Camminare sul lungomare di Forte dei Marmi al tramonto in una calda serata estiva è un piacere. La brezza marina accompagna piacevolmente la passeggiata, mentre quasi naturalmente ci si abitua ai rombi del motori delle supercar che sfrecciano da una parte all’altra della strada. Il blu del mare si riflette sugli hotel di lusso che placidamente si incantano ascoltando le onde morbide appoggiarsi sul bagnasciuga.
Uno di questi è l’Hotel Byron, all’interno del quale, nonostante l’aria marina del posto faccia percepire un’atmosfera agiata e rilassata, quasi statica, alle porte della stagione estiva è avvenuto un significativo avvicendamento dietro i fornelli. Cristoforo Trapani, ventisette anni, di Sorrento, con alle spalle importanti esperienze sviluppate alla corte di grandi chef, ha sostituito il precedente chef Andrea Mattei, portando con sé una ventata di aria nuova, mediterranea, nel tentativo di smuovere il lussuoso torpore versiliese.
La piscina dell’hotel, ad effetto calamita per tutti i tavoli del ristorante, è un esplicito riferimento ad un moto vacanziero al di sopra delle righe, viziato, a tratti capriccioso, sicuramente molto abbiente. Lo scricchiolio delle assi di legno sul pavimento, le tovaglie di cotone grezzo che accarezzano le gambe degli ospiti, il cinguettio degli uccellini che piano piano sfuma sul frinio delle cicale, evocano un’estate già cominciata e nel pieno della sua forza.
Mentre si sfoglia la carta dei vini, ben studiata e con una profondità di annate interessante, l’animo generoso tipicamente campano dello chef esce preponderante, come non potesse più attendere il momento di mettersi in mostra. Chef giovane certo, ma per questo non affatto ingenuo. Centra l’obiettivo di rispettare ricette versiliesi, aggiungendo un tocco squisitamente meridionale, coniugando il tutto in una cucina dal forte carattere continentale.
La terrazza bordo piscina è piena. Russi, francesi, spagnoli, pochi italiani. Il servizio di sala, in perfetta armonia artistica con la cucina, accoglie, consiglia e accetta richieste del tutto particolari da parte della eterogenea clientela. Ecco quindi che dopo sfavillanti sorrisi e il classico :”Ma certo signore, faremo il possibile…” ci si vede passare davanti piatti ordinati fuori carta, con richieste di modifiche sostanziali, spesso eccessive.
La cucina proposta da Trapani invece, quella vera, nonostante denoti una tecnica ineccepibile, sembra essere frutto di un compromesso fatto con un’altra parte di clientela, disposta sì a provare nuove emozioni ma senza uscire troppo dal seminato. Scampi e foie gras è un classico della cucina francese, ben eseguito da Trapani, ma che lascia poco spazio all’espressione della sua personalità. Personalità che si capisce poter essere piuttosto ingombrante nel momento in cui ci si trova al cospetto di un piatto di linguine, parmigiano, tartufi di mare, crema al basilico e limone, che rievoca ad ogni boccone la gioia di cucinare del cuoco Cristoforo, prima ancora di essere chef. La pasta che salta nella padella che arde sul fuoco vivo. Il momento in cui le linguine cominciano a fare quel particolare rumore, di viscosità lubrificata dall’olio nello stesso tempo amalgamate dall’amido, che sembrano chiedere solo di essere impiattate. Non un semplice piatto di pasta, ma una parte di anima di Trapani, al quale brillano gli occhi come ad un bambino quando gli vengono fatti i doverosi complimenti al riguardo. Poi ancora riferimenti ai classici francesi, con cotture millimetriche, piatti tecnicamente ineccepibili ma in cui manca un tocco di personalità, il classico cambio di marcia.
Cristoforo Trapani è un giovane cuoco generoso ed intelligente. È lecito aspettarsi grandi cose da lui. Gusti un po’ più decisi, accostamenti un po’ più azzardati e uno sviluppo del menù meno inquadrato di certo aiuterebbero.
Ma forse tutto questo non è necessario, perché se è vero che il lavoro del cuoco è quello di fare da mangiare alla gente, allora Cristoforo lo sta interpretando nel migliore dei modi, riempiendo la sala del suo ristorante e andando incontro ai gusti, seppur stravaganti, di tutti i suoi clienti. L’umiltà non è per tutti, e Trapani ne ha da vendere. Un grande applauso a lui e a tutto lo staff.
La mise en place.
Stuzzichini da parte della cucina.
Crostino toscano con gelatina di Aleatico e fegatini.
Burrata e cialda allo zafferano.
Scampo marinato al limone e chips al nero di seppia.
Tartare di canolicchi.
Il pane.
Ancora dei benvenuti da parte dello chef. In questo caso un chiaro omaggio alla terra natia. Pizza fritta. Ottima.
Pastella ripiena di pasta, besciamella e salumi.
Il primo vino in accompagnamento con il menù degustazione.
Cocktail di gamberi. Gamberi marinati con sedano, lattuga di mare e gelato alla mela. Ottima la qualità del gambero. Il tentativo di armonizzare la sapidità della lattuga di mare con la dolcezza del gelato alla mela è riuscito a metà.
Scampi e foie gras.
Carne di fassona, ostrica, caviale, gelatina di ostrica e limone e spuma di borraggine. Piatto di corretta concezione, dal gusto equilibrato ma dalla consistenza purtroppo discutibile. L’ostrica lasciata intera all’interno della carne non aiuta la masticazione.
Si prosegue con l’abbinamento vino
Linguine, tartufi di mare, crema al basilico, fonduta di parmigiano e limone. Spettacolari.
L’abbinamento scelto per i successivi due piatti.
Risotto patate e cozze, quinoa, pomodorino confit e limone. Il risotto visto in chiave mediterranea. Molto bene.
Triglia alla brace, crema di finocchio, arancia e nocciole tostate. Piatto potenzialmente buono ma privo di mordente.
Un super classico.
Piccione, crema di albicocche, funghi porcini e tartufo nero. Cotture perfette e abbinamenti tanto classici quanto azzeccati. Ottimo piatto.
“Rabarbabietola”. Mousse alla barbabietola, sorbetto al rabarbaro, meringa alle fave di Tonka. Trapani ha una bella mano anche in pasticceria.
Il vino da dessert
Torrone ghiacciato 2015. Un classico della pasticceria firmata Trapani che ogni anno viene aggiornato. La versione 2015 accompagna il semifreddo al torroncino con un biscotto al pistacchio, una marmellata e un sorbetto di arancia. Ottimo.
La piccola pasticceria con una menzione speciale per la sfogliatella.
Al Forte, nel corso degli anni, sono passati tutti i rampolli del capitalismo italiano. Tra la pineta, la spiaggia e le ville semi nascoste agli sguardi dei comuni mortali si è consumata una bella fetta di “dolce vita” balneare del nostro paese.
Oggi molti di questi personaggi non trascorrono più qui le loro vacanze e le ville sono state acquistate da magnati russi, i nuovi, veri padroni di Forte dei Marmi, coloro che hanno ridato vigore all’economia di un paese che, grazie al rublo, è ritornato simbolo del benessere e di una ricchezza a volte un po’ cafona.
La Magnolia si trova all’interno del Byron Hotel, dimora fatta costruire da José Caferino Canevaro, conte di Zoagli, come luogo destinato alla villeggiatura della famiglia e della sua cerchia di amici del jet set internazionale, ma rimane comunque un’oasi di sobrio buongusto.
Affacciato sul lungomare, a pochi metri dalla pineta e con lo spettacolo delle Alpi Apuane a farle da cornice, offre un colpo d’occhio che sicuramente non lascia indifferenti.
Da qualche anno è approdato alla guida della cucina Andrea Mattei da Pietrasanta: poco più che trentenne, ma con alle spalle una carriera già lunga e ricca di esperienze.
Partito proprio dal Byron come commis, ha poi peregrinato in lungo ed in largo per l’Italia e l’Europa, passando dalle cucine della Locanda dell’Angelo di Angelo Paracucchi, dell’Enoteca Pinchiorri, del Plaza Athénée, per poi ritornare da dove era partito, questa volta in qualità di chef; con un bagaglio di conoscenza notevole, ma senza per questo perdere la voglia di confrontarsi con i colleghi in giro per il mondo (esemplare l’ultima esperienza al Noma dell’autunno appena trascorso).
Mattei riserva una grande attenzione ai prodotti locali sia del mare che delle campagne circostanti, ma il vero mantra dello chef è la soddisfazione del cliente da raggiungere con ogni mezzo a disposizione.
A tal proposito troviamo sempre in carta, accanto a piatti più personali e creativi, i super classici della zona, quelli che il turista e il cliente, non per forza gourmet incallito, vuole trovare in un ristorante al mare, realizzati in maniera impeccabile e con grandi materie prime. Quindi spazio agli spaghetti alle vongole, all’insalata di mare e al pesce di cattura al sale o all’isolana.
La vera cucina di Mattei, però, non è questa e dà il meglio di sé quando si esprime in libertà, usando tecniche moderne, cotture brevi e grande rispetto per il prodotto, e in queste occasioni riesce ad esprimere un buon tasso di finezza e di personalità.
La sua è una cucina caratterizzata da pochi elementi ben riconoscibili, lavorati con buona dose di fantasia, che cerca più l’equilibrio che i contrasti, ma non disdegna di spingere sui toni acidi quando necessario.
L’ambiente è elegante e rilassante come si conviene ad ogni cinque stelle che si rispetti, e nella bella stagione, è possibile usufruire dei tavoli a bordo piscina, godendo appieno del fascino della struttura.
Molto interessante è la carta dei vini, che oltre ad una ampia gamma di etichette della zona, offre una panoramica piuttosto completa della produzione enologica nazionale ed estera e, se consultata con attenzione, permette di scovare qualche chicca inaspettata proposta a prezzi interessanti.
Ottimo anche il servizio, professionale e preciso senza essere ingessato.
Un’ottima tappa, sia per l’inguaribile gourmet in cerca di una tavola non banale, sia per chi volesse provare la cucina del territorio riletta con classe da uno chef in lenta e continua crescita.
L’aperitivo.
Pane e focaccia.
Carpaccio di gamberi rossi, caviale Asetra, scalogno: un tuffo nel mare, iodio alla massima potenza.
Pesci e crostacei come un cappon magro, pane croccante e verdure: tutti gli elementi del grande classico della cucina ligure, completamente rivisitato nell’aspetto, ma simile nella sostanza, con una bella sferzata acido-acetica a rendere il tutto fresco e piacevole.
Risotto al pomodoro, ricotta di pecora e caffè: protagonista assoluto il caffè che rubando la scena al resto degli ingredienti rende il piatto poco equilibrato.
Agnolotti agli scampi, farina di farro, erbucci e bottarga di scampi.
Porro arrostito, caprino della Lunigiana, grano arso: omaggio al Noma rivisto con ingredienti locali.
Agnello di Zeri cotto nel testo su passata di zucchini: carne splendida per qualità e perfetta nella cottura, qualche perplessità sull’abbinamento con le zucchine.
Intremezzo defaticante con acqua tonica, lime e lampone.
Il babà con le albicocche, ottimo pre-dessert.
Fragola e barbabietola: riuscito gioco di consistenze e temperature.
Cioccolato Amedei, Toscano Black 70%, rosa, miele di girasole.
Piccola pasticceria.
Difficile resistere al fascino di Madame Leroy anche in annata minore quando è proposto a prezzo di saldo.
Questa recensione aggiorna la precedente valutazione che trovate qui
Recensione Ristorante
E’ lui il DJ della cucina italiana: Alberto Faccani. Il David Guetta della Riviera.
I fornelli al posto dei piatti, magari un bel Roner invece di un masterizzatore, e via….Unz…Unz…ritmo contagiante, non puoi stare fermo, non puoi non godere.
Solo il meglio del panorama nazionale e internazionale, mixato e filtrato dalla sua sensibilità e dalla “romagnolità” assoluta. Quella ce l’hai o non ce l’hai, non si inventa.
Tanti link si aprono nella mente: Roca, Marchesi, Alajmo, Adrià, Dacosta, Uliassi….