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Berton

Una cucina tra le più francesi che ci è capitato di incontrare. Tecnica espressa nelle cotture, negli abbinamenti e nel rigore delle realizzazioni: i piatti di Berton trasudano precisione maniacale.
E’ evidente, anche ad un occhio non proprio allenato, quanto queste preparazioni siano frutto di studio attento e meticoloso. Piatti pensati e realizzati da uno degli chef che, a nostra personale memoria, non ha mai commesso il benché minimo errore di esecuzione. Non una salsa ossidata, non una cottura troppo pronunciata, non un abbinamento non consono e coerente.

Ecco quindi scaturire creature affascinanti, molto belle da vedere ma al contempo anche con validi riscontri palatali. Raffinati i sapori, rispettati i prodotti e gli ingredienti. Sapori che si rincorrono e che sussurrano sottili nel piatto, mai urlati ed ostentati. Ecco, se vogliamo trovare una similitudine ancor più marcata con i cugini d’Oltralpe, questa cucina è la degna rappresentazione di quella filologica tendenza del classicismo francese, genericamente riconosciuto, verso la perfezione stilistica e tecnica e la delicata armonia tra i sapori. Nessun urlo, solo piccoli sussurri. A tratti quasi una ossessiva ricerca estetica e una manieristica concentrazione sulla forma. Una parte, a noi cara, del perfezionismo Giapponese, non solo Francese.
Anche quando ci si trova di fronte ad abbinamenti, come nei conchiglioni con Achillea, Rafano, Lime e Zenzero, decisamente ingombranti, in cui è molto più facile un fuori giri, uno squilibrio, una dissonanza. Ed invece il grande tecnico e preciso Berton qui trova la quadratura, riuscendo a sussurrare e a non far prevalere nessuno di questi elementi.
Così come nella triglia, in cui evidenzia una cottura di magistrale bravura, accostata ad una maionese di mela e senape e ad un sedano cotto in boullion da rabbrividire. Anche qui con gli elementi apparentemente di contrasto che stanno al loro posto, senza invadere.

Una cucina a tratti quasi schiva e delicata, timida e riflessiva. Che però non trova nell’imperfezione stilistica, nell’errore ruvido e strabordante, il fascino imperioso e leggiadro dell’imprecisione. Voluta e ricercata, a tratti espressione folle e geniale, in alcuni (o molti) casi puro delirio gustativo.
Che appare evidente e si propone di stordire il commensale lasciandolo perplesso, con un paio di passaggi che fanno intravedere tutte le potenzialità che, oltre alla tecnica e alla precisione, possono connotare il talento di questo cuoco. Ci riferiamo, ad esempio, al rognone con maionese al pepe, riduzione di vino ai frutti rossi, caviale di salmone, salsa di vitello alla verbena.
Un cuoco senza le solide basi e la cifra culturale di Berton avrebbe creato un putiferio. Ed invece qui, nitido e persistente, esce tutto il talento e tutta la capacità fino a quel punto inespressa. O meglio dire trattenuta, ci è parso. Una sensazione che diminuisce con i piatti, e con l’intero menù, denominato “brodi”. In cui forse Berton esprime un ardire ed una temerarietà che gli fa toccare vette superiori.

Ne comprendiamo in parte le logiche, conosciamo la clientela e cosa i palati oggi cercano, ma ciononostante siamo altrettanto convinti che la spinta sull’acceleratore di questa cucina gioverebbe anche ai numeri e alla stilistica di questo ristorante, piuttosto che il contrario.

Il benvenuto…
benvenuto, Berton, Chef Andrea Berton, Milano
…arricchito da bon bon di yogurt e cetriolo, cialda di zucca e castagne, spugna alla paprica e cardamomo.
Benvenuto, Berton, Chef Andrea Berton, Milano
Il granciporro in foglia di indivia, con erbe e lemongrass, brunoise di verdure e bisque di granciporro.
granciporro, Berton, Chef Andrea Berton, Milano
granciporro, Berton, Chef Andrea Berton, Milano
Il pane, ottimo.
pane, Berton, Chef Andrea Berton, Milano
Conchiglioni con achillea, rafano, lime e fondo di vitello e zenzero. Equilibrio difficile centrato, gusto intenso e persistente.
conchiglioni, Berton, Chef Andrea Berton, Milano
Triglia al vapore, sedano, salsa di senape e mele.
triglia al vapore, Berton, Chef Andrea Berton, Milano
Porro, aglio nero, crema di mandorle e patate.
Il piatto meno convincente, troppo armonico, con gli ingredienti di accompagnamento che invece di alzare e amplificare il gusto del porro lo mortificano leggermente.
porro, aglio nero, crema di mandorle, Berton, Chef Andrea Berton, Milano
Stupendo agnello da latte con crema di patate fritte e bietoline.
agnello da latte, Berton, Chef Andrea Berton, Milano
L’imperioso rognone con maionese al pepe, riduzione di vino e frutti rossi, fondo di vitello alla verbena, uova di salmone. Chapeau!
rognone, Berton, Chef Andrea Berton, Milano
rognone, Berton, Chef Andrea Berton, Milano
Polentina morbida, fonduta di grana padano, tartufo bianco.
polentina morbida, Berton, Chef Andrea Berton, Milano
Il Moscow mule, come predessert.
moscow mule, Berton, Chef Andrea Berton, Milano
Cioccolato areato, liquirizia e gelato alla menta.
cioccolato areato, Berton, Chef Andrea Berton, Milano
L’uovo cioccolato bianco e mango. Un grande esercizio tecnico, ma dal risultato gustativo al di sotto delle aspettative.
uovo cioccolato bianco, Berton, Chef Andrea Berton, Milano
Piccola pasticceria.
piccola pasticceria, Berton, Chef Andrea Berton, Milano

La zona, molto trendy, è quella della ex area Varesine a Porta Nuova. L’edificio è uno dei “Diamantini”, progettati dallo studio Kohn Pedersen Fox, ed il ristorante si trova al piano terra con un gradevolissimo affaccio su un’area verde pedonale.
All’interno, dove predominano legno e acciaio, tutto si rivela estremamente curato fin nei minimi particolari, nel segno di una sobria e moderna eleganza. Bellissima la cucina che ospita anche un esclusivo tavolo per due. Folta la brigata con a capo il sous chef di sempre, il bravo Claudio Catino.
In sala tutto funziona alla perfezione grazie ad un gruppo di giovani ben rodati e molto preparati. Nessuna sbavatura, eccellente professionalità e, ciò che sempre conta, tempi di servizio perfetti.
Insomma, dopo il divorzio dal Trussardi e i successi (che tuttora continuano) di Pisacco e Dry, Andrea Berton ha fatto le cose in grande per la sua rentrée nella ristorazione che conta. Ha deciso di farlo con un locale che porta il suo nome e che sta registrando un grande successo sia a pranzo che a cena.
Noi ci siamo stati a pranzo, un martedì qualunque. Il locale è pieno, merito anche di una formula lunch particolarmente conveniente che con 45€ prevede un menu di 4 portate (che varia ogni giorno) e un calice di vino.
In cucina, il Berton della maturità. La sua cucina si conferma elegante, leggera, mai barocca.
Pochi ingredienti valorizzati al meglio, piatti lineari, immediatamente riconoscibili in grado di soddisfare i gourmet più esigenti così come i palati meno allenati. Un gran equilibrio tra estetica e centralità gustativa, con rimandi sia alla cucina classica (non solo italiana) che all’innovazione ponderata. Berton è uomo di cultura, gira il mondo e si impadronisce di tecniche e sapori rendendoli suoi e trasformandoli secondo il suo stile. Ma pur governando tecnica ineccepibile e ideazione originale, purtroppo abbiamo trovato un po’ carente la concentrazione gustativa. La cucina di Berton è fatta di sussurri lievi, a tratti più incisivi, ma mai ben assestati e decisi. Nelle nostre innumerevoli visite abbiamo trovato il menù dei brodi di una originalità e piacevolezza superiore al giudizio qui riportato, che però sconta anche i riscontri avuti sulla carta e sul menù più importante. Molti sussurri, ancora poche grida per consacrare questo cuoco e questa cucina al ruolo che, per capacità ed intelligenza, certamente merita.
Per giungere più nel concreto alla nostra esperienza, abbiamo trovato ottimo il piatto di Tortelli d’anatra con germogli di lenticchie, eccellente il Brodo di piccione, piccione con mais, uva fragola e pop-corn caramellati al lime ed altrettanto grande il Brodo di crostacei alle erbe con risotto con code di gamberi.
E proprio al Brodo, anzi, ai Brodi, è dedicato un intero menu degustazione di 8 portate che è, come dicevamo poc’anzi, assai interessante (i due piatti che abbiamo assaggiato erano davvero eccellenti, così come chi ha provato di noi il menù brodi ne è uscito entusiasta).
La carta dei vini, ampia ma non profondissima, contiene comunque tutto il bere di lusso possibile con adeguati ricarichi.
Ad un anno dall’apertura il nuovo ristorante Berton si conferma uno dei punti di riferimento della ristorazione milanese, capace di soddisfare tanto le attese di una clientela più business oriented quanto quelle dei gourmet più appassionati. Scommessa vinta!

Amuse Bouche, servito su sfoglia edibile al nero di seppia.
amuse bouche, Berton, Chef Andrea Berton, Milano
Canestrelli e liquirizia. Piatto buono, semplice, lineare e preciso, che riassume un po’ la cifra stilistica di Berton.
canestrelli e liquirizia, Berton, Chef Andrea Berton, Milano
Uova di seppia con crema di mozzarella, cime di rapa e olio al nero.
uova di seppia con crema di mozzarella, Berton, Chef Andrea Berton, Milano
Zucca, mandorle e latte di capra al rosmarino. Piatto costruito sulle nuances dolci, alle quali manca adeguato contrasto.
zucca mandorle e latte, Berton, Chef Andrea Berton, Milano
La Testina di vitello con verdure al limone si scioglie in bocca, quasi una preparazione al cucchiaio.
testina di vitello, Berton, Chef Andrea Berton, Milano
Tortelli d’anatra, germogli di lenticchie. Un inno alla golosità!
tortelli d'anatra, Berton, Chef Andrea Berton, Milano
Brodo di crostacei alle erbe con risotto con code di gamberi.
brodo di crostacei, Berton, Chef Andrea Berton, Milano
Brodo di piccione, piccione con mais, uva fragola e pop corn caramellati al lime.
Il piccione…
brodo di piccione, Berton, Chef Andrea Berton, Milano
…e Il fantastico brodo, da bere alla fine.
brodo, Berton, Chef Andrea Berton, Milano
I dessert raggiungono lo scopo di non appesantire, anche se ci sono sembrati stilisticamente un po’ simili:
Rabarbaro, yogurt e arachidi.
dessert, Berton, Chef Andrea Berton, Milano
Meringa, pane e gianduia.
meringa, Berton, Chef Andrea Berton, Milano

PISACCO IN 90 MINUTI (PIU’ TEMPI SUPPLEMENTARI)

Parte prima: l’intenso prepartita.

ore 14.45:
– Pisacco buongiorno, sono P.
-buongiorno, vorrei prenotare un tavolo per due, forse tre. E’ possibile?
-sì, è fortunato, hanno appena disdetto un tavolo. Per che ora?
-per le 20.30, a nome R. il mio numero è 328blablabla. Apro una parente: anche se le probabilità di venir schedato immediatamente sono minime quanto la mia popolarità tendo a prenotare con nomi di fantasia o, come in questo caso, con il cognome del mio commensale. Il numero naturalmente è invece autentico.
-perfetto, a stasera!
-a stasera.
Ore 19.15, squilla il telefono, numero privato:
-buonasera, parlo con il signor R.?
-(pausa di riflessione…. pensieri che si accavallano: il solito idiota che sbaglia numero, però che strano, conosco un R. ah già il ristorante) eeehm sssì sono io.

-buonasera, sono A. volevo dirle che il tavolo che aveva chiesto è disponibile!

-perché, c’era qualche dubbio?
-ah no, perché mentre lei telefonava in realtà stavamo anche prendendo un’altra chiamata. Comunque le confermo che il tavolo c’è. A stasera.
-a stasera. A proposito, saremo in 2.
Corro allo specchio. Sì, è un gigantesco punto di domanda quello che campeggia sulla mia faccia.

Parte seconda: il match.

Minuto 1: veniamo fatti accomodare a un tavolo apparecchiato per tre. Ci vengono presentate immediatamente la carta delle vivande e quella dei vini. La prima è breve come si dovrebbe in un locale che vuole abbinare prezzi abbordabili e qualità; sono quattro le proposte per ciascuna voce e prendendo la combinazione più cara si sforano di pochissimo i 40 euro. Benissimo, questo è il low cost che ci piace. La lista enoica gioca a fare la ribelle, e da brava riot girl si dimostra affascinante alla prima occhiata, salvo rivelare tutto l’eccesso di gioventù ad uno sguardo più approfondito.
Il locale, va detto, tende a diventare facilmente rumoroso oltre l’accettabile per una conversazione di tono civile. La sensazione di brusio costante è molto simile a quella che si ha in un moderno bistrot parigino. Che brusio rimarrebbe, a Parigi, ma qui non siamo nella Ville Lumière e dopo pochi minuti, con la collaborazione di una gaia tavolata alle nostre spalle che forse vittima della crisi ha anticipato i festeggiamenti discotecari alla cena, inizio a sentirmi come un bovaro del bernese in balia degli ultrasuoni.

Minuto 25: vengono raccolte, dopo non breve indugio ed una finta degna del miglior Cassius Clay, le nostre ordinazioni.
Minuto 35: la sommelier giunge con la camminata del dottor Tomas a comunicarci che il vino scelto, uno dei pochi con più di 5 anni sulle spalle, non è disponibile. Tento un piano B, ma anche questo si scontra con l’annoso problema della siccità. Dopo estenuante trattativa troviamo l’accordo sulla base di un prestito con diritto di riscatto per un giovane Brunello, che si rivelerà d’eleganza del tutto inaspettata.

Minuto 36: giunge in tavola l’antipasto. Calamaro alla plancia con cipollotto e crema di avocado e lime, ottimo punto di partenza: si temeva il cipollotto in versione fuhreresca contro la Polonia, invece no. La materia prima c’è, la mano nel gestire gli accostamenti pure. Un piatto non banale e di alta scuola. Ad otto euro, qui ci scappa la lacrimuccia. Ma è il cipollotto.

Minuto 45: i giocatori in panchina iniziano il riscaldamento. Arriva una cameriera con tre piatti: la guancia per chi è? No, guardi, dobbiamo ancora avere i primi. Lascia gli altri due piatti e riporta indietro il terzo (o secondo, fate voi) incomodo. Il risotto alla milanese con ragù di vitello denota una non dichiarata nota limonosa e non è affatto lasciato “all’onda”, ma se la mantecatura è sospetta il risultato si fa invece apprezzare per la cottura e per l’ ottimo ragù in accompagnamento. Gli spaghetti al pomodoro e basilico con crema di mozzarella di bufala ci lasciano invece parzialmente interdetti non tanto per il condimento quanto per una cottura della pasta eccessivamente generosa che rende il tutto un po’ monocorde.

Minuto 46: mentre siamo ancora all’approccio con i primi, ci viene domandato quanti hamburger abbiamo ordinato. Uno solo, è la nostra risposta.

Minuto 50: appena finita l’ultima forchettata (letteralmente: l’amico R., tipo posato, non ha ancora posato le posate) i piatti vengono ritirati e sulla tavola stovagliata compaiono all’istante la guancia di vitello brasata con purè di patate al limone (limone?ma no!) e l’hamburger à la Berton. Lo chef Matteo Gelmini vanta trascorsi al Food Art che fu di Matteo Torretta, dove già ebbi modo di provare la guancia nella versione al bicchiere. Quella proposta qui manca un po’ della scioglievolezza dell’originale, effetto della lunghissima cottura a bassa temperatura, ma acquista un tocco di freschezza in più grazie la variante citrica, ripetitiva ma non certo fuori luogo.

Minuto 70: c’è spazio per l’ingresso del Waffle con gelato alla vaniglia e salsa ai fichi d’india, quest’ultima sciropposa e un po’coprente, a dirla tutta. L’insieme però funziona e da vita ad un dessert facile e goloso.

Minuto 90: si chiede il conto e si va via. La sommelier si scusa per il casino, si premura che il vino scelto sia piaciuto, striscia la carta dell’amico R. e ci saluta.

I commenti a caldo.

Ore 23.45, Tangenziale est di Milano. Squilla il telefono:
-Carlo, ma la prenotazione era a nome mio o a nome tuo?
-a nome tuo, perché?
-ah allora l’ho fatta io la figura del co-ione.
-perché, che è successo?
-abbiamo pagato 3 hamburger.

Il Processo di Biscardi.

Il giorno dopo, ore 12, Bibibì bii bii bibibì (messaggio di R.):
mi hanno appena risposto alla mail, ci rimborsano i due hamburger e inoltre ci invitano a cena.

Incidenti di percorso a parte, Pisacco è certamente un’esperienza di livello ad un prezzo a cui spesso un qualsiasi livello non riusciamo neppure a trovarlo, oltretutto a Milano e in una delle zone maggiormente preda dei semplici cacciatori di coperti. Realtà come questa danno realmente la misura del concetto di grande qualità (che include tutto, un ottimo pane, un caffè importante) ad un prezzo accessibile. Dobbiamo fare il tifo per questo locale, sperare che non si snaturi, come è già capitato ad altri nel passato dopo pochi mesi di successo, e che il suo successo faccia da traino per la trasformazione di un’eccezione in uno standard per i ristoranti moderni di fascia di prezzo medio-bassa.
La consulenza di Andrea Berton è palpabile non solo nelll’eccellente hamburger, peraltro ora uniformato al prezzo di una qualsiasi hamburgeria gourmet della città, ma anche nell’efficienza della brigata di cucina, assai più avanti di quella di sala.
L’invito a cena (che per inciso abbiamo cortesemente declinato, accettando ovviamente il rimborso) a due perfetti sconosciuti denota inoltre un savoir faire ed una cortesia che rendono ben tangibile l’idea della volontà di far bene che qui si riscontra.

Spaghetti con pomodoro, basilico e crema di mozzarella di bufala.

Risotto alla milanese con medaglione di ragù di vitello.

L’hamburger Berton.

Guancia di manzo brasata, puré di patate al limone.

L’eccellente fagiolina del Trasimeno.

Waffle, gelato alla vaniglia, salsa ai fichi d’India.

Di ottima fattura tanto il pane quanto il caffè.

Recensione Ristorante

L’ultima visita ci aveva lasciato con qualche perplessità, non certamente legata ad un pranzo sottotono, anzi. Quello che avremmo preferito trovare nel ristorante di Andrea Berton era semplicemente qualche piatto che trasudasse più personalità. Invece eravamo al cospetto “soltanto” di una cucina impeccabile, bella da vedere e divertente da mangiare, buona insomma. Ma a tratti un po’ fredda. A distanza di un paio di anni tuttavia, abbiamo constatato che al primo piano di palazzo Trussardi, oltre all’indiscutibile affidabilità dell’intera brigata di cucina, ci sia più anima, più consistenza, più nettezza nei sapori. Pare che Berton stia procedendo pian piano nel suo lavoro in maniera encomiabile, ma soprattutto con più personalità e anche con più semplicità, scrollandosi di dosso quel fastidioso fardello del dover per forza di cose stupire l’avventore. Il risultato: una maggiore finezza in tutte le preparazioni. Merito del concepimento di piatti che rimarcano fermamente il credo marchesiano della pulizia dei sapori con l’utilizzo di pochi ingredienti ben distinguibili tra loro. Merito anche della continuità di clientela, cosa non di poco conto di questi tempi, e dell’ormai consolidato successo di critica e pubblico (il numero di coperti macinati dal sottostante Caffè Trussardi è da guinness dei primati). Semplicemente Andrea Berton è all’apice della sua maturità e prolificità ma, secondo noi, non ha ancora raggiunto la pienezza della sua creatività. E siamo convinti che manca davvero poco.
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Questa valutazione, di archivio, è stata aggiornata da una più recente pubblicazione che trovate qui

Recensione ristorante.

Cosa deve avere un ristorante per essere considerato un grande ristorante? Deve avere una ottima cucina, soprattutto continuità e costanza, a qualunque livello si ponga. Deve essere confortevole nell’aspetto e quindi curato e ben arredato e accogliente nel servizio, disponibile, attento e cordiale. Possibilmente avere la fortuna di essere in un luogo interessante ed affascinante.

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