Passione Gourmet Paolo Lopriore Archivi - Pagina 2 di 5 - Passione Gourmet

DaGorini

Vicino alle foreste casentinesi, il talento istintivo di Gianluca Gorini

Si muove lesto tra i tavoli, con movimenti  felini: è l’agilità istintiva dell’animale nel suo habitat naturale. Un habitat identificato due anni orsono quando, con figlio e compagna al seguito, abile donna di sala, Gianluca Gorini s’è insediato in questa dimora nel paese preappenninico di San Piero in Bagno, non lontano da Camaldoli e comunque vicino ai genitori di lei, già titolari di un’azienda agricola e di un allevamento di conigli, in un luogo così defilato che devi andarlo a cercare e dove, comunque, non si arriva mai per caso. 

Eppure, benché si tratti di un lunedì di fine maggio coi connotati di una giornata novembrina, il ristorante è al completo, gremito di voci di adulti festanti e dei giochi dei rispettivi bambini: sembra quasi di essere a casa, o comunque in famiglia, con la differenza che dietro ai fornelli si muove uno dei talenti e dei palati più brillanti, e più istintivi, del presente momento storico.

Un talento tale che verrebbe da immaginarselo chiuso in una sorta di autismo compiaciuto e che invece sa essere anche narciso perché conscio, crediamo, della sua missione, che altro non è se non quella di appagare rispondendo all’imperativo più puro e più tacito della cucina tutta, quello edonistico, tanto che pure i meno edotti si possano sentire legittimati a dire, dopo ogni piatto, semplicemente “che buono!“.

Una cucina ispirata, impeccabile e accessibile

Forse il migliore mai assaggiato, è il Coniglio alla diavola con maionese, erbe di campo e fave: un piatto dove le verdure hanno la medesima dignità della carne – leitmotiv, questo, di tutta la cucina goriniana – che è quasi porchettata nel jus della sua marinatura e ormai caramellata da una cottura che è parte stessa del repertorio degli ingredienti e che, del coniglio, restituisce la proverbiale, tosta asciuttezza irrorata però di umori animali ed essenza boschive. Un piatto, questo, in cui il virtuosismo risiede nel nascondere l’artificio, dissimulare la tecnica sembrando, appunto, semplicissimo.

Approccio simile, encomiastico, verrebbe da dire, per il Carciofo, che è uno studio sulla stratificazione dell’amaro più vegetale, quasi medicinale, del gambo e che traccia un tributo a Paolo Lopriore abbozzando una sensibilità di tipo bucolico che si corona poco dopo nei Pisellini con crema di latte, salicornia e aringa: un piatto povero, quasi agreste – dove lo spigolo sapidissimo dell’aringa viene contrastato dalla lattosità della crema e dalla tenera dolcezza del pisellino appena scottato – semplice ma assoluto come la saggezza del contadino.

Della Spoja lorda si dirà invece del profumo, quasi animale, profondamente ormonale che esalava dal piatto, umorale stratificazione di funghi, tabacco e tartufo nero e che ritroviamo acuito, benché più imbellettato, nella sensazione di pelliccia e fragole dello splendido boccone di Cervo alla liquirizia con fragole e rapa rossa. 

Del Piccione di Gorini, poi, s’è molto scritto: si tratta di un’esecuzione magistrale, evoluzione stessa del concetto di signature dish perché, una volta realizzato, è lui a segnare il suo fautore che non può più prescindervi. Buona parte del merito, oltre alla cottura millimetrica di ciascun taglio che, lo ricordiamo, per Gorini è parte stessa dell’ingredientistica locale (come la griglia romagnola), risiede nell’estratto di alloro e nel suo profumo solenne, quasi di incenso da chiesa; una sensazione estatica che viene presto spazzata via dalla carica, metaforica e letterale, di una capra appena uscita dal bosco, e dall’amaro puro della genziana che investe sensi e palato nello Spaghetto al burro, che la scorzetta di bergamotto proietta in una dimensione di gusto iperuranica, praticamente infinita. 

Golosissimi ma leggermente meno ispirati i dolci, canonicamente dolci e senza particolari virtuosismi, fatta eccezione per la crema di mandorle armelline a chiosa di Fucsia, del cui sapore continuiamo a sentire sia il riverbero che la mancanza. 

La Galleria Fotografica:

Un grande chef al servizio della cucina

Non c’è niente da fare: quando Paolo Lopriore si lancia in una nuova avventura, riesce non solo a far parlare di sé ma anche, come ha sempre fatto, a mettere in discussione l’alta ristorazione fin dalle sue fondamenta. In passato, al Canto in particolare, lo chef comasco aveva contribuito quanto pochi altri a cambiare il palato collettivo della cucina gourmet. Il reiterato battere sulle corde dell’amaro, le consistenze al confine tra tattile e impalpabile e le violente acidità avevano contribuito a portare alle estreme conseguenze la lezione marchesiana. Nell’ultimo lustro al ristorante Il Portico, invece, Lopriore ha lavorato soprattutto sul senso sociale e sulla struttura formale dell’esperienza gastronomica. Il risultato è la cucina conviviale, in cui il processo creativo viene restituito nelle mani dell’avventore, che compone a piacimento il proprio piatto a partire dagli elementi presentati dalla cucina all’insieme della tavola, secondo un meccanismo che può essere aleatorio o per prove ed errori.

Interessante anche la formula di mezzogiorno

Quanto detto sopra è valido per il percorso della cena e per il pranzo del sabato. In settimana, a mezzogiorno, si può, invece scegliere liberamente uno dei tre piatti proposti quotidianamente dalla cucina e suddivisi secondo il più logico dei criteri: carne, pesce o vegetariano. Ogni preparazione è strutturata come a cena: due/tre elementi principali di grande solidità e altri elementi di supporto, quali salse e condimenti ad alto tasso di intensità gustativa. Grazie all’utilizzo di tagli e pesci poveri, di elementi già presenti nella carta serale e di materie prime non eccessivamente costose, l’accessibilità della formula va di pari passo con la soddisfazione della clientela tanto che, a ogni nostra visita, vediamo la clientela locale avvicendarsi perfino ai tavoli del ristorante. La minuta carta dei vini completa l’offerta di una pausa pranzo dal rapporto felicità/prezzo praticamente insuperabile.

La galleria fotografica:

Un neo-bistrot Milanese con un cuoco di talento, ambiente giovane e dinamico.

Basta vedere la foto di apertura per rendersi conto di quanto al Rebelot sia un miracolo ogni cosa. Vedrete sfrecciare Matteo Monti, il cuoco, a 200 all’ora durate tutto il servizio. In una cucina angusta a dir poco, tutti si chiedono come il folletto piacentino riesca ad impressionare clienti affezionati e non con le sue preparazioni.
Cibi e piatti complessi, articolati, frutto spesso di intuito e istinto. Non sempre perfettamente bilanciati ma, ça va sans dire, è già un miracolo che da quei 4 metri quadri esca una cucina decente, figuriamoci alcuni capolavori come Matteo ci ha preparato.

Difficoltà, costrizioni, concessioni, compromessi? Noi, più che il lato oscuro della forza, parafrasando una nota saga fantascientifica, ci vediamo tanto sentimento, tanto istinto, tanta voglia di fare in una condizione disinibita, fin anche irriverente, quasi pulp.
In questo rebelot (confusione, guazzabuglio per i non meneghini) Matteo e i suoi collaboratori hanno mille alibi, ma non ne usano neanche uno. Osano, rischiano, creano, sperimentano. E si muovono con la libertà dei grandi, di coloro che sono sereni perché non hanno nulla da perdere, che sono afflitti, anzi stimolati, dalla trance agonistica di finire sani e salvi ogni servizio.

Ed allora ecco roteare mani, correre a destra e a manca, estrarre, cucinare, rigenerare, lanciare, depositare e poi via, verso un nuovo piatto, verso un nuovo affanno.

Tutto questo genera una tensione immensamente positiva. Noi, un venerdì sera da fully booked, al banco, abbiamo visto Matteo fare almeno 10 km in quei 4 metri quadri. E riuscire a farci degustare dei veri e propri capolavori come ombrina, cozze fritte, brodo di cozze e cacio e pepe, in cui il brodo, intenso e persistente – e leggermente acidulato – aveva un ruolo da assoluto protagonista. Fantastica, stupefacente, ed irridente la schiacciata romana con il diaframma e ottime le alici fritte, con il tocco di pan d’epices a donare aromaticità e dolcezza.

Ma tutti, davvero tutti i piatti tutt’altro che banali oltre che incredibilmente buoni. E a questo punto, per i rischi che si prende, per la cucina che esprime, per l’ambiente in cui lavora e, non ultimo, per un solido e preparato servizio a supporto, abbiamo deciso di arrotondare in eccesso la valutazione, perché secondo noi Matteo e la sua cucina se la meritano ampiamente.

Se volete trascorrere una serata divertente, stimolante e molto Pulp andate al Rebelot, non ve ne pentirete affatto!

In una terra di forti e radicate tradizioni gastronomiche come la Romagna, scegliere di allontanarsi dal rassicurante solco tracciato dai capisaldi della cucina territoriale è stato senz’altro un azzardo che il patron delle Giare, Claudio Amadori, ha tentato con ammirevole rischio imprenditoriale.
Una volta rimesso a nuovo -in modo architettonicamente assai felice- il già rinomato ristorante, caratterizzato ora da ampi spazi e da una piacevolissima e ben sviluppata proiezione verso l’esterno, la sensazione che mancasse qualcosa di importante per completare l’opera era profondamente e inequivocabilmente sentita.

Di qui la saggia scelta di chiamare il pesarese Gianluca Gorini a dirigere le cucine di questo bel locale, intuendone la capacità di dare una svolta decisiva alla storia del ristorante.
Un passato da Paolo Teverini e, soprattutto, il successivo lustro passato a Siena alla Certosa di Maggiano, sotto l’egida di Paolo Lopriore, uno dei massimi talenti italiani, sembrano aver forgiato a dovere lo chef.
L’impostazione alquanto classica del primo e, soprattutto, l’imprinting del secondo (votato a una cucina ricca di personalità e potenza, che utilizza l’ingrediente nella propria sovrana essenzialità), con tutto il suo dinamico caleidoscopio di sfaccettature, hanno rappresentato senz’altro la chiave di volta del suo stile.
Gorini ha, infatti, fatto tesoro delle esperienze acquisite, sublimandole in una riuscita sintesi dove la propria sensibilità, unita a profonda conoscenza di tecnica e materie prime, ne permette una riproposizione delle stesse assolutamente originale.

Ogni piatto è composto da due o tre ingredienti, in cui spesso uno di essi viene presentato in duplice consistenza; questo per darne pieno risalto, sviscerando appieno tutte le proprie potenzialità.
Una cucina semplice solo in apparenza ma complessa, non solo perché basata su vari giochi di texture, ma anche per l’attento studio di abbinamenti che completano le pietanze in modo assai convincente.
Il risultato infatti è, per ogni assaggio, la particolare sensazione che tutto, grazie a un equilibrio duramente perseguito, è così come deve essere.
Si potrebbe anche osare l’aggettivo precisa, non fosse altro però che la cucina non è una scienza esatta.

Anche qui non possono mancare piatti classici e facilmente accessibili alla totalità della clientela, ma anche in questi ultimi tutto è estremamente dosato e cesellato, calibrato in modo da non eccedere in scontate ed eccessive rotondità.
Basti pensare agli squisiti ravioli dove scalogno e cicoria integrano in modo eccellente un primo sale caprino, ricomponendo con raffinatezza la forbice tra i vari sapori o alle linguine dove una nota acetica sfumata esalta con sapienza lo iodato del riccio di mare.
Più in generale è grande l’attenzione alla misura delle sensazioni: nessuna nota è lasciata a briglia sciolta ma viene esaltata attraverso una composizione di quadri del tutto conclusi.
Anche un dessert come il caramello bruciato o il fico marinato al calvados, che quantomeno nell’enunciato potrebbero risultare di stucchevole dolcezza, segue questa linea, con la componente glucidica che resta sorprendentemente limitata e quasi sullo sfondo rispetto alla nota amara del cacao e quella acida dell’agrume.

Nulla è banale a questa tavola, ma tutto concorre a garantire un’esperienza niente affatto ordinaria, guidati da un bravissimo chef in un percorso all’insegna di un’insolita e personale concezione del gusto.

Esterno.
esterno, Le Giare, Chef Gianluca Gorini, Montenovo di Montiano
Mise en place.
mise en place, Le Giare, Chef Gianluca Gorini, Montenovo di Montiano
Pane.
pane, Le Giare, Chef Gianluca Gorini, Montenovo di Montiano
Amuse bouche: cremoso di capra e sesamo nero, lattuga con semi di zucca tostati e mousse di mandarino, cicoria con bottarga di tonno rosso, gelatina di bitter nero con cappero, arancio e menta.
amuse bouche, Le Giare, Chef Gianluca Gorini, Montenovo di Montiano
Conchiglie sulla battigia, gelato ai frutti di mare, guscio con carapace della canocchia e burro di cacao, ricci di mare e vongole. Citrico, amaro, iodato…
conchiglie, Le Giare, Chef Gianluca Gorini, Montenovo di Montiano
Lumache di mare su crema di patate cotte sotto la cenere, riccio e finocchietto selvatico.
lumache di mare, Le Giare, Chef Gianluca Gorini, Montenovo di Montiano
Seppioline con nero di seppia, il suo fegato, centrifugato di semi di senape, spinacino selvatico e aceto di lambrusco… tre elementi: seppioline, spinaci e senape con le loro diverse consistenze.
sepioline, Le Giare, Chef Gianluca Gorini, Montenovo di Montiano
Tè nero Lapsang Souchong a completare.
tè nero, Le Giare, Chef Gianluca Gorini, Montenovo di Montiano
Insalata d’anguilla cotta al fumo di brace, spremuta di acetosa e misticanza, pinoli, frutta secca, cipolla e capperi. L’insalata è la protagonista assoluta con toni variegati che vanno dall’amaro al tannico al sapido: l’anguilla, inopinatamente, ne costituisce il complemento lipidico. Chapeau.
insalata d'anguilla, Le Giare, Chef Gianluca Gorini, Montenovo di Montiano
Linguine, ricci di mare e strigoli, cumino e aceto a sfumare…
linguine, ricci di mare, Le Giare, Chef Gianluca Gorini, Montenovo di Montiano
Ravioli di scalogno, primo sale di capra e cicoria.
ravioli di scalogno, Le Giare, Chef Gianluca Gorini, Montenovo di Montiano
Animelle, tè matcha, burro all’erba cipollina, capperi di Pantelleria.
Animelle, Le Giare, Chef Gianluca Gorini, Montenovo di Montiano
Piccione allo spiedo, davvero ottimo, alloro e cipolla fondente con la sua crema…
Piccione allo spiedo, Le Giare, Chef Gianluca Gorini, Montenovo di Montiano
…cuore e fegato con ginepro rosso macerato nel gin, radicchio in agrodolce e composta di arancia amara
cuore e fegato, Le Giare, Chef Gianluca Gorini, Montenovo di Montiano
Rognoni di coniglio alla camomilla (si odono echi pariniani).
Rognoni, Le Giare, Chef Gianluca Gorini, Montenovo di Montiano
Predessert: Sempreverde a Montiano e cioè granita di mela verde, spuma di menta e polvere di liquirizia. Fresco, molto fresco, freschissimo.
predessert, Le Giare, Chef Gianluca Gorini, Montenovo di Montiano
Fucsia: zuppa di rabarbaro con infuso di Karkadè e gin, mandorla amara e sorbetto al lampone.
dessert, Le Giare, Chef Gianluca Gorini, Montenovo di Montiano
Caramello bruciato, fico marinato al calvados, sorbetto al limone, crumble di cacao amaro.
caramello bruciato, Le Giare, Chef Gianluca Gorini, Montenovo di Montiano
Crema inglese cannella e limone, sorbetto all’alkermes, mousse al cioccolato e rum. Quando la destrutturazione di un dessert ha un senso.
Crema inglese cannella, Le Giare, Chef Gianluca Gorini, Montenovo di Montiano
Squisiti petit fours.
petit fours, Le Giare, Chef Gianluca Gorini, Montenovo di Montiano
Un signor passepartout…
champagne, Le Giare, Chef Gianluca Gorini, Montenovo di Montiano
…e un gran bel Chenin.
chenin, Le Giare, Chef Gianluca Gorini, Montenovo di Montiano
Le Giare.
Le Giare, Chef Gianluca Gorini, Montenovo di Montiano

La nuova avventura di Paolo Lopriore è iniziata nel migliore dei modi. Sappiamo per certo che questo non sarà il suo approdo definitivo, ma resta comunque un passaggio importante.
L’anima inquieta e tormentata dell’artista che alberga nell’ormai ex-cuocone brianzolo, (sarà dimagrito almeno una quindicina di chili) è nota e personalmente ci affascina non poco. Anche perchè è foriera di sviluppi culinari interessanti, innovativi e divertenti, come questo Tre Cristi.
Nata dallo spirito imprenditoriale di un gruppo di amici che si occupa di tutt’altro, questa nuova idea di ristorazione ha chiaro e dichiarato come suo intento principale quello di riscoprire il piacere della convivialità, forse un po disperso nei meandri della celebrazione egotica degli chef e dei loro ristoranti avvenuta negli ultimi lustri.

La convivialità è un termine che vuol significare tutto ma può anche non significare nulla. E allora, sulla scia di questa nostra fantastica esperienza, cerchiamo di declinarvi cosa abbiamo inteso noi.

Convivialità significa un modello di ristorazione più informale, in cui dal servizio alla preparazione nulla è più incanalato in un rigido protocollo. Informale beninteso non è sinonimo di minore qualità, ma solo di una forma espressiva differente.
Per esempio, paradossalmente ma neanche troppo, l’attuale suddivisione tra antipasti, primi, secondi e dolci potrà un giorno decadere in questo luogo di goduria e perdizione conviviale. Di fatto è già oggi così, perchè, come è giusto che sia, ogni piatto ha porzioni importanti e quindi la sequenza può e deve essere calibrata per ogni tavolo, per ogni singolo commensale a piacimento. E poi, quanto è affascinante vedere 5 o 6 tavoli al tuo fianco che sono inondati di preparazioni e di tegami con contenuti misteriosi, differenti e molto lontani dai tuoi?

Convivialità significa condivisione, ecco quindi che le portate escono dalla logica vetero-spagnola delle tapas e dei lunghi e chilometrici percorsi di degustazione, se non per gli ammennicoli iniziali, ed entrano in una dimensione molto più italiana, molto più nostra, molto più radicata e identitaria fatta e costruita attorno agli arnesi di cucina (leggasi pentole e pirofile) portati a tavola, in porzioni abbondanti, da condividere ma sopratutto da mischiare e commistionare come meglio si crede. Con un nuovo protagonista, il cliente. Che non è più schiavo degli abbinamenti e delle proporzioni imposte dal cuoco, e dal suo ego, ma decide lui in prima persona come, quanto e cosa abbinare.

Convivialità è anche la pratica spinta degli intingoli, non le salse di origine francese ma i nostri beneamati fondi di cottura, che sono naturalmente più leggeri, non tirati, non arricchiti da troppi grassi e che invitano, convivialmente appunto, ad intingere lo stupendo pane di lievito madre e a goderne insieme perdutamente da parte di tutti i commmensali.

Convivialità è anche, in un prossimo futuro, non troppo lontano ci auguriamo, condivisione tra tavolo e tavolo della cucina, intesa come diversità o biodiversità correlata alla propria singolare o comunitaria esperienza.

In tutto questo tracciato filosofico, in cui è ben presente il pensiero e l’idea del cuoco, ecco spalancarsi tutta la sontuosità, l’agricola eleganza e la maestosità della nuova cucina di Paolo Lopriore. O per lo meno della cucina coerentemente contestualizzata e pensata per questo ristorante. Abbiamo visto a suo agio Paolo in questa nuova idea, tra pirofile e dialoghi, non monologhi. Con confronti e intersezioni, l’anima del pensiero e della crescita.

E il paragone con l’artista ci sorge nuovamente spontaneo. Meglio il Picasso cubista o il primo Picasso impressionista? Due stili molto differenti a cui un maestro si approccia con tutta la sua spinta e la sua carica personale ed il suo talento. Ecco perchè il Tre Cristi è un modello che ci piace tanto.

Si respira un’aria conviviale ai Tre Cristi, ma anche affascinante e intrigante: non fatevelo mancare!

Focaccia pistacchio, aglio dolce e semi d’anice.
Focaccia, Tre Cristi, Chef Paolo Lopriore, Milano
Crema cotta di acciughe e borragine, primo sussulto!
Crema Cotta, Tre Cristi, Chef Paolo Lopriore, Milano
Gnocchi di riso al cacio e pepe.
gnocchi di riso al cacio e pepe, Tre Cristi, Chef Paolo Lopriore, Milano
…e dopo i loprioriani benvenuti, questo straordinario pane e questa stratosferica focaccia entrambi a lievito madre di mammà (Lopriore).
Focaccia, Tre Cristi, Chef Paolo Lopriore, Milano
Zucchine in scapece. Come spesso accade con questo signore un piatto apparentemente semplice, ma dal profilo gustativo molto complesso.
zucchine in scapece, Tre Cristi, Chef Paolo Lopriore, Milano
Il vero piatto! Pane con intingolo filo-giapponese … un brodo umami arricchito da katsuobushi fenomenale!
Pane con intingolo, Tre Cristi, Chef Paolo Lopriore, Milano
Una libera citazione al maestro. Straordinari spaghetti di riso, con fondo di burro acido e pistilli di zafferano. Rifinito on top da sferificazione di zafferano e foglia d’oro. Manca certamente il pompelmo, ri-citazione a se stesso, e forse la sferificazione e il posizionamento dell’oro sono leggermente da rivedere. Ma indubbiamente fantastico!
Spaghetti di riso, Tre Cristi, Chef Paolo Lopriore, Milano
Fave e cipolle…
Fave e Cipolle, Tre Cristi, Chef Paolo Lopriore, Milano
Baccalà in intingolo d’erbe…
Baccalà in intingolo di erbe, Tre Cristi, Chef Paolo Lopriore, Milano
…e crema di baccalà e patate.
crema di baccalà e patate, Tre Cristi, Chef Paolo Lopriore, Milano
Piatto da comporre a piacimento in cui quella crema di baccalà, olio e patate è da fondo scala. il resto ottimo, eccellente!
baccalà, Tre Cristi, Chef Paolo Lopriore, Milano
Gnocchi alla romana divini…
Gnocchi alla romana, Tre Cristi, Chef Paolo Lopriore, Milano
Finanziera di Manzo al bahart (spezie orientali) e kefir… altro piatto conviviale di livello assoluto.
Finanziera di Manzo, Tre Cristi, Chef Paolo Lopriore, Milano
I dolci, si sa, non sono il punto forte di Lopriore… gelatina di pesce e mango, spuma di mandorle amare e pistacchi.
dessert, Tre Cristi, Chef Paolo Lopriore, Milano
Gelato al caffè ed albicocca e i suoi accompagnamenti…
Gelato al caffè, Tre Cristi, Chef Paolo Lopriore, Milano
Gli accompagnamenti…
accompagnamenti, Tre Cristi, Chef Paolo Lopriore, Milano