Passione Gourmet Torino Archivi - Pagina 5 di 8 - Passione Gourmet

Cannavacciuolo Bistrot

Il Masterchef Antonino Cannavacciuolo apre a Torino, e fa centro al primo colpo

Eccoci a provare la nuova avventura dello cheffone campano, alla sua seconda apertura in Piemonte. Dopo Novara ecco la volta di Torino, aspettando certamente Milano e Roma. L’impero di Antonino Cannavacciuolo si espande, garantendo l’apertura di locali di gran classe, di sostanza, che esprimono una cucina elegante, raffinata ma al contempo golosa e profonda. E anche qui, a Torino, non si è sbagliato un colpo.

Sempre pieni, a pranzo e cena, dove la prenotazione sfiora i 3 mesi di anticipo. Non un servizio lasso e fiacco, non un momento di respiro. Eppure la macchina gira alla perfezione. Merito del direttore, Pino Savoia, che con le sue straordinarie capacità fa girare una macchina perfettamente messa a punto dal big man Canavacciuolo.

Villa Crespi in miniatura? Molto di più!

Al bistrot di Torino si trova la sua cucina, le sue idee, i suoi credo riproposti con estrema perfezione e precisione. Una Villa Crespi in piccolo, ma neanche troppo.

Pensiamo al benvenuto, con una focaccia pugliese, dei cannoli al ragù napoletano e delle montanare comme il faut. Per passare ai primi, eleganti come i ravioli e consistenti come le linguine alla salsiccia di Bra, stupendo e dal difficile equilibrio raggiunto, il risotto. Ottimi i secondi, con il piccione a svettare, ingrediente feticcio dello chef, qui in una interessante declinazione. Per finire con un ottimo comparto dolce, curato e preciso. E, proseguendo con le note positive, con un personale di sala e di cucina davvero preparato, attento, molto cortese e professionale. E girando a ritmi di questa natura non è affatto facile il compito di tutti, direzione in primis, che hanno però vinto la sfida di creare un luogo piacevole, accogliente, fragrante, verace ma tremendamente e intensamente buono.

L’unico neo? La difficoltà della prenotazione, ça va sans dire.

La galleria fotografica:

Bravo, forse il più bravo, sicuramente il più famoso ed il più citato dei secondi, ma si può rimanere sempre “un secondo” quando si può aspirare ad essere uno dei migliori primi?
Vent’anni lunghi e fondamentali, vent’anni di un rapporto strettissimo fra due cervelli pensanti di prim’ordine.
Un ragazzino che inizia a collaborare con un giovane uomo dal curriculum già impressionante ed apprende, impara, cresce.
Un rapporto che assomiglia a quello di un padre con un figlio.
Un figlio che lentamente affianca il padre fino a diventarne l’alter ego, il suo braccio, ma anche, in parte, la mente in grado di mandare avanti in solitaria una macchina ben rodata e, complice i sempre più frequenti impegni del padre, lo sostituisce spesso nella conduzione.

Questa in breve potrebbe essere la storia di Carlo Cracco e di Matteo Baronetto.
Una storia che, come accade in una famiglia, ha un inizio ed inevitabilmente anche un termine.
Un’evoluzione naturale in cui Matteo ad un certo punto non si è più sentito di  essere il secondo, ma ha accettato una sfida, anzi una grande sfida, un’offerta di quelle che non si possono rifiutare.
Un’avventura in cui era necessario rischiare tutto, perché quando si accetta di diventare lo chef di un’istituzione come il Del Cambio di Torino, c’è sì la possibilità di guadagnare molto in termini di credibilità e non solo, ma avendo tutti i riflettori puntati addosso e, dato l’investimento importante della proprietà e le attese di critica e pubblico, il rischio di bruciarsi diventa una possibilità da prendere in considerazione.
Oggi, a meno di due anni dall’apertura, dopo una stella Michelin conquistata e lodi quasi unanimi da parti della critica,  possiamo dire senza tema di smentita che la sfida intrapresa da Matteo Baronetto è stata vinta.
Il Del Cambio oggi funziona a pieno regime, i numeri sono buoni, i circa settanta coperti a disposizione sono spesso occupati.
La cucina di Baronetto ha ormai raggiunto la piena maturità espressiva. Come già ai tempi dell’esperienza milanese, Matteo riesce a trovare equilibrio e piacevolezza gustativa con ingredienti all’apparenza poco compatibili, dimostrando un palato di rara sensibilità ed una capacità di pensare il piatto propria soltanto dei grandissimi.
La tecnica qui non è mai fine a sé stessa, ma soltanto un mezzo per ottenere piatti compiuti facendo risaltare al massimo gli ingredienti.
La cucina di Baronetto è molto personale, lontana dalle mode, frutto di un percorso e di un background che ha portato il nostro chef a costruire un proprio modo di vedere la cucina che rivela molto della sua personalità.
Una cucina schiva che permette di essere scoperta soltanto se la si guarda con occhio attento, si concede un po’ per volta e piatto dopo piatto rivela tutta la sua forza ed il suo carattere, ma anche eleganza, potenza e capacità di spiazzare e di sparigliare le carte.
Insomma, se si cerca un luogo dove capire e scoprire in profondità il messaggio del suo interprete, Del Cambio è il posto giusto; lasciate carta bianca a Baronetto e lasciategli raccontare la sua storia attraverso i suoi piatti senza remore e senza preclusioni mentali, riuscirete ad entrare in sintonia con lui ed uscirete felici per aver incontrato uno dei migliori interpreti della cucina italiana.

Gli stuzzichini iniziali.
stuzzichini, Ristorante Del Cambio, Chef Matteo Baronetto, Torino
Sfoglie di riso croccanti.
sfoglie di riso, Ristorante Del Cambio, Chef Matteo Baronetto, Torino
Il pane di due tipi, entrambi ottimi.
pane, Ristorante Del Cambio, Chef Matteo Baronetto, Torino
I grissini.
grissini, Ristorante Del Cambio, Chef Matteo Baronetto, Torino
Insalata, uova, cialda croccante piccante: la prima dimostrazione della capacità dello chef di dominare l’elemento vegetale e naturalmente l’uovo, l’ingrediente feticcio di Carlo Cracco.
insalata uovo, cialda, Ristorante Del Cambio, Chef Matteo Baronetto, Torino
Riccio, caviale, acqua tonica: eleganza pura, equilibrio perfetto.
riccio, Ristorante Del Cambio, Chef Matteo Baronetto, Torino
Foglia di grano saraceno, polpacci di rana e soncino.
foglia di grano saraceno, Ristorante Del Cambio, Chef Matteo Baronetto, Torino
Insalatina di piselli, fragoline di bosco e bianchetti: la primavera nel piatto, tre semplici elementi assemblati insieme, ma che meraviglia.
insalata di piselli, Ristorante Del Cambio, Chef Matteo Baronetto, Torino
Cappasanta cruda, semi di zucca piccanti, tarassaco e uovo: una cappasanta dolcissima, l’amaro del tarassaco, il grasso morbido dell’uovo, il croccante ed il piccante dei semi. Cosa si può volere di più da un piatto?
capasanta, Ristorante Del Cambio, Chef Matteo Baronetto, Torino
Gamberi appena scottati con salsa dolcissima ottenuta dalle teste.
Gamberi, Ristorante Del Cambio, Chef Matteo Baronetto, Torino
Baccalà in bianco, salsa ottenuta con la carcassa: piatto classico e anche in questo campo lo chef non perde un colpo, semplicemente perfetto. E che salsa!
baccalà, Ristorante Del Cambio, Chef Matteo Baronetto, Torino
Spinacio al burro, sedano rapa cotto nel grasso del prosciutto: un gioco di prestigio, una illusione, il sedano rapa cotto col grasso del prosciutto che diventa, chiudendo gli occhi, lui stesso prosciutto.
Sensazioni lattiche che si rincorrono con lo spinacio che riequilibra il tutto.
sedano rapa, spinaci, Ristorante Del Cambio, Chef Matteo Baronetto, Torino
Spaghetti burro e parmigiano: vengono reidratati per due ore in acqua fredda fino a diventare stracotti ed elastici, sono poi immersi in un vaso di vetro contenente burro chiarificato leggermente salati. Nel forno a vapore a 100 gradi subiscono una seconda cottura, che li rende traslucidi e quasi trasparenti.
Spaghetti burro e parmigiano, Ristorante Del Cambio, Chef Matteo Baronetto, Torino
Insalata, cioccolato bianco, salsa al prezzemolo: altra grande insalata, servita senza condimento, ma completata dalla grassezza untuosa del cioccolato bianco che smorza le sensazioni amare e dona quella piacevolezza che altrimenti sarebbe mancata.
Insalata cioccolato bianco, Ristorante Del Cambio, Chef Matteo Baronetto, Torino
Lasagna di alga di mare e lattuga con ragù di vitello: una lasagna a tutti gli effetti dove al posto della sfoglia ci sono alghe e lattughe, ottima.
lasagna, Ristorante Del Cambio, Chef Matteo Baronetto, Torino
Ravioli di scarola, acciughe e capperi.
ravioli, Ristorante Del Cambio, Chef Matteo Baronetto, Torino
Scorfano, acqua di parmigiano, anice stellato: terra e mare che si incontrano con l’anice stellato che rende il piatto meno monocorde.
Scorfano, Ristorante Del Cambio, Chef Matteo Baronetto, Torino
Tonno e musetto di vitello: ancora terra e mare, un tema caro allo chef; qui sono le sensazioni grasse e morbide a farla da padrone, ma gestite alla grande.
tonno e musetto, Ristorante Del Cambio, Chef Matteo Baronetto, Torino
Sasso ripieno di crema di pistacchio e sorbetto di mora.
sasso ripieno, Ristorante Del Cambio, Chef Matteo Baronetto, Torino
Frutta disidratata.
frutta disidrata, Ristorante Del Cambio, Chef Matteo Baronetto, Torino
Piccola pasticceria.
piccola pasticceria, Ristorante Del Cambio, Chef Matteo Baronetto, Torino
Praline finali.
praline, Ristorante Del Cambio, Chef Matteo Baronetto, Torino

Entrare al ristorante Del Cambio di Torino è un’esperienza memorabile. Lo chef che da un anno vi officia, Matteo Baronetto, sta mostrando tutto il suo sapere culinario, la sua cultura enogastronomica, la sua passione e le sue innate doti tecniche, dando vita così ad una cucina tanto personale da trovare il suo equilibrio solo specchiandosi in sé stessa, accettandosi, capendosi e dichiarandosi liberamente. Siamo al cospetto di uno dei più grandi cuochi del panorama nazionale, degnamente supportato da un edificio all’interno del quale è stata scritta parte della storia dello Stivale.

È inspiegabile come di colpo, nonostante si faccia parte di una delle più belle sale da pranzo d’Italia, ci si guardi intorno come storditi, senza riuscire ad apprezzare fino in fondo tanta bellezza, quasi fosse superflua.
I velluti rossi, gli specchi anticati, gli enormi lampadari a goccia di fine ottocento si limitano a fare da cornice all’opera che lo chef sta mandando in scena, svestendosi così naturalmente di quel ruolo da protagonisti che hanno svolto per centinaia di anni.
Certo anche Baronetto avrà sentito il peso di dover essere all’altezza di un luogo come questo.
Oppure no?
Quell’eleganza, quella gentilezza, quella capacità di rispettare ingredienti e preparazioni che solo in pochi grandi, anzi grandissimi, hanno, vengono portati a braccetto da una grande personalità, da una intrigante decisione di intenti e da una formidabile schiettezza. Che tutto questo sia frutto di un compromesso per poter convivere con un luogo dalla tale potenza evocativa? Probabilmente no, anzi, certamente no.

Matteo Baronetto qui pare esprimersi con la libertà leggiadra di un innamorato. Concentra due, tre, quattro gusti in un solo piatto, riuscendo nell’ardua impresa di scinderli nettamente ad inizio degustazione, per poi, via via, accostarli, farli toccare fino ad arrivare a fonderli tra di loro. È un momento di grande ispirazione artistica per Baronetto, in un percorso iniziato da poco eppure già così vicino allo zenit. E’ comparsa anche qualche acidità secondaria, lieve ma penetrante nei suoi piatti. La testa dello chef è libera da schemi mentali fissi e spazia proponendo passaggi che sfiorano il bucolico, altri che richiamano e rincorrono la grande cucina classica francese, per poi arrivare al territorio, quello piemontese tanto ricco di tradizione gastronomica quanto restio alla sua modifica, alleggerendolo senza però metterlo in discussione.
È contento Matteo Baronetto, forse felice. Lo si capisce per quella sua vena ironica che si riscontra in diverse preparazioni. Ironica non perché irride ricette classiche codificate ed eseguite nella medesima maniera da secoli, ma perché riesce nell’intento di far sorridere il commensale ad ogni boccone. Riesce a creare un collegamento schietto e diretto con la ricetta di riferimento, migliorandola, rendendola indimenticabile, senza però mai umiliarla. Il piatto “acciughe affumicate al rosmarino e burro morbido al limone” è la dimostrazione di quanto appena raccontato, in cui la genialità di affumicare e aromatizzare gli elementi dà vita al più buon boccone di pane, burro e acciughe che si sia mai assaggiato, senza però far perdere la voglia, una volta rientrati a casa, di tornare a cenare con la ricetta classica. Sinonimo di grande educazione, che si accosta ad un occhio critico e vigile di rara finezza.

Il benvenuto offerto dalla cucina è un trionfo di frutta estiva, marinata, condita, farcita e glassata che fa il giro di tutti i gusti (dolce, amaro, acido, salato) in modo da preparare il palato alla degustazione. Ma è il cervello a subire continue scosse. L’insalata di fiori e germogli, con brodo caldo al sedano rapa, caviale e fragoline di bosco è un ideologico passo temporale all’indietro in cui l’anima viene contestualizzata al calore estivo che avvolge fiori ed erbe, ammosciandoli e facendoli appassire, rinvigoriti però dalla nota iodata del caviale che richiama il mare e le vacanze estive, e resi freschi dalla brezza montana delle fragoline di bosco. Piatto geniale, concettuale ed appagante.

Tutto il resto è un continuo gioco di consistenze, richiami attraverso ingredienti esotici a gusti tradizionali, illuminazioni classiche e qualche piccola provocazione volta a far riflettere e forse a soddisfare la vanità dello chef.
La valutazione, in questo caso arrotondata per difetto, complici anche i tre piatti ordinati alla carta di un livello lievemente inferiore rispetto al degustazione, vuole essere uno stimolo per lo chef ed un incentivo per tutti gli appassionati che ancora non hanno fatto visita alla sua corte, per poter ripetere la nostra esperienza, indubbiamente una delle più convincenti di questo anno solare.

I piatti classici avrebbero bisogno di maggiore “classicità” e forse una lettura meno ardita. Il servizio avrebbe bisogno di una marcia in più. Per il resto siamo veramente di fronte ad una delle tavoli migliori d’Italia.
Ma ricordatevi, date mano libera allo chef: questo percorso è sicuramente il più congeniale per approcciarsi qui al Cambio in maniera corretta, al cospetto di un grande interprete.

Frutta: Anguria marinata al Martini, lampone farcito con crema pasticcera alla curcuma, ciliegia farcita alle olive e finocchietto, pesca tabacchiera con alici, fico con basilico e colatura di alici. Inizio grandioso.
Frutta, Del Cambio, Chef Matteo Baronetto, Torino
Insalata di fiori e germogli con brodo al sedano rapa, caviale e fragoline di bosco.
insalata di fiori, Del Cambio, Chef Matteo Baronetto, Torino
Gamberi rossi con ceci, nocciole e cacao. Piatto con un forte riferimento al territorio. Boccone dopo boccone in bocca si crea una consistenza e un gioco di sapori che ricorda il gianduiotto. Ottimo.
Gamberi rossi con ceci, Del Cambio, Chef Matteo Baronetto, Torino
Bisque 1970-2015.
Bisque, Del Cambio, Chef Matteo Baronetto, Torino
Il piatto completato. Il mascarpone di capra, la menta e il frutto della passione vengono coperti da una bisque leggera, amalgamandosi e fondendosi con essa. Si beve direttamente dalla tazza. Il gusto dolce con fondo tostato della bisque si lega al mascarpone acido e vellutato e viene verticalizzato dal frutto della passione. Altro piatto da KO.
bisque con mascarpone di capra, Del Cambio, Chef Matteo Baronetto, Torino
Baccalà, bagnetto rosso, foglie di capperi croccanti e tuorlo d’uovo. Spettacolare.
Baccalà, bagnato rosso, Del Cambio, Chef Matteo Baronetto, Torino
Acciughe affumicate al rosmarino e burro morbido al limone.
acciughe affumicate, Del Cambio, Chef Matteo Baronetto, Torino
Musetto di maiale, salsa verde essiccata, melassa di cipolle e chinotto. La salsa verde prende la consistenza e ricorda il tè matcha. Il chinotto si rivela un ospite molto gradito all’interno del piatto.
muretto di maiale, Del Cambio, Chef Matteo Baronetto, Torino
Vitello tonnato. Piatto ordinato alla carta. Buono, nulla di più. Avremmo preferito una salsa forse meno atavica ma più lenta e arrotondante.
Vitello tonnato, Del Cambio, Chef Matteo Baronetto, Torino
Ravioli di yogurt, fave bianche e tartufo liofilizzato. Unico primo piatto presentato durante la degustazione. Provocatorio, svolge il compito di ripulire il palato e prepararlo al resto del pranzo. Il sorbetto del 2020.
ravioli di yogurt, Del Cambio, Chef Matteo Baronetto, Torino
Rognoni di coniglio al vapore, semi di coriandolo e lattuga bagnata al moscato d’asti. Forse il piatto della giornata. Rognone cotto alla perfezione, il coriandolo si sposa bene con la nota aromatica dolciastra della lattuga bagnata al moscato d’asti. Favoloso.
Rognoni di coniglio, Del Cambio, Chef Matteo Baronetto, Torino
Branzino cotto in lattuga di mare, liquirizia e semi di finocchio. Materia prima strepitosa e rispettata religiosamente nella cottura. La laccatura alla liquirizia gioca in contrasto con la vena salata delle alghe.
Branzino cotto in lattuga di mare, Del Cambio, Chef Matteo Baronetto, Torino
Agnolotti al sugo. Altro piatto ordinato alla carta, forse anche qui avrebbe giovato una salsa meno tirata e l’assenza del croccante, pleonastico.
agnolotti al sugo, Del Cambio, Chef Matteo Baronetto, Torino
Vitello brasato al vino. La scaloppa di vitello è cruda, spruzzata con vino rosso, mentre la brunoise di sedano carota e cipolle viene posta a lato del piatto e tenuta croccante. Geniale.
vitello brasato, Del Cambio, Chef Matteo Baronetto, Torino
La finanziera, anch’essa ordinata alla carta.
finanziera, Del Cambio, Chef Matteo Baronetto, Torino
Bonet, caviale, cavolfiore e mais croccante.
bonet Caviale, Del Cambio, Chef Matteo Baronetto, Torino
Un dettaglio della splendida sala.
Sala, Del Cambio, Chef Matteo Baronetto, Torino
Ingresso della Farmacia, locale adiacente al ristorante dove è possibile acquistare leccornie dolci e salate da poter gustare a casa.
ingresso farmacia, Del Cambio, Chef Matteo Baronetto, Torino
Alcuni dei dolci esposti nelle vetrine della Farmacia, locale posizionata accanto e degno di un passaggio.
dolci, Del Cambio, Chef Matteo Baronetto, Torino
dolci, Del Cambio, Chef Matteo Baronetto, Torino
dolci, Del Cambio, Chef Matteo Baronetto, Torino
pasticcini, Del Cambio, Chef Matteo Baronetto, Torino
pasticcini, Del Cambio, Chef Matteo Baronetto, Torino
pasticcini, Del Cambio, Chef Matteo Baronetto, Torino

Marcello Trentini è ancora percepito, dal comune sentire gourmet, come un giovane chef.
Non traggano però in inganno i dreadlocks orgogliosamente portati o l’arrivo, in tempi relativamente recenti, dei giusti riconoscimenti alla sua cucina, perché Il tassametro corre e dirà quarantaquattro nel 2015, per Mister Magorabin. Che qui a Torino, a pochi passi dalla Mole, officia da ormai dodici anni insieme a Simona Beltrami, compagna di vita, sommelier e creatrice di una carta dei vini di buona ampiezza e facile accessibilità.
L’unica sala, ristrutturata da meno di un lustro eppure prossima, ci viene detto dallo staff, a vedere un ulteriore radicale restyling, è raccolta ed assai illuminata. Ne soffrirà forse la coppia in cerca d’intimità ma di certo non chi, come noi, ha l’abitudine di fotografare i piatti.
Lo chef ha lavorato parecchio, nel corso degli anni, per far convivere gomito a gomito la propria vena più spregiudicata e personale, fatta di contaminazioni continue fra mare e terra e di corse sulla cresta di confine fra i diversi gusti, con la rotondità dell’amata cucina torinese, doverosamente omaggiata con varie proposte tradizionali in carta e un menu dedicato.
Il risultato, al di là dell’ampia possibilità di scelta, finisce così per essere, anche nei momenti più arditi, quasi sempre in direzione di una piacevolezza inattesa, in cui gli spigoli risultano regolarmente smussati rispetto alle aspettative create dall’elenco degli ingredienti. Da segnalare l’abbondante utilizzo di elementi ludici (v. le Pringles nell’aperitivo di benvenuto) che rendono la cucina del Magorabin anche divertente, oltre che indubbiamente gradevole.
Data carta bianca alla cucina, lo chef ha ripagato la nostra fiducia proponendoci un percorso di ampio respiro, comprendente numerosi fuoricarta ancora in fase di collaudo, che ha evidenziato una volta di più la spiccata fantasia di Trentini, che specialmente nell’utilizzo dei crostacei crudi ha dimostrato nel corso degli anni una pressoché inesauribile vena creativa. In generale abbiamo trovato la concezione dei secondi un po’ troppo simile a quella degli antipasti; il percorso a noi proposto si è rivelato così più in progressione di temperature che di intensità e ha finito per mostrare un po’ la corda negli ultimi passaggi. Va ribadito, però, come questa fosse una traccia sperimentale (e assai più lunga del più ampio dei menu previsti in carta) e come queste considerazioni vadano perciò circostanziate alla nostra esperienza.

L’ampio benvenuto dalla cucina in accompagnamento all’eccellente Americano maison (in apertura): Amsterdam, con panbrioche, aringa e cipolla marinate all’aceto di riso, bufala affumicata, polvere di Pringles.
benvenuto, Magorabin, Chef Marcello Trentini, Torino
Waffle, cime di rapa, crema di grana, crudo disidratato e scalogno candito.
waffle, cime di rapa, Magorabin, Chef Marcello Trentini, Torino
Chicharron&ceviche: cotenna di maiale soffiata,ceviche di capasanta, avocado, coriandolo e lime.
chicarrones&ceviche Magorabin, Chef Marcello Trentini, Torino
Macaron con paté di fegatini di coniglio e tartufo nero.
macaron con pato di fegatini, Magorabin, Chef Marcello Trentini, Torino
Tartare&caviar con wasabi e uova di trota.
tartare&caviar, Magorabin, Chef Marcello Trentini, Torino
Ostrica,sedano e fondo di volaille.
Ostrica, sedano, Magorabin, Chef Marcello Trentini, Torino
Il menu si apre con Scampi, testina e datterini all’aceto Sirk, davvero notevole nell’utilizzo dell’olio e dell’aceto all’interno di una preparazione in sé già significativa.
scampi, testina e datteri, Magorabin, Chef Marcello Trentini, Torino
Insalata di lingue d’anatra, fragole e fegato grasso arrosto, dov’è ben misurata l’acidità della fragola che nulla toglie alla golosità complessiva del piatto.
insalata di lingua d'anatra, Magorabin, Chef Marcello Trentini, Torino
Pizza d’ombrina con bufala di Battipaglia.
pizza d'ombrina, Magorabin, Chef Marcello Trentini, Torino
Gamberi, radici amare e consommé di scalogno bruciato: le note ferrose delle radici danno un’originale angolazione ai pregevoli gamberi.
gamberi, Magorabin, Chef Marcello Trentini, Torino
Baccalà, olive e latte di mandorla, piatto dallo spettro gustativo assai ampio ma un po’ banale nel risultato.
baccalà olive e latte di mandorla, Magorabin, Chef Marcello Trentini, Torino
Capanegra: capasante, gel di midollo di prosciutto iberico, tartufo nero e polvere di castagne all’olio di nocciola. Tanti ingredienti dominati dalla grassezza quasi tannica del gel.
Capinera, Magorabin, Chef Marcello Trentini, Torino
Triglia in carpione (triglia alla semola, polenta bianca, mosto cotto di fichi e gelato di cipolle di Tropea all’aceto di mele).
triglia in carpione, Magorabin, Chef Marcello Trentini, Torino
Riso alla marinara (guazzetto di scorfano,origano fresco,cedro e cialda soffiata di riso nero), di concentrazione davvero notevole.
riso alla marinara, Magorabin, Chef Marcello Trentini, Torino
Ottimamente pizzicati ma un po’ scarichi di gusto i plin di faraona, serviti con schiuma di grana e polvere di salvia.
plin di faraona, Magorabin, Chef Marcello Trentini, Torino
Pollo alla marengo (cosce di cappone, nero di seppia, insalata di asparagi crudi e erbe amare, ricci di mare): qui i tanti elementi restano tanti elementi senza giungere ad un vero risultato d’insieme, né di contrasto né d’amalgama.
pollo alla marengo, Magorabin, Chef Marcello Trentini, Torino
Animelle, calamari e piselli: davvero buono.
animelle, calamari, Magorabin, Chef Marcello Trentini, Torino
Wagyu cotto all’unilaterale, carciofi e acciughe: qui il gioco non rende giustizia alla pregiata carne, che si carica ulteriormente di una poco gradevole nota metallica.
wagyu, Magorabin, Chef Marcello Trentini, Torino
Predessert: Cremoso mascarpone e arancia, crumble alla cannella e granita di fragole.
 Magorabin, Chef Marcello Trentini, Torinopredessert,
Passion lives here (sfere di cioccolato al caramello, crumble di cacao e noci, gel al frutto della passione e rum con sorbetto alla banana)
Passion, Magorabin, Chef Marcello Trentini, Torino
Refresh&acid; ananas al maraschino, crumble al lime, spuma di yogurt e granita di sedano caramellato. Evidente la ricorsività nell’utilizzo dello sbriciolato per donare croccantezza e masticabilità ai dessert, pur in contesti assai diversi e, precisiamo, tutti di buon livello.
refresh&acid, Magorabin, Chef Marcello Trentini, Torino
piccola pasticceria, Magorabin, Chef Marcello Trentini, Torino
Magorabin, Chef Marcello Trentini, Torino

INSALATA DI LINGUE D’ANATRA, FEGATELLI BRUCIATI E GEL DI FRAGOLE

Ludwig Wittgenstein parlava di un’anatra-coniglio, sulla scorta della figura utilizzata dallo psicologo Joseph Jastrow. Forma bivalente che rimette allo sguardo di chi osserva la soluzione della sua ambiguità, leggibile in un senso o nell’altro come la testa di entrambi gli animali, rivolti verso sinistra o verso destra. Serviva al filosofo austriaco per evidenziare l’“aroma che il cervello aggiunge a ciò che vede”, il fraseggio dell’immagine che favorisce ora un’interpretazione, ora l’altra, abbracciando talvolta le due insieme. L’occhio come grammatica del vedere, insomma, poiché “tutto ciò che vediamo potrebbe essere altrimenti”. Guardare significa inviare una immagine al cervello affinché ne elabori la concezione visiva: è “un pensiero che echeggia nel vedere” piuttosto che una semplice ricezione.

Lo stesso rimpallo fra sensi e pensiero, veicolato da un’ambiguità tutta gastronomica, è sovrano nella cucina di Marcello Trentini, dove è il palato a fraseggiare gli scambi fra carne e pesce o fra culture alimentari differenti. Come accade in questa Insalata di lingue d’anatra con fegatelli bruciati e gel di fragole, crasi fra due specialità diverse, dove l’anatra riveste anche il pelo del coniglio, giocando un duplice ruolo. Ci sono infatti le lingue di anatra abbrustolite, tipiche della cucina asiatica nonché classico francese (Ducasse), e il torchon di fegatelli, sempre di anatra. Bruciati. Insieme si prestano a due letture: l’insalata piemontese di frattaglie, composta generalmente di nervetti e testina, e una specialità sabauda a base di selvaggina da piuma, foie gras e frutti di bosco. Un gioco tutto in casa, quindi.

“Ho cercato di far convergere l’evoluzione di due ricette tipiche in una entrata molto fresca, ma dai gusti profondi. Quindi le rigaglie di anatra cucinate in modo leggero, ma spinte da sentori di griglia e tostatura, e il torchon, che per me è il simbolo della joie de vivre, ma senza il foie, cioè il lusso e il grasso. Si tratta di una ricetta da me codificata: i fegatelli vengono marinati nel latte a 50 °C, poi bruciati con il cannello da pasticceria per simulare la rosolatura della scaloppa e modellati, invertendo le fasi della ricetta originale, in cui il fegato viene prima arrotolato e poi cotto al vapore o confit. La freschezza deriva dalle Mara des bois, fragole selvatiche che maturano da maggio a ottobre, carnose, acide, dolci, con un gusto spiccato di bosco che si lega all’evocazione della selvaggina. Il concept dell’insalata è completato da nasturzio, acetosella e portulaca, con la loro spinta acida e amara, e dalla salicornia per il côté iodato, sapido, croccante”.

Foto di Giorgio Cravero – Studio Blu 2.0.

Insalata di lingua d'anatra, fegatelli bruciati e gel di fragola, Chef Marcello Trentini