Passione Gourmet Pinerolo Archivi - Pagina 2 di 2 - Passione Gourmet

Prima della Prima: Christian Milone

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CREMA DI CECI E NOCCIOLE AL TARTUFO BIANCO, GELATO DI OSTRICHE

Pensavamo di averlo ripiegato in fondo a qualche scatolone, il trompe-l’oeil, genere egemone del lungo carnevale spagnolo, fra il trantran del repertorio e la quaresima interminabile della contemporaneità. Finito nella soffitta della storia con qualche coriandolo ancora sparso sopra, come una maschera divertente da rispolverare nelle occasioni di rito. Sorridendo del fungo-prosciutto di Quique Dacosta o del carpaccio di cocomero di Andoni Luis Aduriz, per non parlare della terra in cioccolato di Ferran Adrià. Virtuosismi certo, tesi a dimostrare la padronanza del cuoco sul prodotto, nel senso letterale del possesso. Antitetici rispetto al puritanesimo di quella cucina della verità che ha preso piede da qualche tempo a questa parte.
Pensavamo, appunto, perché il trompe-l’oeil probabilmente ha solo cambiato tecniche e funzioni, spogliandosi della dimostratività del tour-de-main per farsi attrezzo di una cucina del sospetto, che allerta maliziosamente l’attenzione di chi mangia su ciò che sta realmente mangiando. Niente di effettistico insomma, piuttosto un dubbio insinuante che rosicchia l’ideologia della cucina. Come nel caso della crema di ceci e nocciole al tartufo bianco e gelato di ostriche di Christian Milone, preview culinaire dove l’illusionismo si sdoppia in un gioco ora manifesto, ora sottile. Gustativamente e concettualmente stringente.
Da una parte la castagna-tartufo, presentata sotto la cloche e affettata con la mandolina d’ordinanza secondo la più popolana delle tecniche: i marroni di Garessio pelati sono rimasti chiusi in un barattolo sottovuoto insieme ai tuberi per 1 settimana, impregnandosi dei loro profumi come il riso, ma senza effetti disseccanti, per un esito di sorprendente intensità. Dall’altra la crema di ceci ottenuta unendo loro nel Bimby un 30% di nocciole trilobate di Langa, precedentemente cotte a 60 °C per 2 ore: la frutta secca viene trattata al pari di legumi, arricchendo la testura e veicolando i profumi sulle ruote della componente grassa. Infrangendo soprattutto la routine sul muro dell’errore categoriale calcolato.
Non basterebbe se questo monocromo di stagione, imbastito sul canovaccio del comfort food regionale, con la trama delle affinità merlettate di nocciole, non sbattesse sullo scalino poetico del contrasto, secondo una legge del bello. Quella che richiede che “la distanza sia estrema e l’evidenza inconfutabile”: “Come non scorgere una legge dell’estetica in questo obbligo di paragonare i contrari?”. È il gelato di ostriche crude e acqua di ostriche, contrappasso sapido, fresco e straniero, soprattutto interlocutore olfattivo del tartufo, che irretendo nel suo profilo iodato la prepotenza degli idrocarburi sposta lungo la mucosa olfattiva il baricentro del piatto.
Ma la carta a venire riserva altre sorprese: la cialda di porcino, capolavoro analitico dove il fungo è destrutturato e riassemblato (fuori una cialda composta di isomalto e cuticola, la parte più intensa, sporca e amarotica del fungo, trappola microbica del genius loci; dentro una farcia di cappella e gambo saltati; il tutto sospinto dal supporto di muschio e foglie secche nell’alveo di una cucina emozionale e dell’istante, che lavora separatamente sull’olfatto e sul gusto); l’iper-primitivista salmone “affumicato” dal mucchietto di trucioli di liquirizia a bordo piatto, con la guancia spadellata alla lavanda da scalcare a mano, sorta di sot-l’y-laisse ben più pallido, soave e moelleux del resto della polpa, sul modello delle kokotxas basche ma con crudeltà tutta nord-europea; la carne cruda brasata al vino rosso, crasi di due classici piemontesi che inverte crudo e cotto, come la cotoletta sbagliata di Matteo Baronetto, dove la classica battuta di coscia nella sua integrità aristocratica è condita dal sugo liofilizzato al vino rosso.

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E allora signori tutti a Pinerolo!
“scusi Calboni ma sono 1200 chilometri!”

Ecco, 1200 forse no, ma un quarto della distanza comincia a non essere troppo per raggiungere questa cittadina lontana da tutto e sedersi a tavola non a casa della zia del fantozziano Geometra, ma in uno dei ristoranti più interessanti della regione. Ho seguito la parabola dell’ex ciclista Milone fin quasi dal suo esordio ufficiale ai fornelli, quando il menù della Trattoria Zappatori era un Giano diviso tra piatti di spiccata matrice regionale e creazioni assai ardite, ma alcune volte rielaborazioni di concetti già abbondantemente sviluppati da altri. Il desiderio di intraprendere un proprio percorso è stato però evidente fin dalle origini, e la sensibilità peculiare di questo ragazzo è ora venuta fuori, anche se non ancora al 100%, sostenuta dalla mano sicura che ha sempre avuto anche negli sbagli.
Ora all’ingresso della Trattoria, che continua sotto la stessa guida il suo percorso autonomo, è stata creata una piccola sala dedicata al coté più gourmet della cucina di Christian Milone. Circondati da vetrate e da un minuscolo giardino zen ci si siede ad uno dei due tavoli della Gastronavicella. Ecco, il nome a me ricorda un sondino per endoscopie, ma mi assicurano che sia un nome bellissimo ed a me piace fidarmi. Alla Gastron… no non ce la faccio a riscriverlo, dicevo, nell’ala gourmet della Trattoria Zappatori si sceglie all’interno di una lista di una dozzina di piatti salati e di qualche dessert la “taglia” del proprio percorso (3,5,7 o 9 portate più entrate e dolci) e si decolla per l’avventura. La prezzatura del menù denota una certa ambizione, ma d’altronde se il blasonato vicino valuta il proprio una banconota gialla questo appare una passeggiata.
Il rombo della stufa sarà forse a rievocare il motore della gastronavicella, ma diversamente dalla scena di un programma spaziale non si staccherà dopo il decollo ed assumendo le fattezze di inesorabile acufeno ci accompagnerà fino all’atterraggio, non senza rimpiangere di non avere il martello di Thor. Si parte con una serie di snack, crippiana sì nella collocazione, ma assolutamente personale nell’esecuzione. Le necessarie istruzioni per l’uso vengono fornite in anticipo ed apprezziamo una vasta teoria di preparazioni fra cui eccellono senz’altro un uovo marinato in miele di castagno ed aceto, un agnolotto fritto e la composizione di rapa e nutella. L’insalata 2012, che contrariamente all’aspetto non è una moderna spugna a microonde ma un semplice pezzo di pane affogato in bagno di insalata, ci porta su atmosfere di grande freschezza, così come il successivo scampo con grassagallina e tè verde.
Un paio di piatti fanno quasi gridare al miracolo. Le tagliatelle verdi al pelargonio, in cui il verde è dato da un centrifugato di portulaca, sono di un’intensità aromatica con pochi eguali, in cui l’assaggio è solo conseguenza, e la masticazione un piacevole proseguimento di un’esperienza sensoriale che si apre ben prima dell’assaggio. Anche le cozze, che giocano sullo iodato e sull’acidità del lime presente nel nero, regalano momenti emozionanti. Appena scaldate in microonde e farcite dell’emulsione della propria acqua, danno una quarta dimensione al mitile, sulla falsariga di quanto già realizzato da Lopriore.
Il riso mare e monti mette l’uno contro l’altro muschio (il riso è cotto in un infuso di esso) e ostriche, creando un interessante connubio, anche se la consistenza non risulta ideale.
Sulle carni da tempo Milone ha sempre dimostrato affidabilità e la conferma in occasione di questa visita. Il colombo sostituisce il più battuto piccione e viene presentato con coscia e petto cotte ed abbinate a foglie amare come belga e radicchio a giocare sul dolce/amaro, con salsa al cioccolato bianco e noce moscata. Prima di iniziare, due riccioli di crudo appena marinato. Ruffiana nella concezione ma equilibratissima nel l’apportare anche una giusta freschezza è la lingua, da sempre uno dei punti di forza, questa volta alla pizzaiola. Convince assai meno più che altro per l’eccesso di speziatura l’albese 2.0, ossia una fetta di diaframma bovino cotto unilaterale su una pietra rovente con pepe e cannella. Le papille anestetizzate non sono in condizione di apprezzare il gusto di un taglio di carne dalla curiosa consistenza ipercallosa.
I tradizionali agnolotti, ripieni di amaretti e ricotta, vengono serviti alla fine del percorso salato con erbe e zenzero, dando sfoggio di sé nell’abbinamento con le diverse note vegetali. A precederli, una discutibile versione dell’acido-amaro, con fragole e schiuma di rucola.
Il dolce invece più che sull’acido-amaro gioca sul solo amaro. Il nome del piatto è “Tostato”, e la cialda di caffè che funge da elemento gustativamente portante viene accostata a diversi elementi di supporto come una rapa gelificata (dal curioso aspetto di lardo di Colonnata) e gelato di cicoria. Il risultato non ci ha esaltato per mancanza di sintesi, si cerca qualcosa che si rischia di non trovare per la molteplicità di elementi in gioco. A volte apprezzo questo tipo di ricerca senza direzione nel piatto, ma non quando so in partenza che il piatto deve andare nel verso di una specifica sensazione, in questo caso della tostatura.
Notevole come sempre la pasticceria tradizionale, con la lunga fila di bicchierini e pirottini ad abbracciare un’ampia gamma di dolci piemontesi ma non solo (in questa edizione oltre al bunet troviamo panna cotta, tiramisu e Sacher). Menzione d’onore per il cri-cri. La gastronavicella è atterrata, non sulla mucosa gastrica ma nello spazio delle cucine che valgono il viaggio. E quando si parte per lo spazio può anche capitare di imbattersi in qualche stella…

Snack.


Riso mare e monti.

Tagliatelle verdi.

Colombo, foglie più o meno amare, salsa al cioccolato bianco e noce moscata.

Lingua di vitella alla pizzaiola.

Tostato.

Atterraggio della Gastronavicella (piccola pasticceria)


Dal pane, che peraltro si potrebbe coraggiosamente eliminare, ci aspettiamo di più.

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Questa valutazione, di archivio, è stata aggiornata da una più recente pubblicazione che trovate qui

Recensione ristorante.

Il ricambio generazionale rappresenta spesso un punto di svolta tormentato per un ristorante, ma giunge il momento in cui il passaggio diventa estremamente chiaro ed il cielo, all’improvviso, si rasserena. La Trattoria Zappatori è un locale storico a Pinerolo, e per lunghi anni ha tenuto fede alla propria insegna mantenendo un profilo basso con una cucina di stampo decisamente tradizionale. Da qualche anno però Christian Milone, chef con un passato da ciclista, ha preso in mano le redini del locale di famiglia e ha deciso di imprimergli una svolta netta. In carta troviamo ancora numerose proposte molto tradizionali, perché sarebbe da stupidi perdere di colpo il bagaglio di clientela conquistato dalla famiglia in tanti anni di sacrifici, in particolare in questi anni bui, ma accanto ad esse sono sempre più numerosi i piatti di matrice creativa, segno che lo chef ha imboccato la propria strada. Una strada che, partita da piazza Duomo ad Alba, dove Christian ha sostenuto numerosi stage, sta prendendo come è giusto che sia una direzione personale, anche se il rischio deja vu per i giovani è sempre dietro l’angolo. Però oltre all’ammirazione per determinate cucine (non solo quella di Crippa), si legge già un embrione di stile proprio, tant’è che per superficialità si rischia di leggere come crippiano anche cio che crippiano non è (per quanto gli interni rosa della sala…). Lasciamo quindi che Milone percorra la sua via. Qualche volta sbaglia, soprattutto nei tratti di strada con qualche curva glicemica di troppo, e qualche altra di nuovo sbaglierà, ma l’emozione nel provare le cucine giovani vive anche attraverso l’analisi degli errori (o di ciò che comunque, senza volerci erigere a giudici o maestrini, non condividiamo). Aiutato dalla moglie e dai genitori in sala, Christian sta portando avanti il suo progetto in un territorio che non concede molto ai voli pindarici, e per questo merita tutto il nostro sostegno. (altro…)