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I Masanielli

La nuova capitale della pizza è Caserta?

Francesco Martucci, assieme a Franco Pepe, sta facendo risuonare parecchio, nel cuore e nella testa di molti gourmet, la domanda riportata nel titolo. È in parte una provocazione, una iperbole. E non ce ne vogliano i puristi e tradizionalisti della pizza napoletana. Ma questo giovane cuoco, che per caso e per destino si è impegnato in questo specifico settore, sta tracciando una strada tutta sua, personale, autentica e decisamente innovativa sul grande lievitato partenopeo.

Un grande cuoco innanzitutto, che ha portato una ventata di tecnica, ingegno e innovazione tutta personale. La sua pizza non è gourmet, non è stravolta rispetto all’originale. Ma è avvolta di un manto di studio e progettazione avanguardististica unica. Impasti lievitati sino a 50 ore, di una lievità unica, a tratti quasi imbarazzante. Ne mangerete tranquillamente due di pizze, forse anche tre. Ingredienti iper selezionati. E tanta progettazione.

Chi può vantare un laboratorio di 300 mq in cui poter sperimentare? L’emblema della caratura di questo grande cuoco è certamente la sua interpretazione di salsiccia e friarielli. Salsiccia di nero casertano e friarielli prima cotti, poi frullati ed emulsionati con acqua di governo della mozzarella. Che gli dona una nota lattica che tende a smorzare l’amarezza del friariello, rispettandolo.

L’innovazione e la tradizione nel grande laboratorio di Martucci

Per non parlare poi delle pizze più tradizionali, realizzate a regola d’arte. Senza sbavatura alcuna. I puristi noteranno un leggero eccesso di cottura, qualche bruciatura di troppo. A noi la sua pizza, invece, ha entusiasmato proprio per questo. Cottura ad alta temperatura e lievitazione magistrale rendono l’impasto lieve ed etereo. Un encomio per i prezzi, popolari come dovrebbero essere sempre in locali di questa tipologia. Che ne decretano anche il successo di pubblico, oltre che di critica.

Chapeau quindi a questo grande pizzaiolo, pardon cuoco, che nel suo chiassoso e rumoroso ristorante, con molti coperti, fa il tutto esaurito tutte le sere. Troverete, dalle 20 in poi, una coda chilometrica, anche di un’ora, ma alla fine ne varrà veramente la pena. Qui Caserta, la nuova patria della pizza, di grande qualità e passione. Ma la gentilezza del personale, tutto attento e disponibile, e le meravigliose pizze vi faranno svanire in un attimo lo stress per l’attesa.

Una nuova storia, a Torriana, per il Povero Diavolo … come sarà?

“Una nuova storia sta per partire al Povero Diavolo e vogliamo fare i nostri auguri perché sia lunga e appagante. Dal 22 marzo Giuseppe Gasperoni con la sua giovane squadra di collaboratori prende le redini del locale, ristorante e locanda, rinverdendone il lungo percorso, avviato nei primi anni del ‘900, interrotto agli inizi degli anni ’70, ripreso da noi nel 1990 e di nuovo interrotto nell’agosto del 2016. Un’insegna dalle tante vite e storie, con protagonisti molto diversi, ma sempre originale, non omologata, figlia della bellezza e singolarità del suo luogo di nascita, Torriana, sguardo e ponte, dal mare all’Appennino, minuscolo borgo di collina, capace di attirare con le sue belle manifestazioni da Spessore alla Collina dei Piaceri, grandi cuochi e gourmet da ogni dove.

Noi continueremo a organizzare questi e altri eventi, mirati a intersecare curiosità e interesse con il fascino del paesaggio e della buona cucina, avendo come punto di riferimento il Povero Diavolo che ci auguriamo non mancherà di premiare Giuseppe per la sua determinazione e il suo coraggio.

Arrivederci, grazie

Fausto e Stefania”

Queste le splendide parole del duo magico di Torriana, che consegnano a Giuseppe Gasperoni un monumento della ristorazione italiana. Quasi 30 anni di storia sulle spalle, tutte identificabili con Fausto e Stefania Fratti. Ora si volta pagina. Uno chef patron giovanissimo, nemmeno 30enne, con una brigata tra sala e cucina ancor più giovane. A cui dare fiducia e a cui va tutto il nostro in bocca al lupo più profondo. Non è facile prendere le redini di un posto del genere, facile scottarsi con il passato glorioso. Ma Giuseppe ha grinta e determinazione da vendere, nonché un curriculum di tutto rispetto, in cui il passaggio più lungo e importante è stato fatto da quel Riccardo Agostini che proprio qui passò, prima dell’era di Pier Giorgio Parini.

Il nuovo corso ha inizio con il giovane Giuseppe Gasperoni

Ecco allora, a qualche giorno dall’apertura, varcare le porte di questo luogo ricco di storia e tradizione. Che ha mantenuto buona parte del suo fascino intatto. La cucina è ancora, ovviamente, in divenire. Ma già alcuni capisaldi si mostrano, timidi ma ben delineati. L’ottima selezione di materia prima, l’uso di erbe locali, un buon modo di presentare i piatti. Tutto lascia propendere per il meglio. Ad oggi rileviamo solo alcuni eccessi di sapidità, cotture tutto sommato centrate, ma al contempo una porzionatura alla carta troppo esigua, che fa sembrare gli ottimi prezzi dei piatti molto meno convenienti di ciò che appare.

Il servizio soffre ancora del rodaggio iniziale, occorre aspettare molto tra una portata e l’altra, e non sempre è attento a rabboccare acqua e vino. Il consiglio è che se non ci si riesce a stare dietro a questi aspetti meglio lasciare a tavola le bottiglie, il cliente sarà meno seccato per il giusto compromesso.

Ci sono piaciuti molto il carciofo, simil giudia, e il Fagottino della Nora, la mamma dello chef onnipresente in cucina e ottima sfoglina. Interessanti gli Agretti mantecati con scquacquerone e mazzancolle e ottimo il Filetto di manzo alla brace con cipollotto. Buoni i dolci, qui non fotografati, ma forse troppo avulsi al contesto e al resto delle preparazioni, troppo moderni e a tratti non centrati. Ci aspettiamo di più da una cucina che per ora è in mezzo al guado, non è osteria, ma nemmeno ristorante di cucina personale. Eppure, trovando al sua identità potrà molto far parlare di sé, perché il giovane cuoco le carte le possiede.

Comunque sia, evviva il Povero Diavolo, che non mancherà di stupirci nel prossimo futuro.

La galleria fotografica:

Una delle migliori cucine di mare d’Italia, a Fiumicino

Nel nostro perpetuo e continuo girovagare per ristoranti poche volte ormai riusciamo a rimanere impressionati. E non necessariamente solo dalla cucina. Impressionati dalle tecniche, dalla volontà, dalla qualità espressa certamente, ma anche impressionati dall’aria che si respira, intensa e vibrante. Quest’aria, che abbiamo respirato qui, è ricca e pregna di sentimento, di voglia di emergere, di determinazione e di tanta, tantissima passione. Un cocktail micidiale, perché con la straordinaria materia prima di cui Gianfranco Pascucci dispone possiamo tranquillamente affermare che ci troviamo, assieme a Lionello Cera, di fronte a uno dei migliori ristoranti di pesce d’Italia. Merito di Gianfranco certo, che ha studiato a lungo e continua a farlo, ma merito anche di una squadra, capitanata da sua moglie Vanessa, che sa gestire una sala veramente di alto livello. E non dimentichiamoci i ragazzi in cucina, sottoposti a lunghe fatiche da parte dello chef, che ha una linea tanto complicata quanto originale e goduriosa, appagante al palato.

Un luogo insomma in cui si respira quell’aria, quel pathos, quel sentimento di trance agonistica che ci fa amare il luogo e ci fa assaporare un profumo intenso di piacevolezza. La cucina di Pascucci, cuoco autodidatta, è cresciuta notevolmente negli anni. Si è affinata, ha guardato ai dettagli, ha lavorato in una direzione molto personale. E l’appunto nostro della volta precedente, accolto, ha portato ancora più in alto l’asticella, migliorando notevolmente il comparto dolce, oggi irriconoscibile rispetto al passato, in positivo s’intende.

La tecnica, l’evoluzione e la qualità delle materie prime

Ma ciò che più ci ha stupito, impressionato, è il fine ed elegante, nonché originale, lavoro sulle ossidazioni e frollature del pesce. Avete letto bene. Ci scampi dal popolo superficiale ogni possibile ironia a riguardo. La tecnica delle fermentazioni, ossidazioni e frollature pronunciate è presente da millenni in moltissime culture, quale metodo di conservazione – ma non solo -, che non deve affatto far inorridire. Pensiamo alla cultura giapponese, ricca di storia e tradizione in tal senso, ma ci basti, accontentandoci, pensare al nostro garum romano, o alla colatura di alici, sua derivata. Gianfranco si è spinto oltre, lavorando su marinature e ossidazioni controllate che trovano l’apice gustativo nella Misticanza di tonno rosso o nel Lardo di centrofolo a impreziosire i Filideu sardi.

Interessantissima la ricerca di consistenza sul Calamaro arrosto alle erbe mediterranee, con il brodo in accompagnamento che riprendeva una sorta di dashi mediterraneo appunto, da far invidia a un piatto del grande Ryugin. Primi piatti ottimi, un asticello davvero memorabile, in cui viene magistralmente esaltata la testa del crostaceo, non a discapito di una stupenda cottura della coda. Il salto quantico sui dolci è evidente a tutti, basti vedere le foto dei dessert dell’anno scorso.

Completano il quadro una sala davvero importante, gestita magistralmente. Ora non rimane che andare a Fiumicino, a respirare quell’aria, che ci riporterà a momenti intensi decisamente appaganti.

La galleria Fotografica:

La trattoria “nazional-popolare” in grado di accontentare molti. Eppure proiettata nel futuro

Milano è la città più internazionale d’Italia. I ritmi, anche nel cibo, sono sempre più legati a quelli presenti nelle grandi capitali del mondo. Un Posto a Milano è stato tra i primi, se non il primo, a capire che la metropoli lombarda avrebbe cambiato passo.

Da più di un lustro, a Cascina Cuccagna è aperto un luogo polifunzionale, da colazione a cena, con un mix di proposte, dai lievitati, all’incredibile pizza, dai panini alle sfiziosità, dai piatti per un pranzo veloce a quelli più impegnati. Per molti tutto questo è una summa di slogan, spesso disattesi. Qui a un Posto a Milano ultimamente si fa pure il pane, oltre che tutte le paste e le preparazioni di base per la vasta offerta all day long. Può sembrare strano far notare tutto ciò? Se unite a tutto questo che i coperti, mediamente, in una settimana sfiorano quasi i 200 al giorno, senza contare tutti gli avventori, moltissimi, che si fermano per un aperitivo, per uno sfizio, per un cicchetto, per una colazione, fate i vostri conti.

Un Posto a Milano è un vero locale multifunzionale a misura di metropoli

La trattoria funziona come un orologio di manifattura svizzera e tutto questo è in gran parte merito del suo Executive Chef, Nicola Cavallaro. Ha pensato di fare la pasta frasca trafilata a bronzo in casa, perché ha bisogno di cuocere la pasta in 3 minuti e non in 10 o anche più. E se il tuo fornaio di fiducia non ti soddisfa? Sfoderi tutta la tua la passione per i lievitati e il gioco è fatto. Nicola, se non dovesse bastare, propone una pizza alla pala, tra le più buone mai assaggiate, anche considerando l’utilizzo di un forno elettrico:  idratazione, morbidezza, alveolatura da manuale.

E poi c’è la cucina apparentemente semplice, ma con tocchi di classe. Il brodo stile Tom Yum delle cozze, di una finezza incredibile, il tocco della curcuma nell’impasto delle tagliatelle (colore e aroma), l’oca un pò padovana – la cottura in tocio – un po’ pechinese, con la sfoglia di riso. Insomma, questo posto a Milano è proprio un gran bel posto, sempre affollato. Questo è il prezzo da pagare per un locale che funziona, funziona davvero, e rende felici gli avventori.

La galleria fotografica

Carlo Cracco nel salotto di Milano

Carlo Cracco è prima di tutto un temerario. Solo un pazzo, un visionario con una buona dose di coraggio, lascerebbe, nel momento di maggior splendore e remunerazione, una carriera televisiva che ormai l’ha proiettato nello star system dello stivale, e forse oltre, per investire pesantemente in un luogo tanto bello quanto difficile.

Ma il mondo è pieno di visionari e pazzi che hanno avuto ragione. E noi siamo i primi sostenitori di Carlo Cracco e del suo progetto. Perché predisporre un luogo così ricco di fascino, così importante, così autorevole significa scommettere sul proprio futuro tutto quanto. Un giro di roulette, in cui solo la grande e instancabile vena creativa di uno tra i migliori cuochi dello stivale può far gridare al moderato rischio, invece che alla pazzia più folle ed estrema.

Solo alcuni scatti, che non rendono giustizia alcuna al luogo, perché vederlo dal vivo è tutta un’altra storia:

Uno dei ristoranti, dicevamo, tra i più belli d’Italia, e forse d’Europa. Un progetto complicato, con una stupenda sala eventi all’ultimo piano, il ristorante gastronomico al secondo piano, il bistrot e la caffetteria al piano terra. finemente ed elegantemente ristrutturato, tutto pensato nonché studiato nei minimi dettagli. Un investimento importante e impegnativo per dare lustro a Milano, con il progetto di alta ristorazione più importante, a nostra memoria, che sia mai stato concepito.

La cucina? La grande impronta di Cracco è evidente, l’avanguardia è ancora qui…

Fiumi di parole sono già corsi. E c’era da aspettarselo. Anche Cracco se l’aspettava, l’ha messo in conto. Lo chef interpreta la sua personale versione di una pizza? Bum! Parte lo sparo alzo zero. La cotoletta al Bistrot, dopo due giorni dall’apertura, era meno che perfetta? Ri-bum!

Noi, che non siamo mai passati per buonisti, siamo certi che il rodaggio, appena iniziato, di una macchina così complessa e complicata non può che essere ancora all’inizio. Inciampi, qualche svista, piccole cadute sono possibili quando c’è da far girare un locale così ricco di offerta e pieno di potenzialità.

Ecco perché ripartiamo dalla valutazione del Cracco di via Hugo, non perché non si meriti di più. Già oggi il nostro pranzo è stato ben al di sopra di questa valutazione. Ma preferiamo essere parchi, morigerati, preferiamo dare la possibilità a Carlo Cracco e al suo instancabile braccio destro Luca Sacchi, ormai in simbiosi totale con il suo maestro, di potersi fregiare di ulteriori traguardi in un prossimo futuro non troppo lontano. Saremo lì, presenti, costantemente. Anche perché il posto, e la cucina che esprime, sono degni di tante, tantissime visite.

Siamo convinti che Carlo Cracco e Luca Sacchi siano solo all’inizio di una trance agonistica positiva, che proietterà la loro cucina ben oltre le alte vette raggiunte già nel nostro pranzo con la crema cotta ai ricci di mare, moscato e rose cristallizate o il crudo di dentice, capesante, lime e caffè, con il lieve ma centrato tocco di burro di cacao grattugiato o la battuta di cervo, caviale, tartufo nero e lenticchie tostate e infine l’uovo, ingrediente feticcio di Cracco, sublimato in un irriverente sbeffeggio francofono al tartufo nero.

Completano il progetto una equipe di sala giovanissima, ancora in rodaggio, ma che, giustamente, ha dalla loro la freschezza e la voglia di emergere.

Non mancate una visita, vi divertirete e potrete vedere una maestosa macchina da guerra in costante e continua crescita, ne siamo certi.

La galleria fotografica: