqua del Po si mescola al mare, quindi è corrente e pulita; i pesci si muovono molto e hanno una livrea grigio azzurra, per mimetizzarsi sul fondale. Molto diversa dall’anguilla del canale che ha un gusto palustre e una colorazione più scura.
L’anguilla subisce una doppia cottura: prima sulla griglia per indurire la pelle e per raccogliere i succhi all’interno; poi in forno, dove il pesce cuoce nel suo stesso grasso.
Sporzionata al tavolo e servita nature.
Imperdibile. Punto.
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Chiusura con dolci semplici ma ben fatti.
Il gelato al pistacchio
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La Tenerina al cioccolato
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Oppure i più temerari possono ricominciare da capo: cameriere, ancora canestrelli.
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Le bottiglie da casa sono accettate con un sorriso: ma lasciate un assaggio al proprietario!
Qui si è consumata una degna tripletta…
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Recensione Ristorante

Un salto a piè pari nel “come eravamo”.
Una luce nella nebbia ferrarese, quasi un’oasi o il porto sicuro venendo da un mare in tempesta.
E’ uno scrigno di emozioni la Capanna di Eraclio.
Non si rimane indifferenti a questo locale, all’atmosfera racchiusa tra queste pareti. Sia d’inverno che d’estate è un luogo che sa toccare le giuste corde del circuito affettivo.
Alcuni ne hanno scritto come il posto dove il tempo si è fermato.
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