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Prima della Prima: Luca Marchini

LINGUA E VIRGIN MARY

La tradizione? “Si traveste di epoca in epoca, ma il pubblico conosce male il suo aspetto e non la trova mai sotto le sue maschere”. Quella che Cocteau ha prestato a Luca Marchini ha sembianze afro: la ricetta è stata infatti concepita al ritorno da un viaggio a Zanzibar. Protagonista (forse non a caso) la lingua, ingrediente polisemico per eccellenza, connotato nel senso della comunicazione, come già secondo Massimo Bottura. Il sottotesto tuttavia è prettamente italiano, perché il trancio, cotto sottovuoto in pentola a pressione per 3 ore con una bacca di vaniglia dentro un doppio sacchetto (per non disperdere i succhi e sciogliere compiutamente il collagene) e poi rosolato in modo da croccantare la superficie, internamente ricco e pastoso, viene guarnito da due gocce di salsa, verde alle erbe e bianco yogurt, a evocare il tricolore con tocchi di aromaticità e acidità.

La maschera di Zanzibar è appoggiata a fianco sotto forma di condimento in stile virgin mary, quindi succo di pomodoro, worcestershire sauce e Tabasco. Esotico nella speziatura vintage, eppure rammemorante una italianissima mostarda nell’accostamento a un classico taglio da bollito. In viaggio fra Cremona e Zanzibar, passando per il bancone notturno di un bar di Hopper. Si attiva così, a livello inconsapevole, lo schema di aspettativa e conferma/sorpresa che caratterizza l’esperienza estetica. Mentre si riprende il filo lanciato da Paolo Lopriore dell’utilizzo in cucina di conserve di pomodoro dal gusto né fresco né cotto, nella loro integra caratterialità, inaugurato dal celebre pelato di mamma Rosa con la sua peculiare acidità. Ed è questa, oggi, la cucina di Luca Marchini: fitta di rimandi più o meno classici, spesso subliminali e sempre puramente gustativi, teatrale nel gioco di sensazioni pseudo grasse, pseudo acide, pseudo dolci.

Lingua e Virgin Mary, Chef Luca Marchini, L'Erba del Re, Modena

Questa valutazione, di archivio, è stata aggiornata da una più recente pubblicazione che trovate qui

Recensione ristorante.

“Fimmina cuciniera, pigghiala per mugghiera”: così direbbe il buon “Ferribotte” – Murgia dei Soliti Ignoti, ma anche il mio caro nonno messinese non è che si discostasse poi molto da questo pensiero un tantinello maschilista. Sarà che le donne brave ai fornelli si concentrano solo sul loro nucleo familiare?
Com’è, come non è, fatto sta che le grandi cuoche sparse per lo Stivale si contano sulle dita di una mano. Nadia Santini? Sicuro. Fabrizia Meroi? Ovvio (e secondo me è lei la numero 1 di questa risibile classifica).
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Recensione ristorante.

Tra innovazione e tradizione per ora prevale la seconda sensazione.
I fratelli Costardi stanno movimentando la cucina dell’alto Piemonte e si stanno rivelando sempre più concreti e convincenti. Alcune provocazioni , incertezze o apparenti bizzarrie sono ormai relegate al passato.

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