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La Corna

Teglio, il paese che regala alla Valtellina il nome, è l’incontrastato fulcro della tradizione culinaria valligiana, il cui fiore all’occhiello sono i celebri Pizzoccheri. Per la popolazione locale è tale l’orgoglio per questo piatto che per la sua tutela è stata perfino fondata un’associazione, l’Accademia del Pizzocchero, che garantisce lo scrupoloso rispetto, da parte dei ristoratori che ne fanno parte, della ricetta codificata. Da queste parti insomma, il pizzocchero è una cosa decisamente seria per cui, nei molti locali che punteggiano questo tratto di valle, non aspettatevi di trovarne le versioni rivisitate ed alleggerite della ricetta che si possono riscontrare in zone meno talebane. Qui il burro scorre copioso, non si fanno sconti sull’aglio e la pasta è rigorosamente “tarellata” da disciplinare. A far la differenza fra un luogo e l’altro sarà allora proprio la mano di chi esegue, e dobbiamo dire che a La Corna abbiamo trovato un tocco davvero felice, su questa preparazione come sulla quasi totalità dei piatti che abbiamo avuto modo di provare.
Si viene per i Pizzoccheri, qui, ma non solo: ci sono gli sciàtt, certo, ma è la cacciagione a dividere il ruolo da protagonista con i derivati dal grano saraceno. Pernice, cervo, cinghiale, capriolo: il menù è un autentico giardino di delizie per il gourmet di passaggio. Non tutto è sempre in carta, e ciò è decisamente incoraggiante, e le proposte del giorno variano notevolmente per numero e per tipologia. A corollario di piatti cucinati generalmente in modo opulento ma anche pulito e tecnicamente corretto, ecco una polenta taragna da tripla capriola sulla sedia (dopo di essa non riusciremo più ad eseguirla per raggiunti limiti di tonnellaggio), dolci casalinghi perfetti nella misura dello zucchero e un ottimo gelato mantecato al Braulio, un altro dei motivi di orgoglio della Valle. Peccato per un tagliolino con la pernice molto slegato che intacca un percorso praticamente netto di piatti robusti ma eseguiti con competenza.
La carta dei vini, che a parte la presenza di qualche referenza di Ar.Pe.Pe trascura troppi fra i prodotti più interessanti usciti dalle cantine valtellinesi negli ultimi anni, è però assai lodevole per i prezzi praticati, anche se le annate disponibili non sempre corrispondono a quelle segnate. Il personale di sala tuttavia, apparentemente uscito da un’altra era gastronomica, sarà in grado di consolarvi con gentilezza e simpatia della delusione per non aver potuto stappare l’ormai rarissimo Vigna Regina ’95 a soli 27 euro.

Bresaole (di manzo, cervo e cavallo)

Sciàtt

Pizzoccheri

Tagliolini alla pernice (con pernice, diremmo!), peccato per il fondo assai liquido che compromette il risultato finale.

Fagottini di Bitto e Bresaola

La polenta taragna (!)

L’ottimo cinghiale.

Mantecato al Braulio

Torta di grano saraceno con marmellata ai frutti di bosco

Tiramisu

Una certezza.

390

In un Paese sempre in cerca di personaggi dal granitico appeal mediatico e di enfant prodige da esibire come trofei in un salone, un personaggio schivo come Antonio Guida non è di facile collocazione. Non siamo soliti elogiare gli chef per qualità che non siano strettamente legate alla loro cucina, anche perché nella quasi totalità dei casi non li conosciamo al di fuori dall’ambiente che per loro è lavorativo e per noi luogo di perdizione calorica; possiamo però tranquillamente affermare come sia difficile non rimanere colpiti dal basso profilo, contrastante con la notevole statura, dall’umiltà e dalla calma dello chef salentino del Pellicano. La serenità che sembra accompagnare Guida, che per inciso fa pendant con uno dei luoghi più rilassanti dove si possa venire a passare qualche ora o per i più fortunati qualche giorno, si riflette in uno stile di cucina rotondo, tecnicamente perfetto e molto, molto ghiotto, cui si può imputare solo un’attenzione migliorabile all’estetica dei piatti. (altro…)

San Frediano, Dilallarno, Firenze. Pratolini o non Pratolini sei in uno degli angoli più autenticamente fiorentini, nient’affatto  ridotto a  bomboniera per turisti. L’aria popolare che si respira in questo quartiere, così diversa da quella delle zone più nobili, è il complemento perfetto alla cucina di Nicolò Baretti, che con il titolare Matteo Fantini è l’anima di Io, osteria personale.
Classe 1987, Nicolò è il braccio armato del progetto: la sua realizzazione della cucina pensata con Matteo è filtrata attraverso due esperienze formative, importanti quanto diverse, presso Martin Berasategui e Valeria Piccini. L’omaggio alla Toscana è continuo: nei piatti di Io si ritrovano, in forma essenziale, principalmente i sapori di questa generosa terra. La naturalezza del processo fa sì che perfino il mezzo giro d’olio in più o il grammo di sale di troppo finiscano nella maggior parte dei casi per non disturbare troppo , anche se da forestieri proprio non riusciamo a non farci caso.

Il menù non prevede nominalmente primi piatti ed è diviso fra carne, pesce, verdure e dolci. Si può giocare in difesa ordinando alla carta o lasciarsi tentare dai convenienti menù degustazione, che si possono comporre per tutto il tavolo a proprio esclusivo gusto. Qualsiasi sia la scelta la delusione è tenuta decisamente alla larga dalla perizia che risulta tanto nella scelta dei prodotti quanto nella puntualità delle cotture, con una particolare nota di merito per i dessert, di brillante concezione ed efficace realizzazione.

Si resta piacevolmente sorpresi tanto dall’armonia del filetto di sgombro, cotto perfettamente a bassa temperatura e servito su una crema di finocchi con arance, capperi ed uova di aringa affumicata, quanto sul fronte opposto dal filetto di maialino di cinta, accompagnato da purea di castagne, uvetta al sangiovese e finocchio. Viceversa è risultato eccessivamente penalizzato dall’abbondante olio e da una concezione un po’ avventurosa il farro tiepido con cavolo nero, crema di zucca ed arancia ed erborinato (foto di copertina).

Abbiamo trovato varie ripetizioni di ingredienti nel breve volgere della nostra degustazione, ma troviamo che non sia un gran scotto da pagare a fronte dell’ottimo rapporto qualità prezzo, visto e considerato che si può costruire la degustazione fai da te evitando queste ridondanze (noi abbiamo dal canto nostro preferito scegliere in base agli elementi principali a prescindere dal cast di supporto).

Bella carta dei vini, non vasta ma ben articolata, ricca di scelte non scontate e di piccoli produttori.
E’ il caso di attendersi molto da Io e dai suoi ragazzi, che potremmo ritrovare nel volgere di poco tempo a giocare per traguardi ambiziosi.

Entrata: crema di rape rosse con aringa affumicata.

Le ottime striscioline di calamari pur apportando un’interessante varietà di consistenze vanno in difficoltà contro crema di ceci, cecina e salvia.

Filetto di sgombro con crema di finocchio, arance, capperi e uova di aringa affumicata.

Filetto di Cinta Senese con purea di castagne, uvetta al sangiovese e finocchio.

Notevole anche l’agnello proposto fuori carta, anch’esso in cottura a bassa temperatura con cacao, fegatino, sedano rapa e scalogno.

L’intenso Neccio, tradizionale preparazione simile ad una crèpe di farina di castagne, servito con ricotta di pecora, arance, rosmarino, miele e gelato al castagnaccio.

Soufflé al cioccolato con olio extravergine, sorbetto alla melissa e confettura di limone.

Perfetta la gestione delle temperature nel sorbetto al sedano con yogurt (a temperatura ambiente), crumble di noci e carote candite.

Questa valutazione, di archivio, è stata aggiornata da una più recente pubblicazione che trovate qui

Recensione Ristorante
…un passo a sinistra i sorrisi (sbuffi scocciati nelle retrovie)…stringetevi un poco che c’è un brivido fuori inquadratura…va bene…fermi tutti…FLASH! Quante volte vorrei immortalare con nitidezza le emozioni delle giornate più piacevoli per riviverle a comando nei troppi momenti opachi, invece no; le frustrazioni e le amarezze, anche se un poco imbellettate dal velo di trucco che siam soliti riservare ai dispiaceri, hanno il brevetto di sub e riemergono velocemente, oltre che troppo spesso. Due fattori intervengono però a consolarmi: il primo è che se potessi fotografare le emozioni dei momenti più belli le foto comunque mi uscirebbero orrende, ed il secondo è che per fortuna esistono paradisi che sembrano creati proprio per alimentare il mito dell’eterno ritorno. Uno di questi luoghi si trova a metà del tratto di piattume che separa Bologna da Modena, nel quieto borgo di San Giovanni in Persiceto. (altro…)

Questa valutazione, di archivio, è stata aggiornata da una più recente pubblicazione che trovate qui

Recensione ristorante.

Una casseruola di tortellini del dito mignolo con crema di parmigiano e panna d’affioramento, con sfondo di uno dei migliori oli che si possano trovare nel Paese dell’olio. Al di là di tutta l’evoluzione che la cucina di Massimo Bottura ha avuto in questi ultimi dieci anni penso che sia questa la fotografia più adatta a rappresentare la cucina della Francescana (con i limiti del fotografo, savasandir). Non mi viene in mente nessun altro che riesca a mantenere un legame tanto stretto con le proprie radici, modenesi, emiliane, italiane, non importa, pur viaggiando tanto lontano, poco conta se par avion o con l’immaginazione. La sensazione costante è quella di vedere un enorme elastico, estendibile anche diecimila chilometri, che però tira sempre verso casa, che riporta sempre ad un’idea primigenia che tutto riesce a far proprio. Questa è la Grande Cucina Italiana, nell’anno ventiundici, nulla da stupirsi se nuovi punteggi vengono coniati per valutare, oltre che i già noti classici come il ricordo di un panino alla mortadella (altro…)