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La cucina nell’ALMA – Primo Piatto

Le Cene d’Autore

Cos’hanno in comune le capesante e il midollo? E qual è il legame tra le nocciole e i ceci? E ancora, cosa lega l’oliva taggiasca all’amarena?

Ci muoviamo in una sottile linea d’ombra, che è una linea di concordanza, o d’indeterminatezza, se vogliamo, che ci ha provocato più di un entusiasmo: tutto a un tratto, siamo di nuovo tutti bambini, bambini che, divertendosi, imparano. (Non è questa, forse, la chiave di volta dell’esistenza tutta?)

Ma, prima di arrivare alle risposte, vi dobbiamo almeno qualche altra spiegazione. Da qualche tempo ci siamo ripromessi di raccontarvi, qui su Passione Gourmet, i passaggi salienti del Corso Superiore di Cucina Italiana di ALMA, La Scuola Internazionale di Cucina Italiana.

Quello che state leggendo è il resoconto di uno di questi passaggi: stiamo partecipando a una de Le Cene d’Autore: questa, in particolare, è realizzata sotto l’egida di Matteo Baronetto, Chef del ristorante Del Cambio di Torino. Gli allievi, sono quelli della 44° Edizione del Corso Superiore di Cucina Italiana, Sezione A.

Matteo Baronetto ad ALMA

Matteo Baronetto, classe 1977, comincia a cucinare giovanissimo dai pass della Scuola Alberghiera di Pinerolo. I suoi primi passi, professionalmente, li muove a Erbusco, da Gualtiero Marchesi, dove lavora con Andrea Berton, Davide Oldani e, soprattutto, con quello che diventerà il suo mentore, Carlo Cracco, con cui anni dopo inaugura Cracco-Peck a Milano. Quando capisce che i tempi per lui sono maturi, prende da solo le redini del ristorante Del Cambio di Torino, consegnando a nuova vita una delle insegne più prestigiose d’Italia. 

Ma la star non sono io – precisa subito lui – sono loro, i ragazzi che hanno lavorato con me in questi anni e quelli che lo hanno fatto stasera” dichiara perentoriamente. Chef e secondo sous-chef – Lorenzo Colombo, diplomato anche lui al ALMA, al 19° Corso Superiore di Cucina Italiana, per la precisione, 9 anni orsono – sono arrivati qui 12 ore fa. Coi ragazzi della sezione di oggi hanno lavorato ininterrottamente alla preparazione della linea per la cena di questa sera: “si tratta – secondo Matteo Berti, Direttore Didattico della Scuola – di didattica operativa, poiché fa vivere un’esperienza vera sotto l’egida di uno chef  come Baronetto” che, lo ricordiamo, è al vertice di un’azienda, il suo ristorante, dove operano circa 90 persone.

A scuola di pensiero…

Matteo Baronetto, come si faceva un tempo nelle accademie, che erano accademie del pensiero, prima ancora che della scienza, ha portato in ALMA un concetto, un filone che intende sviluppare al ristorante Del Cambio. Come si diceva in apertura, si tratta del tema della concordanza, spesso inaspettata, di sapori o consistenze tra ingredienti anche molto lontani tra loro. “Si tratta di un lavoro più sulla percezione che sulla materia stessa, e difatti uno dei temi più rilevanti, per me, è sempre stato il rapporto tra le aspettative del cliente e quelle di chi cucina per lui.” Ovvero, il punto di contatto tra due interiorità che si incontrano e, attraverso il codice comune del pasto, comunicano negoziando le rispettive aspettative. 

L’istituzione di un lessico comune

Secondo queste premesse, potremmo considerare il “fattore concordanza” come l’istituzione di un vocabolario,  un lessico condiviso, tra due interiorità, quella dell’autore (il cuoco) e quella del fruitore (l’ospite), d’accordo entrambi sul fatto che, per esempio, il cece e la nocciola concordano tra loro, ovvero comunicano, sul registro del legnoso, così come Matteo ci aveva pazientemente anticipato nel pomeriggio.

Lavorando sulla percezione, oltretutto, si spalanca quello che, in filosofia, è considerato il mondo della fenomenologia, ovvero il mondo del fenomeno – ciò che appare – in relazione al noumeno – ciò che è – di scuola kantiana.

Seguendo questo tipo di approccio, secondo Baronetto è più facile avvicinarsi al noumeno, ovvero all’essenza delle cose, compresa l’essenza dello chef che, così facendo, isola il proprio stile, trova la sua identità di uomo senziente e, in seconda istanza, anche di cuoco. “Ho scoperto tardi quanto fosse importante che la mia brigata assaggiasse ciascuno dei miei piatti finiti, ma quando l’ho scoperto è stata una rivoluzione, un approccio che mi ha insegnato a capire come venivano interpretati, e dunque percepiti, i miei piatti” e, per estensione, come era percepito lui come individuo.

La concordanza in cucina, e nella vita

È da questo scambio di percezioni che, in definitiva, s’impara. Quel che abbiamo imparato stasera è che l’oliva taggiasca e l’amarena rimano tra loro sulla base di una precisissima salienza percettiva: un’amarezza agrumata e salata, tanto divertente quanto irresistibile.

Ma non solo, perché s’è poi scoperto che il veicolo, il canale espressivo di questi sapori, tanto vicini quanto lontani tra loro, doveva radicarsi, per esprimersi, su una base lipidica che, in questo caso, era la tela di una semplice, virginale panna cotta. Per amore di cronaca, tuttavia, dobbiamo anche ammettere che non è la prima volta che Baronetto ci fa sobbalzare dalla sedia con link simili: lo aveva già fatto prima col veicolo lipidico del midollo che era anche l’elemento di congiunzione tra l’umami puro del brodo di fagioli con quello, più dolce, della capasanta, una combinazione che quasi ci aveva mandato in deliquio.

Con ALMA – continua lo chef – c’è un rapporto di amicizia e collaborazione. Ma, come tutte le vere scuole, ALMA serve dopo. Serve tra 10 anni, ovvero quando cominci a rapportarti con te stesso criticamente, a mettere in dubbio chi sei e cosa fai. È lì che stai crescendo. È lì che ALMA ti assiste, mostrandoti che hai acquisito gli strumenti base necessari non solo a cucinare, ma anche a vivere.

La Galleria Fotografica:

Ritorno al futuro, i piatti senza tempo dello storico ristorante torinese

Com’è la cucina di Matteo Baronetto? Moderatamente avanguardista, inevitabilmente e volutamente legata al passato, ma allo stesso tempo proiettata nel futuro. Mai una sbavatura, mai un eccesso. Matteo sa spingere sull’acceleratore sul rettilineo, ma sa anche usare il freno con maestria prima di raggiungere la  curva. Inserito in un contesto bellissimo e restaurato in modo sublime Del Cambio rappresenta la quinta essenza della cultura torinese: mai sopra le righe, mai eccessivo nel più rigoroso stile piemontese.

Aperto nel 1757 ha ospitato celebri politici, artisti, scienziati, industriali e imprenditori. Qui veramente si respira la storia, quella passata e quella attuale.
Il Cambio è quindi un ristorante di altissimo livello, uno dei più belli d’Italia dove si entra con grandi aspettative e non si esce delusi. Che scegliate piatti alla carta o uno dei menù studiati dallo chef Matteo Baronetto ritroverete sempre lo stesso stile, lo stesso disegno, lo stesso tratto inconfondibile e autoriale.

Noi abbiamo scelto alcuni piatti dal menu “nel tempo” ovvero le versioni tradizionali di grandi classici della cucina, affiancati dalla reinterpretazione contemporanea dello chef, consigliatissimo e divertentissimo per fare un viaggio nel tempo in stile “Ritorno al futuro”, dove a ogni boccone sentirete il brivido dell’accelerazione della DeLorean del celebre film.

Menu dal tratto inconfondibile e autoriale

Ma non ci siamo accontentati, o meglio lo chef ha voluto farci divertire con altri signature dish e new entries veramente interessanti. Su tutti l’insalata piemontese sapientemente abbinata dal sommelier a un Moscato d’Asti; e qui si è aperto un mondo di sapori, profumi, consistenze, textures, colori che non hanno eguali. In pochi centimetri quadrati troverete tutto. Un piatto che potrebbe essere persino un unico per una pausa pranzo senza eguali.

E poi una new entry come le scaloppine di vitello al vino bianco. Un piatto che tutti abbiamo mangiato da piccoli preparato dalla mamma o dalla nonna. E Matteo è così straordinario che riesce a ricrearti lo stesso profumo al naso che ti fa ancora una volta andare indietro nel tempo, ma, quando il boccone si adagia sul palato, ecco che l’acceleratore spinge al massimo e la magia dello chef ti fa immediatamente tornare al presente della sua rivisitazione con una materia prima di alto livello, cotture perfette e i ricordi (belli) del passato che riaffiorano dolcemente.

Parlando di passato e presente fra tradizione e innovazione, come non citare il primo piatto ovvero il riccio di mare, sugo di carne e limone. Difficile descrivere la sensazione assaggiandolo perché in questo piatto c’è tutto. Semplicemente perfetto, rivoluzionario, ruffiano e goloso.

Venite gente, venite… e ci vorrete ritornare presto, magari allo Chef’s Table, dove Matteo vi preparerà un menu sartoriale cucito addosso a voi come solo un grande sarto sa fare.

La spavalderia è una forma di sicurezza nei propri mezzi che spinge un soggetto a compiere un atto decisamente audace.
Difficile etichettare questo modus operandi in termini positivi o negativi. Di certo, per essere spavaldi, occorre avere coraggio, sicurezza ed un pizzico di incoscienza.

Poco lontano da Torino, a Chieri per la precisione, comune famoso per i suoi grissini, da qualche tempo officia un ragazzo nemmeno trentenne, che dopo essere passato per il Noma di René Redzepi e per Del Cambio di Matteo Baronetto, ha deciso di affiancare la madre nella cucina del ristorante Geranio.
In una strada poco trafficata, in posizione dimessa, un albergo accoglie gli ospiti di passaggio, offrendo loro, all’interno della sala da pranzo allestita con tutti i crismi che gli anni ’70 imposero, una sana e solida cucina piemontese. Agnolotti del plin al sugo d’arrosto, bagna cauda, vitello tonnato e bolliti misti. Certo, questo durante il pranzo, ma al calar del sole in cucina il timone passa nelle mani di Christian, che manda in scena la sua personalissima concezione del territorio.

Senza guardare in faccia nessuno, lo chef di punto in bianco ha deciso di intraprendere una nuova rotta gastronomica, in grado di svegliare dal torpore Chieri. Nessun restyling, nessun ammodernamento delle stoviglie e delle ceramiche. Si fa con quel che si ha, si suol dire, e questo Christian con mirabile dedizione ha iniziato a fare. In scena, adagiati su piatti creati e sfruttati in origine per accogliere gli ammennicoli del bollito con i loro bagnetti, preparazioni di chiaro stampo nordico che, con un tatto a volte nemmeno troppo delicato, strizzano l’occhio alla reinterpretazione delle ricette piemontesi. Una cucina che si evolve con vigore e che trova nei suoi passaggi lo spunto per esprimersi passo dopo passo, senza cercare uno sviluppo coerente ma al contrario volendo raccontare diverse idee e differenti visioni attraverso la circolarità delle ricette. Circolarità intesa come sviluppo della concezione del piatto, che spesso riesce nell’intento di veicolare il gusto attraverso contrappunti studiati e di far terminare la “corsa palatale” nell’esatto punto in cui la suggestione scaturita al primo boccone aveva indirizzato l’immaginazione.

Cuore di lattuga, senape e pane sabbiato è la sintesi della vita della lattuga, che cresce a contatto con la terra, si concede con retrogusti quasi golosi tramite la sua succosità quando colta nel pieno della sua maturazione, per poi piano piano ossidarsi se non consumata a tempo debito. O come il cipollotto ripieno di prosciutto crudo, con salsa di rapa rossa al barbecue, che dona vitalità, attraverso la grassezza del prosciutto e l’avvolgenza terrosa della salsa, ad un cipollotto apparentemente privo di sensi a causa di un impiattamento dai tratti pulp.
Il dinamismo cerebrale di Christian Mandura lo spinge a stravolgere il menù con intervalli di tempo strettissimi, il che spesso dà vita a intuizioni brillanti, altre invece a scivoloni evitabili. Durante la nostra visita abbiamo assaggiato piatti tecnicamente ineccepibili e molto ben calibrati, seguiti da altri -come nel caso della guancetta di manzo- francamente irriconoscibili se messi a confronto.
Christian Mandura è un giovane chef talentuoso, pieno di idee e con la dote, a questo punto possiamo dirlo, di non avere paura di mostrarle. Il limite per il momento rimane la voglia di strafare, ma siamo certi che con il tempo la cosa verrà ridimensionata.

Il Geranio, attraverso un processo di maturazione che comprenderà la presa di coscienza da parte del cuoco di ciò che è veramente importante e di ciò che invece risulta pleonastico, oltre che ad un lavoro di contestualizzazione della sala, potrebbe diventare in breve tempo un altro punto di riferimento per gli appassionati gourmet, in una terra sempre più capace di coniugare sapientemente i valori culturali con la spensieratezza della novità.

Cialda croccante di verza e grissini di Chieri.
grissini, Geranio, Chef Christian Mandura, Chieri, Torino
Chips di patata, carote, maionese e piselli. La versione croccante dell’insalata russa.
chips, Geranio, Chef Christian Mandura, Chieri, Torino
Tuorlo fritto.
tuorlo fritto, Geranio, Christian Mandura, Chieri, Torino
Cuore di lattuga bruciato, senape e pane sabbiato.
lattuga, Geranio, Christian Mandura, Chieri, Torino
Cavolo nero, farina di ceci fritti e cialda al nero di seppia. Passaggio che gioca sui toni iodati e amaricanti. Nel complesso il piatto manca di fluidità, intesa come di un grasso che ne veicoli i sapori in maniera armoniosa. Da rivedere.
cavolo nero, Geranio, Christian Mandura, Chieri, Torino
Zucca, fonduta, levistico e burro nocciola. Piatto goloso di buon equilibrio. Un apporto maggiore da parte del levistico lo avrebbe reso davvero notevole.
zucca, Geranio, Christian Mandura, Chieri, Torino
Cipollotto ripieno di prosciutto crudo e salsa di rapa rossa al barbecue.
cipollato, Geranio, Christian Mandura, Chieri, Torino
Battuta di Fassone, lampone, salicornia e limone disidratato. Buona l’idea ma materia prima non all’altezza.
battuta, Geranio, Christian Mandura, Chieri, Torino
Vitello tonnato. Filetto di vitello marinato nella salsa di soia, mimosa e salsa tonnata. Preparazione al gusto più semplice rispetto ad altre ma non per questo di minor valore. Deciso, evocativo, equilibrato e goloso.
vitello tonnato, Geranio, Christian Mandura, Chieri, Torino
Gambero, cavolfiore fresco e disidratato e rafano. Il piatto della serata. Gambero eccelso che attraverso la sua consistenza gestisce I sentori amaricanti verticali e le note ampie del rafano. Christian Mandura dimostra così di avere un futuro importante.
gambero, Geranio, Christian Mandura, Chieri, Torino
Triglia, pomodoro fumè e lardo aromatizzato.
triglia, Geranio, Christian Mandura, Chieri, Torino
Testina, polvere d’acciuga e granita di peperone verde al peperoncino.
testina, Geranio, Christian Mandura, Chieri, Torino
Guancia di maiale, polenta agli agrumi e noci, polvere di lenticchie. Non abbiamo capito come questo piatto possa aver superato il pass.guancia di maiale, Geranio, Christian Mandura, Chieri, Torino
Finocchietto selvatico e Sambuca. Pre dessert geniale.
finocchietto, Geranio, Christian Mandura, Chieri, Torino
Mousse di topinambur e arachidi tostate. Dolce non dolce… troppo poco dolce, e forse troppo semplice.
topinambur, Geranio, Christian Mandura, Chieri, Torino
Mousse al cioccolato bianco, tuorlo d’uovo salato e grissini. Occorre passare sopra al fatto di essere di fronte al secondo tuorlo d’uovo intero all’interno di una degustazione, e per di più presentato crudo. Comunque dessert gradevole nella sua semplicità.
mousse, Geranio, Christian Mandura, Chieri, Torino
Cioccolato fondente al 72% e broccolo essiccato… per lasciare l’amaro in bocca! Ottimo spunto.
dessert, Geranio, Christian Mandura, Chieri, Torino

Bravo, forse il più bravo, sicuramente il più famoso ed il più citato dei secondi, ma si può rimanere sempre “un secondo” quando si può aspirare ad essere uno dei migliori primi?
Vent’anni lunghi e fondamentali, vent’anni di un rapporto strettissimo fra due cervelli pensanti di prim’ordine.
Un ragazzino che inizia a collaborare con un giovane uomo dal curriculum già impressionante ed apprende, impara, cresce.
Un rapporto che assomiglia a quello di un padre con un figlio.
Un figlio che lentamente affianca il padre fino a diventarne l’alter ego, il suo braccio, ma anche, in parte, la mente in grado di mandare avanti in solitaria una macchina ben rodata e, complice i sempre più frequenti impegni del padre, lo sostituisce spesso nella conduzione.

Questa in breve potrebbe essere la storia di Carlo Cracco e di Matteo Baronetto.
Una storia che, come accade in una famiglia, ha un inizio ed inevitabilmente anche un termine.
Un’evoluzione naturale in cui Matteo ad un certo punto non si è più sentito di  essere il secondo, ma ha accettato una sfida, anzi una grande sfida, un’offerta di quelle che non si possono rifiutare.
Un’avventura in cui era necessario rischiare tutto, perché quando si accetta di diventare lo chef di un’istituzione come il Del Cambio di Torino, c’è sì la possibilità di guadagnare molto in termini di credibilità e non solo, ma avendo tutti i riflettori puntati addosso e, dato l’investimento importante della proprietà e le attese di critica e pubblico, il rischio di bruciarsi diventa una possibilità da prendere in considerazione.
Oggi, a meno di due anni dall’apertura, dopo una stella Michelin conquistata e lodi quasi unanimi da parti della critica,  possiamo dire senza tema di smentita che la sfida intrapresa da Matteo Baronetto è stata vinta.
Il Del Cambio oggi funziona a pieno regime, i numeri sono buoni, i circa settanta coperti a disposizione sono spesso occupati.
La cucina di Baronetto ha ormai raggiunto la piena maturità espressiva. Come già ai tempi dell’esperienza milanese, Matteo riesce a trovare equilibrio e piacevolezza gustativa con ingredienti all’apparenza poco compatibili, dimostrando un palato di rara sensibilità ed una capacità di pensare il piatto propria soltanto dei grandissimi.
La tecnica qui non è mai fine a sé stessa, ma soltanto un mezzo per ottenere piatti compiuti facendo risaltare al massimo gli ingredienti.
La cucina di Baronetto è molto personale, lontana dalle mode, frutto di un percorso e di un background che ha portato il nostro chef a costruire un proprio modo di vedere la cucina che rivela molto della sua personalità.
Una cucina schiva che permette di essere scoperta soltanto se la si guarda con occhio attento, si concede un po’ per volta e piatto dopo piatto rivela tutta la sua forza ed il suo carattere, ma anche eleganza, potenza e capacità di spiazzare e di sparigliare le carte.
Insomma, se si cerca un luogo dove capire e scoprire in profondità il messaggio del suo interprete, Del Cambio è il posto giusto; lasciate carta bianca a Baronetto e lasciategli raccontare la sua storia attraverso i suoi piatti senza remore e senza preclusioni mentali, riuscirete ad entrare in sintonia con lui ed uscirete felici per aver incontrato uno dei migliori interpreti della cucina italiana.

Gli stuzzichini iniziali.
stuzzichini, Ristorante Del Cambio, Chef Matteo Baronetto, Torino
Sfoglie di riso croccanti.
sfoglie di riso, Ristorante Del Cambio, Chef Matteo Baronetto, Torino
Il pane di due tipi, entrambi ottimi.
pane, Ristorante Del Cambio, Chef Matteo Baronetto, Torino
I grissini.
grissini, Ristorante Del Cambio, Chef Matteo Baronetto, Torino
Insalata, uova, cialda croccante piccante: la prima dimostrazione della capacità dello chef di dominare l’elemento vegetale e naturalmente l’uovo, l’ingrediente feticcio di Carlo Cracco.
insalata uovo, cialda, Ristorante Del Cambio, Chef Matteo Baronetto, Torino
Riccio, caviale, acqua tonica: eleganza pura, equilibrio perfetto.
riccio, Ristorante Del Cambio, Chef Matteo Baronetto, Torino
Foglia di grano saraceno, polpacci di rana e soncino.
foglia di grano saraceno, Ristorante Del Cambio, Chef Matteo Baronetto, Torino
Insalatina di piselli, fragoline di bosco e bianchetti: la primavera nel piatto, tre semplici elementi assemblati insieme, ma che meraviglia.
insalata di piselli, Ristorante Del Cambio, Chef Matteo Baronetto, Torino
Cappasanta cruda, semi di zucca piccanti, tarassaco e uovo: una cappasanta dolcissima, l’amaro del tarassaco, il grasso morbido dell’uovo, il croccante ed il piccante dei semi. Cosa si può volere di più da un piatto?
capasanta, Ristorante Del Cambio, Chef Matteo Baronetto, Torino
Gamberi appena scottati con salsa dolcissima ottenuta dalle teste.
Gamberi, Ristorante Del Cambio, Chef Matteo Baronetto, Torino
Baccalà in bianco, salsa ottenuta con la carcassa: piatto classico e anche in questo campo lo chef non perde un colpo, semplicemente perfetto. E che salsa!
baccalà, Ristorante Del Cambio, Chef Matteo Baronetto, Torino
Spinacio al burro, sedano rapa cotto nel grasso del prosciutto: un gioco di prestigio, una illusione, il sedano rapa cotto col grasso del prosciutto che diventa, chiudendo gli occhi, lui stesso prosciutto.
Sensazioni lattiche che si rincorrono con lo spinacio che riequilibra il tutto.
sedano rapa, spinaci, Ristorante Del Cambio, Chef Matteo Baronetto, Torino
Spaghetti burro e parmigiano: vengono reidratati per due ore in acqua fredda fino a diventare stracotti ed elastici, sono poi immersi in un vaso di vetro contenente burro chiarificato leggermente salati. Nel forno a vapore a 100 gradi subiscono una seconda cottura, che li rende traslucidi e quasi trasparenti.
Spaghetti burro e parmigiano, Ristorante Del Cambio, Chef Matteo Baronetto, Torino
Insalata, cioccolato bianco, salsa al prezzemolo: altra grande insalata, servita senza condimento, ma completata dalla grassezza untuosa del cioccolato bianco che smorza le sensazioni amare e dona quella piacevolezza che altrimenti sarebbe mancata.
Insalata cioccolato bianco, Ristorante Del Cambio, Chef Matteo Baronetto, Torino
Lasagna di alga di mare e lattuga con ragù di vitello: una lasagna a tutti gli effetti dove al posto della sfoglia ci sono alghe e lattughe, ottima.
lasagna, Ristorante Del Cambio, Chef Matteo Baronetto, Torino
Ravioli di scarola, acciughe e capperi.
ravioli, Ristorante Del Cambio, Chef Matteo Baronetto, Torino
Scorfano, acqua di parmigiano, anice stellato: terra e mare che si incontrano con l’anice stellato che rende il piatto meno monocorde.
Scorfano, Ristorante Del Cambio, Chef Matteo Baronetto, Torino
Tonno e musetto di vitello: ancora terra e mare, un tema caro allo chef; qui sono le sensazioni grasse e morbide a farla da padrone, ma gestite alla grande.
tonno e musetto, Ristorante Del Cambio, Chef Matteo Baronetto, Torino
Sasso ripieno di crema di pistacchio e sorbetto di mora.
sasso ripieno, Ristorante Del Cambio, Chef Matteo Baronetto, Torino
Frutta disidratata.
frutta disidrata, Ristorante Del Cambio, Chef Matteo Baronetto, Torino
Piccola pasticceria.
piccola pasticceria, Ristorante Del Cambio, Chef Matteo Baronetto, Torino
Praline finali.
praline, Ristorante Del Cambio, Chef Matteo Baronetto, Torino

Entrare al ristorante Del Cambio di Torino è un’esperienza memorabile. Lo chef che da un anno vi officia, Matteo Baronetto, sta mostrando tutto il suo sapere culinario, la sua cultura enogastronomica, la sua passione e le sue innate doti tecniche, dando vita così ad una cucina tanto personale da trovare il suo equilibrio solo specchiandosi in sé stessa, accettandosi, capendosi e dichiarandosi liberamente. Siamo al cospetto di uno dei più grandi cuochi del panorama nazionale, degnamente supportato da un edificio all’interno del quale è stata scritta parte della storia dello Stivale.

È inspiegabile come di colpo, nonostante si faccia parte di una delle più belle sale da pranzo d’Italia, ci si guardi intorno come storditi, senza riuscire ad apprezzare fino in fondo tanta bellezza, quasi fosse superflua.
I velluti rossi, gli specchi anticati, gli enormi lampadari a goccia di fine ottocento si limitano a fare da cornice all’opera che lo chef sta mandando in scena, svestendosi così naturalmente di quel ruolo da protagonisti che hanno svolto per centinaia di anni.
Certo anche Baronetto avrà sentito il peso di dover essere all’altezza di un luogo come questo.
Oppure no?
Quell’eleganza, quella gentilezza, quella capacità di rispettare ingredienti e preparazioni che solo in pochi grandi, anzi grandissimi, hanno, vengono portati a braccetto da una grande personalità, da una intrigante decisione di intenti e da una formidabile schiettezza. Che tutto questo sia frutto di un compromesso per poter convivere con un luogo dalla tale potenza evocativa? Probabilmente no, anzi, certamente no.

Matteo Baronetto qui pare esprimersi con la libertà leggiadra di un innamorato. Concentra due, tre, quattro gusti in un solo piatto, riuscendo nell’ardua impresa di scinderli nettamente ad inizio degustazione, per poi, via via, accostarli, farli toccare fino ad arrivare a fonderli tra di loro. È un momento di grande ispirazione artistica per Baronetto, in un percorso iniziato da poco eppure già così vicino allo zenit. E’ comparsa anche qualche acidità secondaria, lieve ma penetrante nei suoi piatti. La testa dello chef è libera da schemi mentali fissi e spazia proponendo passaggi che sfiorano il bucolico, altri che richiamano e rincorrono la grande cucina classica francese, per poi arrivare al territorio, quello piemontese tanto ricco di tradizione gastronomica quanto restio alla sua modifica, alleggerendolo senza però metterlo in discussione.
È contento Matteo Baronetto, forse felice. Lo si capisce per quella sua vena ironica che si riscontra in diverse preparazioni. Ironica non perché irride ricette classiche codificate ed eseguite nella medesima maniera da secoli, ma perché riesce nell’intento di far sorridere il commensale ad ogni boccone. Riesce a creare un collegamento schietto e diretto con la ricetta di riferimento, migliorandola, rendendola indimenticabile, senza però mai umiliarla. Il piatto “acciughe affumicate al rosmarino e burro morbido al limone” è la dimostrazione di quanto appena raccontato, in cui la genialità di affumicare e aromatizzare gli elementi dà vita al più buon boccone di pane, burro e acciughe che si sia mai assaggiato, senza però far perdere la voglia, una volta rientrati a casa, di tornare a cenare con la ricetta classica. Sinonimo di grande educazione, che si accosta ad un occhio critico e vigile di rara finezza.

Il benvenuto offerto dalla cucina è un trionfo di frutta estiva, marinata, condita, farcita e glassata che fa il giro di tutti i gusti (dolce, amaro, acido, salato) in modo da preparare il palato alla degustazione. Ma è il cervello a subire continue scosse. L’insalata di fiori e germogli, con brodo caldo al sedano rapa, caviale e fragoline di bosco è un ideologico passo temporale all’indietro in cui l’anima viene contestualizzata al calore estivo che avvolge fiori ed erbe, ammosciandoli e facendoli appassire, rinvigoriti però dalla nota iodata del caviale che richiama il mare e le vacanze estive, e resi freschi dalla brezza montana delle fragoline di bosco. Piatto geniale, concettuale ed appagante.

Tutto il resto è un continuo gioco di consistenze, richiami attraverso ingredienti esotici a gusti tradizionali, illuminazioni classiche e qualche piccola provocazione volta a far riflettere e forse a soddisfare la vanità dello chef.
La valutazione, in questo caso arrotondata per difetto, complici anche i tre piatti ordinati alla carta di un livello lievemente inferiore rispetto al degustazione, vuole essere uno stimolo per lo chef ed un incentivo per tutti gli appassionati che ancora non hanno fatto visita alla sua corte, per poter ripetere la nostra esperienza, indubbiamente una delle più convincenti di questo anno solare.

I piatti classici avrebbero bisogno di maggiore “classicità” e forse una lettura meno ardita. Il servizio avrebbe bisogno di una marcia in più. Per il resto siamo veramente di fronte ad una delle tavoli migliori d’Italia.
Ma ricordatevi, date mano libera allo chef: questo percorso è sicuramente il più congeniale per approcciarsi qui al Cambio in maniera corretta, al cospetto di un grande interprete.

Frutta: Anguria marinata al Martini, lampone farcito con crema pasticcera alla curcuma, ciliegia farcita alle olive e finocchietto, pesca tabacchiera con alici, fico con basilico e colatura di alici. Inizio grandioso.
Frutta, Del Cambio, Chef Matteo Baronetto, Torino
Insalata di fiori e germogli con brodo al sedano rapa, caviale e fragoline di bosco.
insalata di fiori, Del Cambio, Chef Matteo Baronetto, Torino
Gamberi rossi con ceci, nocciole e cacao. Piatto con un forte riferimento al territorio. Boccone dopo boccone in bocca si crea una consistenza e un gioco di sapori che ricorda il gianduiotto. Ottimo.
Gamberi rossi con ceci, Del Cambio, Chef Matteo Baronetto, Torino
Bisque 1970-2015.
Bisque, Del Cambio, Chef Matteo Baronetto, Torino
Il piatto completato. Il mascarpone di capra, la menta e il frutto della passione vengono coperti da una bisque leggera, amalgamandosi e fondendosi con essa. Si beve direttamente dalla tazza. Il gusto dolce con fondo tostato della bisque si lega al mascarpone acido e vellutato e viene verticalizzato dal frutto della passione. Altro piatto da KO.
bisque con mascarpone di capra, Del Cambio, Chef Matteo Baronetto, Torino
Baccalà, bagnetto rosso, foglie di capperi croccanti e tuorlo d’uovo. Spettacolare.
Baccalà, bagnato rosso, Del Cambio, Chef Matteo Baronetto, Torino
Acciughe affumicate al rosmarino e burro morbido al limone.
acciughe affumicate, Del Cambio, Chef Matteo Baronetto, Torino
Musetto di maiale, salsa verde essiccata, melassa di cipolle e chinotto. La salsa verde prende la consistenza e ricorda il tè matcha. Il chinotto si rivela un ospite molto gradito all’interno del piatto.
muretto di maiale, Del Cambio, Chef Matteo Baronetto, Torino
Vitello tonnato. Piatto ordinato alla carta. Buono, nulla di più. Avremmo preferito una salsa forse meno atavica ma più lenta e arrotondante.
Vitello tonnato, Del Cambio, Chef Matteo Baronetto, Torino
Ravioli di yogurt, fave bianche e tartufo liofilizzato. Unico primo piatto presentato durante la degustazione. Provocatorio, svolge il compito di ripulire il palato e prepararlo al resto del pranzo. Il sorbetto del 2020.
ravioli di yogurt, Del Cambio, Chef Matteo Baronetto, Torino
Rognoni di coniglio al vapore, semi di coriandolo e lattuga bagnata al moscato d’asti. Forse il piatto della giornata. Rognone cotto alla perfezione, il coriandolo si sposa bene con la nota aromatica dolciastra della lattuga bagnata al moscato d’asti. Favoloso.
Rognoni di coniglio, Del Cambio, Chef Matteo Baronetto, Torino
Branzino cotto in lattuga di mare, liquirizia e semi di finocchio. Materia prima strepitosa e rispettata religiosamente nella cottura. La laccatura alla liquirizia gioca in contrasto con la vena salata delle alghe.
Branzino cotto in lattuga di mare, Del Cambio, Chef Matteo Baronetto, Torino
Agnolotti al sugo. Altro piatto ordinato alla carta, forse anche qui avrebbe giovato una salsa meno tirata e l’assenza del croccante, pleonastico.
agnolotti al sugo, Del Cambio, Chef Matteo Baronetto, Torino
Vitello brasato al vino. La scaloppa di vitello è cruda, spruzzata con vino rosso, mentre la brunoise di sedano carota e cipolle viene posta a lato del piatto e tenuta croccante. Geniale.
vitello brasato, Del Cambio, Chef Matteo Baronetto, Torino
La finanziera, anch’essa ordinata alla carta.
finanziera, Del Cambio, Chef Matteo Baronetto, Torino
Bonet, caviale, cavolfiore e mais croccante.
bonet Caviale, Del Cambio, Chef Matteo Baronetto, Torino
Un dettaglio della splendida sala.
Sala, Del Cambio, Chef Matteo Baronetto, Torino
Ingresso della Farmacia, locale adiacente al ristorante dove è possibile acquistare leccornie dolci e salate da poter gustare a casa.
ingresso farmacia, Del Cambio, Chef Matteo Baronetto, Torino
Alcuni dei dolci esposti nelle vetrine della Farmacia, locale posizionata accanto e degno di un passaggio.
dolci, Del Cambio, Chef Matteo Baronetto, Torino
dolci, Del Cambio, Chef Matteo Baronetto, Torino
dolci, Del Cambio, Chef Matteo Baronetto, Torino
pasticcini, Del Cambio, Chef Matteo Baronetto, Torino
pasticcini, Del Cambio, Chef Matteo Baronetto, Torino
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