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Osteria Bertoliana

Sostanza e immediatezza, nel cuore di Vicenza

Daniele Renzi è un cuoco schietto e diretto. Già chiamarlo chef, anziché cuoco, potrebbe essere inappropriato per definire la taratura della sua cucina. Perché quella di Renzi è una cucina che affonda le proprie radici nella tradizione vicentina più agreste e più viscerale.

Nessun fuoco d’artificio, ma tanta sostanza nell’osteria gestita insieme a Sandra Voltan, ed è funzionale anche nella divisione degli spazi: la prima, appena varcata l’entrata, è dedicata agli apertivi; la seconda, vicina alla cucina, è la sala vera e propria. 

Menu manoscritto e ingredienti da fornitori locali

Tra i piatti più incisivi una ricetta tradizionale di Recoaro Terme, gli gnocchi con la fioretta, corposi e saporiti ma al contempo equilibrati nella sapidità e delicati nell’impasto; l’ossobuco con polenta, in cui la tenera consistenza della carne s’è sposata senza riserva con la forza degli aromi di cottura; il tris di formaggi fusi, la tosella, l’asiago e il morlacco con radicchio: né più né meno che una dichiarazione d’amore ai prodotti caseari vicentini. 

Al netto di tutti questi punti di forza va pur detto che, a volte, la forza gustativa è risultata eccessiva, come nel caso della frittata coi bruscandoli, ovvero le cime del luppolo selvatico, e friarielli piccanti, ma ci siamo consolati rapidamente con una soave torta a base di amaretti e cioccolato in chiusura.

Le premesse, insomma, sono buone. In futuro siam certi di trovare, qui, in una progressiva conferma.

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L’impronta italiana di un grande ristorante, nel vicentino

Sono ormai 30 anni che La Peca ha aperto i battenti, e possiamo certamente affermare che essa ha lasciato un’impronta indelebile nell’alta ristorazione italiana. Non si è mai mangiato così bene in Italia, lo sentiamo dire da più parti e anche noi ne siamo convinti: ecco perché, qualche volta, ci rimproveriamo di non possedere 50 bocche e altrettanti stomaci: tanti di noi ci vorrebbero per essere sempre presenti, dappertutto, testimoni di un percorso che continua inesorabilmente, e provvidenzialmente, a crescere. Senza dimenticarsi di nessuno.

Ed è un peccato, per dire, dimenticarsi de La Peca dei fratelli Portinari. Due grandi uomini che hanno creato un luogo di elezione e, senza clamore alcuno e senza protagonismi – facili in questo periodo di sovraesposizione mediatica – hanno giorno dopo giorno continuato a salire di livello, creando un luogo in cui si esprime tutta la grande vivacità di una cucina di impronta – la peca, appunto – tutta personale e in cui si culla il rito dell’arte del bien vivre a tavola.

Nicola, in cucina, è chef ormai maturo: si muove con una destrezza e audacia, da vero campione tanto che, nella nostra lunga serie di assaggi, non s’è riscontrata nessuna sbavatura, nessuna indecisione. Solo qualche reiterazione stilistica, a dire il vero lieve, ha fatto capolino tra i piatti. Il rametto di salicornia, pleonastico in molti casi, può essere assurto a firma autografa di piatti in cui la complessità di ingredienti e di tecniche alzano notevolmente il livello di difficoltà. Ma solo i grandi trovano equilibrio nella complessità, e ciò che riesce perfettamente a questa cucina che vive anche un’impronta davvero definita: autoriale.

Un’impronta tangibile e definita

Ne sono un fulgido e limpido esempio il Risotto ai peperoni chipotle, crudità di gamberi, marasca e aspro di curry, in cui l’apparente nota pleonastica dei gamberi crudi in realtà avvolge di dolce grassezza e dona completezza di texture a un piatto dai sapori formidabili. Notevole l’apparente gioco della Meringa al pepe con fegato grasso e frutti rossi, il Friabile d’alghe, black-cod cremoso e caviale davvero lungo e persistente e, infine, il piatto signature La terra in autunno, riproposto diversamente a ogni stagione dell’anno. Semifreddo al pepe verde, ravanelli, pimpinella e agrumi è, infine, un dolce che esprime tutta la grande sensibilità di un palato unico come quello di Pierluigi: elegante come una sciarpa di cashmere, setoso e intrigante. Il grande dolce di un grande ristorante.

Ma la Peca è, sopratutto, una grande famiglia italiana. Ed ecco quindi che la lunga mano di Pierluigi, che si esprime divinamente nel comparto dolce ma che dona tutta la sua classe e la sua personalità in sala, dov’è coadiuvata dalla compagna Cinzia Boggian, lady elegante, discreta e raffinata, aggiunge alla cucina di Nicola quel tocco in più. E, a proposito di sala, menzione speciale va alla squadra, giovane e meravigliosa, che ci ha fatto trascorrere ore indimenticabili.

Impronta indelebile, da provare quanto prima.

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Un talento nitido e profondo che sta raggiungendo una grande maturità, a Vicenza

Lorenzo Cogo è stato uno degli enfant prodige dell’alta cucina contemporanea italiana, e non solo. Dopo aver collezionato un’esperienza e un pedigree di grandissima profondità e caratura ha aperto, giovanissimo, il suo regno-ristorante in quel di Marano Vicentino. E la critica si è subito divisa tra adulatori – a dire il vero non molti – del talentuoso giovane chef e detrattori, che gli imputavano una cucina troppo impersonale, ancora schiava dei suoi stage, troppo internazionale, un po’ spavalda e irriverente, come il suo carattere.

Noi, a dire il vero, siamo sempre stati più tra i primi, anche se non disdegnavamo appunti di fioretto al cuoco Lorenzo, a cui imputavamo ancora l’irruenza della giovane età negli impiattamenti, nel numero di ingredienti usati e una sorta di impersonale e troppo variegata nota di stilistica. Bene, oggi, seppur rimasto giovane, Lorenzo ha raggiunto, a nostro avviso, una maturità stilistica e contenutistica che lo rende certamente uno dei più limpidi protagonisti dell’alta cucina contemporanea del nostro paese.

Cogo è passato attraverso strade impervie che maturano e che asciugano. Ha ora imparato a gestire numeri e una realtà poliedrica come il Caffè Garibaldi di Vicenza, una realtà storica decaduta da tempo a cui Lorenzo ha dovuto ridare lustro, ricostruendo dalle macerie. E con tutto il talento, l’energia, la sua giovane età è riuscito in una impresa a dir poco titanica. Questo percorso irto e faticoso l’ha decisamente maturato e forgiato.

Audacia, classe e capacità

Oggi, a El Coq, dove ci si può dedicare finalmente con maggiore energia, Lorenzo esprime una cucina del tutto personale, priva di punti di riferimento, golosa, precisa e puntuale gustativamente, originale e pragmatica. Se dovessimo trovare qualche spunto, lieve, qualche riferimento potremmo dire che è una cucina molto “cracchiana” nel suo insieme, con alcuni spunti di assemblaggio di ingredienti ed equilibri gustativi che ci hanno riportato a qualche cena dal mitico Carlo Cracco, peraltro suo conterraneo.

Il Tagliolino di ciliegia, spaghetto di mare, anguria e ibisco o Limone di mare, mais, caviale, o ancora Granchio reale, salsa chili, gazpacho alla mandorla e olive sono capolavori stilistici e gustativi che richiamano equilibri alquanto precari, che solo un genio e un palato straordinario possono far virare in capolavori dei potenziali fallimenti quali potrebbero essere sulla carta.

Lorenzo Cogo è questo, la sua cucina è qui di fronte al vostro cospetto. Se uniamo anche una bellissima sala con vista su piazza dei Signori a Vicenza e un servizio capitanato da un giovanissimo maitre sommelier davvero molto bravo e preparato il gioco e fatto! Un grande ristorante, un grande cuoco, una grande cucina … a Vicenza.

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La cucina moderna, leggera ed essenziale di un ristorante vicentino molto bello

Una soddisfacente esperienza al ristorante è il frutto di una magica combinazione di elementi che incastrandosi alla perfezione conducono al tanto ambito appagamento.
Aqua Crua a Barbarano Vicentino offre una versione di tale sintesi: un ambiente accogliente, quasi intimo, senza essere banalmente romantico, dove, invece, la piacevolezza dell’insieme è affidata a un arredamento lineare e caldo, elegante ma non privo di tocchi di graffiante modernità, che ha posto al centro di tutto metaforicamente, e non solo, i fornelli con la splendida cucina a vista che funge da sfondo della sala e al contempo da parte integrante del felice e compiuto progetto architettonico.
Un servizio gentile, ma non affettato, giovane ma già di consumata esperienza. E infine, ma non ultimo, per noi che siamo esteti gastronomici, lo stile culinario adottato da Giuliano Baldessari, di cui più volte abbiamo ricordato la lunga collaborazione col sommo Massimiliano Alajmo.

“I frattali” e la “Iniziazione,” i menu manifesto della cucina di Baldessari

Una cucina di cui confermiamo leggerezza ed essenzialità, che reca con sé l’aspirazione a volgere lo sguardo a 360 gradi per cogliere il più ampio spettro possibile di stimoli gustativi attraverso lo sviluppo e la centralità degli ingredienti utilizzati.
Nella carta accanto al menu degustazione dei classici definito “I frattali”, ecco spiccare il menu “Iniziazione”, una vera e propria dichiarazione d’intenti da parte dello chef per chiunque voglia addentrarsi nell’esplorazione del suo personale caleidoscopio culinario.

L’attesa viene ripagata da colpi di alta scuola come l’Anguilla in salsa teriyaki e argilla ventilata, raro esempio di finezza applicata a un ingrediente che reca in dote una famigerata quanto affascinante grassezza difficile da addomesticare.
Mentre il Risotto alla spirulina, che si avvale di note acide, amaricanti e speziate in equilibrio sorprendente e il verace Colombaccio toscano cui le scaglie di cocco donano un tocco di esotica vivacità in un piatto già impeccabilmente eseguito, sono la testimonianza di una capacità di spaziare avendo ben solide radici.

Altre portate del menu, concepite con un intento chiaramente più sperimentale, ci hanno convinto meno, come nel caso del velleitario Tendine di mare (un tendine di manzo ammorbidito e trattato col plancton) servito con una improbabile cialda di farina di fagioli e uno scampo crudo che ha lasciato piuttosto perplessi riguardo alla congruità e alla riuscita del piatto.
Qundi, la Fassona, lasciata a 20° per 20 giorni e servita col penicillum è sembrata uno sterile esercizio di stile, alquanto fuori contesto, mentre lo Spaghetto Mancini al burro d’acciughe e al caffè d’alga è apparso fin troppo elementare.
Alti e bassi, dunque, di un percorso comunque ricco di personalità e costruito con indubbia perizia tecnica a testimonianza di una tavola di interesse indiscutibile, che può assurgere a un ruolo importante nel panorama gastronomico italiano.
Questa volta la nostra valutazione non è piena, ma manteniamo il voto in attesa di una conferma ulteriore.

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Il regno della carne, una delle macellerie-botteghe migliori d’Italia con una grande cucina, vicino a Vicenza

Ai fratelli Damini, Giorgio e e Gian Pietro, bisognerebbe dedicare un monumento. Per aver reso Arzignano meta di pellegrinaggio Gourmet aprendo una piccola ma grande, grandissima bomboniera piena di ogni ben di dio. Hanno fatto della qualità il loro motto, producendo, tramite un allevamento a loro dedicato, carne di qualità estrema che frollano e fanno maturare come si dovrebbe fare.

Attenzione alla crescita, alla macellazione, alla lavorazione e rifinitura, fino alla frollatura. Processo curato nei minimi dettagli perché questo è il vero percorso per un’ottima qualità. Semplicemente questo. E poi, di fianco alla fornitissima macelleria, un tripudio di prodotti di qualità selezionati in giro per lo stivale. Conserve di tonno di Carloforte, il fantastico pane di Eugenio Pol della Val Vigezzo, il caratteristico pane di Matera, le alici di Cetara, i salumi dell’Alto Adige e dell’Emilia. Sono solo alcuni, pochi esempi, di quello che troverete in questo luogo di bontà.

E poi, non paghi, un ristorante di grande livello che vi porta in tavola questi prodotti d’eccellenza, con al centro ovviamente la carne dei Damini, con l’elaborazione, l’estro e un pizzico di personalità di Chef Giorgio, il cuoco dei due fratelli.

Giorgio è un vero appassionato, e ciò si ravvisa in ogni suo piatto, in ogni preparazione. Si vede che gira, che si informa, che prova e si ispira ai suoi colleghi illustri e che propongono anzitutto qualità. E poi torna tra le sue mura ed elabora, personalizza, traduce nel proprio lessico le esperienze raccolte esprimendole in una cucina personale e ben realizzata. Ci sono molto piaciuti i primi, l’elegante lasagnetta di riso con ossobuco e le mezze maniche Mancini, davvero equilibrate e intense. Ottima la carne cruda in entrata, forse servita troppo fredda nella sua versione “nature” e un filo confuso lo stracotto, sovrastato dal caffè e non amplificato a dovere. Così come l’oca, forse troppo arrotondata ed addomesticata dal concassé mediterraneo.

In sostanza una risto-bottega-macelleria unica in Italia, che esprime indiscutibile qualità in tutti i versanti; se siete o passate per queste latitudini da non perdere assolutamente.

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