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Orto by Jorg Giubbani

Dalle colline liguri al mare

L’Hotel Villa Edera e la Torretta fa capolino tra le colline liguri che si impongono nel panorama. La strada per giungervi è di per sé una mini-avventura, che preannuncia quello che sarà il viaggio tra montagna, collina e mare che Jorg Giubbani ci riserverà nel suo ristorante, Orto.

Allo Chef, classe 1992, la Famiglia Schiaffino, proprietaria dell’hotel, ha affidato la nuova interpretazione del ristoro all’interno della deliziosa struttura; un corteggiamento durato diverso tempo, mentre forgiava la sua personalità in cucine blasonate, da Quique Dacosta al Belmond di Portofino e, infine, nel luogo che forse più ha lasciato in lui una forte impronta, la Stüa de Michil, in Val Badia. Il sorriso di Orietta Schiaffino ci riserva il benvenuto sin dal parcheggio, attraversata la hall ecco l’ingresso, oltre il quale veniamo accolti da Kevin Abila che ci accompagnerà a tratti lungo quasi tutto il percorso, accomodati sulle tradizionali sedie “chiavarine”. Starà invece al Sommelier Daniele Crepaldi il compito di supportarci nella scelta di un bianco ligure di carattere che ci accompagni a tutto il pasto, un racconto non banale e ricco di aneddoti che ha arricchito la nostra esperienza.

Gli orti di Jorg Giubbani: tradizione contemporanea e identità rurale

Sfogliando il menù, curato anche nella forma con bellissimi disegni che ne riassumono concetti con eleganti pittogrammi, pregustiamo i tre i percorsi degustazione: “Ligustico”, sei portate in un viaggio dal mare all’entroterra nella tradizione contemporanea. “Inte l’Òrto”, sei portate per affondare le mani nelle radici alla riscoperta dell’identità rurale. “Qui e Ora”, un percorso di sette portate alla cieca ad estro dello Chef, espressione della sua audacia. Non banale la possibilità, oltre il classico abbinamento alcolico, anche di un percorso analcolico. La scelta per il menù “Ligustico” ci ha permesso di toccar con mano la rilettura moderna della tradizione forse a discapito di una spinta più intrepida. I piatti che più ci hanno colpito, Sentiero in Liguria ovvero i diversi tipi di orto dello Chef: “orto di mare”, scorfano accompagnato da fagiolini e taccole; “orto di collina”, pralina al pesto limone, chiusa nel burro di cacao, limone fermentato e zucchina trombetta e nasturzio, una esplosione in bocca; “orto di montagna”: millefoglie di giardiniera e ortaggi.

E poi la reinterpretazione di un piatto povero della tradizione, Camogli… Cappunadda di sgombro, sgombro marinato a caldo sott’olio, accompagnato da composta di pomodoro cuore di bue, cipolla rossa di Zerli in agrodolce, erbe aromatiche, polvere all’olio evo e airbag di pane che ricorda la galletta biscottata del piatto originario. Interessante l’idea di un percorso per il passaggio tra salato e dolce, “stop and reset”, corredato da un cambio tattile, passando a un tovagliolo di lino, oltre che olfattivo grazie a un’acqua aromatizzata con le erbe dell’orto, accompagnato da un cremino alla maggiorana, ciliegia e mirtillo.

La cifra dello Chef: la ricerca, l’importanza della terra, della stagionalità, di quel che viene chiamato chilometro zero, della ricerca della materia prima spesso “povera” e dell’esaltazione tramite le erbe, si suggellano in SEMI-lasci non vale. La coccola finale che richiama la canzone di Julio Iglesias – oltre alla piccola pasticceria con croccante di crème fraîche e passion fruit, un’esplosione, tartelletta con tuorlo di susina e copertura di lime e ananas in osmosi di erbe balsamiche – all’ospite viene lasciato un foglio di carta compostabile con all’interno semi compressi del loro orto, che potranno essere piantati in diversi vasetti, come a dire “Ma quello che conta tra il dire e il fare è saper andar via ma saper ritornare”.

IL PIATTO MIGLIORE: Camogli… Cappunada di sgombro.

La Galleria Fotografica:

Situato tra Sorrento e Piano di Sorrento, Sant’Agnello è il più piccolo dei comuni della Costiera. Pieno di fascino, si estende tra mare e collina e dal suo lungomare (la famosa Marinella) è possibile godere del panorama di tutto il golfo.
Qui, all’interno dell’Hotel Majestic Palace circondato dagli aranceti, si trova il Don Geppi che, da un paio d’anni, si è aggiunto al più tradizionale ristorante riservato ai clienti dell’albergo.
Ristorante minuscolo, una petite salle à manger di soli dodici coperti, nella quale la prima cosa che colpisce è la qualità dell’accoglienza e l’efficienza del servizio.
Una squadra perfetta che si muove all’unisono, attentissima a qualsiasi esigenza del cliente.

Ad orchestrare il tutto una coppia di illuminati imprenditori: l’architetto Giulia Rossano (figlia di Don Geppi Rossano) ed il suo compagno di vita, il bravissimo Lucio D’Orsi, food manager e preparatissimo sommelier; artefice tra l’altro di una carta dei vini attenta al territorio campano, non ampissima ma piena di etichette interessanti e di bollicine di gran pregio, che sa andare ben oltre i soliti nomi.
Basta poco per capire che alla base ci sono tanto studio, tanta passione, tanto impegno e non semplicemente l’esigenza di ammaliare la ricca clientela straniera che qui di certo non manca.

La cucina è affidata al casertano Mario Affinita, 35 anni, già executive Chef del ristorante dell’hotel dal 2010. Nato come pasticcere, ha nel curriculum uno stage dai fratelli Roca ed esperienze italiane di prestigio con, tra gli altri, Enrico Bartolini e Pino Cuttaia.
Dotato di buona tecnica, nella sua cucina è in primo luogo essenziale e rimarcato il legame con il territorio ed i piatti della tradizione. Reinterpretati ma mai stravolti nel gusto. E così, lo spaghetto alla Nerano -il piatto feticcio della Costiera- diventa Tortelli alla Nerano, e poi il richiamo alla Genovese, le Zucchine alla Scapece. Ma non solo.
Altro elemento degno di nota e fil rouge dell’intera cena è la pulizia e la leggerezza delle preparazioni. Anche quando si cimenta nella preparazione di piatti essenzialmente rustici, lo chef riesce a non essere mai greve. Come dimostrano gli gnocchetti con il baccalà che al netto dell’aggiunta della pelle del baccalà (parte croccante ma inutile) si rivelano di straordinaria leggerezza.
Sì, al netto di qualche ingenuità (leggasi chips di funghi sul risotto) probabilmente dettata dalla voglia di stupire e/o dalla ricerca di rispettare canoni ormai a nostro avviso logori, al Don Geppi ci si può divertire.
Grazie anche al fatto che c’è la capacità di alternare stili di cucina diversi e diverse tipologie di cottura, basate su una grande varietà di ingredienti (nell’arco della cena ma mai nello stesso piatto).
In tema di ingredienti, peraltro, ci piace rimarcare la non comune qualità degli ortaggi e delle verdure provenienti dal bellissimo orto di proprietà del ristorante.
Si sta bene e si mangia bene al Don Geppi. Affinita ha entusiasmo, voglia di fare, tante cose in testa, un’energia che siamo certi alla fine riuscirà a tradurre in uno stile più personale ed in una linea di cucina più definita. Questo è il salto di qualità che ci aspettiamo in un futuro che siamo certi non sarà troppo lontano.

sala, Don Geppi, chef Mario Affinita, Sant'Agnello, Sorrento
In generale ottimi e ben congegnati gli appetizers:
Caesar Salad, boccone dotato di notevole concentrazione gustativa: pollo uber alles!
caesar salad, Don Geppi, chef Mario Affinita, Sant'Agnello, Sorrento
Pane, Burro e Alici.
pane burro e alici, Don Geppi, chef Mario Affinita, Sant'Agnello, Sorrento
Finto pomodoro: all’interno tartare di fassona.
finto pomodoro, Don Geppi, chef Mario Affinita, Sant'Agnello, Sorrento
Brioche croccante alla genovese (ingentilita dal cipollotto che sostituisce la cipolla donando al boccone un’inaspettata eleganza).
brioche, Don Geppi, chef Mario Affinita, Sant'Agnello, Sorrento
Il pane e il burro (griffato Jean-Yves Bordier): al naturale, al sale affumicato (sensazionale!) e al finocchietto.
pane, Don Geppi, chef Mario Affinita, Sant'Agnello, Sorrento, burro, Jean-Yves Bordier
Tortelli alla Nerano: all’interno zucchine e cipollotto, sul piano crema di provolone del monaco e pepe verde. Piatto dolciastro, non equilibratissimo, in cui prevale il gusto del cipollotto.
tortelli alla Nerano, Don Geppi, chef Mario Affinita, Sant'Agnello, Sorrento
Melanzana perlina o polpetta? Le piccolissime melanzane perline ripiene della stessa melanzana e provola affumicata: piatto molto semplice, molto campano.
melanzana, Don Geppi, chef Mario Affinita, Sant'Agnello, Sorrento
Risotto con infuso di gamberi grigliati, spugnole e trombette. Risotto eccellente dai sapori nitidi e intensi con una gradevolissima nota agrumata (limone). Resta da capire la necessità di ricoprirlo di una sorta di chips di trombette dalla consistenza cartonata.
risotto, Don Geppi, chef Mario Affinita, Sant'Agnello, Sorrento
Gnocchetti di patate (senza farina) con trippa di baccalà e bottarga di tonno affumicata. Gnocchetti che si sciolgono letteralmente in bocca. Ma anche qui dobbiamo rimarcare la ricerca un po’ didascalica della parte croccante nel piatto, qui rappresentata dalla pelle del baccalà che a nostro giudizio nel caso di specie contribuisce inutilmente ad appesantire un piatto per il resto di estrema leggerezza.
gnocchetti, Don Geppi, chef Mario Affinita, Sant'Agnello, Sorrento
Sandwich di sogliola alla mugnaia con zucchine alla “ex Apicio”. Piatto molto buono con la salsa à la meunière a costituire la base acida, che si sposa perfettamente anche con le zucchine alla “scapece”.
sandwich, Don Geppi, chef Mario Affinita, Sant'Agnello, Sorrento
Filetto di vitello e tartufo nero.
filetto, Don Geppi, chef Mario Affinita, Sant'Agnello, Sorrento
Noci, fichi e culatello: sorbetto di fichi, biscotto alle noci, meringa sbriciolata e culatello.
sorbetto di fichi, Don Geppi, chef Mario Affinita, Sant'Agnello, Sorrento

Piña Colada: buona, fresca e divertente.
pina colada, Don Geppi, chef Mario Affinita, Sant'Agnello, Sorrento
Petit Four.
petit four, Don Geppi, chef Mario Affinita, Sant'Agnello, Sorrento

Erba Brusca, Chef Alice Delcourt, Milano

Ha aperto da poco più di due anni, il “ristorante con orto” voluto da Alice Delcourt e dal gruppo di ristoratori già artefice delle fortune del Ratanà e si è già conquistato un posto d’onore sulla piazza milanese. Grande visibilità mediatica, buoni riconoscimenti sulle guide e larga eco tra il popolo dei gourmet. Insomma, un successo.
E la cosa non stupisce più di tanto dal momento che questo piccolo locale sul Naviglio Pavese ha con grande intelligenza fatto propri alcuni temi vincenti nel mondo della gastronomia dei nostri giorni.
A partire dal famoso chilometro zero. Che qui è declinato all’ennesima potenza dal momento che alle spalle del ristorante c’è l’orto. Dove Alice Delcourt, sulla scia di Michelle Obama, coltiva molte delle erbe aromatiche e degli ortaggi utilizzati in cucina. Scelta intelligente, biologica, che indubbiamente piace e riscuote consensi.
Ma Erba Brusca si distingue anche per una certa essenzialità, una attitudine spartana che, si sa, in tempi di crisi non fa mai male. Il locale non è bellissimo (soprattutto durante la stagione invernale in cui non si può godere del dehors che dà sull’orto), le tovagliette sono di carta, qualche tavolo è davvero sacrificato, in bagno non abbiamo trovato l’asciugamani e in sala si marcia ma non si dispensano grandi sorrisi.
Insomma, qui si viene essenzialmente per godere della cucina della Delcourt e per spendere il giusto. Ed è inutile sottolineare come a Milano offrire buona cucina a prezzi umani sia una mossa vincente.
E la cucina della Delcourt è buona anche se non ci sembra dare pieno spazio alla concentrazione dei sapori.
Territorialmente non incardinata in binari ben definiti – d’altra parte la chef è francese, di madre inglese e con un vissuto a stelle e strisce – la cucina di Erba Brusca è cucina globale. Accanto ai buoni prodotti dell’orto, infatti, la chef propone con successo preparazioni e ingredienti non proprio a chilometro zero come il buon tonno Bonito che abbiamo gustato in una riuscita versione Tataki.
In linea generale si fa apprezzare la grande attenzione alla stagionalità dei prodotti, e una bella leggerezza di fondo anche quando si affrontano piatti ricchi come il Risotto crema di rucola e lardo. Tecnicamente la cuoca c’è, niente da dire e la cena risulta assolutamente gradevole. Nessun piatto (fatta eccezione per il pre-dessert) denota errori di esecuzione o concezione.
Forse quello che manca è il piatto del KO, quello che non dimentichi, quello che fa la differenza. Ma in fondo poco importa.
Insomma, siamo di fronte ad un ristorante che mantiene quello che promette: una cucina buona e leggera, tecnicamente valida, in un ambiente easy e con un conto umano. A Milano.
Un posto in cui si ritorna.
Ad Majora

Tataki di Bonito con capperi, pompelmo e panna acida all’erba cipollina.
tataki, Erba Brusca, Chef Alice Delcourt, Milano
Molto buona l’Insalata di puntarelle alla romana con uovo poché.
insalata di puntarelle, Erba Brusca, Chef Alice Delcourt, Milano
Vellutata di cavolfiore con saba ed erba brusca.
vellutata di cavolfiore, Erba Brusca, Chef Alice Delcourt, Milano
Risotto con pesto di rucola e lardo.
risotto con pesto di rucola e lardo, Erba Brusca, Chef Alice Delcourt, Milano
Piccione al forno con purea di sedano rapa e mele. Il piatto migliore.
piccione al forno, Erba Brusca, Chef Alice Delcourt, Milano
Crema di crescenza con fichi
520
Tarte tatin di mele con panna acida.
tarte tatin di mele con panna acida, Erba Brusca, Chef Alice Delcourt, Milano
Parfait al cioccolato con olio d’oliva e fleur de sel.
parfait al cioccolato, Erba Brusca, Chef Alice Delcourt, Milano


Questa recensione aggiorna la precedente  valutazione che trovate qui

Recensione Ristorante
Odio e amore, sono i sentimenti che il giovane Régis Marcon provava verso la sua terra in gioventù.
In effetti Saint Bonnet le Froid, paesino dell’alta Loira, nulla sembrava offrire ad un giovane amante delle belle arti. Tant’è che Regis fu costretto dalla madre a frequentare la scuola alberghiera per aiutare, dopo il diploma, nella conduzione della locanda di famiglia.
Ma, è proprio tornando al paese e cominciando a lavorare in azienda che il giovane Régis iniziò ad amare tutto di questa terra, un po’ sospesa nello spazio e nel tempo.
I funghi che in ogni mese dell’anno crescono nei boschi circostanti, le erbe spontanee che sapientemente dosate apportano sensazioni acide, amare, dolci, piccanti e sono diventate il vero marchio di fabbrica della sua cucina. Ma soprattutto il modo di vivere, scandito dai ritmi delle stagioni e la vita di un paese che, grazie anche al lavoro di questa ormai famosa famiglia, ha ricevuto notevole giovamento e ha creato un sistema virtuoso che collega il prodotto, il produttore al consumatore finale.
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