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Admo Les Ombres

Il temporary restaurant a Parigi

Dove più che al ristorante la contaminazione e l’inclusione (parlando di ingredienti, ricette, tradizioni) diventano due fattori imprescindibili per aspirare al successo dell’impresa che si vuole intraprendere? Lo sanno senza alcun dubbio Alain Ducasse e Albert Adrià che, insieme a Romain Meder e Jessica Préalpato, han dato vita a Parigi a un temporary restaurant senza precedenti: Admo Les Ombres. Un nome che unisce le iniziali di Adrià-Ducasse-Meder-Ombres e che battezza il luogo che, per soli cento giorni (l’ultimo servizio cadrà infatti il 5 marzo), delizierà il palato dei gourmet e dei gourmand di tutto il mondo. Un progetto ambizioso che ha creato ovviamente tante aspettative – qualcuno potrebbe persino dire troppe – e generato una mole di news, post e stories sui social senza precedenti.

Inclusività e armonia, con un ma

Leggendo il menù e assaggiando i piatti si ha subito una sensazione positiva, data sicuramente dal fatto che non si avverte competizione o prevaricazione di una cucina, o di uno chef, rispetto ad un altro. È un’orchestra inclusiva, senza “prime donne”, uno scenario perfettamente armonico che sarebbe bello ritrovare in ogni ambito della vita quotidiana.

Il panorama di cui si gode da questo sito di elezione è veramente di grande effetto. La Torre Eiffel si trova lì, a pochi metri dal soffitto tutto a vetrate del ristorante Les Ombres, situato sul tetto del Musée du Quai Branly – Jacques Chirac. Il servizio è di livello anche se mai ingessato, affidato a un gruppo di giovani (finalmente!) e promettenti professionisti della sala. A disposizione dei clienti due menù, da cinque o sette portate, con o senza abbinamento vini.

Grande materia prima, impiattamenti originali, concentrazione dei sapori e la giusta importanza tributata al pane, che qui diventa addirittura una portata. Caratteristiche che, in effetti, ci si aspetta di trovare in un ristorante di tale livello, per un’esperienza che, nel complesso, vale la pena fare ma con alcuni ma. I piatti sono frutto del pensiero di due teste, di due stili, che non sempre convergono in un gusto di amalgama coerente. Alcuni passaggi, come l’Aragosta, colpiscono più per l’apparenza che per la sostanza del gusto. E altri sono si interessanti, ma quasi mitigati, addolciti, arrotondati per compiacere ai molti clienti che si affannano a visitare questo esperimento temporaneo che, però, necessita forse di maggiore amalgama e attenzione da parte degli illustri attori in gioco. La nostra impressione è che ci sia un approccio poco approfondito ed organico, e che il risultato sia molto inferiore alle aspettative generate.

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Cucine Nervi: la tavola gourmet che mancava a Gattinara

Da fine novembre 2021 lo chef non è più a capo della brigata.

Si aggira per la sala, con la sua passione nel piatto, perché è proprio lui, fisicamente, a portarcela. E si trattiene il fiato ogni volta. Accade a Gattinara e il giovane chef, originario del paese e non a caso scelto per Cucine Nervi, è Alberto Quadrio.

Un grande ma piccolo open-space il suo ambiente di lavoro, così voluto, prima ancora di essere stato immaginato, e studiato. Roberto Conterno, dopo l’acquisizione della Cantina Nervi, ha scelto di offrire un’esperienza enogastronomia completa, e d’élite – che fosse degna del livello dei suoi vini – e proprio per questo, non ha badato a spese, ma sopratutto ha lasciato ad Alberto la cosiddetta “carta bianca”. Arricchendo le proposte architettoniche esterne, e interne, con dettagli come il tavolo in Kauri della Nuova Zelanda di 48.000 anni in cui scoprire e vivere con luci, le vene di resina o quella scala rossa fuori dalla struttura, che si lascia ammirare anche di notte.

E Alberto, accolta la sfida di gestire, per la sua prima volta, in toto, il ristorante, dopo esperienze al Teatro alla Scala e al Marchesino di Gualtiero Marchesi, dove inizia, e ancora da Joia di Pietro Leemann, Hishinuma, 2 stelle a Tokyo, ad Asola da Matteo Torretta e poi in stage da Geranium a Copenaghen, in Alta Badia da Norbert Niederkofler e infine da Alain Ducasse, fa sue le esperienze per crederci e restituire, col sorriso, “momenti temporali”.

La dimensione sovranazionale di Cucine Nervi

Un’intesa sempre ricercata con la stagione e con una sua voglia di uscire fuori dai canoni pregressi, figli del suo curriculum, che c’è, eccome. E si conferma, con grande umiltà, strizzando l’occhiolino a un futuro che deve vedere una creazione ancora più compita. Un’evoluzione che, prima di essere tale, necessita della creazione di un target disposto ad accogliere un menù sì tradizionale, ma certamente ispirato, come per magia, a una cucina per così dire “internazionale” o sovranazionale, figlia di esperienze rinate, cresciute, adattate alle stagioni e alle materie prime. Il ristorante, aperto da un mese circa, ha già visto cambiare il menu tre volte.

La danza dello chef, la cui postazione è precisamente in mezzo al grande tavolo a L con quindici sedute, è la conferma di una vita interamente, totalmente dedicata alla cucina, fatta di ordine e architettura ma non per questo priva di sogni. La magia dell’alba e del tramonto, stanno ai piatti in e fuori dei menù: ”Scoprici, Conoscici o Affidati”. La fiducia è infatti una di quelle cose più ricercate a Cucine Nervi, i fornitori di verdure e spezie viaggiano assieme ad Alberto e il suo team. C’è consapevolezza e una solidità emanate che parrebbero far trapelare una rigidità interiore ed intellettuale poi smorzata da un arredo minimal, orientale. Che si palesa nel corredo dei piatti affiancato poi da una rigorosa e variegata scelta di coltelli di servizio per carni e pesci. Insomma, nulla è lasciato al caso così la scelta anche degli abbinamenti nei vini durante il percorso in cui si pesca dalla proposta di Casa, i vini di Conterno, o da proposte del Piemonte a cui è riservata quasi la metà della selezione di produttori, tra Langhe e Alto Piemonte, ma anche Germania Francia, con Riesling e qualche accattivante Pinot Nero.

Alberto Quadrio: un‘individualità forte e inclusiva

In ogni piatto si sente, un poco, una sorta di bisogno di protezione, con un accompagnamento verso a quella che è – a tratti – un’acidità “aggiunta”, quasi per paura che il commensale non arrivi alla fine del percorso. Si tratta di un timore legittimo, comprensibile soprattutto in estate, quando l’acidità serve per veicolare freschezza. Ma tutto questo acquisirà un’altra piega col primo cambio di stagione quando, ne siamo certi, i gusti si faranno ancora più forti. Una cucina sincera, elegante, piacevole, immediata. Che inizia con un omaggio, un fiore romantico e leggermente piccante col pepe rosa. Poi affiancato subito da un antipasto, un cono – la pasta è sottilissima  – con piselli, una sfera con insalata russa – poco percepita quest’ultima –  e una crespella con storione e oliva. Sapori intensi, ficcanti. Voci – ingredienti – non lontane, perché ritornano nei piatti dei vari menù.

Ma si intermezza e si apre lo stomaco con un Torino – Milano o un Campari in versione Spritz prima di “rompere il ghiaccio” con un’acqua di pomodoro, menta e limone aggiunta a un carpaccio di ciliegie e pomodoro con cetriolo, che molto ricorda la rivisitazione del gazpacho alle ciliegie dei fratelli Roca. Un coro d’acque che salta, con sapore. E balla, prima di aprire il sipario sui piatti. Non mancano intervalli che ammiccano alla mixology o infusi di erbe. 

Ci sono piatti, come la tartella estiva, che fanno comprendere meglio la mente e lo spirito di Quadrio. Che vuole farsi scoprire nel tempo, ed ecco il gioco con i piatti “multipiano”: un apparire, per spalancarsi, scioccare, e far capire, in un gioco di assaggi della sua cucina come una “ragione del gusto”. Le presentazioni dei piatti – sui secondi è netta l’ispirazione francese – ci piace pensare, siano uno specchio dell’anima di Alberto e del suo team, che crea o completa le sue idee. Un cuoco che non crede infatti troppo nelle gerarchie, ogni membro del team è compartecipe nella preparazione e rifinitura delle portate. Nel personale, il braccio destro, e sinistro, è Stefano mentre Beatrice, pastry chef con esperienze a Barcellona e Londra, è la protagonista dei dolci in cui non mancano mai frutta e verdure. A dirigere la sala, poi, c’è l’amico e sorridente Alberto Tommasi. 

Ma ritorniamo alla tartella: se la prima parte era una sottilissima confezione di agrumi ed erbe, in una sfoglia trasparente al pomodoro, con la parte nascosta, c’è l’Italia e la sua “idea di  bruschetta”. La polvere di oliva taggiasca essiccata e il pomodoro, il tutto su una mousse, restituiscono un’intensità premiante con la foglia di basilico lì presente, non a caso. 

Con il gambero e melone e la testa del gambero di Sanremo si intuisce la voglia di giocare con le temperature, per solleticare costantemente il palato. Grande l’acidità, come il gusto oleoso e impattante della materia prima. Un tuffo nel mare dopo un incipit di dolcezza. Scema il dolce e resta il sale. Un po’ di Piemonte arriva con il riso e l’idea di bagna caoda, palline gelate di verdure si sciolgono per fondersi con la pasta di acciughe. Non c’è aglio. L’amido accompagna e contrasta.

Si torna dunque al freddo con le Linguine, vongole e porro bruciato, piatto che emana il suo profumo e la sua intensità come atterra a fianco le posate. Esplode a distanza, così fresco che resta leggero e invoglia sempre una seconda forchettata. L’emulsione ha delicatezza e astringenza, il porro pizzica lievemente per lasciare spazio, sullo spartito, al suono del mare e quindi alla vongola, poi seguita da uno storione con caviale che diventa un’opera d’arte ispirata a Jackson Pollock e che resta compatto, solido, fino a quasi farsi dimenticare come pesce, per diventare carne. Il caviale fa il suo, assieme alla pesca. L’abbinamento a un vino rosso di Provenza è più che azzeccato. 

Attendiamo la fine dell’estate per vedere consistenze e sapori d’ispirazione più francese, o italiana, assaporate nell’idea di pasta al ragù o nel riso, aglio orsino e lumache, che tanto ricorda l’orto di lumache di Norbert Niederkofler e che rappresentano i due piatti più iconici per occhi, cuore e gola, e che sicuramente – almeno ci auguriamo – avranno modo di spalleggiarsi a offerte d’ispirazione più nipponica.

Il dolce lo si consuma a casa; per non appesantire l’ospite, Cucine Nervi ha pensato di lasciare in una confezione una piccola pasticceria, un goloso cake con albicocche candite, cioccolato e nocciole.

La Galleria Fotografica:

Chissà com’era il Ducasse della sua prima vita, più cuoco che manager, a “La Terrasse” di Juan-Les-Pins? E’ uno dei tanti dubbi che ci assalgono, amabilmente, durante i nostri pensieri sfuggenti che riguardano la nostra passione fulminante.

Ci piace pensare che il posato, pragmatico e tranquillo uomo d’affari di oggi, prima dello spaventoso incidente aereo che gli sconvolse l’esistenza, fosse frizzante, provocatoriamente irruente, acido, inafferrabile e fumantino come questo frizzante toscano di nome Matteo Lorenzini.

L’abbiamo appena sfiorato nella sua precedente esperienza alle Tre lune di Calenzano. Troppo breve la storia. Oggi lo troviamo a Sesto on Arno, solo e senza più i suoi compagni della precedente avventura, dopo un passaggio nelle cucine di Antonio Guida al Mandarin e dopo svariate esperienze francesi che hanno indelebilmente connotato il suo stile di cucina. In cui il grasso viene riabilitato in una sorta di neoclassicismo contemporaneo, fatto di tanta sostanza, di un pizzico di classe ed eleganza, che fa capolino attraverso piatti tecnicamente tanto precisi quanto tremendamente buoni e golosi. Usare i grassi così, con il veicolo delle eleganti e sussurate acidità, mai primarie, è sintomo di classe e di grandi capacità. Racchiuse ancora in un carattere irruento, turbolento, ancora spigoloso e ruvido. Ma a noi Matteo piace così, già oggi davvero tanto.

La partenza è stata folgorante: i primi tre piatti sono sintomo di una eleganza e di una capacità tecnica, di una conoscenza della materia e delle tecniche tradizionali da far invidia a cuochi molto più blasonati di lui. Piatti belli, ricchi, goduriosi, sostanziosi ma anche eleganti e raffinati.
Poi una interpretazione della pasta comme il faut, che spiega a quei pochi che ancora non ci hanno riflettuto come il principe dei carboidrati nazionali possa essere anche un ingrediente raffinato e possa far giungere a preparazioni inaspettatamente eleganti; la foto è lì a dimostrarlo, basta saperlo usare bene.

Peccato, ma ci sta, per qualche imprecisione nei piatti principali. L’Astice, troppo sapido, ruvido e con una cottura non proprio perfetta. Ed una lepre che sarebbe stata da podio per noi, amanti del genere, se non fosse stata troppo connotata nella farcia dalla componente suina, qui scelta come imperiosamente sovrapponente.

Ma ci sta, stiamo facendo la punta alle matite ad un indiscusso talento, che grazie a Dio, con i suoi trent’anni appena passati, dimostra ancora qualche ruvidezza e ingenuità. Sarebbe stato troppo pretendere il contrario.
Ma, pur non essendo stati nel momento propizio dalle parti di Juan-Les-Pins, proveremo ad andare più spesso, nei prossimi mesi, a Firenze.

La spettacolare vista sulla città…
Sesto on Arno, Chef Matteo Lorenzini, Firenze
Sesto on Arno, Chef Matteo Lorenzini, Firenze
Sesto on Arno, Chef Matteo Lorenzini, Firenze
Grancevola servita fredda, spuma di yogurt, daikon, coriandolo (un’intrigante aggiunta di mirepoix di mela verde), Caviale Siberian.
Sesto on Arno, Chef Matteo Lorenzini, Firenze
Cappelunghe agrumate in marinata fredda (in yuzu e soia), cipolle nuove, finferli.
cappelunghe, Sesto on Arno, Chef Matteo Lorenzini, Firenze
Ostrica servita tiepida, perle in consommè, blanquette di porri.
ostrica, Sesto on Arno, Chef Matteo Lorenzini, Firenze
Radici cotte nella foglia di fico, foie gras arrostito e jus all’agresto.
radici, Sesto on Arno, Chef Matteo Lorenzini, Firenze
radici, Sesto on Arno, Chef Matteo Lorenzini, Firenze
radici, Sesto on Arno, Chef Matteo Lorenzini, Firenze
Pappardelle ripiene di salmì, polpo arrostito e scorzanera.pappardelle, Sesto on Arno, Chef Matteo Lorenzini, Firenze
Astice blu arrostito, indivia e ravanelli, zabaione alla citronella.
astice, Sesto on Arno, Chef Matteo Lorenzini, Firenze
Lievre à la royale…
lieve à la royal, Sesto on Arno, Chef Matteo Lorenzini, Firenze
lieve à la royal, Sesto on Arno, Chef Matteo Lorenzini, Firenze
Mont Blanc.
mont blanc, Sesto on Arno, Chef Matteo Lorenzini, Firenze
Piccola pasticceria.
piccola pasticceria, Sesto on Arno, Chef Matteo Lorenzini, Firenze

Se davvero esiste una quarta dimensione, ci piace credere che essa possa manifestarsi varcando la soglia del ristorante Le Louis XV di Monaco.
L’Hotel de Paris di Monaco è un luogo non luogo ai confini della realtà e il ristorante di Alain Ducasse, che si trova al suo interno da ben 25 anni, ne segue le orme.
Pranzare o cenare qui è una vera e propria esperienza che tutti, prima o poi, dovrebbero fare, perché arricchisce dentro e resta per sempre nel cuore.
“L’ambience”, come lo definiscono i francesi, è veramente unico: sfarzoso, fuori dal tempo e dalla vita che scorre al di fuori di questo pezzo di storia. Una sorta appunto di quarta dimensione che ti fa sentire lontano anni luce da chi sta solo al di là di quelle vetrate affacciate sulla stupenda piazza del Casinò. Si ha la sensazione di essere entrati in una sorta di macchina del tempo che ti catapulta in un’epoca che, ahimé, non tornerà più.
Tutto all’interno del ristorante scorre più lento, ma in armonia, come in una sinfonia di un grande compositore.
Dal momento in cui si viene accolti a quello in cui si viene congedati alla fine del pasto ci si sente un re e il merito è tutto dello staff che è veramente straordinario. Ecco che viene fuori tutta l’importanza della sala e del suo personale, perché quando il servizio, come qui, è di altissimo livello, ne beneficia anche la cucina benché essa sia già sublime.
Ogni tanto è bello esigere ed avere il massimo sotto ogni aspetto: materia prima, servizio, cantina, ambiente – TUTTO.
mise en place, Louis XV, Chef Franck Cerutti, Montecarlo
Tornando al nostro pranzo sarete viziati da subito con il carrello del pane che non dimenticherete facilmente e dal burro 100% panna che vi verrà servito sia in versione naturale che demi-sel.
carrello del pane, Louis XV, Chef Franck Cerutti, Montecarlo
burro, Louis XV, Chef Franck Cerutti, Montecarlo
A pranzo al Louis XV oltre alla carta tradizionale c’è un menù del giorno che noi abbiamo voluto provare.
Abbiamo così assaggiato le verdure in pinzimonio con un’emulsione a base di olive, giusto per preparare il palato. Una specie di warm-up.
warm up, Louis XV, Chef Franck Cerutti, Montecarlo
Poi è cominciato il divertimento con degli straordinari ravioli di foie gras con zucca e castagne del Piemonte. Contrasti perfetti. Cotture divine.
ravioli di foie gras con zucca, Louis XV, Chef Franck Cerutti, Montecarlo
La sinfonia è proseguita con un branzino all’amo del Mediterraneo (fuori menù) con finocchio, radicchio e agrumi.
Branzino all'amo del mediterraneo, Louis XV, Chef Franck Cerutti, Montecarlo
Non contenti abbiamo voluto assaggiare la sella di daino con pepe e ginepro, polenta gratinata e barbabietola all’agro. Cottura perfetta.
sella di daino, Louis XV, Chef Franck Cerutti, Montecarlo
Tre piatti straordinari, che sono tali non solo per la qualità dei prodotti e per le cotture perfette, ma anche per quelle salse che i francesi sanno tirare in modo sublime e sanno rendere un piatto già perfetto eccezionale. E’ ovvio che qui si viene a provare la più classica delle cucine fatta in modo ineccepibile, ma cos’altro potrebbero fare o cambiare? Nulla. Punto.
Se non foste già satolli ecco arrivare in pompa magna il carrello dei formaggi. Vero capolavoro per gli appassionati del genere. Unico a rappresentare l’Italia: il Parmigiano Reggiano. Ma non siamo qui per questo.
carello dei formaggi, Louis XV, Chef Franck Cerutti, Montecarlo
formaggi, Louis XV, Chef Franck Cerutti, Montecarlo
Prima del dolce ci sarà, come è giusto che sia in queste occasioni, il cambio del coperto con nuovo sottopiatto, posate e tovagliolo. Altrimenti che sovrani sareste!
coperto, Louis XV, Chef Franck Cerutti, Montecarlo
La nostra scelta è caduta ancora una volta sul babà al rhum scelto fra vari Rhum da uno strepitoso vassoio dove non avrete che l’imbarazzo della scelta. Il babà arriverà al tavolo in pompa magna, tagliato in due davanti ai vostri occhi, innaffiato di rhum e accompagnato da panna montata. Di più a noi non verrebbe in mente.
babà, Louis XV, Chef Franck Cerutti, Montecarlo
rum, Louis XV, Chef Franck Cerutti, Montecarlo
Come non spendere due parole sulla straordinaria qualità della piccola pasticceria e cioccolatini di fine pasto. Qualità come sempre estrema.
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Per terminare il lauto pasto potrete scegliere dall’apposita carta fra diverse varietà di caffè, di tè o di tisane fresche preparate in infusione al Vs. tavolo scegliendo da un intero carrello di piante fresche.
E se tutto questo sogno fosse vostro per soli 145€, non ci penseremmo due volte a partire subito in direzione di Monaco.
Il tempo al Louis XV sembra essersi fermato. Oggi, come venticinque anni fa, si viene qui per avere delle certezze che inevitabilmente vengono sempre confermate. E come sempre bisogna dire “chapeau M. Ducasse”. Ristoranti del genere si possono contare sulle dita di una mano.
A ottobre inizieranno i lavori di ristrutturazione dell’Hotel de Paris che dureranno qualche anno per rendere questo monumento dell’hotellerie mondiale veramente immortale, rilanciandolo nel futuro, ma tranquilli, il Louis XV sarà sempre lì ad accogliervi non curante del tempo che scorre solo per noi comuni mortali.
E ora di svegliarsi e di tornare in questa dimensione purtroppo!

Sagge parole di Alain Ducasse che molti chef hanno dimenticato.
alain ducasse, Louis XV, Chef Franck Cerutti, Montecarlo
Il vino scelto fra quelli proposti nel menù di mezzogiorno: Chateau Mont-Redon 2011 Lirac – M.Abeille-Fabre.
vino, Louis XV, Chef Franck Cerutti, Montecarlo
Affresco al centro del soffitto della sala.
affresco, Louis XV, Chef Franck Cerutti, Montecarlo

Le Tre Lune, Chef Lorenzini, Verni, Calenzano, Firenze

Delle Tre Lune quest’anno si è parlato molto, specialmente tra gli addetti ai lavori.
In un periodo in cui è frequente leggere dei successi esteri di nostri giovani cuochi (Passerini o Tondo per citarne solo i più noti nella Ville Lumière) non poteva non colpire, e rincuorare, la scelta in controtendenza fatta da tre giovani, Ilaria Di Marzio, Matteo Lorenzini e Tommaso Verni: tornare in Italia a proporre una cucina di classica impronta francese a prezzi abbordabili.
Una scelta originale e coraggiosa, soprattutto se si pensa al luogo scelto per la proposta, quella campagna toscana che sembra da sempre ostaggio di pici all’aglione e cinghiale.
Locale arredato con garbo, cucina a vista, bella veranda che attende stagioni più calde per essere nuovamente a disposizione della clientela: nulla che rimandi ai neobistrot oggi paradigma quasi ubiquo in contrapposizione al “grande ristorante” oggetto di facili demonizzazioni. Il richiamo è, semmai, a quelle belle tavole borghesi della campagna francese, eleganti ma non sfarzose in cui potersi concedere un pranzo “gastronomico” con una cifra ragionevole.
La cucina è esattamente quella che è stata raccontata anche su questi schermi nei mesi passati: d’impronta chiaramente transalpina, molto tecnica ma accessibile a tutti i palati. Con un occhio, però, attento al territorio, riletto e ingentilito grazie proprio alla sapienza di chef che hanno esperienza di cucina “di palazzo”.
Esemplare in questo senso il “risetto” con pane burro e acciughe, la memoria nel piatto, che dà nobiltà a materie povere (la pastina di ospedaliera memoria) con la sapienza di una mano mai greve, anche quando spinge sulla gourmandise.
Nel menu, prezzato onestissimi 55 euro per 5 portate dai nomi molto diretti, si susseguono piatti calibrati, precisi, elaborati da mani mature come non è scontato, vista l’età di chi cucina.
Lodevole la possibilità di scegliere dalla carta la mezza porzione di quello che è ormai un loro piccolo “classico” non presente nel menù, il giustamente già famoso granchio, patate e porri.
Alla sezione dessert ritroviamo il croustillant al cioccolato già provato nella visita precedente ed evidentemente preparato non espresso, seppur buono. In generale, nel reparto dolce si sconta la scelta, evidentemente motivata dalla necessità di far quadrare i conti, di avere la socia pasticciera a occuparsi della sala.
Lista dei vini ristretta com’è comprensibile, ma che potrebbe essere più originale; solo bene, comunque, possiamo dire del Chianti 2008 del Castello di Ama che abbiamo scelto per accompagnarci, una di quelle carte sicure che in queste situazioni traggono d’impaccio.
La sensazione generale è di un ristorante che può andare oltre quanto di già buono propone oggi, ma che ha bisogno per riuscirci, vista la linea di cucina che propone, di avere mezzi adeguati. Speriamo che sia una clientela fedele a fornirglieli.

Per amuse-bouche ottima indivia in tagliolini risottati con funghi trombetta e polvere di porcini
amuse bouche, Le Tre Lune, Chef Lorenzini, Verni, Calenzano, Firenze
Il foie gras
Le Tre Lune, Chef Lorenzini, Verni, Calenzano, Firenze
L’interessante risetto
risetto, Le Tre Lune, Chef Lorenzini, Verni, Calenzano, Firenze
Il piatto più deludente, la polenta con porcini, frutti autunnali, balsamico e agretto, un po’ slegato
polenta con porcini, Le Tre Lune, Chef Lorenzini, Verni, Calenzano, Firenze
Un’elegante versione moderna della ribollita
ribollita, Le Tre Lune, Chef Lorenzini, Verni, Calenzano, Firenze
Impeccabile il piccione con indivia (anche se in carta erano riportate “animelle” la sostituzione è stata gradita)
piccione con indivia, Le Tre Lune, Chef Lorenzini, Verni, Calenzano, Firenze
Granchio, patate e porri
granchio patate e porri, Le Tre Lune, Chef Lorenzini, Verni, Calenzano, Firenze
Croustillant al cioccolato
croustillant al cioccolato, Le Tre Lune, Chef Lorenzini, Verni, Calenzano, Firenze
Pane, ottimo.
pane, Le Tre Lune, Chef Lorenzini, Verni, Calenzano, Firenze
La bella campagna, a fine pranzo
campagna, Le Tre Lune, Chef Lorenzini, Verni, Calenzano, Firenze