La naturale evoluzione dell’offerta ristorativa firmata Ciccio Sultano non poteva che culminare in un locale come questo: un luogo in cui raccontare la Sicilia a tavola in tutte le sue poliedriche facce, dal pane ai formaggi, dalla pasticceria allo street food, fino ai suoi piatti più emblematici.
Un locale da vivere in libertà e nella sua interezza: per 5 minuti come per tre ore.
I Banchi lascia spazio alla natura più istintiva di Ciccio Sultano, quella ha contraddistinto il suo successo già al Duomo.
Un locale che si sviluppa come un corridoio spazio-temporale: dalla colazione fino alla cena, ci si muove tra le diverse sale in cui trovano spazio delle vetrine accattivanti piene del meglio che la Sicilia può offrire.
Che sia un grande cannolo o semplicemente un caffè come si deve, la parola d’ordine è una sola: qualità. Un tentativo di spezzare la distanza tra il cliente, siciliano ma non solo, e la ristorazione di alto livello.
La ristrutturazione del centralissimo Palazzo Di Quattro è semplicemente splendida; la materia è la protagonista assoluta degli spazi: la pietra e l’acciaio si fondono in un risultato assolutamente convicente.
La tavola conviviale (e la splendida cantina) sono l’epilogo ideale di un percorso obbligato: la gioia dello stare a tavola e della comunione trovano piena espressione nella grande tavolata in cui ci auguriamo possano prendere vita sempre più numerose iniziative.
La cucina è affidata a Giuseppe Cannistrà, a lungo a fianco di Sultano e ora suo socio in questa nuova avventura.
La sala è invece in mano a un’altra vecchia conoscenza del locale di via Bocchieri: Alfio Magnano ha la possibilità di dimostrare il suo valore gestendo in prima persona il rapporto con i clienti.
Le carte per fare bene ci sono proprio tutte e, nonostante la recente apertura, il nostro pranzo è stato di gran livello.
Una cucina di sostanza, di abbondanza, molto siciliana anche nei suoi tratti più grevi, che richiede forse un pochino di controllo in più solo sulle sapidità.
Centrata nel gusto e nelle scelta dei piatti da proporre in carta, giustamente orientata sulla semplicità e sui grandi classici della cucina sicula.
Dopo il Duomo, un’altra finestra aperta sulla Sicilia, un altro motivo per venire nella splendida Ragusa Ibla.
Il locale.
Le vetrine dei salumi/formaggi, del pane/pizza, della pasticceria.
Il pane in tavola, ottimo.
Pizze e sfincioni: chi ha assaggiato la sfincione del Duomo, sa di cosa stiamo parlando.
Appetizer:
Cous cous, yogurt e pomodoro.
Arancina con crema di ragusano.
Difficile trovare una arancina (o arancino!) fritto meglio. Spettacolare. Il ragusano però spinge troppo sulla sapidità del piatto.
Pasta con le sarde, omaggio a Palermo.
Zafferano, uvetta passa, finocchietto selvatico e pangrattato tostato.
Ecco un piatto di pasta appagante anima e corpo.
Lasagnetta di pesce azzurro e broccoli “arrriminati”.
Sgombro, sarde, broccoli, besciamella e salsa allo zafferano.
Voluttuoso.
Pesce spada panato al pistacchio.
Con salsa bbq e finocchio cotto a bassa temperatura.
Si riprende l’idea già sviluppata al Duomo con la ricciola, questa volta il protagonista è il pesce spada, prima cicatrizzato, poi marinato e infine cotto con impanatura di ceci e pistacchi.
La tecnica al servizio del gusto: come rendere giustizia al pesce spada, troppo spesso ultra-cotto in troppi ristoranti siciliani.
Cannolo di ricotta vaccina e granita di mandorla.
Cassata siciliana e gelato di nocciola.
Un fresco accompagnamento.
“Qui si santifica il porco!” mai figura retorica fu più azzeccata. Siamo a Chiaramonte Gulfi, patria della grandissima monocultivar, la tonda iblea, tra le olive da olio più buone al mondo. Ma siamo anche nel centro di un luogo in cui la tradizione del maiale è ben radicata. Insieme ai nebrodi e alle Madonie qui, sui monti Iblei, il maiale e i suoi frutti, è proprio il caso di dirlo, l’hanno sempre fatta da padrone.
E qui dal 1896 officia Majore, ormai alla quarta generazione. Osti ma anche produttori di semilavorati del prezioso animale. Un luogo di culto, un locale storico italiano. In cui da sempre si propone imperturbabile lo stesso rito di pietanze. Perchè chi viene qui lo fa per magnificare il porco in tutte le sue sfaccettature. La qualità è ottima, la varietà invece, ma c’è un senso, è scarsa. E forse sarebbe il caso di svecchiare, alleggerire un pò cotture e intingoli per renderli più attuali e moderni. Ma Majore continua a mietere successi, merito anche dell’ultima generazione, uomo e oste di profonda cultura e sensibilità, che saprà allietarvi, oltre che con le sue straordinarie preparazioni, anche con una cantina ricca di grande varietà e qualità che qui non vi aspettereste. Preparato ed attento saprà soddisfarvi al meglio. Evviva il porco! evviva il Maiale! Venite da Majore, non ve ne pentirete. Meglio, forse, a pranzo, per avere il tempo di smaltire cotanta abbondanza sicula.
Antipasto con salame di maiale nero.
Antipasto con salame di maiale large white.
La famosissima, intensa ed acidula gelatina di maiale.
Ottimi ravioli di ricotta con sugo di maiale.
Risotto, ma al sud si sa viene chiamato impropriamente così un riso, con salsiccia di maiale e formaggio.
La fantastica cotoletta di maiale “nbuttunata” : ripiena di uovo, impasto di maiale e salsiccia.
Contorno di sanapune (senape selvatica) e cardoncelli
Il falsomagro di Majore : polpettone ripieno
I nostri degni compagni d’avventura.
Ingresso ed alcuni particolari della sala.
La Sicilia racchiusa tra quattro pareti e un soffitto, al Duomo di Ciccio Sultano.
Non è cosa facile.
Come fai a raccontare una terra così in un paio di ore?
I profumi, la storia, la cultura, le mille contraddizioni, la voglia di riscatto che a volte fa a pugni con la pigrizia del pensiero.
Come fai poi a raccontarla tenendo il tuo interlocutore seduto a tavola?
Sembra incredibile, eppure è proprio questo ciò che fa un grande ristorante: racconta storie, dispensa cultura, fa entrare in comunicazione con popoli diversi, ti fa sentire meno straniero. E poi, non c’è dubbio, dà da mangiare, parola di cui non bisogna avere paura o vergognarsi, perché è anche per saziare la fame che si va al ristorante.
Allora è giusto questa volta parlare del ristorante Duomo, e quindi della sua cucina ma non solo.
Perché se è vero che i piatti di Ciccio Sultano hanno avuto negli ultimi due anni una evoluzione strabiliante, sapendo affinarsi pur mantenendo il loro carattere strabordante, è altrettanto evidente la crescita che tutto il Duomo sta vivendo.
Un bel locale, caldo, accogliente, elegante.
Una servizio di sala preciso, preparato, guidato da un Valerio Capriotti veramente maestoso per approccio al cliente e per la capacità di elevare il divertimento “liquido” al livello della cucina di Sultano. Un uomo di sala che si muove con una facilità disarmante tra tavoli molto diversi e che sa smussare gli angoli, dove serve, contribuendo in maniera decisiva al successo del ristorante.
Ad oggi, uno dei migliori ristoranti che si possano visitare. E non più solo della Sicilia, cosa che una decina di anni fa già sarebbe stato un grandissimo traguardo, ma dell’Italia intera.
E’ un grande risultato, frutto di tanto lavoro e tanta passione.
E queste sono cose che si avvertono, le good vibrations sono nell’aria ed è questo il momento giusto per venire a Ibla.
Per fare un bagno nella sicilianità. Quella che con una mano ti carezza il viso e con l’altra ti da un buffetto sulla nuca. Quella del dolce e del salato che si confondono, dell’agrodolce, del pesce e della carne, della ricotta e dei capperi, delle olive e delle fave, del pistacchio e dei ceci croccanti.
Quanta abbondanza, quanto lussurioso piacere si avverte in questi piatti.
Creazioni di un cuoco che desidera ardentemente nobilitare la condizione artigianale, senza mai staccarsi da essa.
Ciccio racconta il suo mondo con il linguaggio che gli è più consono: le sue idee sono quelle di un uomo maturo, che ha saputo affinare molto il suo lavoro, mettendogli un bel vestito, curandolo nei dettagli, ma senza fargli perdere quella forza devastante che è caratteristica distintiva di questo cuoco e questa insegna. E’ sempre stata cucina maschia, scontrosa, forte, e sempre lo sarà. Ma questo è solo un bene quando si raggiungono certi risultati.
Il menù provato in questa occasione è un bellissimo viaggio che muove dalle campagne Iblee fino ad abbracciare tutto il Mediterraneo (e oltre).
E’ il menù che definiremmo della consapevolezza, della fiducia.
Tanto verde, marroncino, colori tenui delle campagne iblee. Affumicature. Funghi, lenticchie, pastinaca. E un filo conduttore sottile steso tra l’appetizer e la portata principale di pesce: un menù, una storia.
L’idea di fondo potremmo racchiuderla in un piatto, apparentemente banale, eppure così carico di significato da sapere commuovere.
Un semplice carciofo “arrostuto”, a fine pasto, poco prima del dessert.
Da gustare foglia dopo foglia, succhiando il meglio e scartando la scorza, quello che non è digeribile, che non si mastica. Con calma e piacere, sporcandosi le mani, come è giusto che sia. Fino ad arrivare al cuore, morbido, generoso, gustoso. C’è un sottile e beffardo parallelismo con questa gente, che prima ti scruta, e poi ti apre tutto il suo mondo senza alcuna barriera.
C’è più Sicilia in questo carciofo che in qualsiasi tour organizzato.
E’ il carciofo della scampagnata, della brace ardente, quello che ti sei dimenticato vicino ai tizzoni ardenti e poi riscopri, dopo esserti riempito allo stremo di “sasizza arrostuta”, e ti porta a ricominciare tutto da capo, quando ormai la festa sembrava finita.
E’ la Sicilia. E’ Ciccio Sultano. E’ il Ristorante Duomo.
Uno dei nostri TOP20 da seguire in questo 2015.
Mira Porta del Vento e Cassis: dopo i sorrisi, si inizia così, un Kir Royal dall’accento siculo.
Lo sfincione: chi è già stato qui lo sa, pericolosissimo, crea dipendenza.
Oliva ripiena di marzapane, Emulsione di olio, Polvere di capperi, Ceci croccanti
Il primo chiodo a cui attaccare il filo su cui si reggerà tutto il pranzo. Tutto con le mani, rigorosamente. Impressioni di Ragusa.
Oliva ripiena di fagiolo e marzapane al pistacchio
Testina di maialino in gelatina, limone e peperoncino
Secondo appetizer: ancora una oliva, ma dai risvolti gustativi completamente diversi. La gelatina è un inno al territorio sontuoso.
Schiuma di latte, sale maldon, olio, caffè, crema di funghi e ostrica.
Una portata grandiosa, dalla persistenza infinita. Un caleidoscopio di sapori, che si mischiano e si accavallano in bocca, pur mantenendo sempre una logica interpretativa.
Terra e mare.
Cialde di nero di seppia, crema di ricotta, gamberi insabbiati, crema di sanapo.
Crema di ricotta tiepida, vellutata, dal sapore intenso: abbraccia gli altri ingredienti e li accompagna dolcemente. Il sanapo è l’amaro e il vegetale che risveglia i sensi intorpiditi.
Intermezzo defaticante: Bitter di fiori, sorbetto al miele di fiori, gocce di estratto di rosa, acqua di gelsomini, finocchio e liquirizia. La classe di Valerio Capriotti per un cocktail poderoso: ne berresti a litri, al tramonto, sulla sdraio, vista mare, in un inverno mite.
Spaghetto ai ricci di mare, lattuga di mare e salsa amaricante fumè
Salsa al sanapo e the nero che con la sua nota affumicata regala grande profondità al piatto. La pasta è intensa, si sente il grano. Ci sono periodi migliori forse per i ricci, ma questi non sfigurano.
Tartare di tonno ripieno di uovo, foie gras, pane integrale, cappero, tartufo.
Ecco uno dei capolavori della giornata. Questo piatto ha davvero tutto: consistenze studiate al millimetro, gusto, dolcezza (incredibile la caramellizazione in superficie del foie), un pizzico di salato, poi l’amaro. Un unico appunto alla minuta presenza della fragola, che forse tanto senso non ha.
Piccione, patata, ostrica.
One shot. Boom!
Cotoletta di ricciola, ceci croccanti, olive nere farcite di pasta di mandorla, taccole, capperi, fumetto di pesce con the nero affumicato.
Ecco il secondo chiodo che tiene appeso l’altro capo del filo. Così si era cominciato, così si chiude (o no?). La cottura della ricciola è precisa, cottura avanzata ma non troppo, giusta per mantenere tutti i succhi. I ceci croccanti sono il ricordo d’infanzia di ogni bambino siciliano. Olive nere e mandorle, in bilico tra salato e dolce. E poi l’affumicatura: camino, fuoco, brace. Ecco la Sicilia di dicembre. Una istantanea nel piatto.
Secondo intermezzo: birra Tarì alla carruba, gazzosa, arancia. Ancora Sicilia, dal piatto al bicchiere.
Carciofo arrostito. Allora non è ancora finita? No, facciamo solo spazio…
Gelato al tartufo di Palazzolo Acreide e caviale. Un classico immortale. Sempre sconvolgente la sua bontà.
Maialino nero dei Nebrodi con sugo dello stesso e cioccolato, pastinaca viola cotta e cruda, lenticchie croccanti, fave. Questo è Ciccio Sultano. Tanto. Non troppo. Proprio tanto.
Riso soffiato, fave di cacao, zucca, mandarino, cioccolato
Bauletto di tre consistenze al cioccolato, panna cotta al mosto, sorbetto ai frutti rossi, gocce di amarena e cuccia (grano). La pasticcera è Carlotta Occhipinti: la ragazza sa il fatto suo. Abbiamo assaggiato anche altri dessert, tutti di altissimo livello. Un altro piccolo tassello al posto giusto nel mosaico del Duomo.
I vini che ci hanno accompagnato in questo viaggio:
Granite – Domaine de l’Ecu 2012
Villa Diamante Cuvee Enrico: fiano raccolto dalla Vigna della congregazione nell’annata 2000, maturato in barrique per sette anni, di cui una parte all’aria per far sviluppare il velo di lieviti.
Non ci sono parole per questo vino: infinito, da annusare, gustare e godere.
Saint Clair Estate Pioneer Block Sauvignon 2013
Our wine Rkasiteli Vineyard Akhoebi 2011
Terre Bianche Rossese di Dolceacqua 2000
Villa Russiz Merlot 1998
Perpetuo di Cerasa Guccione.
Anche questa bottiglia ci ha colpito un bel po’.
Tre ettari di trebbiano creano questo perpetuo, così chiamato perché frutto di miscelazione di annate consecutive. Ogni anno le botti, cariche di vino di varie annate precedenti, vengono ricolmate con il vino nuovo. Ne vengono prodotte annualmente solo 393 bottiglie, un prodotto quindi davvero raro. Una esperienza.
Ragusa Ibla è un concentrato d’arte: barocca nelle vie, culinaria in tavola.
Passeggiando tra gli edifici, i monumenti e le chiese di gusto tardo barocco che l’hanno portata ad essere inserita dall’Unesco nella sua World Heritage List, ci si può imbattere in alcuni dei ristoranti più apprezzati e premiati dell’Isola.
Fra questi, senza dubbio, la Locanda Don Serafino.
Ricavato negli antichi magazzini adiacenti la Chiesa dei Miracoli, il ristorante dei fratelli La Rosa si presenta ricco di charme sia che si opti per le sale interne, scavate nella roccia, sia che, nel periodo estivo, si scelga la bella terrazza esterna.
L’accoglienza è garbata pur nel suo formalismo. La brigata di sala accompagna l’esperienza gastronomica con un servizio forse un po’ affettato ma comunque curato e puntuale.
La cucina è da oltre dieci anni nelle capaci mani di Vincenzo Candiano.
Chef autoctono, riservato, schivo, ad un tempo umile e fiero, non vanta particolari esperienze negli atelier dell’haute cuisine internazionale ma ha un curriculum fatto di impegno e dedizione assoluta.
Impegno e dedizione che gli hanno consentito di crescere, anno dopo anno, fino a diventare uno dei cuochi più apprezzati della regione e, di pari passo, di portare in alto il nome e la reputazione del ristorante, premiato con la prima stella nel 2008 e con la seconda nel 2013.
Il susseguirsi delle proposte racconta di una cucina con i piedi ben piantati in Trinacria: protagonisti gli ingredienti, gli aromi ed i profumi dell’Isola ed in particolare dell’altopiano ibleo. Un protagonismo che viene abilmente mediato dalla buona tecnica con la quale lo chef dona ai piatti quella modernità che li rende efficacemente sospesi tra tradizione ed innovazione.
E’ una cucina convincente quella di Candiano. Poche le concessioni ad inutili leziosità stilistiche e, sebbene non si raggiunga forse in nessuno dei passaggi una vera e propria estasi palatale, diversi sono i piatti ben concepiti e ben eseguiti.
Accattivanti, ad esempio, nella loro diversità, sia gli spaghetti neri con ricci, ricotta e seppia, sia i tortelli di pollo ruspante e fegatini, mentre le crudità di mare ed il tonno alalunga sono i testimoni più emblematici della grande attenzione riservata alla qualità degli ingredienti.
Il dessert presta invece il fianco a qualche riserva, restando un filo al di sotto della media, pur non compromettendo il risultato di un’esperienza che resta in ogni caso soddisfacente.
Interessante la cantina affidata alla supervisione del sommelier Antonio Currò, suggestiva sia per il cospicuo numero di etichette (oltre mille), sia per la pittoresca location che le ospita (e che merita una visita). Ricarichi in linea con il livello del ristorante.
Chi conosce ed ama questa affascinante parte della Sicilia, i suoi paesaggi, i suoi colori ed i suoi profumi, potrà facilmente riscontrare nei piatti della Locanda il forte legame dello chef con la sua terra d’origine. Chi ancora non la conosce farebbe bene a mettere in programma una visita quanto prima. Ne gioveranno lo spirito ed il palato.
In estate le affascinanti sale con le pareti in pietra lasciano il posto alla bella terrazza.
L’amuse-bouche è una sarda a beccafico con salsa di sedano: delicata ed equilibrata.
Crudità di mare: cannolicchio con uova di salmone e riccio di mare, sandwich di cernia, pancetta croccante e melone cantalupo, ricciola di fondale. Un inizio fresco e gradevole.
Tartare di asino con zabaione alla birra, crescioni e chips di carote e patate. Un buon passaggio.
Passatina leggera di fagioli “cosaruciari”, cozze affumicate e capesante: gusto delle capesante non pervenuto, prevaricante la nota fumé delle cozze mentre la passatina, a dispetto del nome, tanto leggera non sembra.
Spaghetti freschi neri con ricci, ricotta e seppia: un piatto incentrato sui contrasti. Di colori, di consistenze e di sapori. Strutturato ed equilibrato con la nota dolce/iodata dei ricci che resta persistente sul palato.
Tortelli di pollo ruspante biologico con sugo di fegatini al marsala e aria di limone: molto buona la pasta, tirata a dovere. Un piatto interessante con i fegatini protagonisti.
Tagliata di alalunga con soffice di melanzane alla brace, pesto di menta e semi di canapa con pomodori infornati: tonno tenero e saporito, interessante l’accostamento alla mousse di melanzana.
Quaglia farcita dei sapori dell’altopiano ibleo: tenera, dal gusto equilibrato. Centrata la cottura, ben calibrata la panatura alle erbe, gustosa la ratatouille di contorno.
Come predessert un Pesca Bellini: gioco di consistenze tra pesche fresche, mousse di pesche e gelo di pesche con biscotti alla lavanda.
Crème brûlée alla carruba e semifreddo al pistacchio con gelato al caffè e salsa di yogurt di bufala. Un buon dessert che però non si fa ricordare.
La selezione di vini proposta in abbinamento:
Almerita Brut 2010 Tasca d’Almerita
Zahara 2013 Casa di Grazia
Grand Cru 2012 Tenuta Rapitalà
Amarone della Valpolicella 2004 Speri
Cielo d’Alcamo 2012 Tenuta Rapitalà
Ibla è un luogo magico dove ogni strada, ogni piazza, ogni angolo, anche il più nascosto, ha un fascino unico che non può lasciare indifferenti.
A due passi dallo splendido Duomo barocco di San Giorgio, uno dei più fulgidi capolavori di Rosario Gagliardi, sorge un grandissimo ristorante italiano.
L’anima e il cuore di un grande ristorante è composta di due componenti fondamentali: un ottimo chef, coadiuvato da una brillante brigata in grado di trasmettere storie ed emozioni nel piatto e un direttore di sala in grado di far girare a pieno regime il servizio senza affanni, mettendo il cliente a proprio agio, facendolo sentire un ospite gradito e, per due ore, il vero centro del mondo.
Al Duomo tutto questo c’è.
La sala, gestita con amore e grande professionalità da Valerio Capriotti, gira come un motore di Formula Uno. Valerio oltre a essere un ottimo maitre è un perfetto sommelier che riesce a gestire con classe l’imponente cantina e che, se gli si lascia carta bianca, grazie alla perfetta sinergia con la cucina è in grado di creare menù sartoriali abbinati a vini mai banali, a completare e chiudere in modo brillante il cerchio gustativo.
Tutto ciò rappresenta la metà di un ristorante ideale, ma per renderlo effettivamente tale è necessario anche uno chef con talento e con le idee chiare, ed è qui che entra in gioco Ciccio Sultano.
La sua è una cucina unica, siciliana al cento per cento, riconoscibile ad occhi chiusi, frutto di una personalità e di un carattere forte e determinato.
La storia professionale di Ciccio è fatta di anni di studi e di ricerche approfondite sulla storia della cucina siciliana, sia quella più strettamente popolare e popolana sia quella baronale e fastosa tipica dei palazzi nobiliari. E’ il frutto di una ricerca estrema sulle materie prime, che devono essere sempre le migliori, quelle giuste per ottenere i risultati voluti senza compromesso alcuno e di anni di gavetta e di tanta, tanta voglia di emergere e di far conoscere e valorizzare la sua amata terra.
Il risultato di tutto ciò non può che essere una proposta che sprigiona passione e voglia di far bene da qualunque angolazione la si guardi.
Una delle critiche che spesso vengono mosse a Sultano è quella di proporre una cucina barocca, nell’accezione più negativa del termine, una cucina più dell’aggiungere che del togliere, ma è veramente difficile concordare con questa definizione.
Infatti dopo il primo assaggio, come per incanto, tutti i dubbi spariscono e ci si lascia cullare dal fascino di un’esperienza difficilmente ripetibile altrove, piatti sicuramente non di facile concezione, ma, che confezionati da mani sapienti riescono a diventare piccoli capolavori.
Questa è una cucina lontana anni luce dalle mode, che seduce con un rincorrersi di dolce, acido, amaro, salato coinvolgendo tutti i sensi e sfatando i luoghi comuni con combinazioni audaci e mai scontate. Richiede attenzione e curiosità ma riesce sempre ad esprimere piatti armonici e dall’equilibrio perfetto. Uno stile di cucina che sembra nato apposta per sfatare la regola dei tre elementi, ma che aggiungendo anche più di quello che sembrerebbe logico e necessario riesce a risultare sempre comprensibile e convincente.
Lo chef, con il passare degli anni, ha acquisito una sempre maggiore tranquillità e, probabilmente, la piena maturità espressiva. Smussando gli angoli di una proposta che, in taluni casi, poteva apparire fin troppo carica e senza per questo stravolgerne la natura e l’estrema originalità, Sultano è riuscito a costruire un locale unico nel suo genere, uno dei più interessanti ed originali non solo dell’Isola, ma dell’Italia intera.
Le sfoglie croccanti.
Il cestino del pane con in primo piano “u sfinciuni” caldo che crea dipendenza.
Spada marinato, spuma di pistacchio, insalata di melone: Sicilia a tutto tondo, mare, terra e uno spada da primato mondiale.
Cannolo, caviale, ricotta, gambero: ancora territorio in questa nobile riproposizione del cannolo alla siciliana anche qui materia al top.
Spaghetti di sesamo, totano, alga mauro, lattuga, toma fatta in casa: un grande primo piatto, perfetta la cottura, mare e terra che si abbinano alla perfezione tra sensazioni lattiche e iodate.
Zuppetta di ricotta, gamberi, ricci di mare crudi, cialda al nero di seppia.
Triglia di razza a “piscirovu”: Filetto di triglia, razza e pesce d’uovo (frittata senza uovo tipica del Vittoriese), un piatto all’apparenza opulento e di difficile equilibrio e che invece regala complessità, profondità e grande piacere.
Fusilli fatti in casa, scampi e passata di zucchine.
Omaggio allo spaghetto allo scoglio: semplicemente ottimo.
Filetto e ventresca di tonno, demi-glace di vitello, verdure al carbone: il paradigma per un piatto di tonno, ovvero qualità eccelsa, cottura al millisecondo e fondo da scarpetta.
Maialino nero dei Nebrodi laccato al carrubo, salsa di melone cantalupo, carota al forno e polvere di porchetta: filetto cotto alla perfezione, controfiletto con ripieno alla Chiaramontana (frutta secca, salame, ritagli di maiale) entrambi succosi, saporiti e consistenti.
Gelato al tartufo.
Pre dessert: sorbetto di limone, erbe citriche, tè cinese.
Il Cannolo: cialda o “scorza” perfetta e croccante, ricotta vaccina Ragusana, Zuppetta calda di Fico d’India, sorbetto di Mandorla Pizzuta d’Avola
La piccola pasticceria.