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Gagini

Il tutto è più della somma dei singoli elementi.

Il tutto è più della somma dei singoli elementi“. Aristotele, psicologia della Gestalt o Battiato, con Inneres Auge? No, è quello che compare in un foglio, presentato al tavolo, che racconta la filosofia gastronomica di Mauricio Zillo, il creativo Chef brasiliano che è da quattro anni in Sicilia al ristorante Gagini. Ricercatore ossessivo di materie prime, rigorosamente siciliane, povere ma di eccellenza, a cui vuole dare un’espressione individuale rendendole attrici di una nuova identità del gusto, se l’inneres auge di Battiato è l’occhio interiore che permette di vedere l’aura degli uomini, quello di Zillio permette di vedere l’aura dei vegetali, dei pesci e degli animali in genere, che si combinano magicamente nei suoi piatti.

A questo proposito, è incredibile il rapporto simbiotico che si è instaurato fra Mauricio e la Sicilia, che rafforza il suo estro creativo; il ristorante diventa quindi una sorta di laboratorio gastronomico del gusto mediterraneo. L’approccio estemporaneo che lo ha sempre caratterizzato resta sicuramente come punto di partenza, ma sta diventando sempre più canalizzato e focalizzato sulla ricerca di una maggiore armonia di fondo.

Qui si vive e si respira a pieni polmoni l’estate siciliana

Quello che impressiona, positivamente, è quanto Zillo riesca a far arrivare in modo nitido tutto gli elementi, che non sono mai pochi, e farli rimbalzare nel palato in modo, dicevamo, armonico. Zucchine che danzano e incontrano sarde marinate e umeboshi fatto in casa; la semplicità di Fichi con bottarga e una Portulaca condita con yogurt fatto sempre in casa, di latte di capra. I Bottoni di pecora di Cammarata bollita, accompagnati da un ottimo brodo e piper auritum sono deliziosamente intensi. Il piatto decisamente superiore per profondità e complessità di spunti è la Seppia di Terrasini, tenerumi, patata di Grenailles fermentata, zapote nero, pepe verde e garum di calamaro. Super golose le Melanzane in tre consistenze, amarene, provola delle Madonie e cappero di Pantelleria. Il Carpaccio di vacca, brodo caldo di molluschi, salsa bernese alle cozze e nocciola di Tortorici è piacevolmente gustoso anche se abbiamo trovato fin eccessiva la quantità di salsa. La parte dolce risulta essere sempre un po’ sottotono, mentre la parte dei lievitati, gestita egregiamente da Melania Guarneri, migliora di anno in anno.

Complessivamente quello che apprezziamo è la cucina assolutamente differente, fuori dagli schemi, poliedrica e identitaria di Zillo, con un percorso stagionale che fa vivere e respirare a pieni polmoni l’estate siciliana. Ciò detto, siamo esigenti: ci aspettiamo sempre più piatti come la seppia, foriera di tutte le potenzialità di questa cucina.

IL PIATTO MIGLIORE: Seppia di Terrasini, tenerumi, patata di Grenailles fermentata, zapote nero, pepe verde e garum di calamaro.

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Realtà monopolista a Menfi: dallo studio dei suoli all’enoturismo

A poco più di un’ora di strada dall’aeroporto di Palermo, il grande lavoro di cooperazione portato avanti da Mandrarossa, marchio di punta della cantina Settesoli, nata nel 1958, rappresenta un esempio di grande capacità di gestione e valorizzazione del fattore umano d’avanguardia ma sopratutto è una materiale trasfigurazione delle potenzialità della terra in cui nascono le viti, che raggiungono fino ai 400 metri s.l.m. 

Il percorso di Mandrarossa, iniziato nel 1999, da subito ha puntato ad investire le proprie risorse nella ricerca, con l’obiettivo di comprendere quali fossero le migliori uve – sotto il sole per 300 giorni l’anno – da coltivare in questo angolo al nord – ovest della Sicilia. Si piantano varietà indigene e non, dal Nero d’Avola, Gracanico, Grillo, Fiano allo Chardonnay, Merlot, Syrah, Cabernet Sauvignon, Vermentino (abbiamo recentemente assaggiato il loro bel Larcéra) e Petit Verdot e molte altre, quando a cavallo degli anni sessanta e settanta c’erano principalmente uve bianche. Dopo il primo osso all’estero, si decide di mappare ogni parcella a disposizione, ne seguono analisi e prime prove di vinificazione, che rispondono con efficacia nel bicchiere; l’impostazione del lavoro è improntato sulla precisione, si sviluppa al passo con una natura che cambia e sembra così perfetto da paragonarlo a un piano urbanistico a scacchiera romana.

La parola d’ordine per l’agronomo storico di Mandrarossa, Filippo Buttafuoco, è “rigore”: quello richiesto ai conferitori in campagna, seguiti in ogni fase del ciclo vegetativo. Quest’aria d’innovazione, che nel tempo ha conquistato oltre 2000 padri di famiglia, registrati in base alle loro superfici vitate e i suoli in cui crescono le loro viti, hanno permesso di catalogare 5 diverse tipologie di suoli, “costole” fatte di habitat spesso circondati da palme nane, simbolo scelto per il logo Mandrarossa.

Questo studio ventennale, portato avanti da Mimmo De Gregorio e Filippo Buttafuoco, Enologo e Tecnico viticolo di Mandrarossa, supportato da Alberto Antonini e Pedro Parra, specialista nello studio di micro-terroirs, e dei geologi dell’Università di Palermo, ha messo in evidenza soprattutto la roccia madre calcarea di origine marina, presente ai confini del Bosco Magaggiaro, oasi naturalistica e paesaggistica di quasi mille ettari colma di pini, ulivi, eucalipto, querce, pini, ulivi e palme nane.

Da qui ne deriva un baricentro produttivo da “Mar d’Africa” in cui nascono linee produttive incentrate sulle bacche tipiche siciliane e una linea più “innovativa” per quelle internazionali, a lato non mancano le contrade e spumanti. E per completare la propria offerta, Mandrarossa ha recentemente ultimato e inaugurato la nuova cantina che, sviluppata su tre piani, offre un lungo percorso di visita il cui finale prevede il calice di vino con vista sulla vecchia strada della ferrovia che portava al mare, oggi pista ciclabile.

Vini consigliati

Bianco Terre Siciliane Igt Fiano 2021

Uno dei vini più sfidanti per Mandrarossa, certificato biologico, nasce in suoli argillosi e sabbiosi, vigneti esposti a sud e sud-est, a 150 – 350 metri s.l.m. si presenta in un amalgama di note tropicali ed erbacee; un sorso affusolato, in questa sua fase, tra fiori di campo e aloni citrini, da aspettare in vetro; buono il potenziale di invecchiamento visibile in un substrato iodato e dovizioso per potenza.

Bianco Sicilia Doc Chardonnay 2021

Nessuna opulenza, il vino si intensifica nel bicchiere su note citrine, la sottile ma efficace acidità sostiene la materia, fragrante e fresca. Nasce su suoli calcarei e a medio impasto, esposti a sud e sud-est, a 150 – 350 metri s.l.m. 

Bianco Sicilia DOC Grillo 2021

Su suoli sabbiosi e calcarei, esposti a sud e sud-est, a 80 – 250 metri s.l.m. un grillo che trova una sua sorte di pace interiore, i limiti diventano caratteristiche; nel bicchiere, note di erbe officinali e mediterranee, il sorso appare tonico e muscoloso nel suo epicentro, fresco e agrumeto nel fin di bocca. 

Sicilia Doc Nero d’Avola 2021

Tra i 100 e i 400 metri s.l.m, un Nero d’Avola esplosivo, vivace e di grande succo. Brillante, già al colore, con un frutto croccante e una polpa dinamica. Persistente quanto base per apprezzare prima che richiamare un secondo sorso. 

La cucina poliedrica di Mauricio Zillo

Si potrebbe associare Mauricio Zillo, estroso Chef brasiliano rimasto in terra siciliana all’inizio della pandemia, innamorandosene, a Frank Zappa in ambito musicale il cui padre, fra l’altro, ha origini proprie sicule, di Partinico, per la precisione. Come per Zappa, difficile definire il suo stile, ma di sicuro a lui paragonabile per maestria tecnica, poliedricità, estro creativo e irriverenza. Evidente un percorso di cambiamento dagli esordi, qui al Gagini, grazie anche all’allargamento della brigata, scelta con cura, fra cui si deve citare la bravissima Melania Guarnieri, maestra di lievitazioni. Rispetto al passato c’è più eleganza e cura delle presentazioni nei piatti, una istintività più incanalata e controllata ma sempre con degli sprazzi di genialità. Grande materia prima di eccellenza con chicche di piccoli produttori siciliani, frutto di una ricerca continua negli anni, valorizzata dalla visione creativa di questo brasiliano che ha girato il mondo e che ama visceralmente questa terra.

La Sicilia vista da un brasiliano

Un percorso degustazione che parte con note delicate, forse anche troppo, con la Cucuzza (la zucchina) bollita ripiena di tenerumi e vongole, accompagnata da una salsa allo zafferano che dà un minimo di spinta. Disorientante il Granchio, aragosta, anguria fermentata, un piatto che ti aspetti in un modo e invece ti sorprende sia visivamente che al palato per l’anguria, super protagonista. Poi si procede con piatti più rassicuranti, come gli Gnocchi di patate, dalla particolare consistenza, ricotta infornata, brodo di canocchie e sardella.

Sorprende la capacità dello Chef di creare piatti dove si parte dalla combinazione di elementi che, per definizione, stanno bene insieme, come per i Bottoni, ripieni di robiola di capra girgentana, prosciutto del suino nero dei Nebrodi e salsa di fichi – quindi formaggio, prosciutto e fichi – per poi spiazzare con una spolverata abbondante di sommacco del palermitano che porta quella ventata di acidità ad un piatto in bilico fra dolcezza e sapidità, nel complesso molto goloso. Impressionante, per l’intensità e la potenza, la Ricciola in agrodolce, albicocca, lattume, bottarga di muggine, polline di ape nera, anche qui un equilibrismo fra i diversi elementi per un piatto geniale. Fra Modica e Messico l’eccellente Pollo di Linguaglossa, melanzane, cioccolato di Modica con peperoncino, sesamo di Ispica e un’altra salsa, ottima, fatta con il fondo del pollo e il cioccolato. La parte dessert è invece decisamente meno interessante rispetto alla parte salata, tanto che il percorso nel suo complesso è un po’ altalenante.

Restano, tuttavia, gli sprazzi di genialità e sregolatezza che rendono l’esperienza sempre un po’ speciale: ed è precisamente questo l’aspetto che vogliamo premiare confermando la votazione dell’anno scorso.

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Alla scoperta del Nero d’Avola con Sicilia Doc

Nerboruto e potente, vellutato e ammaliante, il Nero d’Avola cela una sorta di doppia identità che di primo acchito potrebbe farlo sembrare un vino scontroso. Tuttavia approfondendone la conoscenza emergono quelle qualità che te ne fanno apprezzare la compagnia. La sapidità apportata dalla vicinanza al mare, i tannini mai troppo ruvidi, l’avvolgenza delle bottiglie più evolute che, come spesso capita a cose e persone, si ammorbidiscono nel tempo. Il Nero d’Avola è un vino dalla forte personalità. Come un vecchio pescatore, burbero e scolpito dal mare, che però è in grado di ammaliare chi lo ascolta con le sue storie, ricche sia di esagerazioni che di brutale realtà.

Storie che si è avuto modo di conoscere e approfondire in quel contesto di esagerata bellezza che è Villa Igiea, storico palazzo di Palermo appartenuto a Ignazio e Franca Florio e che oggi reca le insegne del marchio di lusso Rocco Forte Hotels. Tra quelle pareti affrescate con alcune delle più belle illustrazioni in stile Art Nouveau di Ettore De Maria Bergler e le sale adornate con gusto affacciate sugli splendidi giardini della villa e, più in fondo, sul mare, è andata in scena una tre-giorni di degustazioni, seminari e momenti di approfondimento dedicati a due vitigni iconici di questa terra: Nero d’Avola e Grillo.

Un evento nel quale il Consorzio di tutela vini Doc Sicilia non solo ha voluto rendere omaggio agli interpreti del territorio e alle diverse espressioni vitivinicole nelle quali esso si articola, ma anche presentare il progetto SOStein: 24 aziende, con oltre 40 milioni di bottiglie, intente nella promozione della sostenibilità ecologica della regione Sicilia, la più ampia superficie vitata italiana a conduzione biologica.

Da Palermo a Milano

Un secondo incontro con questo vitigno si è avuto, poi, a Milano, in quello che potrebbe definirsi il tempio Art Déco della gastronomia milanese: il ristorante Cracco in Galleria. Qui, al fine di evidenziare lo stretto legame del vitigno con il territorio, i sette campioni sono stati serviti alla cieca, con la sola indicazione dell’annata e della provincia di provenienza. Il tutto declinato in un abbinamento coraggioso, con il menù interamente vegetariano proposto da Carlo Cracco. Ebbene, il vegetale non ne ha risentito affatto e la proposta è stata convincente; a ulteriore dimostrazione della grande versatilità di questo vino.

Le caratteristiche del Nero d’Avola

In occasione del grande evento tenutosi a Palermo sono stati circa cinquanta i Neri d’Avola portati in degustazione. Una raccolta imponente a rappresentanza delle annate più giovani disponibili sul mercato, che ha dunque permesso di conoscere i diversi stili approntati dalla singola cantina e, con uno sguardo più ampio, le macro-differenze dovute alle rispettive zone di coltivazione.  

Vitigno a bacca nera tra i più diffusi in Sicilia, se i territori della tradizione erano rappresentati da Pachino e Vittoria, dalla fine del 1800 si diffonderà in tutte le province siciliane, fino a diventarne l’indiscusso protagonista. Del resto i suoi non sono pregi da poco conto. È un vitigno con una buona capacità di accumulare gli zuccheri, senza che questa caratteristica vada ad inficiare sull’acidità complessiva, che risulta sempre elevata. Alla vista si presenta dunque carico di colore, ma in bocca non è mai stucchevole grazie all’acidità, prevalentemente tartarica, che fa ordine sul palato riequilibrando la componente alcolica e la tannicità, ben presente ma mai troppo aggressiva. Al naso spiccano gli aromi primari, con costante percezione di ciliegia, fragola e violetta, ma anche di note vegetali e speziate.

Le macro aree enologiche

Il profilo organolettico del Nero d’Avola cambia nettamente a seconda del clima e del suolo sul quale insiste. I polifenoli risultano infatti maggiori al diminuire dell’acqua e all’aumentare dell’esposizione solare, mentre le componenti aromatiche variano a seconda del suolo. Sui terreni argillosi profondi, che in estate permettono di accumulare buone riserve idriche, i vini risultano più freschi, sapidi e leggermente amaricanti. Sui terreni limoso-sabbiosi, ricchi di scheletro, non molto profondi e tendenzialmente siccitosi, il profilo aromatico si fa più complesso, spostandosi verso sentori speziati e di frutta secca.

Illustrati in maniera puntuale dall’enologa Lorenza Scianna, di seguito la panoramica dei diversi territori.

Cinque vini che ci sono piaciuti

Palermo

Donnafugata – Sherazade 2020

Da vigneti coltivati tra Palermo e Marsala, su suoli argillo-calcarei, nasce il Sherazade. Un vino dal colore brillante, dove accanto al netto sentore di ciliegia emergono subito le note speziate del pepe nero e più delicati accenni balsamici. In bocca il tannino è suadente e il nettare scivola via in una piacevole carezza al palato, vellutata e fresca.

Caltanissetta

Duca di Salaparuta – Passo delle Mule 2019

Il terreno a composizione mista calcareo-silicea dà vita a un vino intenso e dalla piacevole sapidità. Al naso protagonisti sono i frutti, con marasca in primo piano e qualche spezia a contorno; al palato il vino dimostra tutta la sua bevibilità nonostante il grado alcolico elevato.

Agrigento

Planeta – Plumbago 2019

Nato da appezzamenti diversi, con scheletro abbondante a Ulmo e mediamente calcareo a Dispensa, il Plumbago rappresenta l’immediatezza del frutto. Al naso si palesano subito prugne mature, more e datteri, integrate da un corollario a base di cacao. Al palato è morbido, con tannini ben integrati.

Cantine Settesoli – Mandrarossa Cartagho 2018

Dai suoli calcarei e sabbiosi di Menfi, a breve distanza dal mare, prende vita questo vino di grande eleganza. Alla marasca si affianca la nota resinosa del pino, mentre in lontananza si palesano richiami mentolati e balsamici. Al palato emerge una piacevole mineralità, che ben stempera la rotondità generale dell’assaggio.

Trapani

Baglio oro – Ceppineri 2016

Ci spostiamo a Marsala, su terreni di medio impasto tendenzialmente argillosi. Con qualche anno in più di affinamento sulle spalle, questo vino mostra tutto il carattere del vitigno. Al naso spiccano note salmastre e fumé, tabacco e frutti che diventano piccoli e dai sentori più scuri, come il ribes nero. Una viva freschezza rimette al suo posto la generosa morbidezza, il tutto in un piacevolissimo equilibrio, che perdura a lungo sul palato.

A spasso tra i mari e i monti della Sicilia

A pochi passi dalla Vucciria sembra aver trovato il suo habitat naturale Mauricio Zillo, chef dal lungo curriculum internazionale, che da quasi due anni officia al Gagini Restaurant. Dopo un iniziale periodo di naturale adattamento, ora lo chef italo-brasiliano sembra essere entrato in perfetta sintonia con Palermo e il territorio siciliano.

E difatti qui hanno ingrandito cucina e brigata per permettere a Zillo di esprimere tutto il suo talento, lui che, da sempre affascinato dalla varietà dei sapori della Penisola, li ricercava e proponeva nei piatti. Durante l’ultima visita il focus si è spostato sui prodotti e le tradizioni della Trinacria: materie prime rare, finanche quasi estinte, abbinate a carni o pesci dell’Isola in maniera singolare e con risultati a tratti eccellenti.

Accomodandosi ad uno dei tavoli del Gagini Restaurant non solo si sta bene ma si ritrovano dei sapori “primari” ormai quasi scomparsi dalle nostre tavole. Un esempio è il pollo, non quello che affolla gli scaffali dei supermarket, ma quello di campagna nel vero senso del termine, il cui petto, cotto alla perfezione, è proposto in abbinamento alle vongole, alla rapa bianca e legato con un una salsa di yogurt e manna (una preziosa e rarissima resina naturale).

Tanta tecnica al servizio di sapori dimenticati

Il percorso di degustazione è stato ben ideato e caratterizzato da una esecuzione tecnica ineccepibile, sia nella realizzazione delle salse che nelle cotture. Elegantissima la tartare di manzo con cavolo, lattume di tonno e la salsa alle amarene a bilanciare il tutto. Interamente giocato sulle note dolci il gambero rosso crudo con carota di Ispica cruda e cotta e mandorle. La pasta, patate e peperoni trova nell’ostrica cruda, alla base, la chiave del patto, solo in apparenza non adatto al clima estivo ma dal sapore e dall’acidità ben bilanciata al palato. Intenso il sapore del calamaro ripieno di erbe amare con il buonissimo prosciutto, di maiali neri che mangiano solo ghiande, e lenticchie col midollo

La complessità e la piacevolezza dei sapori caratterizzanti questa tavola si riscontrano anche nei dolci, come l’Etna, una rivisitazione del Mont Blanc realizzata con fave novelle e gelato al basilico.

Il servizio è professionale e capace di mettere tutti a proprio agio, la carta dei vini ha interessanti proposte sia italiane che estere, con attenzione alle etichette naturali. Da Gagini si siede insomma presso una delle migliori tavole del sud Italia: un posto che la costanza e la ricerca di Mauricio Zillo hanno portato a una vistosa, e repentina, evoluzione.

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