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Lume

Il granatiere della cucina italiana, a Milano, è in forma smagliante

Su Luigi Taglienti e sul suo Lume abbiamo detto e scritto tanto. E non ne abbiamo parlato per qualche tempo. Qualche periodo di necessario assestamento c’è stato. Ma oggi crediamo che il “granatiere ligure”, come lo ha apostrofato una nostra cara amica, abbia intrapreso serenamente la strada della matura consapevolezza.

Ha trovato il suo luogo Luigi, ha trovato casa. E nella sua casa si esprime sempre con grande vigore, con tantissima originalità gustativa, ma da oggi anche con un pizzico di rotondità borghese che non ci dispiace affatto. Anzi, ha reso i suoi piatti meno taglienti- -perdonateci l’uso dell’epiteto- lasciando il passo a una cesellata e costante modellatura del gusto, arrotondato e aggraziato. È più fine la cucina di Taglienti, ha preservato la sua vena di originalità nei sapori, negli abbinamenti, finanche nei contrasti. limando leggermente, come un grande Puligny invecchiato, i toni spigolosi di gioventù.

Cotture, consistenze e temperature inedite, a tratti spiazzanti

E così, tra piatti ormai classici e qualche spunto di modernità, ecco fare capolino in molte preparazioni l’Ostrica, ingrediente feticcio del cuoco savonese, finanche stavolta apparsa, in forma di dolce, in una stupefacente crostata ai fichi cotti. Passando per il sempre strepitoso Risotto curcuma e alloro, attraverso una imperiosa Lasagna, un Piccione dalla cottura millimetrica, quasi calvinista e spoglio nell’aspetto, ma vibrante di gusto, con il contrasto della salsa al tamarindo. E poi un tripudio con l’Anguilla, il Fegato grasso, la grandiosa Trippa di agnello e così via. Tutto lavorato con cotture, consistenze e temperature perfette, inedite, a tratti spiazzanti. Terminando con un finale di una torta di mele, richiesta a inizio servizio e quindi totalmente improvvisata, da far sobbalzare letteralmente sulla seggiola.

Qui Milano, Lume, la casa di un grande cuoco, che si avvia verso la maturità e la completezza del gusto, il suo, originale e vibrante, come sempre.

La galleria fotografica:

Quasi un Rave Party: Monti, Barker e Costardi al Rebelot

Prendete quattro chef, bravi e creativi, chiedete loro di immaginare un menu divertente e metteteli a lavorare gomito a gomito in una mini cucina. Aggiungete una sessantina tra amici, parenti e gente curiosa, unite della buona musica, versate dei buoni vini e degli altrettanto buoni cocktail, agitate e servite: il risultato è una miscela dalla forza dirompente che inchioda al tavolo, posate alla mano, dalla prima all’ultima portata.
Piatti nuovi, interessanti, mai visti, dagli accostamenti a volte improbabili, eppure di successo. È accaduto la sera di giovedì 13 luglio al Rebelot, ristorante e cocktail bar affacciato sul Naviglio Grande. Il resident chef, Matteo Monti, su suggerimento di un’amica, ha aperto la cucina a Cameron Barker, chef atterrato direttamente da Bangkok, e ai Costardi Bros, i sovrani del risotto.

Barker ha assestato il primo colpo con “Gambero esot(er)ico”, ovvero un gambero scottato in burro nocciola, nappato con un estratto di testa di gambero sopra a un’insalata condita con una salsa thai a base di lime, peperoncino e salsa di pesce thailandese, per poi proseguire con “Ostrica & cavolfiore al cumino”, con l’ostrica scottata in latte di cocco e curcuma, il cavolfiore tostato e una granita di alghe per restituire la nota iodata. Ha infine terminato con “Insalata di fegato e diaframma”.

I Costardi, quattro mani e un solo cervello (no, non è dispregiativo: a loro dire vivono in simbiosi totale), hanno coccolato tutti con il loro “Carnaroli in grigio”, o meglio un risotto al grigio di calamaro e lime,  e uno strepitoso dessert, “Invidia”, composto da una foglia di indivia belga riempita con una crema alla liquirizia e una granita alla mandorla, preparata al momento con l’azoto liquido.

Lo chef Monti, per riequilibrare le dosi di pugni e carezze dei colleghi, ha creato altri tre piatti: “Anguilla, guacamole, limone”, in cui la grassezza dell’anguilla e della guacamole sono bilanciate dall’acidità del gelato al limone; “Lingua, gorgo e cozze”, dove la lingua lessata è di Cazzamali, il gorgonzola è in crema e le cozze sono in carpione. Infine il predessert, “Carne”, ovvero una serie di spume a base di burro nocciola, di aglio e timo, che sono poi gli ingredienti di base per la cottura della carne, che nel piatto non c’è.

L’augurio è di vedere ancora, al Rebelot ma non soltanto, imprese simili.

Tutto si può dire, meno che a Milano sia mancato il fermento negli ultimi anni nel campo dell’alta gastronomia.

Qualche partenza e qualche separazione, certo, ma anche tanti stimolanti nuovi arrivi e l’inizio di nuove avventure, sull’onda della voglia di mettersi in discussione ripartendo con le proprie sole forze, dopo i giusti anni di gavetta e dei compromessi che essa sempre implica.

Ai cavalli di razza tali compromessi, si sa, a un certo punto possono cominciare a stare stretti, e che Luigi Taglienti fosse un cavallo di razza ci era già apparso chiaro sin dai tempi del Trussardi alla Scala. Dopo la breve parentesi a Palazzo Parigi, mesi di voci che lo volevano in procinto di ripartire, stavolta in un abito fatto completamente su misura.
Dallo scorso giugno, queste voci diventano realtà. Siamo in zona Naviglio Grande, fuori dal cuore della città quasi a ricercare un angolo di tranquillità, ma anche un ampliamento dei confini consueti e una rivalutazione di luoghi poco percorsi, secondo una tendenza che sembra farsi sempre più largo. Probabilmente la prima volta che arriverete qui vi chiederete se il navigatore vi ha indirizzato correttamente, tanta è l’inconsueta discrezione del luogo. La location, peraltro leggermente nascosta, è la vecchia fabbrica Richard Ginori, tirata a lucido e trasformata per mezzo di un imponente lavoro di ammodernamento in un complesso polifunzionale con appartamenti, uffici e spazi multifunzionali modulari all’ultimo grido in fatto di design e modernità.
Una volta varcata la soglia, un ambiente luminoso, moderno, essenziale, calibrato in tutto e per tutto alle esigenze dello chef, a partire dalle scelte cromatiche fino all’altezza dei piani di cottura.

Luminosità, modernità, essenzialità: gli stessi tratti che, coerentemente, ritroveremo anche nella cucina. La Grande Cucina italiana, i luoghi della vita trascorsa e presente: quindi la Liguria, il Piemonte, la Lombardia, Milano, ma anche la grande cultura classica francese e le tecniche di preparazione più avanzate.
Da tutto questo Taglienti sintetizza il suo stile fortemente personale, di estrema essenzialità estetica e gustativa, di cristallina chiarezza nel segno di un rispetto estremo per la materia prima. Sbalorditivo come anche nelle costruzioni più complesse ogni elemento risulti perfettamente delineato e presentato in quanto tale, senza compiacenti tentativi di amplificazione o riduzione, nel segno di una schiettezza espositiva esemplare. Schiettezza che certo a volte potrebbe anche spiazzare, nella sua -seppur sempre finemente dosata- sfrontatezza: è il caso, per citarne uno, del piccione e rosmarino, dove la nobile materia, cotta solo pochi istanti, cede il ruolo di protagonista a una salsa di potenza e persistenza estreme. Un piatto austero, materico, di impatto immediato ma non facile: tuttavia se lo si guarda come tappa di un percorso -non a caso è un piatto che non si trova in carta- ecco che il tutto assume un significato più chiaro, che merita ammirazione per coerenza e coraggio. Oggi più che mai, la cucina di Taglienti si conferma una delle grandi realtà della nuova scuola gastronomica italiana, e il passo ormai è prossimo per le soglie del Paradiso e dei riconoscimenti su più larga scala.
Servizio dinamico e professionale, visibilmente entusiasta di far parte di questa nuova avventura, gestione dei tempi inappuntabile e cantina di buona profondità.

Abbiamo optato per il percorso di degustazione più complesso, quello che ci sentiamo di consigliare per conoscere al meglio la filosofia dello chef, al quale abbiamo aggiunto i quattro secondi di cacciagione proposti in carta, oltre al dolce finale. Oltre alla carta è disponibile anche un secondo percorso di degustazione, di linea più accomodante ma non per questo non originale, dedicato alla rivisitazione in chiave moderna della cucina tradizionale milanese, di livello indubbio ma tuttavia, a nostro giudizio, lievemente inferiore alla proposta più d’avanguardia.

L’esterno.
lume, chef luigi taglienti, milano
La sala principale, con la cucina a vista.
sala, lume, chef luigi taglienti, milano
Uno scorcio verso l’altra sala.
sala, lume, chef luigi taglienti, milano
Una breve visita in cucina.
cucina, lume, chef luigi taglienti, milano
Il nostro tavolo.
tavolo, lume, chef luigi taglienti, milano
L’aperitivo: un Kyr Royal.
Kyr royal,lume, chef luigi taglienti, milano
Mise en place e aperitivo finito.
mise en place, lume, chef luigi taglienti, milano
I primi benvenuti della cucina.
Potage di verdure di stagione, ottenuto tramite una crioestrazione, servito in foglie di cavoletti di Bruxelles.
Sfoglia di lievito madre.
Tartelletta tipica ligure (frolla) con all’interno un ragù di selvaggina (capriolo e piccione).
benvenuto dalla cucina, lume, chef luigi taglienti, milano
Un ulteriore stuzzichino.
Sfoglia di riso e ceci con castagne, carne cruda, gamberi bianchi appena scottati, crema di nocciole, zucca, mostarda e rum.
L’usuale “cocktail solido” arriva questa volta in forma di un omaggio dello chef alle sue origini. Complesso ma al tempo stesso leggibilissimo, in ogni sua sfaccettatura.
stuzzichino, lume, chef luigi taglienti, milano
Apertura del percorso: “Acqua, olio, limone e liquirizia”.
Olio abbattuto a -40° che si presenta in forma solida in sospensione sull’acqua, arricchita con liquirizia e limone
Apertura di rito per il percorso creativo di Taglienti, costantemente ricalibrata secondo le esigenze di percorso e stagionalità. Una vera e propria formattazione del palato, questa volta con una coda aromatica particolarmente prolungata.
acqua, olio, limone, liquirizia, lume, chef luigi taglienti, milano
Due tipologie di pane (leggermente affumicati), focaccia e sfoglia alle erbe.
pane, lume, chef luigi taglienti, milano
Il primo accompagnamento al calice. Un bianco della Borgogna del nord leggero, minerale, fresco.
vino, borgognam lume, chef luigi taglienti, milano
“Bianco e nero di seppia”.
Alla base una concentrazione citrica (riduzione di agrumi), panna cotta ai ricci di mare, le due sfoglie della seppia bianca e nera trattate come se fossero sfoglie di pasta, spaghetto soffiato, lacrima di olio al peperoncino.
Un ulteriore signature dish, da tempo tappa imprescindibile del percorso di degustazione. A dispetto di quanto ci si potrebbe aspettare, piatto caratterizzato da consistenze accomodanti ed un elegantissimo equilibrio, che tuttavia offre già un’indicazione ben chiara della filosofia culinaria di Taglienti: tutte le componenti, pur senza ambizioni prevaricatrici, sono individuabili con una chiarezza cristallina.
bianco e nero di seppia, lume, chef luigi taglienti, milano
“Mandorla e dragoncello”.
Alla base emulsione di acqua di mandorla, erba di dragoncello al naturale.
Piatto di grande equilibrio e ancora una volta di chiarissima definizione dei suoi piani gustativi.
mandorla al dragoncello, lume, chef luigi taglienti, milano
Il secondo vino.
fiano, vino, lume, chef luigi taglienti, milano
“Ostrica e nocciola”.
Crema di nocciole con ostriche fresche.
Tanto semplice concettualmente quanto complesso nell’esito: la nocciola argina la sfrontatezza iodica dell’ostrica, amplificandone tuttavia nel contempo lo sviluppo che permane, permane, permane…
ostrica e nocciola, lume, chef luigi taglienti, milano
“Anguilla e cima di rapa”.
Anguilla pulita e scottata con salamandra accompagnata con una spremuta di cime di rapa.
Il primo dei piatti nei quali assisteremo a un vero e proprio capovolgimento del ruolo della salsa nella costruzione del piatto. L’anguilla costituisce elemento veicolante alle prevaricanti note amarognolo-piccanti della parte vegetale.
anguilla e cima di rapa, lume, chef luigi taglienti, milano
“Astice blu e potage di lumache bianche”.
Il potage a base di lumache, polpa di tamarindo, basilico e arancio.
Di grande potenza la base di terra, bilanciata e veicolata dalla carnosa dolcezza del crostaceo.
astice blu, lume, chef luigi taglienti, milano
“Funghi e Royale di fegato di vitello”.
Lo sguardo è rivolto alla grande tradizione francese, per un piatto di natura spiccatamente gourmand.
funghi, royale, lume, chef luigi taglienti, milano
Il vino abbinato.
vino, lume, chef luigi taglienti, milano
“Pummarola e mezzanella”.
Pomodoro proveniente dal ceppo originario San Marzano, pelato e scottato, servito con un mezzanello, un po’ di basilico e limone.
Siamo in questo caso al servizio dell’esaltazione della qualità delle materie prime, senza inutili orpelli.
pummarola e mezzanella, lume, chef luigi taglienti, milano
“Pernice rossa al vapore, verza brasata e salsa al fegato grasso”.
Il primo dei fuori programma dedicati alla cacciagione. Le basi sono quelle della grande tradizione classica, trasposte ai giorni nostri coerentemente con la filosofia di estrema chiarezza della cucina.
pernice, lume, chef luigi taglienti, milano
Si sale con un rosso più strutturato.
mimmo, le piane, lume, chef luigi taglienti, milano
“Germano reale arrosto con pappardelle al tartufo nero”.
Anche in questo caso un approccio materico, di estremo rispetto per una grande materia prima presentata senza superflui barocchismi.
germano, lume, chef luigi taglienti, milano
“Piccione e rosmarino”.
La salsa è ottenuta tramite microfermentazione e successivamente evaporizzazione. Il filetto del piccione viene servito crudo, il petto à la coque.
Un ponte tra la parte salata e la parte dolce del percorso ufficiale, nel segno di un’inversione del tradizionale rapporto dei ruoli materia-salsa.
piccione, lume, chef luigi taglienti, milano
“Filetto di sella di capriolo cotto al fuoco della brace, melograno al cassis, sedano di Verona e salsa poivrade”.
Ritorniamo alla cacciagione per il terzo piatto extra. Di nuovo è la salsa ad assumere un ruolo trainante in un piatto in cui la grande tradizione classica costituisce un punto di partenza e non di arrivo.
filetto, capriolo, lume, chef luigi taglienti, milano
“Lepre reale”.
La lepre viene farcita con foie gras, tartufo, rognone e nappata con la sua salsa di cottura legata fuori fuoco; servita con patate noisette e uno spinacino di fiume.
Una chiusura della parte salata nel segno di un’icona della cucina borghese transalpina, presentata in chiave moderna. Sontuosità ai massimi livelli.
lepre, lume, chef luigi taglienti, milano
Il vino.
vino, lume, chef luigi taglienti, milano
“Sanguinaccio di pesce”.
Le carcasse di pesce azzurro vengono lasciate ossigenare fino a rilasciare la loro parte sanguinolenta, in seguito abbattuta, frullata e condita con brandy e rum, crema pasticcera, salsa di cioccolato, agrumi (limoni, chinotto e arancio) e pinoli.
Piatto di grande complessità, frutto di uno studio certosino, per delle sensazioni gustative di grande nitidezza e mutevolezza, con una coda caratterizzata dall’estrema persistenza di toni iodati e ferrosi. Un “dolce non dolce” che per impatto spiazzante riteniamo abbia davvero poco da invidiare al leggendario Camouflage botturiano.
sanguinaccio, pesce, lume, chef luigi taglienti, milano
“Cipolla e oro”.
Quarto di cipolla glassato con frutto della passione, ricoperto con foglia d’oro.
Un reset del palato nel segno di un’acidità molto spinta, con un’estetica che vuole essere un omaggio al soffritto all’italiana in una fase di percorso per esso certo non usuale.
cipolla e oro, lume, chef luigi taglienti, milano
“Latte di scampi con crème caramel all’aneto”.
Di tono specularmente opposto la chiusura, di stampo accomodante ma nella quale c’è ancora spazio per un ultimo finissimo momento spiazzante: il crostaceo non capovolge la direzione del piatto ma, oltre a costituire una piacevole variazione texturale, ne preclude la deriva stucchevole in un modo del tutto inaspettato.
scampi, creme caramel, lume, chef luigi taglienti, milano
“Minestrone di cachi e verdure”.
Verdure di stagione, gelato al latte condensato, quenelle di cachi.
Meno totalizzante di quanto lo ha preceduto, certo non per demeriti propri!
cachi, verdure, lume, chef luigi taglienti, milano
La piccola pasticceria.
piccola pasticceria, lume, chef luigi taglienti, milano
Chiusura in compagnia di una vecchia amica…
vino, lume, chef luigi taglienti, milano
vino, lume, chef luigi taglienti, milano

Matteo Monti e il Rebelot.

Confusione? Disarmonia?

Tutt’altro.

Questo giovane chef piacentino si riconosce nei suoi due grandi mastri: Paolo Lopriore e Davide Scabin. Da loro ha sicuramente appreso tanta tecnica, senso del gusto (anche innato, o lo possiedi o è difficile costruirlo) e un pizzico… forse più di un pizzico, di sana follia.

Ci ha tanto divertito il folle piacentino, che ha a disposizione una cucina mignon in cui lavora una piccolissima brigata di collaboratori fidati. E con questo indiscutibile limite, di cui occorre tener conto, Matteo sforna a tratti dei veri e propri piccoli capolavori gustativi, persistenti e divertenti. Ma, siccome i suoi maestri gli hanno insegnato il gusto per il rischio, inciampa anche in qualche passo falso, alle volte. Ma ci sta dato che il coefficiente di difficoltà, considerando sempre i mezzi a disposizione, non è di poco conto.

Ci hanno colpito il calamaro, la rivisitazione della casseoula e il cervo che, pur con molti elementi, ha trovato una chiusura gustativa davvero intrigante. Non ci ha convinto invece l’anatra, sicuramente troppo coperta, ed il foie gras, curioso ma forse però troppo sbilanciato sulla componente lipidica.

Buoni anche i piatti cosiddetti “normali”, che abbiamo alternato al percorso gastronomico fatto di 5 portate.

Nel complesso un luogo e una cucina piacevole e stimolante. Se poi aggiungiamo che il servizio giovane è molto solerte e preparato, e l’angolo cocktail sforna interessanti proposte molto ben realizzate… sicuramente il Rebelot è uno di quei posti da tenere in considerazione per un’uscita milanese.

Insalata di verdure cotte e crude, un caleidoscopico viaggio nel mondo vegetale con estrazione di verdure verdi a rinforzare.

Insalata di verdure, Rebelot, Chef Matteo Monti, Navigli, Milano

Primo piatto del menù gastro: Albese d’anatra, carciofo, bottarga e camomilla. Qui l’anatra non riesce a stagliare, in mezzo all’amaro del carciofo. Bottarga che aiuta un pochino la sapidità, camomilla poco presente. Forse un’anatra più wild avrebbe completato degnamente la preparazione.

Albese d'anatra, Rebelot, Chef Matteo Monti, Navigli, Milano

Baccalà mantecato, buono.

Baccalà, Rebelot, Chef Matteo Monti, Navigli, Milano

Secondo piatto del menù gastro: panino di pane di patate, foie gras marinato all’americano e nduja, filone di manzo alla milanese. Ottima lettura del foie gras, divertente e non scontato. Toni amari piacevoli che rincorrono un velo di piccantezza donato dalla nduja e a terminare un po di grasso e fritto per stemperare l’amaro. Qui il “grasso su grasso” risulta un connubio forse un po’ troppo pesante ma vincente. Fa tutto la proporzione del piatto, a boccone.

panino, foie gras, Rebelot, Chef Matteo Monti, Navigli, Milano

Il vino.

vino, Rebelot, Chef Matteo Monti, Navigli, Milano

Terza portata del menù gastro: l’ottima rivisitazione della cassoeula. Costine di maiale, burrose e gustose, nappate di salsa alla cassoeula e accompagnate da lattuga di mare, a donare una leggera nota sapido-iodata. Finisce il piatto un estratto verde di verza. Preparazione davvero molto buona.

cassoeula, Rebelot, Chef Matteo Monti, Navigli, Milano

Cassoeula, Rebelot, Chef Matteo Monti, Navigli, Milano

Zuppa di legumi, nduja e crostini alle erbe.

Zuppa di legumi, Rebelot, Chef Matteo Monti, Navigli, Milano

Quarto appuntamento del menù gastro: un ottimo e burroso calamaro con sfoglie di friggitelli, salsa al passion fruit  e cioccolato bianco a donare una punta di grasso e rotondità. Anche qui altro colpo centrato.

calamaro, Rebelot, Chef Matteo Monti, Navigli, Milano

Intermezzo con granita d’acqua d’ostrica, ostrica cotta pochè nel grasso d’anatra, velo di rognone, lattuga di mare e gazpacho di fragola freddo. Un colpo molto ben assestato.

ostrica, Rebelot, Chef Matteo Monti, Navigli, Milano

Un piatto “storico” del Rebelot, costina d’agnello e cacao.

costine d'agnello, Rebelot, Chef Matteo Monti, Navigli, Milano

Ultimo passaggio del menù gastro: Cervo, crumble di panettone, radicchio brasato e sedano rapa. Equilibri centrati e trovati con il millimetrico uso dei vari componenti. Nota amara in lieve evidenza. Altro passaggio davvero interessante.

cervo, Rebelot, Chef Matteo Monti, Navigli, Milano

Carne: tutto quanto può sentirsi dopo la cottura in padella. Gelato all’aglio dolce, rucola, crema di burro nocciola, crumbe di mandorle amare. Quando uno chef ha senso del gusto: forte, da palati non deboli ma centrato. Sembra di degustare il fondo di cottura di una gran bistecca.

gelato all'aglio, Rebelot, Chef Matteo Monti, Navigli, Milano

Ancora una volta senso del gusto e proporzioni: una semplice panna cotta arricchita da aceto balsamico, polveri vegetali, chips di topinambur, cipolla glassata, grue di cacao, campari, olio e mille altre diavolerie. Ogni boccone diverso.

panna cotta, Rebelot, Chef Matteo Monti, Navigli, Milano

28 posti. Non un modo di dire, ma il numero le sedute del bistrot in zona Navigli capitanato da Marco Ambrosino. Semplicemente.

Un ambiente ospitale, in una delle zone più frequentate di Milano, stagione dopo stagione: in estate ne apprezzerete la luminosità e il piacevole dehor; in inverno la riservatezza, complice la nebbia e la posizione leggermente decentrata rispetto ai flussi principali. Un ristorante sobrio, dall’arredamento nordico, che richiama quel modo hygge ultimamente in voga e che pare suggerire “accomodati, mettiti a tuo agio e goditi il pasto”.
A scaldare l’ambiente, oltre a dettagli quali lampadari e oggetti che sembrano messi qua e là sbadatamente, il sorriso disponibile e la presenza discreta di Iris Romano. Se nella visita precedente la sala era parsa un po’ legata, ora è evidente una buona padronanza della scena accanto a una preparazione valida in tempistiche e abbinamenti vino/cibo. Hygge dicevamo: non esiste una traduzione precisa dal danese ma è uno stile che invita al relax e, nel nostro caso, a fidarsi completamente dello chef che deciderà le pietanze tra 5, 8 o 10 portate (per i meno fiduciosi nessun problema, c’è una piccola selezione alla carta).

Stile confermato anche nelle posizioni intercambiabili dei piatti, che vengono sdoganati dal classico ruolo di antipasto, primo o secondo e vengono suggeriti come “Prima o poi” in funzione di cosa dice l’istinto. Rimettersi allo chef è una buona idea, perché si intraprende un viaggio nel gusto che tocca prima la Danimarca delle fermentazioni (volo radente di Ambrosino in uno stage al Noma), poi sfiora il Sol Levante tra una salsa ponzu e una foglia di perilla cristallizzata, e si respira il calore del Mediterraneo nella Chiajozza, piatto omaggio all’isola di Procida che ha dato i natali allo chef.

Manteniamo invece, nuovamente, la riserva su alcune delle portate, che colpiscono ad un primo contatto risultando in realtà, purtroppo, carenti in personalità, concentrazione e gusto. Nonostante 28 posti sia, senza timore di smentita, un luogo di piacevolezza assoluta, questo leggero tentennamento ricorrente ci suggerisce cautela, confermando dunque la votazione precedente.
Siamo anche certi però che il reale valore dello chef e della sua cucina siano in costante mutazione e definizione, in attesa della perfetta messa a fuoco.

La mise en place: pulita ed essenziale.
28 Posti, chef Marco Ambrosino, Milano
Il Pendio, Brusato Rosè. La nostra scelta dopo il bel racconto di Iris sull’azienda produttrice.
vino, 28 Posti, chef Marco Ambrosino, Milano
Il colore meraviglioso di questo Chardonnay femminile ma di carattere.
28 Posti, chef Marco Ambrosino, Milano

Si inizia con il benvenuto: chips di fitoplancton. Leggermente unta ma davvero buona.
chips di fitoplancton, 28 Posti, chef Marco Ambrosino, Milano
Cicoria con miso e cipolla agrodolce. Un po’ più di condimento (o meno cicoria) avrebbe bilanciato il mix di sapori.
cicoria con miso, 28 Posti, chef Marco Ambrosino, Milano
Macaron alle acciughe.
macaron alle acciughe, 28 Posti, chef Marco Ambrosino, Milano
Indivia con salsa ponzu, finocchietto e menta.
indivia con salsa ponzu, 28 Posti, chef Marco Ambrosino, Milano
Pane lievitato al naturale, già diviso a spicchi e da rompere con le mani, accompagnato da burro e polvere di trombette dei morti. I lievitati sono di certo un bonus del 28 posti.
pane lievitato al naturale, 28 Posti, chef Marco Ambrosino, Milano
Rapa bianca, estratto di lattuga, lime e tartufo. Nonostante la freschezza del lime e il bel contrasto con il tartufo, la nota vegetale della lattuga risulta quasi assente quando, al contrario, sarebbe stato un bel profumo di cui godere.
rapa bianca, 28 Posti, chef Marco Ambrosino, Milano
Chiajozza. 10 minuti di applauso, step 1. 
Canocchie crude, cavolo cappuccio, gelato ai ricci di mare, carbone al nero di seppia in un trionfo iodato indimenticabile della perfetta rappresentazione dei mari del Sud.
Chiajozza, 28 Posti, chef Marco Ambrosino, Milano
Spaghetti con burro acido, tabacco e aringa affumicata. Corretti e ben bilanciati.
Spaghetti con burro acido e tabacco, 28 Posti, chef Marco Ambrosino, Milano
Agnello con salsa al fitoplancton, maionese di ostrica e cavolo di mare. 10 minuti di applausi, step 2.
Una cottura perfetta permetteva all’agnello e al suo grasso di sciogliersi al contatto con il palato. La parte marittima è rinfrescante e intrigante, in un matrimonio decisamente ben riuscito.
agnello con salsa al fitoplancton, 28 Posti, chef Marco Ambrosino, Milano
Sorbetto al basilico giapponese, alloro, olio, sale.
sorbetto al basilico giapponese, 28 Posti, chef Marco Ambrosino, Milano
Finocchio sciroppato, gel al sambuco, cremoso al cioccolato bianco e meringa al limone. Sublime saliscendi tra consistenze diverse, dolcezze e sapidità.
finocchio sciroppato, 28 Posti, chef Marco Ambrosino, Milano
Topinambur, kiwi essiccato, gelato al sorgo e perilla cristallizzata in un risultato incisivo, maschile, sexy.
topinambur, kiwi, 28 Posti, chef Marco Ambrosino, Milano