Passione Gourmet Sangiovese Archivi - Passione Gourmet

I Brunelli di Montalcino de Le Potazzine

Sulla vetta di Montalcino

«Quando siamo arrivati quassù, nel 1993, nessuno li voleva questi terreni». Il «quassù» è a 510 metri: una altezza, seppur non da Monte Bianco, comunque discreta, se solo si considera che erano anni, quelli, durante i quali tutti cercavano terreni ‘laggiù’, molto più bassi, perché più adatti – pensavano, ‘loro’… – a coltivare la vite. «Gigliola, che ci vai a fare, lassù?», chiedevano, ‘loro’. «Ma – rispondeva ‘lei’ – intanto ci vado a vivere». E il posto, «quassù», in effetti è bello: la vista spazia, la ventilazione in estate è magnifica eppoi… eppoi… perché non provare a piantare una vigna, magari ‘piccina picciò’? Sicché Gigliola Giannetti – perché è di lei che stiamo scrivendo – decide di metter giù, proprio in concomitanza con la nascita della sua prima figlia, Viola, le sue barbatelle: appena tre ettari, giusto attorno alla romantica casa in pietra a vista. Sangiovese grosso, ovviamente: perché qui siamo a Montalcino! E perché Gigliola, che – prima di aprire una enoteca nel centro del paese (che tuttora gestisce: Vineria Le Potazzine, piazza Garibaldi, 9) – aveva anche lavorato come segretaria per la famiglia Biondi SantiFranco Biondi Santi è per me una figura indimenticabile», soggiunge sottovoce), ne conosce bene le caratteristiche: «quando ero bambina aiutavo i miei parenti, in primavera, a voltare e legare i giovani tralci: e dovevo farlo bene!».

Poi, tre anni più tardi, nel 1996, arriva la seconda figlia: Sofia. Anche per lei, per equità fra sorelle, Gigliola acquista altra terra: due ettari, a Sant’Angelo in Colle. Però senza scendere troppo da «quassù»: appena un poco più sotto, a 420 metri. Mentre le bimbe crescono (e diventano ‘le potazzine’, ovvero le cinciallegre – così le chiama la nonna – con un soprannome vezzeggiativo che ormai è diventato secondo nome proprio), la mamma – «quassù» – con i suoi cinque ettari, «tutti iscritti a Brunello», vuole provare a fare vino. La terra sembra buona: galestro, argilla, una discreta presenza di ferro… Una sfida, però: «quassù» l’uva matura poco, e male, le dicono ‘loro’. Ma Gigliola ci crede. Sarà per Viola e Sofia. Sarà per le cinciallegre, che qui volano, eccome! Sarà per il loro canto, che inonda l’aria, in primavera. Dai, proviamoci! Ma, a chi rivolgersi? A chi chiedere un consiglio? Ed è così, come in ogni storia che si rispetti, che entra in scena il ‘saggio’. Solo che qui il ‘saggio’ non scende dall’alto (come il deus ex machina del teatro classico): è un uomo in carne e ossa. E si chiama Giulio Gambelli. Ovvero colui che conosce il Sangiovese meglio di se stesso (e che, difatti, ha contribuito in maniera fondamentale a creare sia molti fra i più blasonati vini toscani sia il mito di Montalcino). Gambelli insegna Gigliola e alle piccole ‘potazzine’ che il vino si fa in vigna: non ci sono formule da recitare durante la fermentazione o ‘magheggi’ da praticare con i legni. Se il terreno è adatto, se la vigna è sana, se l’uva è bella, se gli acini sono buoni… allora il vino non potrà che riuscire bene. Di cosa aver paura – quindi – se non del lavoro da fare?

Escono le prime annate, a fine anni Novanta: e il successo arride a Gigliola e alle sue ‘potazzine’. Certo, in quegli anni c’era chi predicava il verbo barriquare, «ma noi abbiamo sempre tirato diritto per la nostra strada». E perché cambiare, vien da pensare? In fondo, «quassù» si sta così bene. Così bene che le ‘potazzine’ hanno recentemente acquisito un altro mezzo ettaro ancora più «quassù», a 580 metri: «quando lo abbiamo visto ce ne siamo innamorate, non potevamo non prenderlo: un luogo magnifico!». Mentre scrivo queste righe rammento una poesia di Giovanni Pascoli: La cinciallegra (1905). Che canta per annunciare un incontro. Che canta per prefigurare un’emozione. Che canta per ricordare una passione… mentre lei che ode il canto – è forse Gigliola? – si avvede che «il babbo è indietro con le sue faccende: / gli legherò due viti o tre, se crede…».

La vigna e il vino

Le vigne de Le Potazzine sono impiantate con una densità di seimila piante per ettaro, con sistema d’allevamento a guyot «che – dice Gigliola Giannetti – meglio degli altri permette di interpretare l’annata». E sono seguite con la massima cura. Senza però smanie interventiste: qui si lavora per esprimere al meglio il terrroir e il vitigno. Ed è proprio l’altitudine – il «quassù» – a proteggere la vite: gli sbalzi termici tra il giorno e la notte, garantiscono ai grappoli sia eccellenti livelli di acidità sia un ottimo sviluppo dei terpeni (ovvero le biomolecole che donano l’aroma). Inoltre, i venti che soffiano dal mare mantengono asciutte le piante, riducendo di molto il numero di trattamenti necessari nell’arco dell’anno. A metà giugno circa, Gigliola e le ‘potazzine’ individuano i grappoli che saranno lasciati in pianta, procedendo alla vendemmia verde con il resto. La raccolta delle uve, che si svolge su tre o quattro lotti, a seconda dell’annata, non avviene mai prima della seconda metà di settembre, perché qui «la maturazione fenolica la facciamo in pianta». Il mosto passa quindi un po’ in acciaio, un po’ in tini di legno. Qui parte la fermentazione, innescata naturalmente dai lieviti: ovviamente le temperature non sono controllate perché i vini devono poter svolgere completamente, a loro proprio agio, gli zuccheri. L’unica pratica di cantina che viene compiuta, in questo passaggio (che può durare venti, trenta o anche cinquantasette giorni, come accaduto nel 2022: insomma il tempo necessario, o come avrebbero detto gli antichi greci, il kairòs, il ‘tempo debito’), sono i rimontaggi, effettuati periodicamente (e quindi via via diradati a mano a mano che gli zuccheri si trasformano in alcol). Terminata la fermentazione alcolica, si attende a quella malolattica (in parte indotta perché si porta la temperatura della stanza a 25°). Il vino (Rosso di Montalcino compreso) passa poi in botti grandi di rovere di slavonia (prodotte da Garbellotto) da 30 e da 50 ettolitri. E qui resta per almeno una quarantina di mesi, prima di farne altri sette in bottiglia.

La produzione totale della tenuta si aggira intorno alle trentamila bottiglie, di cui solo la metà sono Brunello.

La degustazione

Come avviene solo nelle aziende più celebri e consolidate ove non si ha timore ha mostrare i propri vini mentre sono ancora in via di crescita, la degustazione è iniziata assaggiando dalle botti le quattro annate che ora riposano in cantina: 2019, 2020, 2021, 2022.

L’Anteprima dei Brunello di Montalcino (atto a divenire)

Se quest’ultima è stata obiettivamente la più ostica da leggere, con la sua fittissima trama tannica e la spiccata acidità, la 2021 si è invece già presentata con una compostezza impressionante. Il bouquet, seppur ancora involuto, è apparso già intenso e fine, dispiegandosi su note balsamiche, erbacee (come di macchia mediterranea) e floreali. Se inizialmente, in bocca, sono state le sensazioni legate al minerale e al tannino a predominare, è seguita poi una inaspettata, suadente morbidezza polialcolica che, distendendo le papille e riequilibrando le percezioni, ha accompagnato con pulizia il sorso, allungandone tanto la verticalità quanto la struttura.

Le annate 2020 e 2019 (entrambe dichiarate dal Consorzio da cinque stelle) si sono proposte, fatto assai interessante, in modo diverso (sarà bellissimo assaggiarle nuovamente fra qualche anno, dopo che avranno avuto modo di affinare in bottiglia), mostrando gustativamente come si possano raggiungere ‘equilibri’ differenti, percorrendo strade differenti. La distinzione fra le due pare risiedere nell’intensità della prima e nella agilità della seconda. In altre parole la 2020 si presenta con un ampio spettro olfattivo nel quale predominano percezioni balsamiche, fruttate e floreali, e con sorso pieno e già appagante, ricco di struttura, sostenuto da una tannino levigato che tende all’integrazione, da un fine minerale sassoso e da una acidità ben modulata. La 2019 (che forse sarà la prossima Riserva) ha un che di più ‘misterioso’. Il naso appare intrigante e con una verticalità che pare presentarsi, di volta in volta, come travestita: di macchia, di fiore, di erba, di spezia e sin anche di un tocco di vinosità. In bocca il vino tende a svelarsi un poco di più, all’insegna di una sottile finezza che pare legare tanto il mondo delle durezze quanto quello delle morbidezze. Sicché il dialogo fra le due parti pare trasformarsi in un minuetto di contrappunti: con la mineralità che abbraccia i polialcoli, e il vellutato tannino che si accompagna alla nota calorica. Il tutto all’insegna di un equilibrio e di un’eleganza estrema, quasi rarefatta.

L’assaggio è poi proseguito spostandosi nella soprastante sala di degustazione. E qui si è aperto con il Potazzine 2021, un Sangiovese Igt Toscana prodotto esclusivamente da vigne non iscritte. Vinificato in acciaio, il Potazzine è un vino dal carattere immediato ed espressivo, ma tutt’altro che banale. L’approcciabilità del bouquet – che facilmente si apre sul varietale tipico (si potrebbe dire: da manuale) del Sangiovese, e quindi viola mammola, ginestra, piccoli frutti rossi, macchia ed erbe aromatiche – è intrigante e piacevole. In attacco di bocca le parti dure giocano un ruolo da protagonista, con la freschezza e il tannino un passo avanti alle note minerali. Ma ecco poi che la morbidezza polialcolica riequilibra il sorso, dandogli un incedere intenso e fine, seppur non lunghissimo.

Il Rosso di Montalcino

Discorso assai diverso è per il Rosso di Montalcino Doc 2021. Frutto di una ottima annata, da due parcelle vinificate separatamente (La Prata e La Torre), questa etichetta viene prodotta, per precisa scelta aziendale, declassando quasi la metà della produzione (passandola poi in legno per un anno, cosa che non è richiesta dal disciplinare). Ciò significa, in altre parole, che il Rosso de Le Potazzine è, a tutti gli effetti, un piccolo Brunello. E del Brunello, più che di un ‘mero’ Sangiovese, ha le caratteristiche. L’intensità del prospetto aromatico è notevole, come anche la sua complessità e la sua eleganza. La frutta rossa è succosa, e si muove dalla mora all’amarena. I fiori diventano molteplici (e fra i molti rimandi di viola, si avverte quasi una fragranza di rosa). La macchia mediterranea si fa calda e profumata. Il tutto accompagnato da una verticalità netta e percepibile. In bocca il vino si presenta ricco ed elegante al contempo: la freschezza è ben modulata, il tannino setoso e integrato, la mineralità netta e pulitissima, con la struttura poliacolica e le sensazioni caloriche a sostenere una impalcatura improntata all’equilibrio, alla finezza e alla persistenza. Sì, perché è proprio quest’ultima a colpire: le sensazioni – soprattutto quella minerale – tornano e ritornano in fine di bocca con nettezza e morbidezza.

Le nuove annate

Di grande fascino, poi, l’assaggio comparato dei Brunelli di Montalcino 2018 e 2017 che si presentano, ossimoricamente, ‘simili ma diversi’. L’impronta stilistica rimane la medesima, ed è ben percepibile (espressione del varietale e del terroir secondo principi di pulizia e armonia, tanto al naso quanto in bocca), muta invece l’interpretazione dell’annata. La 2018 si presenta con aromi netti e ampi, elegantemente definiti fra piccoli frutti rossi e neri, un tocco di arancia sanguinella, suadenti ritorni floreali (c’è la viola, sì, ma pure la rosa), balsamici e appena un accenno di morbida speziatura, il tutto sostenuto, e come indirizzato, da una finissima verticalità. La prima sensazione, all’assaggio, è la soddisfazione di beva: il vino infatti si esprime subito con disarmante ampiezza ed eleganza, con le parti dure che paiono già in perfetto equilibrio con le sensazioni caloriche e pseudocaloriche. Il tannino è setoso, la freschezza ben modulata, il minerale gagliardo e leggiadro al contempo, con i polialcoli a sostenere l’impianto strutturale con garbata armonia. La finezza è notevole, come lo sono anche la complessità e la lunghezza. La 2017, figlia di un’annata di più difficile interpretazione, si muove invece su un registro differente. La rosa appare un po’ appassita e i piccoli frutti sembrano parzialmente in confettura. La macchia mediterranea si fa più evidente e gli accenni speziati diventano più numerosi: si avvertono gli inebrianti aromi del chiodo di garofano e dei legni profumati. Il vino entra in bocca misterioso, e suadentemente si lascia scoprire con delicatezza. È ancora una volta la mineralità a farsi avanti con una splendida sensazione di assolato galet. Il tannino appare vellutato più che setoso. E la freschezza sembra incedere con perfetta compostezza. La struttura è imponente: la morbidezza avvolge il palato e accompagna il sorso in centro di bocca, con incedere ampio ed elegante. È poi in fine che si percepisce di nuovo la linea acida, a sostenere il sorso e ad allungarlo in molteplici, finissimi rimandi.

Una piccola verticale

Il Brunello di Montalcino 2013 è la prova di come si possa interpretare a livelli eccezionali (considerata l’altitudine delle vigne de Le Potazzine) un’annata complessa come fu questa. All’epoca venne definita ‘classica’: parecchio fresca ma ad andamento regolare. La sfida da vincere era quella di portare l’uva a completa maturazione fenolica, così da avere tannini maturi, cercando al contempo di preservare quella tecnologica (ovvero il corretto rapporto tra zuccheri e acidi). Se in tanti, alla fine, non si dimostrarono all’altezza della tenzone (e difatti, nel corso degli anni, alcuni Brunelli 2013 non hanno tenuto il passo), questo Brunello non solo appare in piena forma ma ancora profuma di ‘giovane’. Ciò è dovuto al fatto che sì il processo di maturazione fu lungo ma l’altezza, la ventilazione, l’irraggiamento ne consentirono il perfetto raggiungimento, salvaguardando l’acidità da un lato e permettendo lo sviluppo corretto dei polifenoli dall’altro. A ciò poi va aggiunto quello che venne fatto (o, per meglio dire, non fatto) in cantina: i vini fermentarono spontaneamente, svolgendo – con i loro tempi – tutta la carica zuccherina. E quindi, passando in botti grandi, ebbero tutto l’agio di far integrare fra loro le diversi componenti. Il risultato è che questo 2013 si presenta nel bicchiere ancora di un bel colore vivido fra il rubino e il granato. E al naso prorompe in una serie di sensazioni, ampie, intense e molto fini, che spaziano dai fiori secchi (la rosa antica è ben presente) ai piccoli frutti rossi e neri in confettura e alla susina scura (croccante e profumata). La macchia è balsamica e le note speziate divagano fra il tabacco e il chiodo di garofano. La verticalità è notevole, e ancor di più si avverte in bocca: netta e diritta sorregge tutto l’assaggio, in stretto dialogo con la struttura – imponente ma non pesante – e con il tannino: magnificamente setoso. L’equilibrio e la pulizia, in coda, sono perfette e invogliano immediatamente al sorso successivo.

La degustazione si è conclusa con il raro (la produzione è di poco superiore alle tremila bottiglie) Brunello di Montalcino 2015 Riserva. Figlio di una grande annata, questo vino, uscito nel 2022, è la perfetta epitome dello stile Le Potazzine. Innanzi tutto bisogna specificare che, sinora, nella storia della cantina, sono state prodotto solo quattro riserve: 2004, 2006, 2011 e, appunto, 2015. Il secondo aspetto è che la Riserva proviene da uve di piante già identificate ben prima della vendemmia. Il terzo aspetto è che la Riserva Le Potazzine fa ben 60 mesi di botte grande, e quindi un anno di bottiglia. Ergo esce un anno dopo che la quasi totalità delle Riserve è già sul mercato. Se queste premesse fanno – quindi – presagire a un particolare pregio, è poi al momento dell’assaggio che questa etichetta sfodera tutta la propria immensa classe, confermandosi fra le vette della produzione montalcinese. Di un magnifico colore rosso rubino, vivido e impenetrabile, e di bella consistenza (la doppia caduta degli ‘archetti’ fa già comprendere che ci si trova davanti a un vino di grande struttura e di buon tenore alcolico), si propone al naso con elegante, quasi rarefatta, bellezza. I profumi, ampi e intesi, sono, al contempo, netti e penetranti ma pure estatici e trasognanti e si muovono dalla frutta rossa e nera (si avverte l’amarena, il mirtillo, la prugna secca dolce, degli accenni di confettura…) ai fiori (viola e rosa secche) alle splendide note balsamiche e speziate (ancora il tabacco da pipa, il chiodo di garofano, eppoi una punta di pepe e di cuoio), alle nuances minerali (come di sasso vulcanico scaldato dal sole), con un che di etereo a raccogliere e sorreggere tutto il bouquet. In bocca il vino è caldo (la gradazione è pari a 15°) e morbido (come anticipato dalla seconda caduta degli ‘archetti’ la struttura è imponente) ma, al contempo, assai fresco e con un tannino magnificamente levigato: presente ma integrato. Equilibrato e molto intenso e molto fine, ha una persistenza enorme: le sensazioni in bocca tornano e ritornano, senza sosta, chiudendo il sorso con pulizia estrema.

Collection 2023

Arrivando alla Leopolda non si può non rimanere colpiti dalla portata di questa Anteprima e dalla forza di questa Denominazione che parte da molto, molto lontano, è il Consorzio più antico d’Italia, fondato all’inizio del secolo scorso da 33 coraggiosi e lungimiranti produttori di vino che scelsero nel lontano maggio del 1924 un Gallo Nero come simbolo. Dichiara il Presidente Giovanni Manetti: “È ampiamente attestato il legame storico del Gallo Nero con le terre chiantigiane fin dal Medioevo”, è una leggenda che narra come un animale comune nelle campagne toscane sia diventato un eroe che pose fine alle contese per il territorio dell’odierno Chianti Classico, unificandolo con una pace duratura tra i due Comuni in guerra, Firenze e Siena.

Al di fuori dei confini nazionali sono milioni le bottiglie dove campeggia il Gallo Nero, amate dagli appassionati di vino di tutto il mondo. Il Chianti Classico è ad oggi una denominazione in continua crescita, in forte ripresa e in ottima forma, basta entrare nel padiglione degustazione per scorgere il lunghissimo tavolo dove campeggiano circa 3.000 bottiglie per 511 diversi campioni da più di 200 aziende divisi per denominazione e annata, dal Classico DOCG 2021 fino alla Gran Selezione DOCG 2013. Il protagonista principale come sempre è il Sangiovese che nel progetto consortile della Gran Selezione andrà incontro ad un aumento della percentuale minima ammessa passando dall’80% al 90% con i soli vitigni autoctoni come complementari. Una sfida lanciata attraverso una serie di miglioramenti tesi ad innalzare sempre più l’asticella qualitativa a cui si aggiunge la possibilità di inserire in etichetta una delle nuove Unità Geografiche Aggiuntive.

La manifestazione, nata come Anteprima del Chianti Classico nel 1993, segna un nuovo record di produttori partecipanti: sono 206 le aziende del Gallo Nero che quest’anno presenteranno le loro ultime annata di Chianti Classico annata, Riserva e Gran Selezione alla stampa e ai professionisti del settore. Lasciato alle spalle (auspichiamo) il lungo periodo segnato dalla pandemia, la denominazione del Gallo Nero continua a crescere in notorietà e valore, proseguendo il suo percorso di affermazione sui mercati internazionali. Ottima la performance delle tipologie “premium” ed in particolare della Gran Selezione. Il 2022 si è chiuso infatti con un bilancio di bottiglie vendute che segna un +6% sulla media del triennio precedente. Ma preme sottolineare che è aumentato soprattutto il valore globale della denominazione, con un fatturato totale in netta crescita, che nel 2022 ha registrato un +17% rispetto all’anno precedente e addirittura +46% rispetto al 2020 (dati Osservatorio Maxidata). Guardando ai mercati sono proprio gli USA che nel 2022 hanno registrato un boom di vendite di Gallo Nero confermandosi ancora una volta al primo posto: il 37% delle bottiglie di Chianti Classico sono state infatti vendute su questo mercato contro il 33% dell’anno precedente (+12%). Complice il dollaro forte, ma anche la continua crescita in notorietà della denominazione su questo mercato. Pressoché stabile, al secondo posto, il mercato interno dove oggi viene venduto il 19% del totale dei vini Chianti Classico commercializzati. Segue il Canada al terzo posto (10%), un mercato che negli ultimi anni ci ha regalato grandi soddisfazioni e per cui il Consorzio intravede ancora ottime potenzialità di crescita. Buona anche la performance del Regno Unito che si attesta al quarto posto (7%): un paese dove il Consorzio Vino Chianti Classico continuerà ad investire anche nel 2023 con vari eventi e attività promozionali. Poi, ancora fra i mercati consolidati, ricordiamo la Germania al 6%, un mercato che è e sarà oggetto di particolare attenzione nella strategia consortile insieme a Svezia e Francia. A seguire: Paesi Scandinavi (5%), Svizzera (3%), Benelux (3%), Giappone (2%) e Corea del Sud (2%).

Andamento Annata 2021

Produzione: hl 265.000

L’andamento stagionale dell’annata 2021 è stato abbastanza regolare. Le piogge del periodo primaverile hanno permesso un buon sviluppo vegetativo e fornito una riserva idrica importante per affrontare i mesi estivi più siccitosi.  A livello sanitario, non c’è stata alcuna pressione da parte di malattie fungine (oidio e peronospera). L’estate è stata asciutta con solo qualche sporadica pioggia nel mese di agosto, ma le riserve idriche accumulate nel periodo primaverile hanno permesso di evitare lo stress della pianta; per quanto riguarda le temperature, l’andamento dei mesi estivi è stato abbastanza regolare senza eccessive ondate di calore. Inoltre, a partire dalla fine del mese di agosto le temperature, pur rimanendo abbastanza alte durante il giorno, si sono abbassate notevolmente negli orari notturni. Questa importante escursione termica ha, in generale, consentito un ottimale completamento della maturazione delle uve. I tempi della vendemmia 2021 sono stati in linea con quelli delle ultime annate, con l’inizio della raccolta delle uve di Sangiovese intorno al 20 di settembre. Le uve portate in cantina erano sane e di elevata qualità; presupposti, questi, per un’altra ottima annata di Chianti Classico, un vino che si prefigura già di buona struttura, con tannini fini e maturi e un interessante profilo aromatico. Dall’analisi del Consorzio si presuppone che il 2021 sia una buona annata per il Chianti Classico e, in effetti dalla degustazione emerge proprio questo, vini già in ottima forma, già completi nella parte aromatica con note fruttate e floreali intense, ma già sviluppati anche nella parte balsamica, speziata e note già che virano verso il mentolato, il tabacco, il pellame pregiato. Palati che hanno bisogno di qualche tempo di assestamento ma già godibili ed equilibrati, giocati sulla freschezza, sulla tensione e sui tannini sempre di grande piacevolezza.

(Fonte Consorzio Chianti Classico)

La degustazione

Chianti Classico DOCG 2021 Carpineta Fontalpino – Fontalpino

Olfatto preciso e piacevole, frutti rossi maturi, floreale, speziato, Sul palato caldo, ricco, piacevole e fine, tannino deciso, buona persistenza. 92/100

Chianti Classico DOCG 2021 Castagnoli

Molto raffinato, naso, piacevole frutto, marasca, ribes, note balsamiche, floreali, tabacco dolce. Bocca piacevole, fresca, fine, tannino deciso, media persistenza. Già armonico. 89/100

Chianti Classico DOCG 2021 Castellare di Castellina – Castellare

Naso sul frutto rosso croccante ciliegia rossa, lampone, tocco floreale e speziato. Caldo, piacevole, fine sul palato, presenta un tannino elegante e un buon slancio fresco-sapido. 90/100

Chianti Classico DOCG 2021 Castello di Querceto

Concentra ricordi di frutti rossi, spezie, balsamico, humus, pepe nero. Caldo, piacevole e fine al sorso, appagante, tannino piacevole. 89/100

Chianti Classico DOCG 2021 Castello Vicchiomaggio – Guado Alto

Esprime al naso frutti rossi, lampone, ciliegia, fiori rossi, spezie dolci, note minerali. Sorso ricco, succoso, materico, tannino deciso e vigoroso, buona persistenza. 89,5/100

Chianti Classico DOCG 2021 Cigliano di Sopra

Esile nelle note aromatiche di visciole e more, viola, spezie dolci, note minerali. Al gusto mette in mostra buona struttura supportata da un tannino deciso e vigoroso e buona persistenza. 89,5/100

Chianti Classico DOCG 2021 Fèlsina – Berardenga

Intenso il bagaglio olfattivo con tocchi caldi di more di gelso, ciliegia, tocco mentolato e affumicato che vira verso il tabacco. Sorso succoso, caldo e strutturato, con una buona spinta fresco-tannica e un buon allungo. 91/100

Chianti Classico DOCG 2021 Luiano

Sensaziioni di frutto dolce, more di rovo, ciliegia, fragoline di bosco, spezie scure, tabacco, concia di pellame, macchia marina, naso completo. Bocca coerente e piacevole, buona polposità integrata con un tannino pregiato, buona persistenza. 91/100

Chianti Classico DOCG 2021 Maurizio Brogioni Winery – H’amorosa

Naso complesso e invitante, frutta nera ribes, more mature, spezie, cenni tostati, pepe, china. Al palato conferma un gran carattere, ricco, piacevole, equilibrato nell’apporto acido e nei tannini ben equilibrati. 91/100

Chianti Classico DOCG 2021 Monte Bernardi – Retromarcia

Impatto olfattivo impostato su frutta scura in confettura, viole macerate, cardamomo, cacao, fumo, tabacco, speziato di pepe. Pieno e piacevole sul palato, vigoroso nel tannino e nella giusta vena acida. Buona la persistenza. 90/100

Chianti Classico DOCG 2021 Montesecondo

Frutti rossi e neri, ciliegia, mirtilli, ribes nero, tocco di violetta che aprono a note di fumo e tabacco. Sorso pieno, caldo e succoso, esprime armonia e un tannino piacevole. 91/100

Chianti Classico DOCG 2021 Principe Corsini/Villa Le Corti – Le Corti

Naso che presenta un ottimo frutto rosso e denso, con tocchi di violetta, grafite, tabacco dolce. Piacevole all’ingresso dove appare succoso, piacevole, fresco, finisce con un tannino che porta con sé un po’ di ruvidità, persistente. 89,5/100

Chianti Classico DOCG 2021 San Fabiano Calcinaia

Naso complesso, ricco, sensazioni ben modulate di piccoli frutti rossi maturi, sottobosco, tabacco, moka. Corpo appropiato, vigoroso ma piacevole, tannino ricco, buona la persistenza. 89/100

Chianti Classico DOCG 2021 Tenuta di Arceno

Lascia emergere profumi caldi e piacevoli di frutti rossi, ciliegia, lampone, con cornice di toni floreali, tabacco, pellame. Sorso equilibrato e scorrevole, ritmato da un tannino rotondo e buona freschezza. Già elegante. 91/100

Chianti Classico DOCG 2021 Tenuta di Lilliano – Lilliano

Naso complesso, unisce calde note di frutti rossi e neri, arricchiti da tabacco dolce, legni pregiati e tocco mentolato. Impatto gustativo saporito, contraddistinto da calore, sapidità e tannino vivo. Ottima la persistenza. 91/100

Chianti Classico DOCG 2021 Tolaini – Vallenuova

Naso orientato su un frutto dolce e succoso, fragola macerata, ribes rosso, spezie, fumo, macchia mediterranea. Attacco gustativo piacevole, avvolgente, deciso nel corpo, fine nei tannini e complesso. 89,5/100

Chianti Classico DOCG 2021 Triacca/La Madonnina – Bello Stento

Regala un naso fruttato, ciliegie in confettura more, ciliegie seguite da un profondo speziato, balsamico, note officinali e di moka. Bocca equilibrata e calda, mitigata dalla vena acida e dal fine tannino. Buona la persistenza. 89,5/100

Chianti Classico DOCG 2021 Villa S.Andrea

Naso elegante e vario, passa dalle note dolci fruttate alle note balsamiche, radici, liquirizia, soffio mentolato. Rotondo e piacevole all’ingresso, tannino teso ma armonizzato per un assaggio energico. 89,5/100

Chianti Classico DOCG 2020 Castellinuzza e Piuca di Coccia Giuliano

Naso dolce e succoso, propone un bel mix di frutti rossi, floreale, macchia mediterranea e tocco fumè. Gusto fine e appagante, tannino perfetto ben integrato con la giusta freschezza. Ottima la persistenza. 91/100

Chianti Classico DOCG 2020 Castello di Verrazzano

Naso caldo, mediterraneo, tipico, frutti rossi, spezie, viola, sottobosco, tabacco, tostature, cuoio. La bocca è ricca e piena di tensione, tannino egregiamente estratto. Persistente. 89,5/100

Chianti Classico DOCG 2020 Fattoria di Montignana – Villa Montignana

Il naso è un insieme ben amalgamato di note di ciliegia, mora, bacche di ginepro, tabacco mentolato, smoky.  Sorso pieno, caldo, piacevole, preciso, buon rapporto polpa- acidità-tannino. 89/100

Chianti Classico DOCG 2020 Fontodi

Pregiato ventaglio olfattivo, con un mix di piccoli frutti, alloro, pepe, sensazioni balsamiche. Amalgama al sorso calore, materia fitta e giusta spinta fresco-tannica. 89/100

Chianti Classico DOCG 2020 Isole e Olena

Naso di grande pulizia, tipico e fine frutti neri, tostatura, liquerizia, cacao, toni di china, erbe aromatiche e cuoio conciato. Ricco e penetrante al gusto, dal tannino compatto e finissimo che gioca con una buonissima vena fresco-sapida. Persistente. 93/100

Chianti Classico DOCG 2020 Nittardi – Casanuova di Nittardi

Naso scuro che emana note di composta di more e prugna, liquerizia, cenni balsamici e speziati, china, tabacco. Gusto corposo e lineare, ricco nella densa materia, esprime ottimo equilibrio e persistenza. 92/100

Chianti Classico DOCG 2020 Querciabella

Naso fine e tipico nei riconoscimenti di fiori rossi appassiti, more e prugne mature, spezie dolci, tabacco e cuoio. Bocca vigorosa, una fitta materia si fonde all’elegante tannicità, per un vino di grande piacevolezza. 90/100

Chianti Classico DOCG 2019 Castell’in Villa

Naso tipico, disposto su piccoli frutti rossi, viola e peonia, terra bagnata, speziato e delicatamente balsamico. Sorso dinamico, sapido, avvolto da tannini finissimi e dalla garbata scia fresco-sapida. 92/100

Chianti Classico DOCG 2019 Le Cinciole

Elegante e intenso il bouquet di ciliegia, fragoline di bosco, spezie dolci, cioccolatino alla menta. Il comparto gustativo è fine e appagante con tannino e morbidezza sinuosi. 90/100

Chianti Classico DOCG 2019 Mannucci Droandi – Ceppeto

Toni di menta ed erbe aromatiche racchiudono sensazioni di frutti di bosco, liquirizia, succo di ciliegia, nuance floreali e di spezie dolci. Ottima rispondenza al gusto, materico, tannino aitante. 89/100

Chianti Classico DOCG 2019 Renzo Marinai

Naso disposto su sentori di ribes nero e more macerate, ampliato da sottili note vegetali, radice di liquerizia, humus, cenni ferrosi e cuoio.  Bocca di spessore, fresco e deciso nel tannino, ben equilibrato. 92/100

Chianti Classico DOCG 2019 Vecchie Terre di Montefili

Sentori di marasca sono seguiti da sensazioni di erbe aromatiche, poi rabarbaro e spezie fini. La bocca è marcata da calore e morbidezza, sorretta da spiccata acidità e tannini disegnati. Buon equilibrio, piacevole. 91/100

Chianti Classico DOCG 2019 Villa Mangiacane

Olfatto permeato da confettura di ciliegie, mirtilli, seguiti da mirto, pepe e sfumature chinate. Gusto caldo e robusto, bilanciato da tannini vigorosi e piacevole freschezza. 89/100

Chianti Classico DOCG Riserva 2020 Brancaia

Colpisce l’olfatto lo spessore delle note mature di more e la confettura di ciliegia rossa, ampliato da sentori di humus, bacche di ginepro, liquirizia, cenni di ruggine e grafite. Bocca ampia e concentrata, dotata di tannini energici, nitida la vena acida che conferisce equilibrio, ottimo l’allungo. 89/100

Chianti Classico DOCG Riserva 2020 Castello di Meleto

Profilo olfattivo intenso dai rilievi di viola e rosa appassita, terra umida, ciliegia rossa e composta di amarene, in fondo tabacco, cuoio e liquirizia dolce. Al gusto conferma vigore e struttura, misurato nella freschezza e serrato nel tannino. 89/100

Chianti Classico DOCG Riserva 2020 Fattoria San Giusto a Rentennano – Le Baròncole

Naso tipico e profondo, sentori puliti di lampone e prugna, territoriale di humus e fungo, chiude con rose, pepe nero e moka. Bocca sapida e fresca, ben impostata e precisa nei tannini, buon equilibrio. 91/100

Chianti Classico DOCG Riserva 2020 Le Miccine

Al naso richiama sentori tipici della denominazione, mora e ciliegia, eleganti note di viole, rose e cenni boisé e di tabacco mentolato. Bocca espressiva e calda, con buona vena acida e tannica a supporto, persistente. 90/100

Chianti Classico DOCG Riserva 2020 Maurizio Brogioni Winery

Al naso si presenta finissimo, ciliegia e prugna rossa, marcate note floreali di rosa e viola legate a sottobosco e macchia mediterranea. Chiude con toni speziati, di tabacco e bastoncino di liquirizia. Gustoso e raffinato al palato, minerale, arricchito da tannini di eccellente estrazione. Vino finissimo. 95/100

Chianti Classico DOCG Riserva 2020 Ricasoli – Brolio

Ventaglio olfattivo intenso e piacevole nelle note di ciliegie sotto spirito, more e amarena, avvolte dai toni di violetta, accenno di radici, scuro nel balsamico e finemente speziato. Gusto intenso, austero, con apporto di tannini decisi e dalla vitale freschezza. 93/100

Chianti Classico DOCG Riserva 2020 Riecine

Profumo denso sui frutti rossi, ciliegia matura, arancio venato di erbe officinali ed eucalipto. Sul palato mette in mostra un sorso caldo, piacevole, fine, persistente, tannino elegante e finale in progressione. 90/100

Chianti Classico DOCG Riserva 2019 Capannelle

Impatto olfattivo fruttato, ampliato da sensazioni di bosco, humus, tocco floreale e refoli densi di radice di china e liquirizia. Di buona struttura, vigoroso ma piacevole, fine, fresco e minerale. 92/100

Chianti Classico DOCG Riserva 2019 Castello di Ama – Montebuoni

Olfatto ampio e cangiante. Incisive le note di confettura di prugna, visciole sotto spirito, lampone e china, finale speziato e balsamico. In bocca regna l’eleganza, il tannino. Piacevole, fine, grande eleganza. 93/100

Chianti Classico DOCG Riserva 2019 Castello di Bossi – Berardo

Veste un rubino intenso, con aromi di ciliegie e more mature, poi timo, resine balsamiche e liquirizia. Corpo pieno e nobile estrazione tannica, arricchito in chiusura da buona scia fresco-sapida. Lungo ed equilibrato. 91/100

Chianti Classico DOCG Riserva 2019 Castello di Cacchiano

Dispensa aromi dolci, succosi di more, lamponi, poi incenso, muschio, macchia mediterranea, tabacco dolce e speziato di pepe e ginepro. Bocca energica e calda, arricchita da tannini vellutati e da una generosa scia fresca. Piacevole e persistente. 92/100

Chianti Classico DOCG Riserva 2019 Castello di Monsanto

Ricordi di erbe aromatiche, ciliegie e prugna, erbe aromatiche, balsamico e maturo e spezie scure. Bocca morbida e calda, finissimo, animato da tannini fitti e vivida freschezza. Ottimo equilibrio. 93/100

Chianti Classico DOCG Riserva 2019 I Sodi

Olfatto intenso segnato da un bouquet di fiori rossi essicati, amarene e ciliegie sotto spirito, pepe, chiodi di garofano e tabacco. Sorso bilanciato, lungo, appagante nella freschezza e determinato nel tannino. 90/100

Chianti Classico DOCG Riserva 2019 Lornano – Le Bandite

Al naso rivela sentori di more e lamponi maturi, viole, terra bagnata e cenni di liquirizia, spezie dolci paprika e ginepro. Bocca piacevole e avvolgente, lieve sapidità e tannini muscolosi, ottima intensità. 91/100

Chianti Classico DOCG Riserva 2019 Nittardi

Naso con ricordi di mirtilli, ciliegia sotto spirito e cassis a cui succedono toni di tabacco e cuoio. Al palato calore e morbidezza, fanno da contrappunto a trama tannica e freschezza di spessore, persistente. 91/100

Chianti Classico DOCG Riserva 2019 Ormanni – Borro del Diavolo

Dispensa toni di bacche rosse in confettura, viola appassita, scorza d’arancia, sottobosco, cenni di macchia mediterranea e riverberi speziati. Appagante al sorso, morbido, perfetto nell’equilibrio acido-tannico dai tannini raffinatissimi. Persistente, vino finissimo, elegante. 93/100

Chianti Classico DOCG Riserva 2019 Querciabella

Naso tipico e fine, con inizio sui piccoli frutti rossi, poi richiami di viole, rose, terra bagnata e in fondo spezie scure e tabacco mentolato. E’ caldo, con tannini compatti, dominato da una determinata scia fresca e sapida. Buono l’equilibrio e la persistenza. 90/100

Chianti Classico DOCG Riserva 2019 Tenuta di Lilliano – Lilliano

Richiami di prugna, more e ciliegia molto mature, pepe, ginepro, corteccia, note ferruginose. Sorso profondo e robusto, buono nell’estratto, fine trama tannica, dinamico nella vena fresca e sapida. 89/100

Chianti Classico DOCG Riserva 2019 Tenuta di Nozzole – La Forra

Incipit di rose appassite e viole, a seguire confetture di bosco, radice di liquirizia, rabarbaro e cenni ferrosi. Elegante, caldo, ricco, tannino mascolino, buona profondità. 89/100

Chianti Classico DOCG Riserva 2019 Terre di Melazzano – Cantinato

Al naso fanno eco fragranze di more di rovo e ciliegie, accenni di rose, erbe aromatiche e pepe nero. Elegante e fresco al gusto, setoso nel tannino e finale pulito e persistente. Vino equilibrato. 90/100

Chianti Classico DOCG Riserva 2018 Castello di Verrazzano

Naso che vira verso tocchi surmaturi, ciliegia e mora in confettura, soffio balsamico e speziato di pepe e ginepro.  La bocca è calda, scandita da tannini vellutati e misurata freschezza. Profondo e persistente. 90/100

Chianti Classico DOCG Riserva 2018 Torcibrencoli – Mariagioconda

Mix di sensazioni tipiche al naso, visciole, ciliegia nera, cuoio, viola, tocco smoky e balsamico. Grande correlazione al gusto, offre buona intensità, ricco, pieno, trama tannica d’impatto. Persistente. 90/100

Chianti Classico DOCG Riserva 2018 Vignamaggio – Gherardino

Bouquet complesso, ricco di frutti rossi e neri, cioccolato, tabacco, sottobosco, finale mentolato e minerale. In bocca corpo pieno e ricco, intenso, buon sostegno acido, dalla trama tannica ancora decisa. Buona la persitenza. 89/100

Chianti Classico DOCG Riserva 2016 Losi Querciavalle

Al naso sprigiona eleganti sensazioni di  frutti rossi, mirto, viola, corteccia, cenni di rabarbaro, pellame e spezie dolci. Palato finissimo, rafforzato da tannini importanti bilanciato nel finale da nota glicerica. 89/100

Chianti Classico DOCG Riserva 2016 Solatione Winery

Pregiata veste aromatica che apre su uno sfondo di legni antichi e fiori essiccati  per poi virare su confettura di more, spezie, erbe officinali, grafite, sottobosco. Pregevole l’assaggio, caldo e grintoso, dai tannini eleganti, finissimi e dal finale dall’ottima progressione. Ottima la persistenza. 95/100

Chianti Classico DOCG Gran Selezione 2020 Castello di Fonterutoli – Castello Fonterutoli         

Intense folate di spezie dolci abbracciano una complessa successione di mora in confettura, prugna nera, sottobosco, pellame. Sorso di grande bevibilità pur dimostrando ricchezza estrattiva, solidi  tannini. Vino finissimo e molto persistente. 95/100

Chianti Classico DOCG Gran Selezione 2020 Tenuta di Arceno – Strada al Sasso

Naso complesso, con note di confettura di ribes, mora di rovo, cacao, tabacco mentolato e soffi speziati. Assaggio di fine equilibrio, piacevole, fresco, giocato sull’eleganza, buona la persistenza. 91/100

Chianti Classico DOCG Gran Selezione 2019 Castello di Ama – San Lorenzo

Naso completo e complesso, un’intensa miscela di frutti di bosco apre a una brezza minerale, balsamica, di spezie dolci e legno di cedro. Caldo, piacevole, finissimo sul palato, offre tannino levigato e una solida scia sapida. Assaggio di fine equilibrio ed eleganza. 94/100

Chianti Classico DOCG Gran Selezione 2019 Castello di Bossi

Olfatto importante e tipico, dotato di sensazioni intense di piccoli frutti rossi maturi, sentori di viola, prugne secche, chiude con accenni balsamici e cuoio. Palato profondo e intenso, con tannini sostanziosi e mai aggressivi, lunga nella durata la persistenza. 93/100

Chianti Classico DOCG Gran Selezione 2019 Famiglia Zingarelli – Sergio Zingarelli

Raffinato e complesso nelle note di confettura di ciliege e prugne, amalgamate a note di tabacco cannella, cuoio e agganci mentolati.  Corpo coeso e solido, impreziosito da tannini ben disciolti. Chiude persistente. 93/100

Chianti Classico DOCG Gran Selezione 2019 Fèlsina – Colonia

Scuro nelle note olfattive che ricordano la ciliegia nera e la prugna essiccata, fiori rossi, tabacco dolce e spunti mentolati. Bocca avvolgente, ricca d’estratto, tannini ben integrati e rinfrescante freschezza. 93/100

Chianti Classico DOCG Gran Selezione 2019 Gagliole – Gallule 

Bouquet scuro e profondo, visciole, viole e rose, tocchi di tabacco scuro, china, liquirizia, moka. Giusto corpo e tensione sul palato, tannino integrato. Assaggio piacevole, ottimo equilibrio. 94/100

Chianti Classico DOCG Gran Selezione 2019 Le Miccine

Spiccano note floreali di violette, ciliegia matura e confetture di bosco, cenni vegetali e spezie balsamiche. Bocca elegante, setosa, giusta nel calore, tannini asciutti ed equilibrata freschezza, buon allungo. 93/100

Chianti Classico DOCG Gran Selezione 2019 Ricasoli – Castello di Brolio

Naso dolce e succoso di more e prugna in confettura, liquirizia, tabacco da pipa, pepe nero. Piacevole e incisivo al palato, fine, sorretto da tannino finissimo ed essenziale freschezza. 92/100

Chianti Classico DOCG Gran Selezione 2019 Ruffino – Romitorio di Santedame

Naso intenso, bellissimo, di grande finezza, prima prugne e more mature, poi humus, erbe aromatiche, eucalipto e pellame. Assaggio setoso di grande eleganza ed equilibrio, ottima la persistenza. 96/100

Chianti Classico DOCG Gran Selezione 2019 San Giorgio a Lapi – Empathia

Profuma di mora e cassis, poi una delicata sfumatura erbacea e di sottobosco, toni di china, tabacco dolce e radice di liquirizia. Gusto equilibrato, corpo pieno, buona struttura ed eleganza, segnato dalla piacevole acidità e dai tannini maturi. 93/100

Chianti Classico DOCG Gran Selezione 2019 Tenuta di Lilliano

Intenso nei toni netti di ribes nero e more macerate, rose, cenni erbacei, spezie dolci e cuoio. Bocca piacevole, di buon vigore, vellutata nel tannino, rinfrescata nella vitale vena acida. 90/100

Chianti Classico DOCG Gran Selezione 2019 Vallepicciola – Lapina

All’olfatto in sequenza sfilano more, prugne, visciole, pepe in grani, sottobosco, pellame pregiato. Bocca maestosa, profonda, grande eleganza, rafforzata da tannini calibrati e freschezza, durevole il finale. Ottimo. 95/100

Chianti Classico DOCG Gran Selezione 2018 Bindi Sergardi – Mocenni 89 

Sbuffi di spezie fini e mineralità si amalgamano a note di piccoli frutti rossi, liquirizia e china. Nitido e ben bilanciato sul palato, materia ricca e buon morso tannico, chiude con una prolungata e armoniosa piacevolezza. 90/100

Chianti Classico DOCG Gran Selezione 2018 Capannelle

Naso vivace di mora, mirtillo, humus ed eucalipto, coadiuvati da soffi di spezie e liquirizia. Dinamico e piacevole sul palato, lo caratterizza un tannino di bella presa e i prolungati ritorni balsamici. 90/100

Chianti Classico DOCG Gran Selezione 2018 Castello di Monsanto – Vigna Il Poggio

Grande intensità olfattiva, regala note di rosa macerata, marasca sotto spirito, prugna, tabacco da pipa e grafite, tocco di liquirizia e moka.  Caldo e robusto al gusto, precisa scansione tannica e virtuosa freschezza. 95/100

Chianti Classico DOCG Gran Selezione 2018 Cecchi – Valore di Famiglia

Ampio nelle note iniziali di frutta surmatura, ciliegia, ribes nero e viole, poi felce, humus, cenno boisè e spunti balsamici. Sorso pieno, ricco e avvolgente, tannini vigorosi e tenace vena acida. 91/100

Chianti Classico DOCG Gran Selezione 2018 Ormanni – Etichetta Storica 

Naso raffinato, di violetta e rosa appassita, tocchi di ribes e more di rovo, pepe, tabacco dolce e cuoio, balsamico. Al gusto ha sostanza e nerbo, ricco, pieno, tannino deciso. 92/100

Chianti Classico DOCG Gran Selezione 2018 Rocca di Montegrossi – Vigneto San Marcellino

Olfatto intrigante dai ricordi di viole appassite, sottobosco, more, visciole, felce, erbe officinali e in fondo china, liquirizia e mentolato. Palato pieno e vigoroso, egregio nella maturazione tannica e scia acida, buono l’allungo. 91/100

Chianti Classico DOCG Gran Selezione 2018 Terra di Seta – Assai 

Naso super, tocchi di viola appassita, alloro, timo poi frutti neri, prugna, liquirizia, tabacco e china. Bocca fresca, dinamica, piacevole, elegante nella veste tannica, corretto nella freschezza, minerale e sapido. 94/100

Chianti Classico DOCG Gran Selezione 2018 Tregole – Vigna degli Asini 

Sensazioni delicate di violette, lamponi e prugne, poi vira verso lo scuro di tabacco, resina, legno di sandalo e liquirizia. Corpo solido, caldo, vigoroso, invitante per la vena acida, dai tannini ben integrati. 91/100

Chianti Classico DOCG Gran Selezione 2018 Vecchie Terre di Montefili

Al naso regala un pot-pourri di frutta rossa, viole e rose appassite, erbe aromatiche, corteccia, cuoio e cenni balsamici. Bocca rigorosa e austera, di grande impatto fra raffinata tannicità, freschezza e buona spinta alcolica. Persistente. 92/100

Chianti Classico DOCG Gran Selezione 2017 Acquadiaccia

Sa di amarene, ciliegie e more assieme a tabacco, legno di cedro e resina, soffio di tabacco e moka. Fresco e caldo al palato, con tannini compatti e deliziosa scia sapida. Molto elegante. 93/100

Chianti Classico DOCG Gran Selezione 2017 Belvedere Campòli/Guicciardini – Il Tabernacolo 

Naso deciso sulle note di viola, confettura di ciliegie e more, leggera traccia eterea, terra bagnata e corteccia, spezie e soffi balsamici. Bocca ricca e calda, grintosa trama tannica e stuzzicante freschezza. Vino fine e persistente. 94/100

Chianti Classico DOCG Gran Selezione 2017 Castello di Radda – Vigna Il Corno

Apre a note di viole appassite, prugne e ciliegie in confettura, poi offre toni più scuri di macchia mediterranea, sottobosco, viole appassite e cuoio.  Bocca calda, ricca, intensa, grintosa trama tannica e stuzzicante freschezza. 92/100

Chianti Classico DOCG Gran Selezione 2016 Tenuta Cappellina – Canto Dieci

Ricordi netti  di frutti rossi e neri, mora e amarena, rose rosse, spezie orientali, tabacco dolce, cuoio. Pieno al palato, caldo, armonico, grande intensità stemperata dalla freschezza e da tannini  ben integrati. 95/100

Chianti Classico DOCG Gran Selezione 2016 Tenuta di Nozzole – Giovanni Folonari

Alle note iniziali di marasca e mora fanno seguito profumi di corteccia, pepe nero, menta e tocco di scorza d’arancia. Elegante al palato, fragrante nella freschezza, con tannini sottili e ben presenti. Ottima la persistenza. 92/100

Chianti Classico DOCG Gran Selezione 2016 Tenute Squarcialupi – Squarcialupi 

Regala sentori di marasche, mirtillo e sottobosco, avvolti a note scure di pepe e tabacco. Sorso caldo, misurato nel rapporto polpa-calore, misurato nel tannino. 90/100

Chianti Classico DOCG Gran Selezione 2016 Villa S.Andrea – Montelodoli 

Nette le sensazioni di ciliegie rosse, prugna matura, poi sottobosco, corteccia, viola, sottofondo balsamico, cacao, spezie dolci e fini sentori di pepe nero. Sorso soddisfacente, fine nella trama tannica, apprezzato nella freschezza e persistenza. 90/100

Chianti Classico DOCG Gran Selezione 2015 Castello di Cacchiano – Millennio

Naso caldo, ricco, un’intensa note di confettura di more e mirtilli apre a tocchi di tabacco, fumo, pellame, china, liquirizia, ematico, ruggine. Sorso di grande statura, raffinato e completo, tannino finissimo e grande persistenza.  96/100

Chianti Classico DOCG Gran Selezione 2015 Losi Querciavalle – Losi Millennium 

Folate di liquirizia e moka svelano una miscela ricca di fragola e ciliegia surmatura, spezie scure e macchia mediterranea. Assaggiodi splendida finezza, ricco, denso, tannino ancora deciso, ottimo equilibrio. 95/100

Chianti Classico DOCG Gran Selezione 2015 Pieve di Campoli – Cortine 

Svela al naso tocchi di more e fragole, viole appassite, pepe nero, erbe aromatiche e soffio mentolato. Sorso saporito e caldo, marcata da calore e vigore tannico, buono l’allungo. 92/100

Chianti Classico DOCG Gran Selezione 2015 Poggio a Campoli – Campolaia

Cattura il naso con note calde e balsamiche, ciliegia sotto spirito, fragola di bosco, viola, un bel vegetale di terra bagnata, sottobosco, tabacco e sensazioni ferrose. Assaggio ampio, calore e struttura aprono a un tannino mascolino evidenziato da freschezze e sapidità, ottimo l’allungo. 92/100

Chianti Classico DOCG Gran Selezione 2015 Scheggiolla

Ricordi di ciliegie ed amarene, scia balsamica,china, liquirizia. Gusto caldo, ricco, materia fitta, tannino perfetto, grande intensità e persistenza. 95/100

Chianti Classico DOCG Gran Selezione 2013 Tenuta Villa Trasqua – Nerento

Vino autentico, grande interprete dell’annata 2013. Scuro, austero all’olfatto, apre a note di piccoli frutti rossi e neri in confettura, sottobosco, humus, felce e terra bagnata, poi tocchi mentolati, liquirizia dolce, pepe nero. Sorso elegante, pieno, deciso nella nota fresco-sapida, tannini di estrema raffinatezza. Armonico. 93/100

La famiglia Rogosky e il Caberlot

Correvano gli inizi degli anni Ottanta dell’ormai secolo scorso. Wolf e Bettina Rogosky arrivano dalla Germania in Toscana, alla ricerca di un casale con un po’ di terra intorno. Un luogo ove la pace e il silenzio regnassero assoluti, dove i telefoni non squillassero e pure la posta facesse difficoltà ad arrivare. Lui, pubblicitario di fama internazionale in forza alla GGK di Düsseldorf (sue, in quegli anni, alcune delle campagne più importanti e di successo a livello europeo), aveva bisogno di tranquillità: un buen retiro ove nascondersi dalla logorante frenesia del lavoro. La coppia, nella loro personale recherche (che era, in fondo – come Proust ci insegna – anche una riappropriazione del proprio sé), gira a lungo, su e giù per i declivi toscani, alla ricerca di un luogo che rispondesse a tali requisiti. Fintantoché per caso giungono nei pressi di Mercatale, sulle colline che segnano il crinale fra il Chianti e la Val d’Arno, a poche centinaia di metri da Petrolo. Qui viene loro segnalato che, in mezzo a un bosco, c’è in vendita una vecchia casa. Non c’è la strada per arrivarci, però. Né la luce. Né tutte le altre comodità del mondo moderno. Solo un sentiero da percorrere a piedi. Verso un rifugio. Verso una nuova avventura. I coniugi Rogosky non ci pensano un attimo: è la dimora giusta per loro! La casa viene acquistata, insieme al suo terreno (meno di mezzo ettaro), piantato a olivi. Nell’inverno del 1985 si abbatte su quelle colline una tremenda gelata, passata alla storia, che fa strage di quei poveri alberi. La Regione Toscana dà quindi la possibilità, a coloro che hanno subito danni, di convertire l’oliveto in vigna. I Rogosky, che già da tempo avrebbero voluto cimentarsi nella produzione di vino, non si lasciano sfuggire l’occasione. Ma cosa piantare? Sangiovese, come tutti? O un ‘banale’ vitigno internazionale? Geniale e creativo Rogosky vede svantaggi e difficoltà in entrambe le possibilità: la prima lo avrebbe messo in competizione con aziende che hanno secoli di storia e conoscenze alle spalle. La seconda sarebbe stata un ‘tradimento’ del terroir toscano in favore di uve che hanno altrove la loro patria d’elezione. Si deve trovare una terza possibilità: fare un vino unico, frutto esclusivo della terra che circondava la propria casa. Un vino che non avrebbe avuto alcuna possibilità di paragone.

I Rogosky si ricordano che poco tempo prima, grazie all’amico enologo Peter Schilling, avevano avuto occasione di assaggiare un vino creato da un altro enologo, Vittorio Fiore, prodotto da un vitigno ignoto denominato L32. Dietro questa sigla si nascondeva un incrocio naturale, scoperto negli anni Sessanta in una vigna abbandonata sui Colli Euganei dall’agronomo Remigio Bordini, fra – come si capì in seguito – Cabernet Franc e Merlot. Schilling, insieme a Fiore, convincono i coniugi Rogosky a sperimentare questa varietà sulla quale nessuno aveva ancora deciso di puntare. Wolf, con la sua grande genialità e creatività innata, battezzò il vitigno Caberlot: un unicum assoluto, dall’immenso potenziale, coltivato (a tutt’oggi) solo qui. Una sorta di ‘dono’: da comprendere e da comunicare. Nasce così la storia de Il Carnasciale, una delle cantine d’eccellenza del nostro Paese, e del suo mitico vino: Il Caberlot.

Davanti casa viene impiantata la vigna, ad alberello e con una distanza minima fra una barbatella e l’altra, su un terreno ove solo i primi venti centimetri sono di galestro e alberese, e che al di sotto è roccia. Sono anni di sperimentazione e, benché la prima annata prodotta de Il Caberlot sia del 1988, la commercializzazione vera e propria parte nei primi anni Novanta. C’era tanto da capire: il comportamento delle viti (il Caberlot ha rese bassissime ed è assai sensibile alle malattie), il loro sviluppo, il rapporto fra il terreno e la pianta, l’influenza del microclima. E poi, in cantina, tutte le pratiche più giuste per avvicinarsi sempre più alla perfezione. Negli anni, di pari passo alla stabile affermazione de Il Caberlot fra i più eccelsi vini d’Italia (la scarsità della produzione – pochissime migliaia le bottiglie, numerate e solo in formato magnum! – non fa che aumentarne l’aura leggendaria), la famiglia Rogosky (che, dopo la scomparsa di Wolf, avvenuta nel 1996, è ora rappresentata da Bettina e da suo figlio Moritz) acquisisce e impianta nuove vigne, adesso cinque (per un totale di cinque ettari, posizionate in un raggio di venti chilometri dall’azienda), scelte secondo principi d’eccellenza per terreno e caratteristiche pedoclimatiche. Anche i sistemi di allevamento cambiano a seconda del luogo, passando dal cordone speronato, al guyot, all’alberello con il solo fine di ottenere un’uva che sia sinonimo di pregevolezza assoluta. Altre date segnano poi un percorso fatto da ulteriori piccole svolte. Nel 2000 appare la seconda etichetta della cantina: Il Carnasciale. Nel 2013 ecco le prime (poche) bottiglie de Il Caberlot in formato 0,75 litri, battezzate da Moritz «demi-magnum». Nel 2015 si terminano i lavori della nuova cantina, che oggi affianca quella ‘storica’ posta sotto l’antico casale. E sempre nel 2015 appare una terza etichetta: Ottantadue (Sangiovese in purezza), da una vigna di poco più di un ettaro impiantata nel 2004.

Per comprendere Il Caberlot, al di là del suo fascino misterioso, si deve fare una premessa. Il Caberlot è un vino frutto di assemblaggio, e l’assemblaggio muta di anno in anno. Le cinque vigne, ognuna delle quali presenta specificità del tutto proprie, sono vendemmiate a lotti (in genere da venti a trenta, variabili a seconda dell’annata), nell’arco di circa tre settimane, secondo un principio rigoroso: «l’acino che non sei disposto a mettere in bocca non metterlo in cassetta». Le fermentazioni, tutte separate, avvengono in acciaio, per un periodo di tempo variabile (da quindici giorni a un mese) e a temperatura controllata variabile, a seconda del singolo lotto. E giorno per giorno viene effettuata, rigorosamente a mano (anche per rendersi conto dell’evoluzione della fermentazione), la follatura, stando ben attenti a che l’estrazione non sia eccessiva. Quindi ogni singolo lotto delle tre vigne più vecchie passa in barrique (che sono nuove, all’incirca, per il 70%) a bassa tostatura e di diversa provenienza (quest’ultima viene scelta in base alle caratteristiche del lotto stesso, al fine di enfatizzare le qualità del varietale; e ciò ha comportato, per Il Carnasciale, la necessità di stabilire rapporti privilegiati con alcuni dei più importanti produttori di botti e barrique i quali assicurano l’invio dei legni anche all’ultimo momento). Mentre i lotti delle due vigne più giovani – 2013 e 2016 – vengono affinati in botte grande. Il vino (trasferito nella cantina storica) sosta in botte piccola per circa diciotto mesi, ove compie naturalmente la fermentazione malolattica. Terminato questo primo affinamento (si è, in genere, in aprile) si procede a una degustazione alla cieca di ogni singolo lotto. Quelli che sono giudicati di qualità superiore sono destinati a Il Caberlot: assemblati e imbottigliati sostano ancora sedici mesi in bottiglia. Gli altri lotti sono invece destinati alla seconda etichetta, Il Carnasciale: vengono assemblati al vino che ha affinato in botte grande che, una volta imbottigliato, rimane in cantina per altri sei mesi. Ciò significa che, anno dopo anno, Il Caberlot nasce solo da quelle uve, le migliori in vigna, che hanno fatto il miglior affinamento in botte. E che, non per forza, l’anno successivo, saranno di nuovo le medesime. Ciò significa anche una estrema discontinuità nei numeri produttivi. Nelle annate migliori è probabile che siano prodotte più bottiglie de Il Caberlot e meno de Il Carnasciale, e viceversa in quelle più sfortunate.

La degustazione

Come di prassi avviene nelle più celebri cantine di Francia, la degustazione, guidata dall’enologo dell’azienda, Marco Maffei, insieme al suo braccio destro Tommaso Fanetti, e alla presenza, del tutto inusuale di Moritz Rogosky, si è svolta spillando il vino (annata 2021) direttamente dalle barrique, ben prima quindi che abbia portato a termine il suo ‘percorso di formazione’. Ovvio che chi – come chi scrive – conosce Il Caberlot limitatamente alla sua vita in bottiglia – nelle diverse fasi della fresca giovinezza, della completa pienezza e della affascinante e sontuosa maturità (perché Il Caberlot è un vino cha va aspettato!) – possa nutrire qualche titubanza verso un vino ancora ‘infante’. Eppure, eppure… alcuni elementi già affascinano, anche perché è proprio da una analoga esperienza di assaggio di vini provenienti da terreni, altitudini ed esposizioni differenti che, ogni anno, nasce Il Caberlot.

Il primo assaggio è stato compiuto da un lotto proveniente dalla seconda (in ordine di tempo) vigna impiantata. Questa si trova su un terreno a forte prevalenza sabbiosa, con ampi strati di calcare e arenaria sottostanti, dovuti a depositi alluvionali, in un’area ove, in antiche ere geologiche, insisteva un lago salato. Il vino, che si presenta nel bicchiere di un impenetrabile rosso rubino e con la ‘giusta’ consistenza, propone un prospetto aromatico decisamente trasversale. Si avverte la croccantezza di piccoli frutti rossi, sentori erbaceo-balsamici, tocchi floreali (questi, invero, ancora scomposti), un pungente sottofondo di pepe nero (tipico del vitigno Caberlot) e una mineralità complessa e finissima che pare avvicinarsi al silicio. In bocca prevalgono le sensazioni dure ma il tannino è già assai levigato, e le morbidezze si avvertono in tutta la loro complessità. Il vino è lungo, teso e pulitissimo sino in fine di bocca. Esce avvolgente, con una fresca setosità che ne mostra tutto il carattere e la vaglia.

Il secondo assaggio è invece avvenuto dalla botte ove affina uno dei lotti della ‘vigna vecchia’, la prima impiantata nel 1985. Questo Caberlot si presenta in modo assai differente. Se uguali – infatti – sono colore e consistenza, differiscono il bouquet aromatico e le sensazioni gusto-olfattive. Il primo appare assai leggiadro, e quasi provocante. I frutti rossi paiono virare sul sottobosco, nella balsamicità dell’erba si avverte un tocco di picciolo di peperone, le violette si confondono con il pepe e la mineralità appare più da ciottolo che da pietra. Al sorso il vino sembra aver già raggiunto un incredibile, stupefacente equilibrio. La facilità della beva (il tannino è già integrato e la spinta acida ben modulata dalla morbidezza) si allunga nel centro e in fine di bocca, distendendosi poi ai lati con complessità e inusitata finezza. Il vino appare di corpo, ma senza pesantezza: anzi si mostra snello e dall’eleganza assai stilosa, e già sofisticata.

Si è poi passati ad assaggiare, questa volta dalla bottiglia, Il Carnasciale 2020. Etichettarlo semplicemente come la versione minor de Il Caberlot sarebbe ingiusto, oltre che sbagliato. È, piuttosto, un modo differente (più ‘approcciabile’, se proprio lo si vuole dire) di interpretare il vitigno. Se Il Caberlot dà il suo meglio dopo un affinamento di qualche anno, Il Carnasciale è capace di esprimersi al top in tempi più brevi. Il prospetto aromatico, di gran impatto e complessità, abbraccia tutte le declinazione del suo fratello maggiore (frutta, erba, fiore, minerale, spezia) senza però perdersi nelle sue atmosfere rarefatte e cangianti. Qui i profumi, infatti, appaiono dalle linee ben definite, tratteggiati con cura e mano felice. In bocca Il Carnasciale si propone in molteplici avvolgenze date da una struttura polialcolica di grande importanza. Su questa, come fosse una tela, si dipanano i colori di una modulata freschezza, di un assai setoso tannino e di una mineralità profonda e qualitativamente assai fine. Il vino, che procede in bocca con composta eleganza, chiude lungo e assai raffinato, invogliando – quasi con occhio complice – al sorso successivo.

La degustazione si è quindi conclusa con la terza etichetta: Ottantadue (annata 2019). Si tratta di un Sangiovese in purezza, vinificato in vasche di cemento e affinato in acciaio per poco più di un anno. «Quando Wolf Rogosky – ci ha detto Marco Maffei – ha intrapreso l’avventura de Il Caberlot lo ha fatto perché voleva produrre un vino del tutto differente, unico, rispetto a ciò che si faceva in queste terre. Ecco, con Ottantadue abbiamo azzardato la stessa scommessa: produrre un Sangiovese diverso». Delusi quindi tutti coloro che si aspettano un Sangiovese in stile Chianti, Ottantadue (il nome deriva dal numero civico che contraddistingue il Podere Il Carnasciale, peccato però che non ci siano numeri civici precedenti e successivi!) è un vino in stile Beaujolais. Quindi di approccio ‘facile’, dai begli aromi fruttati e floreali, dalla spiccata freschezza, dall’estrazione assai moderata e dal tannino molto levigato. Ciò non significa però che non sia un’etichetta dalla identità precisa e dal portamento definito. Il naso, che si contraddistingue per la ciliegia, il lampone, la fresca e balsamica macchia mediterranea, spicca per le belle e nette sensazioni minerali (grafite e soprattutto carbonio). In bocca colpiscono la croccante succosità e ancora il fine minerale, ben bilanciati dalle sensazioni caloriche e pseudocaloriche. Anche la chiusura è netta e pulita, con un bell’allungo fruttato in fine di bocca.

«Petrolo? Il mio mondo!»

«Il mio mondo? È la mia tenuta: Petrolo!». Così il barone Luca Sanjust di Teulada, che aggiunge: «Quando a piedi percorro i suoi 33 ettari vitati, ammirando i declivi, guardando i terreni, posso quasi dire di conoscere una a una tutte le oltre centomila piante di vite che la abitano». Come Xavier de Maistre, che vagò per quarantadue giorni intorno alla sua camera (lasciandoci il suo aureo libretto, finemente pungente e ironicamente maliconico), anche il viaggio del barone Sanjust gode dei medesimi piaceri: l’immunità «dalla inquieta gelosia degli uomini» e dai mutamenti repentini della «fortuna». Cosa desiderare più di Petrolo? La sua storia affonda nei secoli, addirittura ai tempi della ‘cattività avignonese’, quando emissari dei papi francesi – evidentemente non paghi degli Châteauneuf-du-Pape – vennero spediti qui, in Val d’Arno, all’ombra della medievale torre di Galatrona (che ancor oggi svetta sopra la tenuta) ad acquisire vigne (fra cui il cru Bòggina) e ad acquistare vini bianchi (a base Trebbiano) per il santo desco del successore di Pietro. Nei secoli successivi, mentre si andavano consolidando vocazione e fama della Val d’Arno nella produzione di vini di qualità superiore (assieme a Carmignano e Chianti centrale), la tenuta passa di mano, e viene eretta la magnifica villa settecentesca a ridosso della quale sorgono le cantine storiche. Sino ad arrivare al secolo scorso quando tutta la proprietà viene acquisita dalla famiglia Bazzocchi, dalla quale poi è pervenuta, per via materna, a Luca Sanjust.

La consuetudine quasi secolare con questa terra, e le conoscenze sedimentate nei secoli (nell’Ottocento – giusto a titolo d’esempio – Petrolo era appartenuta all’agronomo Giorgio Perrin, membro dell’Accademia dei Georgofili, che aveva riscontrato come su questi terreni ben potevano crescere «uve franzose» da abbinare al Sangiovese), hanno permesso a Luca Sanjust di tratteggiare una mappa assai articolata e particolareggiata dei suoi vigneti, secondo terreno e microclima. Ognuno di essi – tredici in tutto, di altitudine compresa fra 250 e 450 metri – concorre alla produzione di una delle sette etichette della casa, secondo una dichiarazione d’intenti tanto ambiziosa quanto reale: «a Petrolo non esiste un vino base, esistono solo grandi vini». Ed è sufficiente considerare i numeri per cogliere la veridicità dell’affermazione.

Da oltre trenta ettari di vigne vengono prodotte meno di centomila bottiglie: un numero che può essere considerevolmente più basso nelle annate meno ‘fortunate’, senza però deflettere in nulla in qualità e finezza del vino. E ciò è possibile grazie alla conoscenza di ogni singola vite, a un maniacale processo di selezione delle uve, a una produttività oltremodo contenuta, a una vinificazione per lotti differenti (anche all’interno del medesimo vigneto) e quindi a un assemblaggio improntato a criteri qualitativi assai rigorosi. I vini, a base di Sangiovese, Merlot, Cabernet Sauvignon e Trebbiano, sono di carattere, espressione identitaria dei differenti terroir di Petrolo. Così, per esempio, dai vigneti Galatrona, Feriale e Poggio (che presentano un vasto giacimento argilloso, appena al disotto del galestro) nasce il Merlot del Galatrona (etichetta per la quale Petrolo è nota nel mondo), mentre dallo storico Bòggina (ove predominano galestro e alberese) giungono il Sangiovese e il Trebbiano dell’omonima etichetta.

Fra Bòggina e Galatrona

Nel corso di una recente degustazione, tenutasi a Milano e guidata da Luca Gardini (neo direttore della Guida Espresso ai Vini d’Italia), presenti Luca Sanjust insieme a suo figlio Rocco, si è avuta l’occasione di assaggiare proprio quest’ultime etichette: il Bòggina B (ove B sta per bianco, 100% Trebbiano), il Bòggina C (100% Sangiovese) insieme a due annate di Galatrona. «Il Trebbiano, ben prima del Sangiovese – ricorda Luca Sanjust – è il vitigno principe di queste terre. Fare un bianco è stata un po’ una scommessa ma eravamo comunque certi delle potenzialità del vigneto Bòggina, impiantato da mio nonno nel lontano 1947». Il vino Bòggina B, IGT Toscana Trebbiano, prodotto a partire dal 2014 in poche migliaia di bottiglie, è costruito ispirandosi alla Borgogna: sosta per quindici mesi sur lie in tonneaux da 5 hl. dove compie fermentazione alcolica e malolattica, con periodici bâtonnage e nessun travaso prima dell’imbottigliamento.

Due sono le annate che si sono assaggiate: il 2020 (in anteprima assoluta) e il 2016. E il confronto non avrebbe potuto essere più interessante perché i due vini hanno presentato un’espressione del tutto differente. Non che Luca Sanjust non lo avesse premesso, tutt’altro. E anzi la decisione di proporre il Bòggina B 2016 a fine degustazione è stata proprio per far apprezzare al meglio la diversità, data dall’evoluzione, delle due bottiglie. Entrambi di un bel coloro giallo paglierino, intenso e quasi con ‘riflessi metallici’, i vini si sono proposti al naso su due linee assai diverse. Solidamente monolitico, marcato dalla salinità minerale, dalla vinosità (quasi al limite dello spunto) e da sottili toni erbacei e floreali il 2020. Molto più ‘sciolto’ e aperto il 2016 che, grazie ai quattro anni in più sulle spalle, appare più complesso e fine del suo fratello minore, seppure forse un pizzico meno intenso. Conquista il ventaglio aromatico: l’aspetto vinoso dato dal prolungato contatto con le fecce fini risulta pienamente integrato in un equilibrio fra note di sasso marino, di fiore giallo, di frutta a polpa (bella la susina), di macchia mediterranea e di sottili morbidezze date dal legno. Anche in bocca la monoliticità minerale del 2020 si trasforma, nel 2016, in un serrato dialogo fra morbidezze e durezze, in particolar modo fra i polialcoli da un lato e le note saline dall’altro. Facendolo roteare sul palato il 2016 si apre ulteriormente, apparendo intenso, di lunga persistenza, di qualità assai fine, senza essere però stucchevole. Anzi, in fine di bocca ad apparire è proprio una punta di acidità che invoglia al sorso successivo.

Molto complessa è stata poi la degustazione di sei annate del Bòggina C (Val d’Arno di Sopra Doc; 100% Sangiovese): 2020, 2019, 2015, 2012, 2010, 2007. Cinque sono le caratteristiche principali che si sono riscontrate nei sei bicchieri: il rispetto di terroir e vitigno, la loro riconoscibilità, il perfetto uso del legno (né troppo, né troppo poco), la pulizia e l’eleganza a livello olfattivo e gustativo, la costanza nella qualità. E non c’è da meravigliarsi che ci sia continuità nell’eccellenza: il Sangiovese ha trovato nella vigna di Bòggina un terreno d’elezione, essendo uno dei cru che meglio lo esprimono. Sicché non solo qui si possono ritrovare tutti i tratti tipici di un Sangiovese d’eccellenza (la viola mammola, la ciliegia, l’amarena, l’arancia rossa, note di sottobosco al naso, e quindi in bocca bel tannino, acidità, morbidezza…) ma questi si intrecciano con le caratteristiche proprie della terra di Bòggina. La mineralità è imponente, la struttura polialcolica lo è altrettanto, creando una beva ricca, e quasi ‘golosa’. La persistenza è assai lunga e termina senza cedimenti, con una pulizia così estrema che invita al prossimo bicchiere. Va da sé che il 2020 si è presentato croccante nella sua giovane immediatezza, ma già assai elegante e fine, e di grande piacevolezza. Il 2019 invece è apparso più introverso: con una espressione più cupa al naso (i frutti di bosco si percepiscono nettamente, così come i tocchi balsamici che rimandano all’alloro e all’eucalipto) ma con un sorso all’apparenza più complesso, seppur sempre immediato. Il 2015 merita un’attenzione particolare per la sua possanza muscolare, già percepibile al naso. I profumi sono complessi ma soprattutto profondi, come anche l’espressione gusto-olfattiva, con il suo tannino integrato ma ben presente, la mineralità marcata, la succulenza in centro e in fine di bocca. Sorprendente il 2012, con i suoi aromi complessi e suadenti (belle le note di speziatura, come anche la frutta a polpa e i piccoli frutti rossi) sostenuti da una struttura in perfetto equilibrio fra morbidezze e durezze, un sorso teso e lunghissimo, dal tratto golosamente elegante. 2010 e 2007 infine mostrano tutte le potenzialità evolutive del Sangiovese di Bòggina: appaiono fini note terziarie al naso e in bocca, senza però intaccare né l’eleganza dei profumi tipici del vitigno, né tantomeno la finezza della beva che anzi appare come dilatata dal lungo affinamento in bottiglia. In bocca il 2010 pare incedere con passo di danza, mentre il 2007 cadenza una marcia improntata alla regalità.

Le due annate di Galatrona (Val d’Arno di Sopra Doc), 2020 e 2005, che hanno ritmato i passaggi dai Bòggina B ai Bòggina C, hanno riaffermato – se mai ce ne fosse stato bisogno – come questa etichetta sia, incontestabilmente, uno dei ‘vini del mito’ del nostro Paese. Con orgoglio Luca Sanjust ricorda l’affermazione di Denis Durantou, storico proprietario di château l’Église-Clinet a Pomerol: «Galatrona è un grande vino toscano». È ancora la terra, in questo caso della vigna Galatrona (impiantata a inizio anni Novanta con cloni bordolesi) a parlare nella bottiglia: con la sua argilla, con il sottile soprastante strato di galestro, albarese e arenaria, con il suo perfetto microclima e la sua perfetta esposizione (tutti fattori che permettono al vigneto Galatrona di produrre un vino elegante e molto strutturato anche nelle annate considerate minori). Il 2020 appare in tutta la sua baldanza, fintamente immediato nella sua giovinezza. Gli aromi sono fini, ampi e complessi, legati al mondo del minerale, del fruttato e dell’erbaceo più che dello speziato. Anche in bocca il vino si presenta ‘croccante’: l’acidità e la mineralità dialogano serratamente fra loro, con gli interventi dei tannini, lisci e assai vellutati, e della morbidezza dei polialcoli. L’insieme, già perfettamente in equilibrio, sfugge ogni possibile pesantezza (e anzi colpisce come l’estrazione sia stata ben modulata) e si muove in centro e in fine di bocca con agilità, finezza, eleganza e ampiezza. Ed è proprio un senso di ‘sconfinato’ che si avverte in fine di sorso: pulito e composto pare non finire mai. Nel medesimo solco anche il Galatrona 2005: i profumi qui sono ancora più ampi e complessi, con affascinanti note terziarie che iniziano a fare capolino fra il frutto (ora più maturo e a tratti in confettura), l’erbaceo (assai raffinato) e il minerale (il tocco argilloso è nel 2005 più presente). Qua e là dei fiori, non ancora secchi. In bocca il vino – come per un grande Pomerol di una ventina d’anni – è ancora agile e fresco, e la mineralità appare ben ‘assorbita’, come anche il tannino, impalpabile nel suo essere ben integrato. Le sensazioni caloriche e pseudocaloriche tengono il passo, senza stucchevolezza ma anzi generando una morbida golosità. Equilibrato, intenso, assai persistente e di finezza eccellente, il Galatrona 2005 appare ancora in viaggio: a mezzo fra la freschezza della gioventù e la suadente opulenza degli anni della maturità.

Il 2016 a Montalcino

Il 2016 a Montalcino è stato da tutti ritenuto una annata straordinaria. Il motivo è presto detto: l’andamento climatico, relativamente fresco, ha portato a una stagione di maturazione fisiologica più lunga e completa. La pioggia di fine agosto poi, seguita da venti di Tramontana dal Nord, hanno spostato la vendemmia a metà settembre, una settimana più tardi rispetto agli ultimi anni, con un prolungamento fino a quasi la metà di ottobre. L’insieme di questi fattori ha permesso una maturazione uniforme ed equilibrata delle uve, un’espressione più brillante e definita di aromi (data dalle escursioni termiche) e sapori e una migliore maturazione fenolica.

Queste condizioni così favorevoli hanno portato a un ulteriore e generale innalzamento della qualità dei Brunelli che, anche secondo la critica internazionale, hanno raggiunto, nel 2016, appunto, vette raramente toccate in passato. E hanno spinto molte blasonate cantine a proporre la versione Riserva (ovvero con un affinamento più lungo: sei anni invece dei consueti cinque). Queste preziose bottiglie, apparse sul mercato durante la prima parte del 2022, sono ora pronte per essere degustate, con l’attenzione che meritano e con la consapevolezza di come siano ‘solo’ al principio di un lungo cammino nel tempo che certo le porterà molto lontane, trasformandole e facendole evolvere anno dopo anno. Nell’avvicinarsi ora a un Brunello di Montalcino Riserva 2016 si deve quindi necessariamente essere consapevoli di come ora questo vino dia di sé una visione ‘parziale’ o – citando lo Stagirita – «in potenza». E di come la degustazione debba essere prospettica, tesa a cogliere, nell’attuale espressione del vino, quegli elementi che lo porteranno a essere ancor più grande con l’avanzare del tempo.

La degustazione

Fra le Riserve 2016 che ho avuto occasione di assaggiare, di particolare interesse ho trovato quella prodotta da Cantina Carpineto, per almeno due ragioni che paiono (ma non lo sono) fra loro in contrasto: l’elegante e agile prontezza della beva e la profondità di un sorso che pare celarsi piuttosto che mostrarsi.

Questa bottiglia, tirata in 6.000 esemplari, viene prodotta con uve che giungono dal solo Vigneto Paradiso, uno dei più alti della denominazione, posto a 500 metri, in località Roganelli. Qui, su 3,5 ettari, il Sangiovese Grosso viene allevato a cordone speronato, con una densità di piante pari a 5.700 per ettaro. Tutto attorno, per preservare l’unicità di questo luogo (la dizione Paradiso deriva non solo dall’altitudine ma pure dal meraviglioso paesaggio che circonda la vigna), crescono gli ulivi e quindi un fitto bosco di querce, lecci e macchia mediterranea. Dal punto di vista geologico il terreno, di medio scheletro, è composto da un insieme indifferenziato di argille scagliose, costituito prevalentemente da scisti, calcari marnosi e arenarie quarzose che conferiscono alle uve una grande carica minerale. La leggera esposizione verso Nord legata alla bella ventilazione, all’assenza di umidità e all’escursione termica fra il giorno e la notte (che agevola la concentrazione dei terpeni) dona a questo vino una magnifico ventaglio aromatico e una bella freschezza. Se questi fattori possono giocare a sfavore in occasione di annate fredde, giocano del tutto a favore nelle annate favorevoli e in quelle calde (che, purtroppo, con il cambiamento climatico in atto paiono susseguirsi un po’ troppo spesso) perché questa vigna è spesso l’ultima dell’intera denominazione a essere vendemmiata. Nei fatti ciò significa una maturazione fenolica delle uve lenta e prolungata, che consente di cogliere gli acini con giusta acidità e tenore zuccherino. La vinificazione viene poi condotta con lieviti autoctoni, in vasche di acciaio a temperatura controllata, con rimontaggi frequenti e una lunga macerazione sulle bucce. Dopo una sosta di almeno 42 mesi in botti di rovere di diversa capacità, il vino viene imbottigliato senza trattamenti di alcun genere né filtrazioni. Rimane quindi in cantina ad affinare ulteriormente, a temperatura e umidità naturale e costante.

Nel bicchiere il Brunello di Montalcino Riserva 2016 di Carpineto si presenta di un profondo colore rosso rubino, assai intenso e di forte concentrazione antocianica, con appena, sull’unghia, un leggero riflesso granato che tradisce il lungo invecchiamento in legno. Il naso stupisce tanto per intensità quanto per ampiezza, ma è, su tutto, la nota di freschezza ad ammaliare. Freschi appaiono i fiori (viola e rosa su tutto), fresca la frutta (frutti di bosco, susina, prugna e una sensazione di melagrana), fresche le nuances balsamiche di fieno e macchia mediterranea, fresche le sensazioni speziate di vaniglia, cioccolato e pepe bianco. Con coerenza tutto ciò si ritrova in bocca, unito a un tannino già fine e integrato e che, con un altro poco di affinamento in bottiglia, lo sarà ancor di più. E a una verticale mineralità possente che si dipana dal ciottolo e alla grafite. Mentre l’alcol e i polialcoli paiono giocare un ruolo di controcanto teso più a esaltare che a bilanciare. La sensazione calorica, infatti, non prevale in nulla ma sostiene l’impalcatura del vino. Così come la glicerica che pare intessere, sulla freschezza, preziosismi arabescati. Il sorso procede a centro bocca con passo assai elegante, e con una intensità, una persistenza e una pulizia invidiabili. I ritorni, infine, si giocano ancora sulle sensazione pseudocaloriche, sulla speziatura e sulla acidità.

In tutta questa ricchezza espressiva però (e risiede qui, secondo chi scrive, l’aspetto più affascinante di questo vino) si percepisce una nota di renitenza: la bottiglia solo in apparenza mostra tutte le sue qualità. Fra le pieghe di questo Brunello si intravede una forza ancora inespressa. La spalla, infatti, è così tanto articolata e integrata che non si può non pensare cosa potrà diventare questo vino. Così come assai promettente pare essere lo sviluppo del dialogo fra minerale e polialcoli. Una bottiglia, quindi, ora grande. Ma che in futuro lo sarà ancor di più.