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Villa Chiara

Ci sono cose che si cercano, altre che ti trovano. Ecco, questo è stato subito un posto che mi apparteneva, ritagliato sui miei sogni, sui miei desideri. Aveva già questo nome e Chiara è anche il nome di mia figlia, allora cominci a pensare che nulla è per caso…

Faby Scarica, volto da bambina e tutto l’entusiasmo delle sue 26 candeline nel cassetto, racconta così la sua avventura, a Pacognano, poche case tra le colline di Vico Equense, luoghi incantati che sembrano dispense naturali per chi ama cucinare, ricette già suggerite tra il mare e i suoi orti. L’idea è quella di proporre una cucina di qualità -quella imparata ai fornelli dei maestri Gennaro Esposito e Alfonso Iaccarino- in un ambiente familiare, bucolico ma elegante, per una volta anche a misura di bambini. Nel giardino ci sono altalene e scivoli e al di là, in fondo all’orto, gli animali della fattoria.

Menù rigorosamente stagionali con il piacere di vedere colti gli ortaggi, le spezie e la frutta, talvolta proprio mentre siete a tavola, e con una doppia anima che si svela nelle pagine della carta impreziosita dal pastello della chef in copertina: la tradizione, con i piatti di sempre, nel rigore delle loro ricette consolidate e poi le reinterpretazioni -piu’ ardite negli accostamenti e nei loro impiattamenti- per chi vuole altro.
Molti piatti, forse troppi, quasi l’impegno a non tradire nessuna aspettativa, e con prezzi correttissimi. Così le degustazioni, dai 35 ai 55 euro, sono il viaggio più conciso nelle idee e nelle ispirazioni, talvolta compiute, altre da rifinire, di questa brigata giovane e con tanta voglia di fare. Hanno aperto a febbraio e già si parla di loro. Ci sarà da lavorare, mettere a punto i tempi, alleggerire ove necessario, arginare il superfluo, ma se questo è l’inizio, beh, a noi sembra proprio una gran bella storia.

Pacognano, una frazione sulle colline di Vico Equense.
Villa Chiara, Chef Faby Scarica, Vico Equense
La struttura con le mura rosse. Il parcheggio è in un ampio spazio adiacente.
Villa Chiara, Chef Faby Scarica, Vico Equense
Il giardino con i tavoli sotto il cannucciato. Qui si mangia quando la stagione lo consente. Silenzio e tanto verde. Viti sullo sfondo.
giardino, Villa Chiara, Chef Faby Scarica, Vico Equense
Il menù. Elegante. Un pastello schizza la struttura. Un velato omaggio a Don Alfonso 1890.
menù, Villa Chiara, Chef Faby Scarica, Vico Equense
Grissini al burro. E taralli infilati nei piccoli rami che arredano il tavolo.
grissini, Villa Chiara, Chef Faby Scarica, Vico Equense
Pane. Bianco ed ai cereali. Semplici e buoni.
pane, Villa Chiara, Chef Faby Scarica, Vico Equense
Benvenuto: la bruschetta. Pane che però pecca di croccantezza. Pomodoro all’altezza della fama.
bruschetta, Villa Chiara, Chef Faby Scarica, Vico Equense
Benvenuto: l‘ottimo fiore di zucca fritto ripieno di formaggi. Completava la frittura un timballo di pasta, un crocchè di patate, un arancino di riso e una zeppola con le alghe.
Benvenuto, Villa Chiara, Chef Faby Scarica, Vico Equense
Polpo tenero grigliato, crema di topinambur, alga fritta, quinoa croccante e polvere di caffè.
Pretenzioso nelle intenzioni, impreciso nel risultato. Il tentacolo è cotto a bassa temperatura e poi passato alla griglia per ridarne nerbo e profumo. E così nel gioco di rimandi c’è il croccante dell’alga fritta con il velluto del tubero e la sua dolcezza con l’amaro del caffè’ in polvere. Piatto molto complesso che richiede forse una maggiore attenzione negli equilibri.
Polpo tenero, Villa Chiara, Chef Faby Scarica, Vico Equense
Insalata di manzo. Il manzo, nelle sue parti meno nobili, è in brodo asciutto, protagonista con la sua particolare tenacia. Si contorna di insalata e un bagnetto verde che colora la patata in crema. Piatto pop, da misurare nella porzione, curiosamente privo di acidità, monotono al palato.
Insalata di manzo, Villa Chiara, Chef Faby Scarica, Vico Equense
Paccheri d’orzo in salsa tiepida di peperoni arrosto, capperi, olive e cipollotto agrodolce. Sui primi si ha una virata decisa sui sapori e i profumi. Da una intuizione di Giovanni Assante del pastificio Gerardo Di Nola, che introduce l’orzo Cilentano al 40% della semola, ecco un pacchero dal colore ambrato e di particolare fibra. Perfetta la scelta di una voluttuosa salsa dalla particolare consistenza semiliquida -simile ad un gazpacho- accentuata dalla temperatura ricercatamente tiepida. Rilevante la nota lunga delle olive e del cipollotto.
pacchetti d'orzo, Villa Chiara, Chef Faby Scarica, Vico Equense
Spaghettoni di Gragnano con cozze in costiera e crumble di pane e mortadella. Giocoso ma di grande carattere. Acido con le cozze agli agrumi, sapido con la golosità della mortadella vivacizzata dalle molliche di pane croccante. Infine lo spiazzamento della frutta secca.
spaghettoni di gragnano, Villa Chiara, Chef Faby Scarica, Vico Equense
Delizia al limone. Omaggio alla tradizione, è il dolce che ti aspetti qui, nella penisola sorrentina. Nel formato mignon, forse la sua piu’ giusta dimensione.
Delizia al limone, Villa Chiara, Chef Faby Scarica, Vico Equense
Mojito melon. Con il caldo ancora incombente e dopo piatti robusti, piace la proposta del celebre cocktail rivisto in chiave mediterranea. Il melone bianco marinato al lime e menta è il fulmine che resetta. Poi, con i candies al rhum e la cialda con canna e lime, tornano gli zuccheri, per lasciare la chiusura ad un eccellente gelato alle erbe di campo e buccia di lime. Che resta.
Mojito melon, Villa Chiara, Chef Faby Scarica, Vico Equense

Chiude il Golfo di Napoli. Spalanca quello di Salerno. Verticale di roccia emersa con imperio dalle acque, vegetazione arrampicata, una sola linea incerta disegnata con l’asfalto che precipita nella spuma del mare, giù, duecento metri sotto le ruote, con le curve ad entrare nelle case. La Penisola Sorrentina è una cosa così e Vico Equense è come un suo ingresso, ne anticipa le architetture mantenute con una certa cura, respira gli umori di vacanza intorno ai tavolini sui marciapiedi, conserva come una misura che ancora leggi in tutte le cose. Poi pero’, converrà scalare qualche tornante nel suo presto divenire collina, tra i silenzi delle pietre, l’abbaglio dei suoi orti e dei suoi frutti, quegli alberi in equilibrio con le radici a trattenere terra un sorta di geografia completa ed essenziale che forse spiega questa vocazione alla gastronomia di qualità degli indigeni, quasi genetica, inevitabile.

Qui, precisamente da venti anni, Peppe Guida – e sua moglie Lella – hanno scelto di vivere e di ricevere gli ospiti della loro cucina. Qui, da venti anni, attualizzano e reinventano quelle eredità di sapori e tradizioni di questi paesaggi. Quelle di Nonna Rosa, appunto.
Il menù degustazione “Peppe fai tu” è come una pagina ritagliata dall’atlante: una serie di improvvisi che tratteggiano con precisione i luoghi e le suggestioni, lo chef e la sua filosofia. Intanto la scelta accurata delle materie prime con abbinamenti -pochi- declinati con grande mestiere ed impiattati col gusto dell’essenzialità. Poi, grande controllo di cotture e temperature, sapori primitivi riconoscibili, profumi intensi, infine tecnica mai esibita ma nascosta. Funzionale. A servizio. Una cucina tesa a donare eleganza a piatti robusti, che alterna temi consolidati a nuovi raffinati equilibrismi, una cantina spiegata nelle pagine della carta -o quasi libro- che ad alcune belle profondità di rossi e di bianchi affianca proposte in continua evoluzione di piccole cantine con buoni rapporti qualità/prezzo. Servizio in sala che coniuga il sorriso con la professionalità che occorre. Come una casa dove si mangia bene. Molto bene.

Polpettina di manzo con parmigiano. La storia del locale. Tutto è nato da qui, tutto parte, ogni sera, da qui. Un bell’esercizio di memoria.
Polpettina di manzo, Antica Osteria Nonna Rosa, Chef Peppe Guida, Vico Equense
Crostatina con olive ammaccate. Semolino con basilico. Acciuga sale pepe e lime. Zeppolina di alghe. La costiera che si presenta: profumi tra orto e mare.
Crostatina, Antica Osteria Nonna Rosa, Chef Peppe Guida, Vico Equense
Semolino con basilico, Antica Osteria Nonna Rosa, Chef Peppe Guida, Vico Equense
Pane con lievito madre bianco e al finocchietto, grissini, sfoglia di mais. Semplici, E molto buoni.
pane con lievito madre, Antica Osteria Nonna Rosa, Chef Peppe Guida, Vico Equense
La carta dei vini. Robusta. In via di snellimento e svecchiamento con cantine da scoprire.
carta dei vini, Antica Osteria Nonna Rosa, Chef Peppe Guida, Vico Equense
Gambero crudo, mandorle, lime e gelsomore. Ancora un omaggio alla doppia natura di questi luoghi. Gambero strepitoso, dolce al naturale, fulminato dall’amaro e dall’acido della terra, tema molto caro allo chef.
Gambero crudo, Antica Osteria Nonna Rosa, Chef Peppe Guida, Vico Equense
Sauro su schiacciata di patate, insalata, limone e camomilla. Il signature dish dello chef. Un classico da rifare a casa. La perfezione della semplicità.
Sauro, Antica Osteria Nonna Rosa, Chef Peppe Guida, Vico Equense
Fettuccine di seppia, olio al mandarino, crema di piselli e chips di seppia. Consistenze, contrasti dolce-acido-iodato e poi quel piccolo capolavoro croccante a fornire l’anima della seppia. Qui si comincia a comprendere il mestiere.
Fettuccine di seppia, Antica Osteria Nonna Rosa, Chef Peppe Guida, Vico Equense
Crema di piselli e chips chips, Antica Osteria Nonna Rosa, Chef Peppe Guida, Vico Equense
Lardo, carciofo, spuma di prezzemolo, briciole di pane e crema di aglio dolce. L’aspetto non molto curato inganna. Piatto di grandissima tecnica con un carciofo grigliato e poi finemente e lungamente lavorato per renderlo mousse senza filamenti. Lardo a salare, aglio dolce a chiudere.
lardo, Antica Osteria Nonna Rosa, Chef Peppe Guida, Vico Equense
5 consistenze di Provolone del Monaco. Una illuminazione arrivata già al secondo cucchiaio delle originali 5 stagionature di Parmigiano di Bottura in una recente visita a Modena dello chef. Un omaggio divertente e divertito. Un grande formaggio locale nelle sue trasformazioni di forma, temperatura e densità. Sconta l’originalità ma il risultato è notevole. Da perfezionare con le differenti stagionature.
Antica Osteria Nonna Rosa, Chef Peppe Guida, Vico Equense
Fedelini aglio e olio con succo di tordo e gamberi. Riduzione di mare. Assoluta. Il tordo è pesce che non abita le cucine degli chef. Qui, una sorta di bisque –intensa e primitiva- gli rende giustizia. Piatto minimale ma di grande intensità.
Fedelini aglio, Antica Osteria Nonna Rosa, Chef Peppe Guida, Vico Equense
Candele spezzate con genovese di pollo e cacioricotta. Un altro classico, terragno, che sorprende per il carattere del pollo reso ancor piu’ aggressivo dal formaggio fresco grattugiato in uscita.
candele spezzate con genovese, Antica Osteria Nonna Rosa, Chef Peppe Guida, Vico Equense
Calle dei Campi cipollotto, cacio e nduja. Sullo stesso registro un altro primo di carattere. Qui forse manca il guizzo e, alla fine, ci si affatica. La pasta necessitava di qualche secondo di cottura oltre.
Calle dei campi, Antica Osteria Nonna Rosa, Chef Peppe Guida, Vico Equense
Ricciola scottata, caldofreddo di fave alla scapece e pane all’origano. Si ritorna in cattedra con questo trancio di ricciola di millimetrica cottura con pelle glassata e il motivo delle fave alla scapece -in gelato e intere- a rendere dinamico ogni boccone.
Ricciola scottata, Antica Osteria Nonna Rosa, Chef Peppe Guida, Vico Equense
Cannolo di soufflè di pastiera e gelato di caffè amaro. Dessert di buona fattura con la nota tostata del caffè a rendere meno stucchevole la pastiera che riempie un perfetto cannolo fragrante.
Cannolo, Antica Osteria Nonna Rosa, Chef Peppe Guida, Vico Equense
Crostata di limone e timo limonato. Pasta frolla superba per un dolce sostenibile dopo una così lunga ed intensa carrellata di sapori.
crostata di timo e basilico, Antica Osteria Nonna Rosa, Chef Peppe Guida, Vico Equense
Zeppole zucchero e cannella. Tradizionale ed irrinunciabile chiusura golosa con le graffe calde. Pasta di patate di morbidezza estrema.
Zeppole, Antica Osteria Nonna Rosa, Chef Peppe Guida, Vico Equense
Uno scorcio della cantina, piccola ma con qualche gemma.
cantina, Antica Osteria Nonna Rosa, Chef Peppe Guida, Vico Equense

La Torre del Saracino è l’esempio perfetto di come si possa mettere in piedi un meccanismo a orologeria conservando un calore e una spontaneità che sono il tratto più bello del nostro sud.
Dagli spazi, eleganti e funzionali, all’accoglienza, alla cucina, tutto parla di professionalità e arte dell’ospitalità, di quella ristorazione che ha saputo farsi moderna senza perdere neppure un briciolo di sincerità.
E’ difficile, per un gourmet, pensare a qualcosa di più gradevole di un posto sulla bella terrazza affacciata sulla spiaggia in una domenica di luglio non afosa, in attesa di farsi coccolare da una squadra rodata, da una cucina e una cantina suadenti, in grado di attingere dal meglio degli ingredienti e dei nettari campani e del mondo.
Questa volta c’era anche la curiosità di capire se il recente impegno nel nuovo ristorante caprese avesse avuto impatti sul locale “padre”. Sveliamo subito che il nuovo impegno pare essere stato perfettamente assorbito senza alcun contraccolpo (lo chef, anche se oramai navigato imprenditore, è come sempre regolarmente al timone a Vico).
Nel nostro consueto appuntamento estivo con Gennaro Esposito, abbiamo scelto uno dei percorsi consigliati, il menù Salvatore, virato però dallo chef stesso sul tutto pesce, eliminando la sola proposta di carne indicata in carta (abbiamo accettato volentieri il cambiamento, immaginandolo dettato dalla volontà di fare ancora meglio).
La scelta è davvero consigliabile perché si tratta di un menù che, pur restando solo marino, è di grande varietà e permette di saggiare una mano davvero molto solida, sicura di sé.
Molti i picchi nel nostro pranzo, come il merluzzo affumicato d’apertura di complessità ed eleganza senza pari (il migliore dei biglietti da visita che lascia pensare a un esito complessivo ancora superiore). La vetta assoluta, poi, è stata rappresentata dalle tagliatelle con broccoli, calamaretti e ricci di mare: una celebrazione della pasta e del mare, grande materia prima, cottura perfetta. E’ la quintessenza della cucina di Gennaro Esposito, un possibile punto di riferimento quando si parla di “pasta”, con un’immediatezza di gradimento che nulla ha a che vedere con la banalità.
C’è stato però anche un mezzo passo falso, la milanese di razza ripiena di foie gras: benché eseguita in modo impeccabile, è la seconda porzione con un pesce impanato in un menù di sette portate e stuzzica troppo la corda “ghiotta”, assecondata dalle due emulsioni e dal fegato grasso. E’ un piatto molto pensato ma meno riuscito e, soprattutto, è collocato in maniera non felicissima nella degustazione.
Tra questi estremi, altri piatti tra il buono e l’ottimo, sempre di notevole fattura (i risotti qui sono sempre stati dei punti di forza), capaci di mettere in risalto una materia prima straordinaria (quel polpo…) selezionata con l’esperienza e il palato di uno chef maturo; piatti ancora più interessanti quando lo chef privilegia l’immediatezza del gusto alla complessità della concezione.
Dessert classici e piacevolmente regressivi, migliori di quanto li ricordassimo e pienamente coerenti con l’esperienza complessiva.
In definitiva, una cucina molto più tecnica di quanto possa sembrare (e, col sorriso sornione di Gennaro, forse VOGLIA sembrare) pienamente consapevole dei suoi mezzi, che pensiamo abbia l’unico limite di proporre talvolta preparazioni dall’ideazione un po’ troppo elaborata e forse distanti dalla sua anima più vera.
Al momento di scegliere cosa bere, troverete una carta dei vini che spazia ben oltre la pur ricca e interessante selezione campana e nazionale. Con qualche senso di colpa siamo usciti dal territorio per pescare uno dei nostri “pallini”, il Riesling Herzù di Ettore Germano, peraltro buonissimo e, come il resto della carta, lodevolmente prezzato.

In apertura: Tagliatelle con broccoli, calamaretti e ricci di mare: già detto, un piatto da applauso.
Amuse bouche di sgombro, zucchine e fiori di zucchina.

Merluzzo affumicato, purea di cavolfiori e salsa di lattuga e acciughe: equilibrio complesso, un piatto concepito con maestria e reso alla perfezione.

Triglia e gamberi rossi con agrodolce di arance e zafferano: materia prima da urlo ma l’agrodolce è troppo prevaricante.

Zuppetta di olive nocellara e mandorle, purea di finocchi e pesce bandiera “anni ‘80”: lo chef gioca con i suoi ricordi d’infanzia (il pesce impanato dalla madre per farlo mangiare al bambino) per creare un piatto di notevole golosità.

Risotto con cipolla ramata di Montoro, sauro bianco affumicato, alga croccante al profumo di limone e peperoncino: bel piatto virile, risotto inappuntabile.

Milanese di razza ripiena di foie gras: come scritto sopra non ci ha convinto. E noi il pesce lo amiamo, non occorre impanarcelo sempre per mandarlo giù…

Polpo affogato con scarola: semplicemente perfetto. Poco da migliorare quando si ha una materia del genere e si sa cucinare.

Il mitico babà: di eterea consistenza, se fosse un po’ più bagnato sarebbe perfetto.

Bella e molto buona la crema bruciata ai biscotti, lamponi freschi e agrumi: non originalissimo, è però un dessert fine all’occhio e al palato, eseguito con sapienza da bistellato transalpino.

La tavola e la vista.

La lontananza dalle strade più battute della Penisola Sorrentina potrebbe essere un deterrente per chi intende inerpicarsi per le strette viuzze di Località Pietrapiana, ma siamo certi che difficilmente vi pentirete della deviazione.
È davvero incredibile che di Peppe Guida se ne parli così poco.
Il protagonista di questo locale (“osteria” solo di nome) ha talento da vendere e nulla da invidiare a tanti cuochi, vicini e lontani, ben più acclamati di lui.
Pranzare al Nonna Rosa, nonostante la sala piena, com’è accaduto a noi, può essere un’esperienza.
Un viaggio tra le insenature della Penisola Sorrentina e i tornanti dei Monti Lattari.
La valorizzazione dei prodotti del territorio è ai massimi livelli.
Vivere sul mare, ma a pochi chilometri dai monti, può essere un grande vantaggio per chi ha voglia e capacità di sperimentare e di coniugare elementi apparentemente inconciliabili.
La proposta di Guida ha una sua personalità, con sapori decisi ma mai eccessivi, ha equilibrio ed è caratterizzata dal fil rouge di una notevole qualità della materia prima.
Colpisce, rispetto a precedenti esperienze, l’evoluzione positiva della sua cucina, tendente alla finezza, in molti casi raggiunta senza rinunciare alla concentrazione del gusto, cifra stilistica che ha sempre caratterizzato l’osteria.
A ciò si aggiunge un ambiente di fascino, arredato con cura nonostante alcuni spazi obiettivamente angusti, e un servizio attento che ben sa interpretare i gusti della clientela.
“Peppe fa’ tu” è ciò che i clienti di lungo corso dicono allo chef, e allora perché non canonizzare questa formula nel menù a mano libera proposto ad un costo difficilmente replicabile altrove, per qualità e numero delle portate?
Tanto pesce ovviamente, ma anche carne, formaggi e le verdure dell’orto che giocano un ruolo di primo piano, come negli straordinari tortelli con formaggi dolci, crema di pere e noci caramellate.
Uno dei signature dish è la palamita con olio, limone, camomilla e patate schiacciate. Di semplicità e bontà uniche, che fanno comprendere che il palato conta quanto la tecnica.
Reparto dolce finalmente ai livelli delle portate salate. Classicità e tradizione della mitica pasticceria napoletana sono sublimati nella reinterpretazione della “Santarosa”, davvero splendida.
Lievi errori come l’eccesso di cottura, ad esempio, nella scaloppa di ricciola, non inficiano il giudizio che premia non solo la costanza qualitativa, ma anche i miglioramenti riscontrati.
Gli appassionati enoici avranno di che divertirsi: la cantina vanta una bella profondità ed etichette non sempre scontate. È previsto l’abbinamento al bicchiere, proposto a prezzi concorrenziali.
Peccato per la mancanza di un degno panorama, che in Penisola è un minus, ma con cotanta cucina potrete farne, per una volta, anche a meno.

Tonno, fiordilatte e mandarino. Il segreto di questa portata è nella giusta proporzione degli ingredienti. Pulizia e nettezza dei sapori.

Palamita, olio, limone, camomilla e patate schiacciate. Piatto simbolo del nostro percorso.

Migliaccio, sottogola di maiale, friarielli e fiordilatte. Tradizione rivisitata, molto bene.

Linguine cacio e pepe, lupini e limone. Piatto di difficilissima esecuzione. Se le proporzioni degli ingredienti non sono perfette (e nel nostro caso lo erano) si è ad un passo dal disastro.

Ravioli ripieni di formaggi dolci, salsa di pere e noci caramellate. Toni suadenti in un piatto di grande tecnica.

Tortello con baccalà e carciofi. Ancora una volta sfoglia perfetta e gusti netti.

Zuppetta di scarole con insalata di mare, cotta e cruda. Qui è la materia prima, eccelsa, a giocare un ruolo fondamentale. Perfetto l’abbinamento con il vegetale della tenerissima scarola.

Ricciola, zuppa di friarielli, salsa al peperone crusco. Peccato per la cottura leggermente prolungata della ricciola.

Conchiglione freddo con ventresca di tonno. Piacevole intermezzo. Boccone prelibato.

Bollito di manzo, il suo brodo, carciofo. Tutto al posto giusto, anche se un piccolo slancio, osare un po’ di più anche con l’abbinamento, sarebbe stato auspicabile.

Sorbetto al limone.

Come una “Santarosa”, gelato al fior di ricotta e arancia candita. Uno dei pochi casi in cui la rivisitazione di un grande classico riesce a migliorarlo. Semplicemente straordinaria.

Piccola pasticceria, davvero ben fatta: mini caprese, biscotto all’amarena, zeppole di patate, fichi caramellati.

Sala

Sala. Particolare

Rosa sui tavoli.

Questa recensione aggiorna la precedente  valutazione che trovate qui

Recensione Ristorante

Avevamo lasciato qualche mese fa La Torre del Saracino con qualche perplessità e dubbi non risolti, soprattutto nell’esecuzione dei piatti storici di cui serbavamo un ricordo sfavillante. Una piccola delusione da romantici gourmet che non aveva però intaccato le legittime aspettative di una cucina d’eccellenza, che forse in quel periodo (viste le numerose visite susseguitesi) non aveva tutto che funzionava al meglio. Eccoci di nuovo qui, in questo locale simbolo della cucina partenopea e italiana, regno di uno chef che ritroviamo, sinceramente e felicemente, in una forma smagliante.
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