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Monchiero Carbone

Sinonimo di Roero

Situato tra le prestigiose regioni vinicole delle Langhe e del Monferrato, il Roero si estende attraverso colline mozzafiato e paesaggi che si sono guadagnati il riconoscimento come patrimonio dell’umanità UNESCO. La terra stessa, composta in gran parte da calcare argilloso con abbondanti tracce di sabbia, racconta una storia geologica affascinante, con stratificazioni fossili risalenti a 250.000 anni fa, quando questa regione era il fondo di un antico mare che, ritirandosi, ha lasciato stratificazioni fossili di conchiglie, ricci e pesci. In questo contesto si inserisce l’azienda Monchiero Carbone, fondata nel 1987 da Marco Monchiero e Lucetta Carbone, azienda che a ben vedere si tramanda di generazione in generazione già dai primi del ‘900 e che oggi è condotta dal figlio della coppia: Francesco.

La cantina ha continuato a espandersi nel corso degli anni. Si è infatti riportata l’Arneis sulla collina di Renesio, zona in cui si crede abbia trovato i natali questo vitigno, e si è impiantato il Nebbiolo nella frazione di Anime. Francesco ha anche ampliato i vigneti di Monbirone e Printi e sviluppato una tenuta di ben 10 ettari a Priocca, sul Bric Genestreto.

La storia di Monchiero Carbone è una storia di passione per il vino e di dedizione nel preservare la tradizione e la cultura del territorio. La cantina da sempre si impegna a valorizzare la diversità di ogni frutto, poiché ognuno nasce da colline e appezzamenti differenti, portando in sé una sfaccettatura sempre unica e irripetibile del territorio. Partendo dal terreno, considerato un microcosmo, la cantina abbraccia una gestione agronomica basata sulla sostenibilità ambientale, per garantire la salute del terroir e la massima qualità del frutto a cui dà vita.

Una filosofia ben incastonata sull’etichetta di ogni bottiglia, attraverso un antico adagio piemontese: “OGNI USS A L’HA SO TANBUSS” – ogni porta ha il suo batacchio – a sottolineare l’unicità della cantina e il suo impegno nel preservare la storia e la cultura del Roero.

La Degustazione

Cru ‘Printi’, Roero Docg Riserva 2019

Di colore rosso rubino carico, questo vino sorprende subito al naso per la sua grande complessità. Rosa, ciliegia sotto spirito, lampone, cacao, liquirizia e ancora note balsamiche di menta. Il tannino è fine, disteso e piacevolissimo, l’acidità ben presente. Nel complesso un vino rotondo, di estrema bevibilità ed eleganza, con attacco e media bocca davvero notevoli.

Grand Cru ‘MonBirone’, Barbera d’Alba Doc 2019

Il colore rosso rubino è pressoché impenetrabile, con vaghi riflessi violacei che emergono in cerca della luce. Al naso risulta un vino molto fruttato, con la ciliegia bene in evidenza. Seguono note più scure, di sottobosco, bacche di ginepro. Il tannino è molto delicato, ottima l’acidità e, nel complesso, la bevibilità di questo vino.

Grand Cru ‘Renesio Incisa’, Roero Arneis Docg Riserva 2019

Di colore giallo paglierino brillante, questo vino si esprime al naso con particolare eleganza. Agrumi, pepe bianco, salvia… note che ritroviamo anche al palato, in un ottimo equilibrio tra morbidezza, acidità e potenza.

Cru ‘Cecu D’la Biunda’, Roero Arneis Docg 2022

Il colore è un giallo paglierino carico, intenso come il naso che rivela poco dopo. Ananas, note agrumate, eucalipto, sambuco e ribes bianco. Un vino piuttosto morbido e voluminoso, profondo, dalla personalità decisa e dalla grande piacevolezza.

* I vini dell’azienda Monchiero Carbone sono distribuiti da Partesa.

Due denominazioni piemontesi su cui puntare

Non lontano da Torino troviamo due delle denominazioni più affascinanti e peculiari del Piemonte: Caluso (DOCG) e Carema (DOC). Caluso mette al centro un vitigno a bacca bianca poliedrico: l’Erbaluce, la cui area si estende su 37 comuni in tre province: Torino, Vercelli e Biella.

La produzione avviene tra due serre, Ivrea e Caluso, che lo racchiudono nel bacino morenico del Canavese. Uno dei fattori distintivi di questo vitigno è la tecnica di allevamento a pergola, formata da un sesto filare di oltre 5 metri con circa 1.000 ceppi per ettaro. La potatura è a tralci lunghi in quanto l’uva non è produttiva sulle prime tre o quattro gemme basali. Successivamente, le uve destinate al passito dopo essere state raccolte vengono adagiate su graticci in appositi locali per l’appassimento naturale. Uva che ben si adatta ai terreni sabbiosi e sassosi, tipici delle colline moreniche, l’acidità è forse l’elemento che meglio caratterizza l’uva restituendo un incredibile potenziale di invecchiamento in tutte le versioni prodotte. Antichi documenti ci dicono che l’Erbaluce è un vitigno autoctono introdotto localmente dai Romani, probabilmente parente del Greco di Fiano. È un vitigno versatile e unico nel panorama dei vini bianchi perché può essere vinificato in tre diverse tipologie: bianco secco, spumante e passito. Per il Metodo Classico la permanenza sui lieviti deve essere minimo di 15 mesi mentre per il passito l’appassimento delle uve deve essere protratto fino a raggiungere un grado zuccherino non inferiore al 29%; il periodo minimo di invecchiamento è di 36 mesi, dodici in più per il Caluso Passito Riserva.

La seconda denominazione che affrontiamo vede invece come protagonista l’uva più chiacchierata del Piemonte: il Nebbiolo. Cultivar principale per la produzione di Carema DOC, prodotto su pochissimi ettari terrazzati (13) attorno all’omonimo comune al confine con la Valle d’Aosta. Qui, si parla di una “viticoltura eroica” portata avanti con grande entusiasmo da un gruppo di giovani vignaioli che, proprio per il loro dinamismo, sono riusciti negli ultimi anni a recuperare gran parte della superficie vitata perduta e a riaccendere una zona prestigiosa che dà vita a vini rossi corposi, freschi e di lungo invecchiamento. I terreni, anch’essi di origine morenica, ospitano vigneti coltivati su pendii rocciosi, molto soleggiati ad un’altitudine non inferiore a 300 metri s.l.m. e non superiore a 600 metri s.l.m. Siamo alle pendici del Monte Maletto, qui i terrazzamenti asciutti sono sicuramente un elemento paesaggistico che rende unica la zona oltre a sfidare la coltivazione di quelli che localmente vengono chiamati Picutener e Prugnet. Sono richiesti 24 mesi di affinamento per il Carema, 36 per il Carema Riserva, di cui 12 mesi in legno per entrambe le tipologie.

I nostri migliori assaggi delle ultime annate prodotte:

Erbaluce di Caluso Eolga Docg 2019 di Ilaria Salvetti

Giallo dorato brillante, sentori di evoluzione, crosta di pane, zafferano; buon gusto, polposo, mela golden; buon impatto e densità, buona carnosità e bel ritorno fruttato. 93/100

Erbaluce di Caluso DOCG Spumante San Giorgio 2019 di Ciek

Giallo paglierino, al naso cedro di buona maturazione con zafferano, limone candito; sorso ampio, geloso, di buon equilibrio e rotondità. 93/100

Cuvée Tradizione Caluso Spumante DOCG di Orsolani

100% Erbaluce. 36 mesi sui lieviti. Colore giallo paglierino con riflessi dorati. Al naso intriganti note di crosta di pane ed erbe aromatiche; palato ampio, aromi di arancia candita e sensazione minerale. Buona bocca e freschezza. 92/100

Caluso Fior di Ghiaccio Docg 2022 di Cantina Erbaluce di Caluso

Dorato, bei profumi di pera matura, appetitoso, ampio, carnoso, buona freschezza e ritorni fruttati. Simpatico archetipo della denominazione. 93/100

Erbaluce di Caluso Docg 2022 di Bruno Giacometto

Giallo paglierino, sentori di pera, naso tipico del moto; appetitoso sorso lungo, rotondo e molto piacevole nonostante una punta di alcol sul finale. 92/100

Erbaluce di Caluso Docg Ghiaccio Secco 2022 di Silvia

Colore giallo paglierino. Naso sfaccettato, tra fiori, pomelo e pera; sorso ampio di grande rotondità. 91/100

Erbaluce di Caluso Docg Autoctono 2021 di Bruno Giacometto

Colore dorato; al palato si avvertono anche ricche note di agrumi rossi e scorza d’arancia; il retrogusto chiude su note di frutta secca. 92/100

Erbaluce di Caluso Docg Antonia 2021 di Le Masche

Giallo paglierino, luminoso. Al naso sentori di pomelo e sapidità; al palato grande tensione, punte succose e minerali. Uva archetipica. 93/100

Erbaluce di Caluso Docg Primavigna 2021 di Crosio

Giallo paglierino, luminoso. Sentori di frutta gialla matura, sorso appetitoso, ricco di frutta, bella armonia e rotondità. Delicata rotondità. 92/100

Erbaluce di Caluso Docg Anima d’annata 2019 di La Masera

Giallo paglierino, luminoso. Naso impressionante con note alpine e fresche. Palato armonico accompagnato da una piacevole freschezza. Chiude su note di biancospino. 93/100

Erbaluce di Caluso Docg Macaria 2019 di La Masera

Giallo dorato, al naso note di zafferano e magnolia. Sorso di grande volume, intensità e freschezza in armonia, lieve ma efficace vena tannica. 91/100

Canavese Nebbiolo Doc Roccia 2022 di Le Masche

Rosso rubino brillante, nato molto nitido, struttura fresca, frizzante, dotato di una piacevole acidità, piacevole al sorso con tannini aperti e integrati. 92/100

Canavese Nebbiolo Doc Gaiarda 2019 di Le Masche

Colore rubino chiaro. Note di melograno ed eucalipto; sorso dinamico, teso e piacevolmente fresco con tannini fini e piacevoli. 93/100

Carema Doc 2018 di Cantina dei produttori Nebbiolo di Carema

Colore trasparente, appetitoso, trama tannica unita a sensazioni eteree e di agrumi rossi. Bocca vivace, persistente, di buon volume. 93/100

Caluso Passito Doc Talin 2018 di Ilaria Salvetti

Affinato per 60 mesi in botti di rovere. Colore giallo dorato, al naso sensazioni di miele e albicocca. Al palato sensazioni di dolcezza e caldo agrumato. Armonia ed eleganza. 94/100

Caluso Passito Doc Alladium 2017 di Ciek

Invecchiato per 5 anni in botti. Colore ambrato, al naso intense note di miele, frutta candita all’arancia, mela cotta e fichi. Al palato grande dolcezza e complessità su aromi di resina e lime. Grande potenziale di invecchiamento. 94/100

Unico come il Ruchè

Nel cuore del Piemonte, Castagnole Monferrato è uno dei sette comuni astigiani, insieme a Montemagno, Viarigi, Refrancore, Scurzolengo, Portacomaro e Grana, dedicato ad un vitigno autoctono riscoperto, nonché una delle più piccole DOCG d’Italia: il Ruchè. In questo territorio collinare la natura ha creato un terroir ideale per la vigna: i suoli marnosi, e in alcune zone argillosi e sabbiosi, con presenza di tufo e soggetti ad elevata insolazione, insieme al clima mitigato sia dalle Alpi che dal mare, offrono al Ruchè il perfetto scenario per essere accolto. Di origine avvolta nel mistero, questo vitigno del Monferrato astigiano, ottiene la denominazione Doc nel 1987 e la DOCG nel 2010, ma è scientificamente che si hanno dati più certi: da uno studio del 2016 sul suo DNA risulta strettamente affine a due vitigni tipici del nord Italia, la Croatina e la Malvasia aromatica di Parma, oggi estinta. Se il primo a credere nelle potenzialità del Ruchè fu un prete vignaiolo, Don Giacomo Cauda, che ne rimase tanto colpito da sperimentarne la vinificazione in purezza, è con Luca Ferraris che trova dignità e si erge a rappresentare questo specifico territorio meno conosciuto nel panorama enologico nazionale.

Luca Ferraris guida l’azienda di famiglia dal 1999, anno in cui ricomincia a vinificare le uve provenienti dai 24 ettari di vitigni di proprietà: una vera svolta per il mondo del Ruchè perché fu il primo ad effettuare diradamenti delle uve per aumentarne la qualità. L’azienda cresce, fino al 2016, anno in cui Ferraris acquista da Francesco Borgognone la Vigna del Parroco, a Castagnole Monferrato, storica e antica vigna unico CRU del Ruchè riconosciuto dal Ministero dell’Agricoltura, fino ad arrivare ai 34 ettari attuali che comprendono Cà Mongròss a Montegrosso d’Asti e Tenuta Santa Chiara a Monastero Bormida. Tra i più estesi vigneti di Ruchè e parte del nucleo originario dei terreni di Ferraris Agricola troviamo il Bricco della Gioia da cui nasce Opera Prima. Vessillo del Ruchè nel mondo, Opera Prima è la dimostrazione che da questo vitigno DOCG di Castagnole Monferrato si possa ottenere un vino da invecchiamento di un’eleganza da nobile. I terreni sciolti, ricchi di calcare e poveri, così da non portare troppo vigore alla vite, incontrano un’altitudine di 286 m s.l.m e odono di un’esposizione a sud ovest che garantisce alle uve Ruchè grande concentrazione, corpo e struttura. Rese intorno ai 40 quintali per ettaro, conduzione della vigna di tipo tradizionale, grande attenzione alle maturazioni fenoliche e zuccherine con leggero appassimento degli acini, supporto organico del terreno, reinnesti e operazioni mirate al fine di conservare la capacità vegetativa in equilibrio con quella produttiva, sono le attenzioni che permettono a Opera Prima la sua unicità. Dopo un lieve appassimento, il mosto passa rotofermentatori in acciaio a temperatura controllata e sosta a contatto con le bucce per circa 20-25 giorni con la tecnica del “cappello sommerso”, per poi essere trasferito per almeno 3 anni in tonneau e successivamente, riposare in bottiglia per almeno altri 12 mesi.

La degustazione

Fiore all’occhiello di una denominazione riscoperta, ecco Opera Prima in una piccola verticale.

Ruché di Castagnole Monferrato Riserva Opera Prima 2017

La 2017 è stata un’annata particolare, caratterizzata da una gelata a metà aprile che ha compromesso le nuove gemme ma che ha seguito ad un’estate calda. Per questo le rese sono state di 32 quintali per ettaro, inferiori rispetto alla media. Quest’annata di concentrazione si rivela in un color rosso rubino scuro che si schiude in un bouquet fruttato di prugna matura e ciliegia, note mentolate e una speziatura di pepe e liquirizia. Alla bocca è caldo, corposo e strutturato, tannico e nella sua gioventù rivela potenziale di invecchiamento.

Ruché di Castagnole Monferrato Opera Prima 2016

L’annata 2016 si è rivela rispetto alla 2017 più elegante, data dalla stagione fresca e piovosa che l’ha accompagnata. Il colore rosso rubino tende leggermente al granato e al naso si dimostra più discreto ma allo stesso tempo più armonico: i sentori di violetta e rosa si alternano alla succosità della ciliegia e a note balsamiche. La beva è fresca, vivace, leggermente amaricante, pulita e netta con un finale bilanciato tannico e sapido.

Ruché di Castagnole Monferrato Opera Prima 2015

Concordante con la 2017, la 2015 è un’annata di materia e corpo. Le note di frutta si fanno evolute, nella ciliegia sotto spirito e nella mora matura, con sentori di petali di rosa appassita; il sorso presenta un tannino più spigoloso, con un finale succoso, caldo e persistente.

Ruché di Castagnole Monferrato Opera Prima 2010

L’annata fresca garantisce alla 2010 la miglior espressività tra le annate in degustazione: emerge infatti tutta la potenzialità del Ruchè nel suo naso armonico e fine di erbe medicinali, spezie dolci e confettura di ciliegia. Il sorso è di struttura, elegante, rotondo e dal finale lungo con tannini piacevoli e di buona freschezza.

Una famiglia per il Moscato e per il Monferrato

Nelle terre di confine si nascondono storie che diventano occasione per dare forma prima che importanza a luoghi abbandonati dalla memoria collettiva e che offrono invece – e con molta più potenza – motivi di racconto. Negli anni Novanta/Duemila le grandi Denominazioni del Piemonte erano ad appannaggio di pochi, oltremare, nonostante la presenza di numerose realtà che dal secondo dopo guerra si sono cimentate nella produzione di vino in maniera decisamente più seria. Non per auto-consumo e nemmeno per vendere le uve o lo sfuso alle cooperative, ma per sviluppare un progetto. Un cambio di approccio alla produzione quando l’azienda appena costituita, della famiglia Doglia, conta sulla forza lavoro interna e lo fa al punto da mandare uno dei figli a studiare alla Scuola Enologica di Alba. Ecco, è in questi casi che l’azienda in questione investe e rappresenta il futuro.

A pochi chilometri da Barbaresco, nel paese di Castagnole delle Lanze, in cima alla collina della Frazione Annunziata, sopra il “Bosco delle Donne” – così battezzato all’epoca e così rimasto –  Eugenio Doglia compra terra per metter su casa e piantare nuove viti. Pochi gli ettari, non più di sei, tutti intorno alla casa-cantina che, nel tempo, diventa “diffusa” perché la produzione si amplia e se si vuole aumentare la quantità c’è bisogno di spazio. E di uffici.

Negli anni Novanta è il Moscato a iniziare ad aprire i mercati, a far parlare di sé: sono molte, a quel tempo, le cantine che si buttano nella sua produzione e, in forza di esso, crescono. Gianni Doglia, figlio di Eugenio, fresco di studi decide di puntare su questa uva bianca aromatica, la vuole libera ma adesa “assieme” a lui. Aderente alle sue idee. Gli bastano pochi anni per creare un nuovo linguaggio che si diffonde rapidamente e in costante dialogo con le altre interpretazioni di Moscato. Così, fresco e diverso, si convince anche papà Eugenio. E allora si pianta, ancora, e nasce una sorta di conversazione, privata, con l’uva, nei i diversi terreni in cui si coltiva al confine con le Langhe già in terra monferrina.

Casa di Bianca

È il luogo di nascita della madre di Gianni, da cui arriva il nome del vino, e già si intuisce un carattere diverso. Qui il Moscato matura diversamente e c’è un grande potenziale evolutivo. Ha la stoffa per diventare una Riserva, il Moscato d’Asti Canelli Docg Casa di Bianca, arriva sugli scaffali delle enoteche o nei ristoranti dopo almeno un anno di vetro; in sé c’è un’aria balsamica, una sensazione come gessosa pur mantenendo una concertazione di profumi e gusto che rendono il sorso cremoso smorzato da salvia e fiori. 

Ed è così, con Gianni, che “Doglia” diventa un nome, un brand, direbbero quelli bravi; gli ettari arrivano a 17, si investe anche nel Nizza Docg, ad Agliano, per una Barbera da lungo invecchiamento. A cui fa seguito la nascita di una nuova linea di vini, un progetto moderno, battezzato come “I Volti” in omaggio a tutte le cultivar tipiche del Monferrato (Grignolino, Freisa, Barbera). Ogni vino un disegno per rappresentare il carattere dell’uva. La sua indole. Ci sono Re, Regine, Principi e Principesse. I vini vanno dritti al gusto del frutto, sono espressivi, sinceri. Comunicativi. 

Ma l’azienda con l’impronta di Gianni è banchista. Siamo, anzi, con un “moscatista” con la passione per i rossi. Proprio in questi giorni sta piantando un nuovo vigneto di 2,20 ettari. Un appezzamento sognato. Esposto in pieno sud. Il cambiamento climatico lo preoccupa ma le uve rispondo bene in questi suoli bianchi, ricchi di marne calcareo – argillose. Nell’accoglienza, comunicazione e tutto quello che non concerne la produzione c’è Paola Doglia, insostituibile sorella di Gianni.

La degustazione

Barbera d’Asti Bosco Donne Docg 2022

È la prima Barbera prodotta da una località, vicino al bosco, adibito a nascondino durante la guerra. Poco distante dalla cantina, si chiamava così già nell’atto di compravendita – tengono a precisarlo i Doglia. Succosa, fragrante, vivace. Un sorso che ingolosisce per la sua croccantezza e una buona dose di potenza.

Grignolino d’Asti Doc 2022

Arrivato dopo un lungo e lineare processo – Gianni è un metodico – nasce da una vigna a 300 metri slm, un Grignolino che si inserisce di diritto nella lista dei vini da avere sempre in cantina. Rimane aderente al vitigno al netto degli andamenti climatici, anche in un’ annata come questa, più secca; un colore più accesso può ingannare ma il vino rimane concentrato sui sui tannini, sulla sua leggerezza e la sua capacità di avvolgere il palato prima di concedersi totalmente. Elegante, su note di pepe bianco e punte di sale.

Moscato d’Asti Canelli Casa di Bianca Docg 2021

Uno dei migliori esempi di come il Moscato riesca a tenere testa al tempo. Il mosto viene conservato a -1,5° C fino al momento della vinificazione in autoclave. Cinque soli i gradi d’alcol che sostengono materia e restituiscono complessità soprattuto in questa versione Riserva. Naso sui fiori, salvia, idrocarburi e tanta distensione al palato. Un tuffo nel mare nel finale. Freschissimo. Da riassaggiare e riassaggiare. 

* I vini di Gianni Doglia sono distribuiti da Partesa.

La storia del metodo classico italiano

Carlo Gancia non ebbe incertezze, quando nel 1848, dopo gli studi in enologia partì alla volta di Reims per apprendere tutti i segreti dello champagne, rientrerà dalla Francia nel 1850 per fondare insieme al fratello Edoardo la Fratelli Gancia, puntando su ciò che quella terra meravigliosa forniva in abbondanza, le uve moscato.

Mettendo a frutto le competenze conseguite Oltralpe, nel 1865 darà vita al primo Metodo Classico italiano, una data memorabile che getterà le fondamenta di un comparto oggi più florido che mai. Quella che fu una felice intuizione diede impulso alla sperimentazione che proseguì nei decenni successivi, tenendo fede a un patto con la terra e con l’uomo, combattendo la battaglia quotidiana con le condizioni atmosferiche, determinanti nel definire la qualità dell’annata, tenendo la barra a dritta nel produrre vini dallo stile inconfondibile che sono arrivati nei cinque continenti confermando il valore del brand.

Un’affascinante vicenda imprenditoriale, da rivivere in un coinvolgente tour, attraverso la visita alle plurisecolari cantine Gancia, riconosciute patrimonio mondiale dell’umanità, vere e proprie cattedrali scavate nel tufo sotto alla città di Canelli, dove si svolge la pressatura soffice con la monumentale pressa Marmonier, la vinificazione e naturalmente l’affinamento, grazie alla temperatura costante di 12-14 gradi, perché i mesi e gli anni che attendono i preziosi millesimi possano ultimare il processo. I 170 anni di vita della Gancia ripercorrono la storia del vino italiano e la passione di uomini determinati, che hanno creduto fortemente in un’idea, tanto da realizzare un progetto fino ad allora solo sognato, andando all’estero per fare proprie le competenze necessarie.

Il brand Alta Langa

E ora solo conferme grazie al brand Alta Langa, una denominazione che riunisce i più rilevanti produttori di Metodo Classico piemontese, e racconta di un territorio non solo vocato a monumentali vini rossi ma anche a grandi bollicine. Un’area ben definita, che ci parla di un Metodo Classico prodotto con uve Pinot Nero e Chardonnay, in purezza o insieme, in percentuale variabile, che affina lungamente, rimanendo sui lieviti non meno di 30 mesi e da Disciplinare dichiara in etichetta il millesimo della vendemmia.

È il 1996 quando prende forma la proposta di un disciplinare di produzione che, sulla base di minuziose ricerche, avrà il nome di Alta Langa ma, come detto, le sue radici sono molto più antiche e si estendono fino alla prima metà dell’Ottocento, per cui oltre due secoli di sperimentazioni in vigna e in cantina ne hanno scolpito la reputazione. Il 10 maggio 1999, si brinda per la prima volta con lo spumante piemontese metodo classico Alta Langa, ufficializzando il momento presso la sede della Comunità montana, a Bossolasco, mentre è già in atto l’iter che porterà al riconoscimento della Denominazione di Origine Controllata. Il 15 giugno 2001, alla presenza di 48 soci di cui 41 viticoltori e insieme alle prime sette case vinicole produttrici – Barbero 1891 (Enrico Serafino), Bersano & Riccadonna, Giulio Cocchi, Fontanafredda, Gancia, Martini & Rossi, Vigne Regali (Banfi) – viene costituito ad Asti il Consorzio Alta Langa. Il 20 novembre 2001 viene approvata la richiesta della Doc. Il 23 novembre 2002 arriva la Denominazione di Origine Alta Langa. Il 9 marzo 2011 si ottiene la DOCG e nel 2018 presso il Castello di Grinzane Cavour ha luogo “La Prima dell’Alta Langa”, numero zero di un evento nel quale i soci produttori del Consorzio, pongono in assaggio le nuove annate.

La degustazione

Gancia 120 Mesi Alta Langa 2009

Una grande riserva, frutto della plurisecolare esperienza nel metodo classico della famiglia Gancia, l’ideale per scoprire le potenzialità e i valori espressivi di questa giovane ma radicata denominazione piemontese, forse l’unica che mancava a questa straordinaria regione del vino così famosa nel mondo. Un tributo all’Alta Langa, grazie a un severo disciplinare e a un uvaggio sapientemente dosato di uve Pinot Nero e Chardonnay raccolte nei migliori vigneti DOCG Alta Langa di proprietà della storica famiglia piemontese. Una cuvèe di pregio, vendemmiata in piccole casse, pressata soffice, che dopo la vinificazione fermenterà in bottiglia per 40 giorni e affinerà lentamente sui lieviti per oltre dieci anni, spostando l’asticella ben oltre i normali invecchiamenti, dando vita a uno spumante che rappresenta la più alta espressione identitaria della casa di Canelli. La bottiglia ha un packaging raffinato che ricorda un elegante abito da sera, la bolla è finissima ed eterea. Al naso esprime profumi ben definiti, con sentori di pompelmo rosa, clementine, mela golden, uva sultanina, anacardi, croissant, miele. Al palato corpo, struttura raffinata e grande armonia, fresco, sapido, con una bella acidità e note sapide, di pane appena sfornato, frutta gialla e vaniglia. Il lungo e persistente finale denota un notevole potenziale di invecchiamento. Il sorso super buono, lascia intuire che lasciando trascorrere anche solo pochi anni potrà evolversi ancora in piacevolezza e struttura.

Vitigni: pinot nero 80% e chardonnay 20%

Suoli: Calcare

Allevamento: Guyot

Zona: Alta Langa.

Prezzo: 95€

E se vi è piaciuto, ecco tre etichette che ho trovato per certi versi simili e altrettanto coinvolgenti: