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La Malvasia istriana

Dalle Malvasie alla Malvasia istriana

La Malvasia è un vitigno a bacca bianca molto diffuso in tutta Italia. Parte di una famiglia di vitigni molto estesa, sono ben 17 le varietà di Malvasia ambientate in Italia, e di esse fanno parte Malvasie bianche, gialle, rosate, nere.

Le Malvasie, di origine greca, sono giunte in Italia a più riprese e da più porte: quella delle Lipari è giunta coi primi conquistatori Greci e, da allora, è rimasta confinata su queste isolette siciliane; quella Istriana, invece, si diffuse in tutto l’Adriatico per opera della Repubblica Marinara di Venezia. Genovesi e veneziani, dai loro viaggi, portarono in patria le barbatelle di  Malvasia che si diffuse in breve tempo in tutta Italia, dando origine a mutazioni, cloni e varietà che si adattarono a condizioni climatiche e di suolo completamente diverse. La troviamo in Sardegna, Istria, Toscana, Lazio, Emilia-Romagna, Calabria e Puglia, fino a Lipari e Salina. Già alcune fonti del 1300 riportano la coltivazione della Malvasia in Istria. Tutte partirono da una città dell’antica Grecia, Monemvassia, nel Peloponneso da cui arriva anche il nome.

L’agronomo e accademico Giovanni Dalmasso scrive: “Ormai è fuor di dubbio che il nome Malvasia deriva da quello d’una città greca della Morea, oggi Peloponneso: Monembasia o Monemvasia o Monovaxia il cui significato letterale è “porto con una sola entrata”, degenerato in Malfasia e italianizzato in Malvasia. Nel 1248 i Veneziani penetrarono nella regione di Monemvasia e ne trasportarono le barbatelle a Creta, che occupavano fin dal 1204 (all’epoca delle Crociate), mentre la città Monembasia passerà in loro dominio più tardi, nel 1419. L’assoggettamento dei Veneziani continuò fino alla seconda metà del XVIII secolo, e la produzione e il commercio del vino di Malvasia divenne attivissimo, per poi decadere e addirittura cessare sotto la dominazione turca.

La Malvasia istriana

Quella di cui vi parlo è denominata Malvasia istriana,  questo il nome del vitigno, ma il vino per disciplinare non porta la stessa menzione, ma si chiama solo  Malvasia. È presente nei disciplinari delle Doc Carso, Collio, Colli Orientali, Friuli Annia, Friuli Aquileia e Friuli Isonzo. A differenza dagli altri cloni, la Malvasia Istriana non ha un carattere spiccatamente aromatico, il frutto è quasi neutro e poco aromatico, risente molto però dell’ambiente in cui si coltiva. In pianura, allevata in terreni sabbiosi o comunque abbastanza fertili, dà dei vini semplici, beverini, poco impegnativi, leggeri di corpo e di alcol, che possono essere secchi o dolci, fermi, frizzanti e spumanti.

Il discorso cambia notevolmente quando l’altitudine aumenta: nelle zone collinari dei Colli Orientali e Collio Goriziano il vino assume una prorompente personalità, spicca tra i migliori vini bianchi friulani. Generosa alla vista, con un paglierino dorato, regala un bouquet affascinante dove la frutta tropicale assieme all’albicocca e alla pesca dominano la scena, aggiungendosi poi a note floreali, di erbe aromatiche e di pietra focaia.  L’assaggio, nella maggior parte dei casi, è appagante e pieno, grasso per l’abbondante glicerina sviluppata in fermentazione, eppure così  equilibrata dalla naturale acidità e sapidità. Sembra quasi che il vitigno, da queste colline di marna eocenica baciate dal vento, abbia assorbito tutta l’essenza, trovando un habitat perfetto e, pertanto, regalando  vini ricchi di personalità. 

La Degustazione

I vini qui sotto arrivano dalla aree dei Colli Orientali e Collio a ridosso del confine sloveno fra i comuni di Dolegna del Collio, Cormons, San Giovanni al Natisone, Prepotto, Corno di Rosazzo, Capriva del Friuli, Pradis, Ipplis dimostrando che la Malvasia Istriana in queste terre riesce a dare dei vini completi e complessi e confermando le buone aspettative avute in vendemmia per l’annata 2020.

Collio Doc Malvasia Petris 2020 di Venica & Venica

Chiaroscuro aromatico espressivo e generoso; offre note di melone bianco e giallo, pesca, passion fruit, mango, ananas, agrume, soffio salmastro a chiudere. L’andamento gustativo è perfettamente coerente e piacevole, con una struttura densa e simmetrica. Fresco, salino, piacevole, equilibrato, difficile chiedere di più. 93

Collio DOC Malvasia 2020 di Raccaro

Siamo ai piedi del Monte Quarin, una delle aree più vocate del Collio, fra Cormons e Brazzano. 7 ettari di vigna e piante molto vecchie, piantate sulla ponka. Solo acciaio, il profilo aromatico è accattivante su note tropicali di pesca, papaya, cedro e slanci di pietra focaia ed erbe aromatiche, timo e alloro. L’assaggio è omogeneo, una materia calda e vellutata lascia spazio a tensione e verticalità, a siglare un lungo epilogo. Altra Malvasia dal fascino seducente. 92

Friuli Colli Orientali DOC Malvasia 2020di Stanig

Stanig, azienda vinicola con un secolo di storia, 9 ettari fra le colline di Prepotto. Didattico in tutti gli aspetti, è un vino dal color oro luminoso, con aromi floreali di gelsomino e tiglio, pesca gialla, note minerali e agrumate, frutta esotica e soffio iodato. La bocca è esuberante, appagante, di spessore, ricca di polpa e glicerina, attraversata da lampi freschi e minerali. 92

Venezia Giulia IGT Feruglio Malvasia 2020 de La Ferula

Riflessi oro, offre al naso piacevoli sensazioni tropicali, di pesca gialla matura, bergamotto e soffio iodato.  Cremoso e piacevole sul palato, mette in mostra un corpo pieno e vellutato e una buona spalla fresco-sapida. Buona la profondità. 92

Friuli Isonzo DOC Malvasia 2020 di Adriano Gigante

Al naso è appagante, offre un tripudio di frutta tropicale, melone, mango, papaya e sottile slancio agrumato. Sul palato entra vellutato, avvolgente, vivo di una materia generosa. Denota buona freschezza, giusta sapidità e lunga persistenza dai ritorni agrumati. 91

Friuli Colli Orientali Malvasia 2020 di Specogna

Malvasia fermentata con l’utilizzo di lieviti indigeni, affina in acciaio per 8 mesi e una piccola parte svolge l’affinamento in legno. Giallo dorato, sprigiona intensi profumi tropicali, di melone, pesca, agrume ed erbe aromatiche, tra cui timo e salvia, assieme a suggestioni salmastre. Caldo, cremoso e ricco, vira poi con un’ottima scia fresco sapida sul finale. Molto persistente, esprime tutta la potenza e la finezza del territorio dei Colli Orientali. 91

Collio Doc Malvasia 2020 di Villa Russiz

9 mesi in inox con le fecce fini per questa Malvasia di grande fascino giocata sulla freschezza e fragranza, come nello stile aziendale. Freschi e intensi gli aromi di frutta tropicale passion fruit, mango, pesca, melone, ananas, florele, agrumato. Assaggio di ottimo livello, impostato su un registro carnoso ritmato da buona freschezza e mineralità salina. Ottima la persistenza. 91

Friuli Colli Orientali Malvasia Valmasia  2020 de La Tunella

Affinamento in inox con le fecce fini anche per questa Malvasia dei Colli Orientali. Come altri vini descritti la Malvasia quando è allevata in queste colline regala dei vini trasversali, completi che sanno appagare per corpo e struttura ma allo stesso tempo dare dei finali freschi e salini, lunghissimi. Impattante poi la parte aromatica, dai toni maturi di frutta, pesca, mela, pera, melone bianco, note floreali e agrumate. 90

Friuli Colli Orientali DOC Malvasia 2020 di Ermacora

Orientato prevalentemente su sottili note fruttate tropicali e agrumate, vira poi su erbe aromatiche, salvia, timo, note di miele e burro di cacao. Al palato rivela una struttura cremosa e decisa, buona la spinta fresco-sapida a finire un assaggio di qualità e sostanza. 90

Venezia Giulia IGT Malvasia 2020 di Girardi

Malvasia che arriva dalla pianura di Grado, su suolo argilloso e sabbioso. Rimane ad affinare in inox 6 mesi con le fecce fini. Olfatto agrumato e fresco, susina gialla, mela, limone, biancospino e finale iodato. Sorso di buon livello, sapido e affilato senza rinunciare a fare sentire cremosità, buono lo slancio finale. 90

 Friuli Colli Orientali Malvasia lo Speziale 2020 di Roberto Scubla

Rese basse, affinamenti in inox per 8 mesi con le fecce fini. Esuberante l’olfatto con intense note tropicali poi pesca, melone, agrume, fiori gialli. L’andamento gustativo è prima caldo, cremoso e sensuale, poi emerge l’affilata dote sapido-minerale. Vino dalla beva piacevole ma di sostanza. 89

Collio DOC Malvasia 2020 di Paolo Caccese

Altra Malvasia di bella sostanza. Il colore vira verso il dorato, esprime all’olfatto fragranze di frutta matura pesca, melone, albicocca, mela golden, fiori di sambuco e soffio marino, iodato. Sorso piacevolmente fresco, sapido, snello, con il calore alcolico a ingentilire il tutto, buona la persistenza. 89

Friuli Isonzo Doc Malvasia Vigna della Permuta 2019 di Ronco del Gelso

Sfumature dorate. Profilo olfattivo che regala calde  note tropicali, mango, melone, passion fruit, tocco agrumato e floreale. Bocca fantastica, cremosa, piacevole, fresca, salina, equilibrata. Vino di grande finezza, equilibrio e persistenza. Una Malvasia che regala sensazioni forti, appaganti sotto tutti i punti di vista, chapeau al produttore. 94

Collio DOC Malvasia Soluna 2019 di Livon

Le uve arrivano da piante di 40 anni,  subiscono una leggera passitura. Dopo la vinificazione il vino affina 10 mesi in legno. Esordio olfattivo intenso e complesso dove dominano note di frutta matura tropicale melone, ananas, passion fruit, agrume candito virando poi su note note tostate e note dolci di caramello, nocciole. L’assaggio dimostra volume notevole e ricchezza, tutto con eleganza. Beva cremosa, avvolgente ma fresca e sapida. Finale persistente con  rimandi tropicali. 91

Picolit, ovvero prezioso e unico

Affascinante, unico e misterioso, il Picolit è un raro vitigno a bacca bianca, autoctono del Friuli-Venezia-Giulia. Il grande Luigi Veronelli ne ha tessuto le lodi molti anni fa, affermando: “Non credo vi sia in Italia vino più nobile di questo, ciò che per la Francia è lo Chateau d’Yquem“. Per questo assai grande è stata l’emozione, assaggiando questi preziosi e rarissimi vini, generosi nella parte olfattiva, avvolgenti e cremosi sul palato, buoni anche da soli o con qualcosa di salato, in aperitivo. 

Un ermafrodita “femminile” e un polline che non impollina

Solo pochissimi tra gli acini dei grappoli del Picolit arrivano a maturazione, e ciò è dovuto a un naturale aborto floreale: nel Picolit, infatti, il fiore – femminile – ha un polline quasi totalmente sterile, che provoca l’impossibilità di gran parte dei fiori di diventare frutti, rimanendo allo stato embrionale. Il fiore della vite, per la quasi totalità delle varietà, risulta essere ermafrodita, ovvero contiene sia la parte maschile sia quella femminile. Il fiore del Picolit è un fiore “ermafrodita fisiologicamente  femminile” cioè presenta gli stami (la parte maschile) più corti e ripiegati verso il basso, i quali producono un polline che, come detto, non germina e, quindi, non è in grado di fecondare la parte femminile, peraltro funzionale.

Il grappolo risulterà dunque assai spargolo, con radi, piccoli acini che saranno, quindi, molto più ricchi di zuccheri e sostanze aromatiche. Eppure, per garantire una produzione minima (circa 40 q/ha) il vitigno deve essere messo a dimora vicino ad altre varietà, in modo da favorire l’impollinazione incrociata. Ogni anno è diverso riguardo all’impollinazione, non c’è una regola, quindi ogni anno la percentuali di chicchi che arrivano a maturazione varia, e ciò rende ancora più affascinante, perché capriccioso, il vino da uve Picolit.

DOCG Colli Orientali del Friuli Picolit 2018 di Marco Sara

Naso fresco e dinamico, dal volume imponente, dispensa note di albicocca secca, dattero, miele di castagno, arancia candita, accenti floreali e speziati. Il palato è ricco, ampio, caldo; mostra poco residuo e tanta freschezza, accesa da un soffio iodato. Ottima la persistenza, su note di cioccolato bianco e caffè. 93

DOCG Colli Orientali del Friuli Picolit 2018 di Colutta

Ambra intenso, magnetico e complesso l’olfatto che gioca su intensi sentori di arachide, dattero, fichi secchi, vaniglia, caffè, cioccolato al latte, croccante alle mandorle e caramello. Al palato entra caldo e avvolgente, setoso, composto; un accenno di tannino solletica il palato, ottima la persistenza con soffio iodato. 92

DOCG Colli Orientali del Friuli Picolit 2017 di Valentino Butussi

Piacevole e molto complesso all’olfatto, regala intense note di dattero, albicocca disidratata, miele di castagno, caramella d’orzo, cioccolato bianco, caffè e spezie dolci. Al palato è caldo, cremoso, intenso, fin grasso comunque piacevole, nonché corredato di un’ottima vena fresca, che gli da slancio. Sapido e molto persistente in chiusura. 92

DOCG Colli Orientali del Friuli Picolit 2017 di Paolo Rodaro

Elegante olfatto che unisce intense note di frutta disidratata, dattero, miele di castagno a tocchi di spezie dolci, caffè, cioccolato bianco. Palato energico, caldo, avvolgente, cremoso, dotato di buona freschezza a bilanciarlo; lunghissima la persistenza con finale di tostatura. 91

DOCG Colli Orientali del Friuli Picolit 2017 di Sara & Sara

Classico e tipico all’olfatto, dove la confettura di albicocche fa da apripista alla frutta secca, ai fichi canditi, ai datteri, alla cera, il tutto con una dolce speziatura. Al palato ha una concentrazione adorabile, una calda materia che viene bilanciata da freschezza e sapidità che lavorano assieme a bilanciare l’assaggio.  91

DOCG Colli Orientali del Friuli Picolit 2017 di Giovanni Dri Il Roncat

Oro lucente alla vista, intenso e di estrema finezza, le note sono di frutta secca, agrume candito, albicocca e pesca disidratate, dattero, fiori gialli e miele. È splendido sul palato, cremoso, tutto succo, avvolgente,  sorprende il grande slancio fresco-sapido. 89

DOCG Colli Orientali del Friuli Picolit 2016 di Jacùss

Profilo olfattivo ampio e appagante, dispensa note di dattero, miele millefiori, albicocca disidratata, frutta secca, noci, nocciole, caramello. Palato sostanzioso e caldo, vellutato e avvolgente, solare e rotondo ma marcato da mirabile freschezza. Finale molto persistente con scia di caffè e cioccolato bianco. 92

DOCG Colli Orientali del Friuli Picolit 2016 di La Sclusa

Profumi delicati, morbidi e appaganti.  L’ouverture è sulla frutta disidratata, l’albicocca, il melone, il mango, il miele, l’arancio candito e il dattero. Bilanciato il sorso che avvolge il palato, il residuo zuccherino crea cremosità ma quasi tutti questi vini sono dotati di freschezza sorprendente. Persistente il finale, vanta note dolci di tabacco e iodio. 88

La DOCG del Picolit

Il Picolit è diventato DOCG nel 2006. La denominazione Colli Orientali del Friuli Picolit prevede la vinificazione in purezza delle uve provenienti solo da alcuni ristretti territori della collina friulana orientale. In queste zone il terreno (detto Flysch di Cormons) è costituito da un’alternanza di strati di argille calcaree (marne) e sabbia calcificate (arenarie), dove si possono trovare facilmente resti di fossili marini. Viene vendemmiato rigorosamente  a mano negli ultimi giorni di ottobre e, per un mese circa, l’uva viene posta su graticci, in locali ventilati fino a che la concentrazione  zuccherina raggiunge il livello desiderato. In questo periodo viene più volte sottoposta a selezione  manuale per eliminare eventuali acini ammuffiti o guasti. Dopo la pressatura, la fermentazione si svolge lentamente in legno e termina spontaneamente con i primi freddi invernali lasciando così un residuo zuccherino piuttosto elevato (oltre 100g/l). Una successiva fase di maturazione sui lieviti e l’imbottigliamento, a 18 mesi dalla vendemmia,  favoriscono la longevità del Picolit

DOCG Colli Orientali del Friuli Picolit 2018 di Monviert

Il naso è dolce, morbido, e si esprime su note di caramello, burro di arachide, frutta disidratata, fiori gialli, note di miele e soffio speziato. Di grande sostanza il sorso, carezzevole, cremoso, avvolgente, più sapido che fresco, molto persistente e con un  leggero finale amarognolo, che ricorda note fumé. 88

DOCG Colli Orientali del Friuli Picolit 2018 di Specogna

Profilo olfattivo completo caratterizzato da intensi sentori di arachide, dattero, agrume candito, vaniglia, caffè, cioccolato bianco, croccante alle mandorle e caramello. Sul palato entra caldo e avvolgente, goloso ma anche fresco. Un accenno di tannino solletica il palato, di ottima la persistenza.  87

DOCG Colli Orientali del Friuli Picolit 2017 di Comelli

Olfatto maestoso, inebriante, con intense note di albicocca secca, dattero, miele milefiori e soffio floreale. Il sorso è di grande volume, ricco. Il residuo importante è bilanciato da una sottile freschezza e dalla buona persistenza, con rimando di tostatura, caramello e caffè. 90

DOCG Colli Orientali del Friuli Picolit 2017 di Ermacora

Bella la dimensione olfattiva, che gioca sull’albicocca disidratata, pesca, miele millefiori, agrume, marzapane, cioccolato al latte e pepe bianco. Sul palato esprime una trama gustativa ricca e centrata, dove una materia voluminosa e densa ricorda il velluto, salvo poi mostrarsi con un finale slanciato e fresco. È un vino dinamico, che esprime energia. 89

DOCG Colli Orientali del Friuli Colle Picolit 2017 di Colle Villano

Profumi evoluti, intensi e tipici: scorza d’arancia candita, dattero, miele di castagno, caramella d’orzo, albicocca, fiori di campo e di camomilla, soffio iodato e fumé. Al palato è largo, pieno, avvolgente e vellutato; il poco residuo è bilanciato da una buona freschezza. Ottimo lo slancio finale, da godere seduti in poltrona. 87

Picolit, nome omen

Esistono due possibili significati riguardanti il nome Picolit, la prima fa riferimento alle ridotte dimensioni dell’acino e del grappolo dovute al fenomeno dell’acinellatura, ossia all’aborto floreale. Una seconda, invece, lo collega alla parola dialettale “pecol” da cui Piculit, riferito alla sommità delle colline dove viene favorita la maturazione delle uve. 

Se ci sono due possibili significati per la spiegazione del nome, non ci sono dubbi su chi sia il padre indiscusso del Picolit, ovvero il Conte Fabio Asquini di Magagna, agronomo (1726-1818) il quale, pur essendo  astemio, riuscì ad impostare un vero e proprio progetto  commerciale e promozionale nella seconda metà del secolo. Grazie a lui il vino fu commercializzato e venduto grazie allo snodo commerciale di Venezia, che lo portava nelle principali corti europee e nel papato. L’operazione si dimostrò da subito molto redditizia per l’alto prezzo spuntato – il Picolit era 29 volte più caro della media  dei prezzi di vino comune dell’epoca – e la sua clientela illustre.

La storia più recente, invece, è legata alla famiglia Perusini agli inizi del 900’ presso la Rocca Bernarda: a costoro si deve la messa a dimora di un’antica vigna di Picolit cui si cercò di trovare una soluzione in merito al principale problema della scarsa produttività. Il figlio, Giacomo Perusini,  continuò l’opera del padre ed ebbe il merito di riportare in auge la fama del vino grazie soprattutto a una produzione di elevata qualità.

Picolit oggi designa un nome e un vino che, quando si incontra, difficilmente si scorda. A rapire i sensi la trama gentile e  il carattere vellutato e carezzevole. Uno dei tanti esempi del bello e buono della nostra Italia.

Uva e roccia

Alla fine di ottobre le vie del centro storico di Udine si sono animate in occasione di Ein Prosit 2021, l’evento enogastronomico che negli ultimi anni ha acceso i riflettori su quella splendida regione che è il Friuli-Venezia Giulia e del quale vi abbiamo raccontato qui.

Accanto alle cene stellate e agli approfondimenti tematici di vario genere, si sono tenute degustazioni dedicate ai grandi vini e ai loro più esperti interpreti: uno dei quali è certamente Edi Kante. Nella masterclass dedicata a questo pioniere del Carso e a quello che forse è il suo vitigno più iconico, la Vitovska, Gianluca Castellano ha ben tratteggiato la metamorfosi che questo vino ha subito nel tempo. Ma procediamo con ordine.

Dove ci troviamo?

La terra di cui vi raccontiamo oggi è quella del Carso, una stretta fascia di territorio a cavallo tra Friuli e Slovenia. Una zona di confine, ma soprattutto di contrasti, che dalle colline vede il mare e alterna le carezze della brezza marina alla violenza della Bora. Posata su un substrato di candide rocce calcaree, striate della rossa terra importata dalle Doline, è un luogo difficile da addomesticare. La pregiata Malvasia che si può incontrare poco distante, qui, non cresce. “Dove muore una Malvasia, pianta una Vitovska”, diceva un detto popolare, e così ha fatto Edi Kante, dando vita a uno dei vini più interessanti dell’intero areale.

La Vitovska “…è un’uva del c**o”

Così l’avrebbe definita lo stesso Kante, secondo quanto riportato da Gianluca Castellano nel corso della masterclass. Questo alludendo al sapore perfettamente neutro di quest’uva, che di suo non regala niente. Tuttavia ciò fa presagire il grande plus della Vitovska, che di qualità invero ne ha molte, e proprio Kante più e prima di tutti è stato in grado di individuare.

Si tratta infatti di un vitigno estremamente resistente, che necessita di poca acqua e i cui acini sono protetti da una buccia spessa. Una delle poche varietà in grado di resistere ai venti incessanti e alle arsure estive del Carso, storicamente posta in prima fila a nord-est per proteggere le altre varietà dalla Bora. Preso atto di questo pregio squisitamente utilitaristico, la grande forza della Vitovska risiede nell’essere in grado di fare un’attenta lettura del suolo, rendendo un’interpretazione purissima della terra nella quale si insedia, proprio grazie al suo sapore neutrale.

È questa sua caratteristica che l’ha resa la regina della cantina di Edi Kante, che con i suoi vini ha sempre cercato di raccontare il Carso nel modo più onesto e schietto possibile.

Chi è Edi Kante?

Un contadino prima di tutto, che ama la semplicità e coltiva la vite. Questo in sostanza quanto racconta di sè. A ben vedere, però, è un contadino che ha talmente studiato e approfondito la materia enologica da esser riuscito a portare la vite là dove sembrava impossibile potesse crescere. E difatti i suoi vini sono conosciuti in tutto il mondo e, assieme ad altri colossi (Gravner e Radikon per citarne un paio), ha dato vita a una scuola di pensiero che nel vino ripudia sofisticazioni e alterazioni. Edi è stato tra i primi, infatti, a eliminare quasi del tutto la solforosa, ad affinare in barrique e a macerare per lunghi periodi sulle bucce i propri vini, dando vita agli “orange wine”.

Un personaggio del vino, questo Edi Kante, che dal 1980 ha insediato la sua monumentale cantina, composta da tre livelli scavati nella roccia fino a 20 metri di profondità, in una terra arida e ostile, trasformandola in una miniera d’oro. Duro lavoro e grande curiosità, poi, hanno portato la cantina a produrre oggi circa 65.000 bottiglie, suddivise tra otto etichette. E se Kante è un bianchista dichiarato, tra i suoi splendori alabastrini trovano spazio anche un Terrano in purezza magistrale e Opera Viva, cuvée di Terrano e vitigni internazionali a bacca rossa.

L’evoluzione

Ma se a pochi anni dall’esordio “la via della buccia” è stata abbandonata in favore di vini che interpretassero il territorio in modo più immediato, nei tempi più recenti lo stile di Edi Kante si è evoluto ancora. Gli anni centrali della produzione di questo vignaiolo illuminato sono quelli più cari ai suoi profondi conoscitori, che apprezzano la finezza e la sottigliezza di questi vini, elegantemente in equilibrio tra mineralità, freschezza e le note morbide dei piccoli legni. Tuttavia l’intento di Edi è sempre stato quello di perseguire la purezza, di dar voce alla sua terra intervenendo il meno possibile in vigna e in cantina. Senza estremismi e preconcetti, i suoi vini sono andati via via spogliandosi di ogni ornamento, per arrivare a quel risultato che oggi, con la Vitovska 2019, sembra essere stato raggiunto. Un vino essenziale, spoglio, al quale rimane solo un magro ricordo degli aromi terziari che contraddistinguevano i suoi predecessori.

Ma attenzione, proprio questo era lo scopo perseguito da colui che da sempre ha precorso i tempi: ottenere un vino che fosse solo uva e roccia; il grido della terra elevato al cielo per mezzo della vite.   

L’intima natura di una cucina di campagna e di confine

Non è esattamente in una località di passaggio il “posto” di Antonia Klugmann, questo angolo del cuore in cui la chef ha saputo creare un magnifico ristorante e qualche comoda camera dove regalarsi una fuga dal quotidiano.

Un progetto partito da lontano, accelerato dalla notorietà televisiva che non ha tuttavia deviato la natura della sua più intima ragion d’essere: quella di proporre una cucina personale in cui si dia spazio – nel ruolo di protagonisti – a ingredienti spesso dimenticati, curati quasi sempre dalle mani della stessa chef (la quale, se dormite lì, troverete probabilmente già al mattino, nell’orto, di fronte alla vostra stanza).

I due menù a disposizione, più una piccola offerta alla carta, consentono di scegliere a seconda del proprio appetito, fermo restando la soavità complessiva della proposta che suggerisce di lanciarsi sul più ampio “Territorio: vita in movimento”.

I titoli sono molto sintetici e centrati sull’ingrediente principale (Orata, Fregola, Animella ecc.) che è, in effetti, sempre il fulcro di piatti in cui viene valorizzato tramite l’accompagnamento di altre note, solitamente vegetali, che aggiungono sfumature inedite e ne esaltano e prolungano il gusto.

Il cuore dell’esperienza si coglie in una sequenza davvero strabiliante che parte dalla zucchina alla brace con burro alla camomilla e zafferano, tè verde e acetosa, un capolavoro di eleganza che valorizza un ortaggio solitamente negletto per l’alta cucina, e prosegue con le straordinarie consistenze del raviolo di patate e carciofi con salsa di uovo di lompo e timo al limone per chiudersi con l’ardita animella con ciliegia al vermouth, piantaggine, nasturzio e noce moscata.

Qualche episodio convince meno (il cervo marinato alla lavanda, semi di papavero, bruscandoli e farinello, un po’ slegato) ma si eleva nuovamente sui dolci, dove la mano è quella di un’interprete di sensibilità rara, che a un delizioso pre-dessert, il sorbetto di albicocca e coriandolo, fa seguire il melone ed erbe amare, un semifreddo di ispirazione “classica” e meridionale (la chef è una cittadina del mondo che ha qualche radice anche lì oltre che nella Mitteleuropa) reso modernissimo dall’uso sapiente delle erbe, dosate alla perfezione.

In sala regna sornione Romano De Feo, dall’ironia inconfondibile, che con il suo team saprà proporvi un accompagnamento su e giù per le vigne friulane e slovene pensato con grande amore e competenza.

Non fatevi spaventare dalla distanza e fate un salto da queste parti; difficile che non diventi, poi, un appuntamento fisso.

P.S. Se dormite lì, prenotate anche la fantastica colazione, viatico verso una giornata felice.

La galleria fotografica:

Antonia Klugmann e il suo Argine, il cui confine è stato superato

Non è improbabile che, solo fino a poco tempo fa, il percorso di questa straordinaria donna – e cuoca – era ancora in divenire. Stavolta invece Antonia Klugmann ci ha davvero stupito e affascinato.

Stupore per il rigore, la tecnica e la pulizia gustativa espressa. Stupore per il livello raggiunto; stupore per la grande personalità di un’idea di cucina che, se non è unica, è davvero molto rara. La timbrica realizzata è in linea con il pensiero più volte espresso dalla chef: utilizzo di erbe spontanee e ricercate che forniscono nerbo e una nota vegetale, e dunque amara, al piatto. A questo si unisce, però, una tendenza onnipresente, lievemente dolce, che ingentilisce e smussa leggermente gli angoli in favore di una profondità non usuale dove anche il dolce, come il salato, fa da veicolo gustativo. Ecco dove risiede la sua originalità:  in quel tocco femminile che va a smussare una cucina decisamente di nerbo e carattere.

Un gioco a rincorrersi di queste due anime, molto ben coese e amalgamate, riscontrabile in quasi tutte le preparazioni. Nel paradisiaco fico al pomodoro, una sorta di polpetta che, per la consistenza e lavorazione del fico, dona note ematiche, tanniche e rudi poi arrotondate dalla dolcezza del pomodoro. O nello splendido scampo, carciofo e susina, in cui il tannico brodo di carciofo acidulato e la susina donano freschezza e acidità a uno scampo che, così lavorato, esprime anche una piacevole e sottile nota rancida. Un piatto assoluto, da fondoscala.

Che dire, poi, degli spaghetti spezzati e risottati con crema di cavolfiore, geranio odoroso e polvere di camomilla? Note dolci si arrotondano con la balsamicità intensa del geranio odoroso, si spigolano con la tostatura e riduzione della polvere di camomilla, quasi pungente, per completarsi con una simil besciamella di cavolfiore, frutto della risottatura e degli amidi riflessi in cottura. Un piatto tecnico e profondo.

Ma ne potremmo citare mille altri, tutti, invero. Un pranzo davvero unico e di grande classe, vigore e profondità gustativa. Sottile ed elegante ma, al contempo, vigoroso e persistente. Una cuoca e una cucina di gran classe, insomma, supportata in sala da un grande uomo d’accoglienza come è Romano de Feo, con il suo stile inconfondibile: ironico, simpatico, attraente. Capace di completare l’opera di una tra le più talentuose chef del panorama culinario nazionale, e non solo.

Prenotate, andate, godete. È una certezza che ciò vi accadrà.

La galleria fotografica: