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Manna

Gli interni e un risotto.
Partiremo da qui per parlare del Manna, questa volta. E cominceremo tributando un giusto applauso a uno chef/imprenditore che, pur lavorando in una zona non indimenticabile della città, ha investito sul decòr in un momento economicamente privo di certezze. Il piccolo grande ristorante del quartiere Turro ha così dismesso quel disordine cromatico che lo caratterizzava per un costume dalle tinte meno carnascialesche, senza per ciò piombare in seriosi cliché. Toni di grigio e volumi più dinamici vanno così a comporre il look con cui la creatura di Matteo Fronduti si avvicina alla maturità.
Un risotto, poi, dicevamo. E che risotto! Perché Quasi Milano, in cui l’evidenza più netta di quel “quasi” risiede nel midollo crudo, si pone direttamente e senza passare dal via ai vertici della categoria, volteggiando in mirabile equilibrio fra opulenza gustativa e finezza esecutiva e restituendo allo stesso tempo quelle sensazioni profondamente autentiche che sono la vera ragion d’essere della rivisitazione di un classico con un beat d’oggi.
I tratti caratteristici del Manna per il resto si sono mantenuti sostanzialmente immutati. La carta delle vivande gioca con le parole (anche se il calembour involontariamente più azzeccato rimane l’indirizzo del locale, vero manifesto programmatico della politica nostrana) e con elementi generalmente tratti dal repertorio “basso”. La cucina si concede un’unica, e misurata, gita nei quartieri alti con un crudo di gamberi rossi utilizzato in un primo piatto, ma il resto del programma gastronomico è un tripudio di quinto quarto, pesce povero e umili vegetali, evidente frutto di una scelta programmatica e dell’importante esperienza vissuta da Matteo Fronduti a Cornaredo presso il D’O di Davide Oldani. E proprio dal mondo vegetale arriva quello che, fra i secondi piatti, si è rivelato il più convincente: Kunta kinte è una riuscita insalata di radici arrosto che, accostata a maionese di cavolfiore e senape, regala sensazioni intense fra piccante, amaro e terroso. Il resto del comparto principale invece si rivela leggermente inferiore alle attese create dagli antipasti e soprattutto dagli eccellenti primi, non consentendoci di sbilanciarci verso la valutazione superiore a quella fin qui assegnata, che consideriamo il limite a tendere di questa cucina (non dello chef, che a nostro modo di vedere potrebbe, con un progetto più ambizioso, permettersi obiettivi assai più prestigiosi).
Con sedici alternative equamente divise sui vari passaggi del pasto e quattro commensali al tavolo, e nessun percorso di degustazione previsto, l’occasione era troppo ghiotta. Ecco perciò TUTTA LA CARTA del Manna collezione Inverno 2014/2015:
Frico??? Uovo in camicia, patate e Montasio: un piatto ghiotto e assai ben bilanciato.
uovo in camicia, patate e montasio, Manna, Chef Matteo Fronduti, Milano
Libero e privo d’impedimenti. Sgombro, puntarelle e datteri, in lieve difetto d’acidità.
sgombro puntarelle e datteri, Manna, Chef Matteo Fronduti, Milano
Uè, testina! Bollito di testina di vitello, salsa verde e giardiniera. Davvero eccellente.
bollito di testina,Manna, Chef Matteo Fronduti, Milano
Grunt: Prosciutto di cinghiale maison con erbe amare invernali e mela verde.
grunt, prosciutto di cinghiale, Manna, Chef Matteo Fronduti, Milano
Basterebbe nulla a far diventare greve Esaù (Zuppa di lenticchie, cotechino e pane croccante). L’insieme è invece assemblato con classe e senso della misura, salvaguardando tanto il gusto quanto il desiderio di proseguire la cena con altre pietanze.
zuppa di lenticchie e cotechino, Manna, Chef Matteo Fronduti, Milano
Tutto fumo: spaghetti, cime di rapa e aringa affumicata resi personali con un tocco di rafano.
spaghetti cimii di rapa e aringa affumicata, Manna, Chef Matteo Fronduti, Milano
L’eccellente Quasi Milano.
risotto, quasi milano, Manna, Chef Matteo Fronduti, Milano
Contro il logorio della vita moderna: fusilloni, ragout crudo di gamberi rossi, carciofi, timo e lardo.
fusilloni ragout di crudo, Manna, Chef Matteo Fronduti, Milano
Riassunto di Cassoela: costine, verzino, crocchetta di piedino, muso, verze e cotenne. C’è tutto. Dell’originale mancano però l’insieme e un po’ d’umidità. E non è poco.
Cassoelua, Manna, Chef Matteo Fronduti, Milano
Uffa: guancia di manzo stufata al vino rosso, carote e cipolle. Didascalico ma piuttosto inespressivo.
Guancia di manzo stufata, Manna, Chef Matteo Fronduti, Milano
De sera e de matina: baccalà mantecato, polenta taragna e chutney d’arancia. Buono, ma l’impressione è di un antipasto rinforzato per secondo. Stiracchiato.
baccalà mantecato, Manna, Chef Matteo Fronduti, Milano
Il sorprendente Kunta kinte.
kunta kinte, Manna, Chef Matteo Fronduti, Milano
L’asticella torna su per i dolci. Si parte con il classicissimo Vai via dottore: tarte tatin con gelato alla vaniglia.
Tarte tatin con gelato alla vaniglia, Manna, Chef Matteo Fronduti, Milano
Nocciola più: Nocciola morbida e croccante, sorbetto di cacao e caffè. Ottimo.
Nocciola più, Manna, Chef Matteo Fronduti, Milano
Virgin colada: Ananas, lime e cocco, ovviamente assai rinfrescante.
virgin colada, Manna, Chef Matteo Fronduti, Milano
Merenda Hardcore VM18. Cioccolato, tabacco cubano, whiskey torbato e frollini. D’impatto piuttosto forte. Non per tutti, nemmeno se maggiorenni, ma sicuramente riuscito.
merenda, Manna, Chef Matteo Fronduti, Milano
Dettagli della nuova sala.
nuova sala, Manna, Chef Matteo Fronduti, Milano
sala, Manna, Chef Matteo Fronduti, Milano

Rispetto e ammirazione: sono queste le prime sensazioni che si avvertono entrando in contatto con il “mondo Santini”.
Dal Pescatore è una vera icona italiana dell’ospitalità, una bandiera del made in Italy nel mondo.
O almeno rappresenta a meraviglia la storia di un pezzo di Italia: quello della campagna mantovana, della pianura padana, del nord.
Dopo tanti anni di onorato servizio e innumerevoli successi, si potrebbe pensare che questo indirizzo sia diventato un monumento, che questa cucina non abbia più niente da dire: assolutamente no.
Dal Pescatore è un luogo vivo, fiero del suo passato ma fortemente proiettato nel futuro.
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Si ritorna al Pomiroeu, quasi un’istituzione della provincia brianzola. I cancelli del “pometo” (parola con cui si indicava in passato una particolare zona della città in cui vi erano ricche coltivazioni di mele) sono infatti aperti sin dal 1850, ma solo dai primi anni novanta Giancarlo Morelli ha iniziato la sua avventura rilevando la vecchia struttura e compiendo un percorso evolutivo notevole.

Morelli, bravo ristoratore e maestro di cucina, ha trasformato la sua creatura in un delizioso e moderno angolo gourmet di rango indubbiamente elevato, un luogo in cui si sta molto bene e in cui si può gustare una doppia linea di cucina (tradizionale e creativa) eseguita con i medesimi risultati e contraddistinta da un unico comune denominatore: la sostanza. Nella nostra visita siamo partiti in quarta, abbiamo raggiunto una vetta molto alta con una portata, per poi rallentare con i secondi fino ai dolci, a tratti stucchevoli (nonchè troppo costosi). In tutta la proposta gastronomica del ristorante tuttavia, meritano un capitolo a parte i risotti. Quelli che si trovano qui rappresentano una tra le massime espressioni che si possano trovare nello stivale, per esecuzione, tecnica ed estro. In particolare, quello in carta scelto da noi con tartare di gamberi, tartufo nero e colatura di alici (miglior risotto 2010 nel concorso Riso Gallo), come direbbe qualcuno, vale da solo la deviazione. E’ brillante e bilanciato nel gusto ed è eseguito in maniera millimetrica nella mantecatura e nella consistenza; un piatto in cui il riso ha una connotazione ben precisa che muta a seconda degli elementi (gambero, tartufo, colatura) che la forchetta pesca nel piatto. Da applausi. Qualche piccola delusione invece ci è arrivata dall’assemblaggio dei secondi piatti. Non dalla cottura delle carni, sono infatti palesi le doti e le capacità tecniche di Morelli in questo campo, bensì dalle deludenti proposte dei contorni al piatto e dalla presentazione. Altra pecca invece sui dolci, senza molto mordente nonché tendenzialmente stucchevoli. Inoltre abbiamo notato una certa staticità della carta: Morelli ha uno staff validissimo, pertanto una maggiore prolificità non sarebbe azzardata; le carte per essere ben più alti di valutazione ci sono tutte, c’è grande entusiasmo sia in sala che in cucina, c’è grande esperienza e la ricca clientela della zona aiuta a poter tenere ben in funzione questa macchina che macina sempre un bel numero di coperti. Però, c’è un però, il gourmet si aspetta da un cuoco di così grande capacità che tolga il freno a mano e liberi tutta la sua energia, davvero tanta, che ha a disposizione.

Per la cronaca, dicevamo, tutto di alto livello, a partire dal pane, il cui cestino viene costantemente sostituito alla minima perdita di fragranza.

L’entrata è molto equilibrata con la ricotta di capra su crema di finocchi;

Tra i piatti migliori del pranzo c’è l’Insalata tiepida di verdure con stinco di porcellino, finferli e lardo croccante al limone candito, notevole per freschezza e contrasti. Piatto fortemente stagionale in cui tutti gli elementi, le cui singole cotture sono perfette, sono nettamente distinti. Si rischia di chiedere il bis.

Eccoci dunque al Risotto Carnaroli del “Pavese Gran Riserva” alla ricotta di bufala leggermente affumicata con tartare di gamberi e tartufo nero, colatura di alici di cui abbiamo già detto e che riproponiamo in prospettiva opposta, merito della sua bontà.

Si passa ai secondi con La cotoletta alla milanese nella versione “alta” (al momento dell’ordinazione il maitre chiede se la si gradisce battuta o alta), servita con patate, insalatina e dei golosi pomodorini idratati nell’olio e pompelmo. Qui il piatto ovviamente lo fa la cotoletta, con panatura perfetta e asciutta, carne che conserva una giusta traccia rosata al cuore e resta morbida (operazione perfettamente riuscita), mentre sono deludenti i contorni, ad eccezione dei pomodori. Comunque una “signora cotoletta”.

Meno sorprendente il Pollo ruspante in casseruola con verdure novelle, crema allo yogurt di capra e peperoncino fresco. Qui è tutto l’insieme che delude. Ci aspettavamo una divagazione sul pollo, magari con cotture e preparazioni diverse tra petto-ali-cosce. Invece la preparazione in se è molto ordinaria ed è resa ancora più scarna dalle poco incisive verdurine che si riducono quasi a mero orpello di riempimento decorativo del piatto. Sicuramente da reinterpretare.

Dettaglio della crema di yogurt.

Anche il capitolo dolci ci lascia un filo perplessi per l’eccessivo contenuto zuccherino, non tanto del Parfait alla rosa canina con crema di yogurt al limone e cialda al sesamo e miele, in cui è obbligato il passaggio acidulo della crema di yogurt al limone

quanto per la Tarte tatin di mele con gelato fior di ricotta Seirass del Fieno, che avremmo preferito più neutra o, quantomeno, meno dolce. Anche qui, come nel dolce precedente non manca assolutamente la tecnica bensì l’equilibrio gustativo.

Dalla buona carta dei vini l’ardua scelta di un’unica bottiglia per tutto il pasto è ricaduta sul crucco Riesling Uhnlen Krober 2008.

Piccola pasticceria di buon livello. Gustosissima la crema al mascarpone con lingue di gatto.

Come detto, nel complesso, al Pomiroeu si sta davvero bene, anche se qualche tempo fa avevamo trovato una cucina meno “seduta” sugli allori dei riconoscimenti conquistati.

Recensione Ristorante

L’ultima visita ci aveva lasciato con qualche perplessità, non certamente legata ad un pranzo sottotono, anzi. Quello che avremmo preferito trovare nel ristorante di Andrea Berton era semplicemente qualche piatto che trasudasse più personalità. Invece eravamo al cospetto “soltanto” di una cucina impeccabile, bella da vedere e divertente da mangiare, buona insomma. Ma a tratti un po’ fredda. A distanza di un paio di anni tuttavia, abbiamo constatato che al primo piano di palazzo Trussardi, oltre all’indiscutibile affidabilità dell’intera brigata di cucina, ci sia più anima, più consistenza, più nettezza nei sapori. Pare che Berton stia procedendo pian piano nel suo lavoro in maniera encomiabile, ma soprattutto con più personalità e anche con più semplicità, scrollandosi di dosso quel fastidioso fardello del dover per forza di cose stupire l’avventore. Il risultato: una maggiore finezza in tutte le preparazioni. Merito del concepimento di piatti che rimarcano fermamente il credo marchesiano della pulizia dei sapori con l’utilizzo di pochi ingredienti ben distinguibili tra loro. Merito anche della continuità di clientela, cosa non di poco conto di questi tempi, e dell’ormai consolidato successo di critica e pubblico (il numero di coperti macinati dal sottostante Caffè Trussardi è da guinness dei primati). Semplicemente Andrea Berton è all’apice della sua maturità e prolificità ma, secondo noi, non ha ancora raggiunto la pienezza della sua creatività. E siamo convinti che manca davvero poco.
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Questa valutazione, di archivio, è stata aggiornata da una più recente pubblicazione che trovate qui

Recensione ristorante.

Se Atene piange, Sparta non ride…
La dialettica Roma-Milano sulla qualità della ristorazione delle due maggiori città italiane sembra purtroppo improntata a chi sta meno peggio. E se nella capitale gli indirizzi di alta gastronomia sono in numero inaccettabile in rapporto alle altre grandi capitali europee (e alla qualità e storia della nostra cucina), la situazione meneghina non ci può consolare.
Il ricordo di una visita remota nel tempo e piuttosto anonima contrastava con i recenti riconoscimenti e le belle foto sul sito: insomma, entrando da Innocenti Evasioni mi aspettavo una bella serata.
E’ stata, invece, una serata interessante e pregna di spunti di riflessione su alcune tendenze recenti, su cosa si aspetta il “pubblico”, su alcuni equivoci probabilmente involontariamente generati dagli stessi appassionati come noi. Ma no, non la definirei una bella serata.

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