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Amass

Anima polifunzionale e stile post-industriale nel cuore di Christiania, a Copenhagen

Parte della grandezza della rivoluzione scandinava risiede nel fatto che è popolata da chef che sono o sono stati, in qualche modo, legati al Noma. 

Come Matt Orlando che, dopo un’esperienza come sous-chef di René Redzepi, nel 2013 decide di ristrutturare un grande capannone nei pressi di uno dei canali di Christiania e trasformarlo in un piacevolissimo, luminoso locale stile post-industriale, graffiti inclusi, dall’anima graziosamente polifunzionale perché capace di essere al contempo ristorante, bar, giardino e luogo di aggregazione, con una disinvoltura davvero sorprendente.

Tale fluidità riesce in qualche modo a specchiarsi felicemente anche nella cucina, che ha anima vivace e ricchezza di riferimenti, ma è altresì improntata al credo, fermo, della sostenibilità. Così fanno il loro ingresso fermentazioni, marinature ed essiccazioni che, di ingredienti poveri o erroneamente destinati allo scarto, rappresentano la nuova vita gastronomica.

E che vita! 

Una cucina fluida, solida ed ecosostenibile

Lo chef americano, del resto, vanta importanti trascorsi in cucine di stampo classico come a Le Bernardin a New York e presso il Manoir aux Quat’saisons a Oxford, ma anche moderne come quella del The Fat Duck di Heston Blumenthal fino ad arrivare al Noma stesso, appunto, di Redzepi. Risalendo la china dei suoi trascorsi si vede quanto questi si riversino orgogliosamente nell’attualità di Matt Orlando, artefice di uno stile rigorosamente imperniato di genius loci scandinavo benché contaminato del proprio, profondo, bagaglio di conoscenze.

E i suoi piatti testimoniano questa fusione e permettono di spaziare all’interno di uno spettro di sollecitazioni molto ampio fatto di verticalità e ampiezza, e dove si raggiungono picchi gustativi ragguardevoli mentre una gamma di persistenze molto ampia, dovuta alla sapiente estrazione dei sapori, consente di godere di un’esperienza totale: efficace e poderosa.

Senza scomodare lo stesso Noma a lui vicino, o chef come Niko Romito, orbitante migliaia di chilometri, si può senz’altro dire che Matt Orlando coniuga materia prima locale e quintessenza quasi primordiale in modo esemplare. 

Se è nei particolari che si cela il diavolo allora è normale ricordare, anche a distanza di tempo, il brodo di ossa che accompagna il rombo, l’affumicatura del cuore di agnello che guarnisce un’insalata di mediterranea completezza o la memorabile freschezza della granita di angelica che accompagna il gelato al rabarbaro.

Copenhagen attualmente è una delle mete gastronomiche europee più stimolanti che ci siano e Amass rappresenta, a pieno titolo, uno di quegli indirizzi che rendono onore a tale attributo.

La Galleria Fotografica:

La versione 2.0 di una delle più esclusive esperienze gastronomiche dell’ultimo decennio

Prima regola di René Redzepi: vietato concepire un semplice ristorante…

Il Noma aveva chiuso i battenti un anno fa, nell’entusiasmo generale per l’aspettativa del trasferimento del ristorante in una dimensione potenziata. Facevano da preludio intriganti e uniche escursioni fuori dai confini nordici, a sperimentare e cimentarsi con un clima diametralmente opposto a quello familiare, come la ricerca di ingredienti semi-sconosciuti nella giungla del Messico, che insieme all’esperienza del pop-up australiano ha probabilmente indotto Redzepi a reinventare la sua cucina e il suo Noma.

Invero, René Redzepi non si è mai fermato. Oggi il Noma non è nè un ristorante, nè una brigata, è un’esperienza, anzi, una Comune con decine di persone che, ogni santo giorno, mettono anima e corpo in quel che fanno, che sia cucinare o piuttosto stampare i menu o piegare con cura i tovaglioli.

Si respira un magico entusiasmo a 360 gradi, che proietta il commensale in un’esperienza unica nel suo genere. A cominciare dalla straordinaria accoglienza di tutti coloro che vivono e lavorano in questo ristorante, laboratorio di idee in cui, con il passare del tempo, l’asticella si alza sempre di più.

All’arrivo del taxi ti aspettano sul ciglio della strada, conoscono il tuo nome e la tua nazionalità. E sanno che l’emozione è grande. Ti accompagnano per una passerella in legno in cui ti spiegano e illustrano cosa succede nelle serre-laboratorio dove si sperimenta in continuazione, tra nuovi piatti, studio di ingredienti e tecniche di lavorazione. E, nel frattempo, René Redzepi e i suoi fedelissimi ti vengono incontro per darti il caloroso benvenuto. Giunti alla porta d’ingresso del ristorante, ti chiedono di aprire ed entrare come fosse casa tua. Cuochi e camerieri ti danno un benvenuto ad alta voce, sorridendoti, come se fossi l’unico ospite del giorno.

Tre percorsi concettuali ogni stagione: una sfida nella sfida

La location è spettacolare. Un ex magazzino-bunker incendiato, situato nello stesso distretto della comunità hippy di Christiania, è stato trasformato in un’imponente struttura di design, con annessi orti e laboratori hi-tech, che conserva opere d’arte appositamente pensate per questo luogo: si va da Tomàs Saraceno a Olafur Eliasson.

I posti a sedere sono una quarantina di cui quattro, ogni sera, sono riservati a studenti (a un prezzo di circa 130 euro a persona).

Il menu, appena andato in scena, è interamente incentrato sul mare e i suoi frutti. Il prossimo verterà su verdure e vegetali senza l’utilizzo di ingredienti animali, mentre quello autunnale avrà come protagonista la selvaggina.

Si va da molluschi centenari – pescati nei fondali delle acque delle Isole Fær Øer da un avventuriero sub scozzese – a meduse,  cozze giganti,  alghe marine sconosciute, ma anche erbe spontanee ricercatissime, pesto di formiche, reinterpretazioni scandinave del curry. E si chiude con sofisticati dessert con gelati di alga kelp, pigne selvatiche e plancton.

Si percepisce sotto tutti i punti di vista la scelta premiante e complessa di ricercare il prodotto raro ancor prima che eccellente, come se si rincorresse una chimera (pensate che la materia prima costa un quarto del prezzo complessivo del menu, pari a circa 320 euro). È impressionante la profondità e la consistenza di ostriche, cozze e altri molluschi, ingredienti che approdano dalla rete direttamente nel piatto per apprezzare appieno la loro intensità naturale.

E i piatti meravigliosi sono più di quelli interessanti, ma più ostici. Quella di Redzepi è pur sempre una delle cucine più sperimentali che ci siano in circolazione.

Lo testimoniano preparazioni come la Testa di merluzzo glassata con una salsa di ali di pollo, a metà strada tra un teryaki e una salsa bbq, con intingoli e condimenti di accompagnamento da urlo, come il famoso pesto di formiche, dalla prorompente acidità citrica, e ancor prima, due meravigliose preparazioni in cui l’innovazione si fonde alla perfezione con sapori più tradizionali, con lo Stufato di cozze (che sembra un ragout speziato dal sapore spagnoleggiante) e il Calamaro – dalla consistenza perfetta – appena laccata da un delicato burro alle alghe. Il momento migliore la riserva l’Insalata di erbe e lumache con sottaceti e petali di rosa essiccati, una preparazione che lascia molte sensazioni in bocca rinfrescando piacevolmente il palato sul finale.

Tante, tantissime novità che, ovviamente, interessano anche il sistema di prenotazioni. Al momento della conferma del tavolo si paga interamente il costo della cena pro-capite. Circostanza che consente di fare cassa già dai 3 mesi precedenti alla prenotazione.

La sala e la cucina vengono gestite con meticolosa attenzione e professionalità da giovanissimi talenti; il cameriere incaricato di coccolare il nostro tavolo parlava perfettamente tre lingue, oltre a essere di una simpatia rara.

Prima di lasciare il ristorante, si viene accompagnati in un giro in cui si scopre che, quello che si era immaginato è in realtà ancora più grande e complesso, dal momento in cui sono oltre settanta le persone che fanno girare questa incredibile macchina dei sogni.

La galleria fotografica:

Fermento gourmet a Copenhagen. La modernità vintage del nuovo eclettico locale griffato René Redzepi

Oltre ad essere una tra le città più vivibili al mondo, Copenhagen è attualmente uno dei posti più interessanti dove mangiare. L’ultima trovata del geniale -ed instancabile- René Redzepi è il 108 (numero civico dell’edificio che ospita il locale in Strandgade).

Aperto da soli otto mesi e fresco di Stella Michelin, il 108 è una bicicletta nuova fiammante che nella sua modernità mantiene linee vintage ben studiate. Si viaggia veloci e leggeri senza dover rinunciare al brivido di poter percorrere sentieri meno convenzionali. Il come lo si scopre dal menù, che si divide tra veri e propri assaggi gourmet (rigorosamente in stile nordico) -su tutti i gamberi crudi, fragole verdi fermentate e acetosella e la barbabietola, cuore di vitello affumicato e ginepro- ed una proposta “comfort” a scelta tra tre piatti principali da condividere, a base di carne, pesce oppure vegetali: costola di manzo, cipolle grigliate, burro affumicato e capperi di sambuco; coda di rospo all’osso con cetrioli fermentati, alghe e salsa alle cozze; cavolfiore grigliato con salsa alle nocciole e pino.

Le opzioni di percorso suggerite sono dunque due: o costruirsi personalmente un’intera degustazione o, dopo un paio di assaggi, optare per una tra le generose portate principali (dette Livretter, parola danese che indica il “piatto preferito”), terminando con il dessert. L’offerta dei dolci si limita a soli tre piatti, comunque tutti molto interessanti su carta.

Lista vini essenziale con etichette per lo più francesi; si può acquistare la singola bottiglia oppure richiedere il calice. Il servizio è informale ma attento; la brigata tra sala e cucina mette insieme una ventina di ragazzi provenienti dalle più svariate parti del mondo, capitanati dal giovane chef trentenne Kristian Baumann (di origine coreane ma danese d’adozione), in grado non solo di seguire le orme del grande capo ma, grazie alla fiducia conquistata, capace di imporre la sua firma con personali creazioni ben realizzate come le ormai immancabili oxballs, frittelle ripiene di carne fatte con la rielaborazione di una pastella giapponese, quella dei takoyaki. Durante la bella stagione l’intero staff si occupa di foraging nei boschi circostanti, portando in cucina germogli, fiori, bacche, ortaggi selvatici e tutto ciò che di edibile offre il territorio per trasformarli in ingredienti da utilizzare in menù nel corso dell’anno. Come avveniva al Noma, i cuochi supportano il lavoro in sala prendendo parte al servizio ed interloquendo direttamente con il cliente, disponibili a racconti e spiegazioni dettagliate.

Traspare la voglia di portare avanti un concetto di ristorazione divertente e concreto, estremamente territoriale ed essenziale, con tante piccole attenzioni. Una cucina ricca di dettagli che tende a valorizzare l’ingrediente principale, incorniciandolo con una svariata serie di prodotti-auto-prodotti, tra cui polveri, oli, salse e vegetali fermentati. E non spaventino l’ambiente alquanto freddo e la scelta di tenere i tavoli piuttosto ravvicinati, al 108 si sta bene e si mangia ancora meglio. Inoltre, visto e considerato che ci troviamo in Danimarca, i prezzi sono più che accessibili, perfettamente in linea con la qualità del cibo e del servizio offerto.

La spavalderia è una forma di sicurezza nei propri mezzi che spinge un soggetto a compiere un atto decisamente audace.
Difficile etichettare questo modus operandi in termini positivi o negativi. Di certo, per essere spavaldi, occorre avere coraggio, sicurezza ed un pizzico di incoscienza.

Poco lontano da Torino, a Chieri per la precisione, comune famoso per i suoi grissini, da qualche tempo officia un ragazzo nemmeno trentenne, che dopo essere passato per il Noma di René Redzepi e per Del Cambio di Matteo Baronetto, ha deciso di affiancare la madre nella cucina del ristorante Geranio.
In una strada poco trafficata, in posizione dimessa, un albergo accoglie gli ospiti di passaggio, offrendo loro, all’interno della sala da pranzo allestita con tutti i crismi che gli anni ’70 imposero, una sana e solida cucina piemontese. Agnolotti del plin al sugo d’arrosto, bagna cauda, vitello tonnato e bolliti misti. Certo, questo durante il pranzo, ma al calar del sole in cucina il timone passa nelle mani di Christian, che manda in scena la sua personalissima concezione del territorio.

Senza guardare in faccia nessuno, lo chef di punto in bianco ha deciso di intraprendere una nuova rotta gastronomica, in grado di svegliare dal torpore Chieri. Nessun restyling, nessun ammodernamento delle stoviglie e delle ceramiche. Si fa con quel che si ha, si suol dire, e questo Christian con mirabile dedizione ha iniziato a fare. In scena, adagiati su piatti creati e sfruttati in origine per accogliere gli ammennicoli del bollito con i loro bagnetti, preparazioni di chiaro stampo nordico che, con un tatto a volte nemmeno troppo delicato, strizzano l’occhio alla reinterpretazione delle ricette piemontesi. Una cucina che si evolve con vigore e che trova nei suoi passaggi lo spunto per esprimersi passo dopo passo, senza cercare uno sviluppo coerente ma al contrario volendo raccontare diverse idee e differenti visioni attraverso la circolarità delle ricette. Circolarità intesa come sviluppo della concezione del piatto, che spesso riesce nell’intento di veicolare il gusto attraverso contrappunti studiati e di far terminare la “corsa palatale” nell’esatto punto in cui la suggestione scaturita al primo boccone aveva indirizzato l’immaginazione.

Cuore di lattuga, senape e pane sabbiato è la sintesi della vita della lattuga, che cresce a contatto con la terra, si concede con retrogusti quasi golosi tramite la sua succosità quando colta nel pieno della sua maturazione, per poi piano piano ossidarsi se non consumata a tempo debito. O come il cipollotto ripieno di prosciutto crudo, con salsa di rapa rossa al barbecue, che dona vitalità, attraverso la grassezza del prosciutto e l’avvolgenza terrosa della salsa, ad un cipollotto apparentemente privo di sensi a causa di un impiattamento dai tratti pulp.
Il dinamismo cerebrale di Christian Mandura lo spinge a stravolgere il menù con intervalli di tempo strettissimi, il che spesso dà vita a intuizioni brillanti, altre invece a scivoloni evitabili. Durante la nostra visita abbiamo assaggiato piatti tecnicamente ineccepibili e molto ben calibrati, seguiti da altri -come nel caso della guancetta di manzo- francamente irriconoscibili se messi a confronto.
Christian Mandura è un giovane chef talentuoso, pieno di idee e con la dote, a questo punto possiamo dirlo, di non avere paura di mostrarle. Il limite per il momento rimane la voglia di strafare, ma siamo certi che con il tempo la cosa verrà ridimensionata.

Il Geranio, attraverso un processo di maturazione che comprenderà la presa di coscienza da parte del cuoco di ciò che è veramente importante e di ciò che invece risulta pleonastico, oltre che ad un lavoro di contestualizzazione della sala, potrebbe diventare in breve tempo un altro punto di riferimento per gli appassionati gourmet, in una terra sempre più capace di coniugare sapientemente i valori culturali con la spensieratezza della novità.

Cialda croccante di verza e grissini di Chieri.
grissini, Geranio, Chef Christian Mandura, Chieri, Torino
Chips di patata, carote, maionese e piselli. La versione croccante dell’insalata russa.
chips, Geranio, Chef Christian Mandura, Chieri, Torino
Tuorlo fritto.
tuorlo fritto, Geranio, Christian Mandura, Chieri, Torino
Cuore di lattuga bruciato, senape e pane sabbiato.
lattuga, Geranio, Christian Mandura, Chieri, Torino
Cavolo nero, farina di ceci fritti e cialda al nero di seppia. Passaggio che gioca sui toni iodati e amaricanti. Nel complesso il piatto manca di fluidità, intesa come di un grasso che ne veicoli i sapori in maniera armoniosa. Da rivedere.
cavolo nero, Geranio, Christian Mandura, Chieri, Torino
Zucca, fonduta, levistico e burro nocciola. Piatto goloso di buon equilibrio. Un apporto maggiore da parte del levistico lo avrebbe reso davvero notevole.
zucca, Geranio, Christian Mandura, Chieri, Torino
Cipollotto ripieno di prosciutto crudo e salsa di rapa rossa al barbecue.
cipollato, Geranio, Christian Mandura, Chieri, Torino
Battuta di Fassone, lampone, salicornia e limone disidratato. Buona l’idea ma materia prima non all’altezza.
battuta, Geranio, Christian Mandura, Chieri, Torino
Vitello tonnato. Filetto di vitello marinato nella salsa di soia, mimosa e salsa tonnata. Preparazione al gusto più semplice rispetto ad altre ma non per questo di minor valore. Deciso, evocativo, equilibrato e goloso.
vitello tonnato, Geranio, Christian Mandura, Chieri, Torino
Gambero, cavolfiore fresco e disidratato e rafano. Il piatto della serata. Gambero eccelso che attraverso la sua consistenza gestisce I sentori amaricanti verticali e le note ampie del rafano. Christian Mandura dimostra così di avere un futuro importante.
gambero, Geranio, Christian Mandura, Chieri, Torino
Triglia, pomodoro fumè e lardo aromatizzato.
triglia, Geranio, Christian Mandura, Chieri, Torino
Testina, polvere d’acciuga e granita di peperone verde al peperoncino.
testina, Geranio, Christian Mandura, Chieri, Torino
Guancia di maiale, polenta agli agrumi e noci, polvere di lenticchie. Non abbiamo capito come questo piatto possa aver superato il pass.guancia di maiale, Geranio, Christian Mandura, Chieri, Torino
Finocchietto selvatico e Sambuca. Pre dessert geniale.
finocchietto, Geranio, Christian Mandura, Chieri, Torino
Mousse di topinambur e arachidi tostate. Dolce non dolce… troppo poco dolce, e forse troppo semplice.
topinambur, Geranio, Christian Mandura, Chieri, Torino
Mousse al cioccolato bianco, tuorlo d’uovo salato e grissini. Occorre passare sopra al fatto di essere di fronte al secondo tuorlo d’uovo intero all’interno di una degustazione, e per di più presentato crudo. Comunque dessert gradevole nella sua semplicità.
mousse, Geranio, Christian Mandura, Chieri, Torino
Cioccolato fondente al 72% e broccolo essiccato… per lasciare l’amaro in bocca! Ottimo spunto.
dessert, Geranio, Christian Mandura, Chieri, Torino

“Nel tentativo di plasmare il nostro modo di cucinare, guardiamo al nostro paesaggio e approfondiamo i nostri ingredienti e la nostra cultura, nella speranza di riscoprire la nostra storia e il nostro futuro”.
Mangiare al Noma oggi significa fare un’esperienza fuori dal comune. È riduttivo parlare soltanto di cibo. Cosi come riduttivo è limitarsi alla valutazione gustativa ed emozionale del singolo piatto senza contemplarlo – probabilmente a mente fredda – soffermandosi sulla filosofia e la costante ricerca che c’è dietro ogni preparazione. E’ solo prendendo un aereo per la Danimarca che si riesce a concepire l’incredibile successo di questo cuoco e del suo luogo. René Redzepi, fenomeno classe ’77, ha (re)inventato la cucina dei paesi del Nord, un po’ come hanno fatto i fratelli Adrià con la cucina moderna, ed il pensiero della sua NOrdisk MAd ha avuto una tangibile influenza su moltissimi cuochi e ristoranti, non solo nordici. (altro…)