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Le Tre Lune

Le Tre Lune, Chef Lorenzini, Verni, Calenzano, Firenze

Delle Tre Lune quest’anno si è parlato molto, specialmente tra gli addetti ai lavori.
In un periodo in cui è frequente leggere dei successi esteri di nostri giovani cuochi (Passerini o Tondo per citarne solo i più noti nella Ville Lumière) non poteva non colpire, e rincuorare, la scelta in controtendenza fatta da tre giovani, Ilaria Di Marzio, Matteo Lorenzini e Tommaso Verni: tornare in Italia a proporre una cucina di classica impronta francese a prezzi abbordabili.
Una scelta originale e coraggiosa, soprattutto se si pensa al luogo scelto per la proposta, quella campagna toscana che sembra da sempre ostaggio di pici all’aglione e cinghiale.
Locale arredato con garbo, cucina a vista, bella veranda che attende stagioni più calde per essere nuovamente a disposizione della clientela: nulla che rimandi ai neobistrot oggi paradigma quasi ubiquo in contrapposizione al “grande ristorante” oggetto di facili demonizzazioni. Il richiamo è, semmai, a quelle belle tavole borghesi della campagna francese, eleganti ma non sfarzose in cui potersi concedere un pranzo “gastronomico” con una cifra ragionevole.
La cucina è esattamente quella che è stata raccontata anche su questi schermi nei mesi passati: d’impronta chiaramente transalpina, molto tecnica ma accessibile a tutti i palati. Con un occhio, però, attento al territorio, riletto e ingentilito grazie proprio alla sapienza di chef che hanno esperienza di cucina “di palazzo”.
Esemplare in questo senso il “risetto” con pane burro e acciughe, la memoria nel piatto, che dà nobiltà a materie povere (la pastina di ospedaliera memoria) con la sapienza di una mano mai greve, anche quando spinge sulla gourmandise.
Nel menu, prezzato onestissimi 55 euro per 5 portate dai nomi molto diretti, si susseguono piatti calibrati, precisi, elaborati da mani mature come non è scontato, vista l’età di chi cucina.
Lodevole la possibilità di scegliere dalla carta la mezza porzione di quello che è ormai un loro piccolo “classico” non presente nel menù, il giustamente già famoso granchio, patate e porri.
Alla sezione dessert ritroviamo il croustillant al cioccolato già provato nella visita precedente ed evidentemente preparato non espresso, seppur buono. In generale, nel reparto dolce si sconta la scelta, evidentemente motivata dalla necessità di far quadrare i conti, di avere la socia pasticciera a occuparsi della sala.
Lista dei vini ristretta com’è comprensibile, ma che potrebbe essere più originale; solo bene, comunque, possiamo dire del Chianti 2008 del Castello di Ama che abbiamo scelto per accompagnarci, una di quelle carte sicure che in queste situazioni traggono d’impaccio.
La sensazione generale è di un ristorante che può andare oltre quanto di già buono propone oggi, ma che ha bisogno per riuscirci, vista la linea di cucina che propone, di avere mezzi adeguati. Speriamo che sia una clientela fedele a fornirglieli.

Per amuse-bouche ottima indivia in tagliolini risottati con funghi trombetta e polvere di porcini
amuse bouche, Le Tre Lune, Chef Lorenzini, Verni, Calenzano, Firenze
Il foie gras
Le Tre Lune, Chef Lorenzini, Verni, Calenzano, Firenze
L’interessante risetto
risetto, Le Tre Lune, Chef Lorenzini, Verni, Calenzano, Firenze
Il piatto più deludente, la polenta con porcini, frutti autunnali, balsamico e agretto, un po’ slegato
polenta con porcini, Le Tre Lune, Chef Lorenzini, Verni, Calenzano, Firenze
Un’elegante versione moderna della ribollita
ribollita, Le Tre Lune, Chef Lorenzini, Verni, Calenzano, Firenze
Impeccabile il piccione con indivia (anche se in carta erano riportate “animelle” la sostituzione è stata gradita)
piccione con indivia, Le Tre Lune, Chef Lorenzini, Verni, Calenzano, Firenze
Granchio, patate e porri
granchio patate e porri, Le Tre Lune, Chef Lorenzini, Verni, Calenzano, Firenze
Croustillant al cioccolato
croustillant al cioccolato, Le Tre Lune, Chef Lorenzini, Verni, Calenzano, Firenze
Pane, ottimo.
pane, Le Tre Lune, Chef Lorenzini, Verni, Calenzano, Firenze
La bella campagna, a fine pranzo
campagna, Le Tre Lune, Chef Lorenzini, Verni, Calenzano, Firenze

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La Badia di Passignano, situata nel cuore del Chianti Classico, è un antico monastero fondato nel 395 dall’Arcivescovo di Firenze. Dopo un periodo di transizione, nel 1986 è tornato ad essere un complesso conventuale abitato dai monaci dell’ordine Vallombrosiano, ramo riformato dei Benedettini specializzato in viticoltura e silvicoltura: le premesse per una sosta di tranquillità e buona tavola ci sono tutte.
Negli spazi delle antiche stalle, ristrutturati con cura e semplicità e arredati con sobria eleganza, si trova infatti l’Osteria di Passignano.
Nasce nel 2000 da un’idea di Marcello Crini, grande conoscitore e appassionato della cultura enogastronomica toscana, e Allegra Antinori. La nobile famiglia della viticoltura italiana è proprietaria dei vigneti circostanti l’Abbazia, dai quali produce il Chianti Classico Riserva “Badia a Passignano”, affinato nelle cantine sottostanti il monastero.
La cucina, affidata alla giovane coppia di chef Matia Barciulli e Nicola Damiani, è chiaramente di derivazione territoriale, anche se lontana dal modello classico di quella Chiantigiana.
Attinge a piene mani dai ricettari tradizionali utilizzando i prodotti più caratterizzanti del territorio circostante, ma rielaborando il tutto in chiave attuale, utilizzando tecniche moderne, alleggerendo le preparazioni, migliorando le presentazioni e gli impiattamenti, senza perdere di vista la centralità gustativa.
Ottimi i piatti a base di carne, sia per la qualità della materia prima sia, soprattutto, per la bravura nel prepararli.
A questo proposito, in carta troviamo un’intera sezione dedicata alla griglia, compresa una monumentale fiorentina, provata in una visita precedente, che vale da sola il viaggio.
Un plauso è sicuramente da riservare ai ragazzi della sala, che svolgono il proprio compito con cordialità e simpatia, trasmettendo l’amore per il proprio lavoro all’ospite e creando quella sinergia positiva fra sala e cucina che è uno degli elementi fondanti del concetto di “buon ristorante”.
Ottima la carta dei vini, con in evidenza i grandi rossi locali, ma ricca anche di prodotti provenienti dal resto d’Italia e del mondo proposti con ricarichi più che accettabili.
Una tappa imprescindibile per chi passa da queste parti, ma anche per la bellezza del luogo, ricco di fascino e di cultura.

Il pane e le sfoglie croccanti.
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Il saluto della cucina, omaggio al pomodoro.
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Il pinzimonio nell’orto: gelato all’olio d’oliva con cruditè e finta terra, gelato all’olio, dadolata di ortaggi e wafer con olio spalmabile e verdure marinate.
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Spaghetti alla chitarra con pomodoro fresco, fondente di burrata e caviale di basilico.
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Quadrucci farciti di coniglio porchettato in zuppetta di fagioli alla santoreggia e albicocche.
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Controfiletto di vitello in panura di funghi secchi e noci al sedano rapa e porcini: il piatto del percorso, perfetta la cottura, il jus e l’abbinamento con i porcini.
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Polpette morbide di cioccolato Gobino 70% con gelato e salsa di fichi.
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Piccola pasticceria.
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Un classico che non delude mai, nonostante qualche imperfezione per una leggera rifermentazione. Resta un vino dal carattere e dalla bevibilità unica.
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Quando nel 1506 Raffaello Sanzio ritrasse Maddalena Strozzi in un celebre dipinto a olio (oggi conservato alla Galleria Palatina di Firenze) diede alla nobildonna tratti rubicondi e severi, incarnando un’aristocrazia corporea vagamente ispirata alla Gioconda di Leonardo. Un’opulenza visiva, netta e intensa, la stessa che abbiamo provato entrando a Villa di Travalle, il complesso di stile tardo barocco voluto proprio dalla famiglia Strozzi nel XVII secolo e che oggi accoglie il ristorante Tre Lune. Il nome non è stato scelto a caso, è l’omaggio al simbolo gentilizio della potente famiglia fiorentina, che qui a Calenzano aveva deciso di edificare la propria residenza di campagna.

Se il luogo trasuda di nobiltà agreste, non è da meno la cucina dei tre giovani protagonisti di questo elegante ristorante alle porte di Firenze: Matteo Lorenzini, Chef con esperienze importanti da Arnolfo e soprattutto al Louis XV di Monte Carlo; Tommaso Verni allievo di Pino Cuttaia e Filippo Saporito; Ilaria Di Marzio pasticciera alla corte di Ducasse, Robuchon e Luca Mannori.
Gli altisonanti nomi dei loro maestri mettono subito in luce l’ideale filosofia che permea ogni loro creazione: molto rigore, tecnica culinaria inappuntabile, ma anche stralci di sanguigna e materica tradizione. La loro cucina ha avuto un percorso d’ispirazione che palesa due anime non semplici da coniugare: la prima, la più evidente, quella filofrancese, con diversi rimandi agli anni trascorsi nelle cucine di Ducasse; l’altra, quella più territoriale, attinge a piene mani alle materie prime dei mercati e dei produttori locali, preziose gemme da intagliare con disciplina e perizia, così lontane dall’abile rusticità della golosa classicità toscana.
Un proposito non certo facile da porre in essere, in un percorso che punta più all’armonia che al contrasto, a confortanti morbidezze in luogo di maggiori spigolosità, che renderebbero affascinanti piatti tecnicamente ineccepibili. I fondi sono concentrati alla perfezione, i sapori netti e ben riconoscibili, l’esperienza regala costantemente sensazioni positive, senza altisonanti cadute o vette vertiginose. Poi all’improvviso un piccolo capolavoro: granchio, zenzero e cannellini, con una voluttuosa vellutata che trova vigore nello zenzero, accompagnata a polpa di granchio e composta di pomodoro. Una fusione di emozioni dalla grande complessità gustativa, che forse ci ha indicato distintamente il futuro a cui andranno incontro questi giovani e valenti chef.
Il presente è chiaramente dipinto dalla naturale assenza di una maturità che certamente negli anni i nostri protagonisti sapranno colmare. Ma il legame stilistico con le esperienze avute in passato non può essere valutato come una mancanza di personalità. E’ una tappa, meritevole e apprezzabile, del loro cammino professionale. Le piccole imperfezioni sono la dimostrazione tangibile del loro impegno, i piccoli errori veniali i segnali di un’evoluzione dinamica e non dottrinale. D’altronde l’immagine dello stemma araldico della famiglia Strozzi è uno scudo su fondo oro con tre piccole mezzelune, disposte in forma crescente.

Il tempo è dalla loro parte. E la vermiglia Maddalena forse, un giorno, sorriderà come la Gioconda.

Il benvenuto della cucina: terrina di foie gras con salsa alle ciliegie.
Terrina, Le Tre Lune, Firenze
Pane e grissini.
pane, Le Tre Lune, Firenze
La composizione di verdure dell’orto omaggio a Ducasse.
verdure, Le Tre Lune, Firenze
Granchio, cannellini e zenzero.
granchio, Le Tre Lune, Firenze
Granchio, Le Tre Lune, Firenze
Alette di pollo, finferli e porcini: qui le verdure di accompagnamento sono croccanti al punto giusto, ottimi i funghi e gustose le alette, ma il vero protagonista è il fondo veramente da manuale.
alette, Le Tre Lune, Firenze
Gnocchi, asparagi, porcini e ragù alle tre carni.
gnocchi, Le Tre Lune, Firenze
Coniglio alla Royale con pesche ripiene di funghi porcini: ottima e golosa questa riprosizione di un monumento della grande cucina classica francese pensata, però, con ingredienti di territorio.
coniglio, Le Tre Lune, Firenze
Croustillant au chocolat: ancora un omaggio a Ducasse ed al Louis XV, buono, ma a Montecarlo è un’altra cosa.
dessert, Le Tre Lune, Firenze
Tarte Tatin rivisitata.
Tarte Tatin, Le Tre Lune, Firenze

Vito Mollica ha una lunga gavetta alle spalle. Sempre nel posto giusto al momento giusto, ha fatto importanti esperienze in Spagna, Italia e Inghilterra. Ma la sua è una carriera prevalentemente svolta all’interno del gruppo Four Seasons. Incominciamo con il dire che è difficile, tranne rare eccezioni (Hilton a Roma?), trovare un grande ristorante incastonato all’interno di un grande albergo di città. In Italia s’intende. E chi si dimentica la nostra fantastica cena al Pellicano, come quella del Rosa Alpina a San Cassiano. Ma a Milano, Roma, Torino, Firenze spesso il grande ristorante d’albergo è deficitario. Questo Palagio è una delle eccezioni che conferma questa triste regola. La cucina del ristorante Gourmet dell’Hotel Four Seasons di Firenze mantiene le promesse. Senza fronzoli si mira alla sostanza. All’essenza della materia, al gusto. Ma non a discapito della tecnica, sempre presente e ben utilizzata, centrata.
Le origini Lucane dello chef contaminano una cucina profondamente italiana, seppur con il piglio internazionale. E fanno si che questo ristorante abbia successo costante e continuo di critica e pubblico. Preparazioni golose, gourmand e decisamente orientate al gusto, ma con l’eleganza discreta che ci si aspetta in un grande luogo. Eccolo così presentarsi al cospetto di un nuovo avventore con un biglietto da visita che la dice lunga : parmentier, calamaretti, peperone crusco. Lucania, Francia, Italia e… ritorno.
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San Frediano, Dilallarno, Firenze. Pratolini o non Pratolini sei in uno degli angoli più autenticamente fiorentini, nient’affatto  ridotto a  bomboniera per turisti. L’aria popolare che si respira in questo quartiere, così diversa da quella delle zone più nobili, è il complemento perfetto alla cucina di Nicolò Baretti, che con il titolare Matteo Fantini è l’anima di Io, osteria personale.
Classe 1987, Nicolò è il braccio armato del progetto: la sua realizzazione della cucina pensata con Matteo è filtrata attraverso due esperienze formative, importanti quanto diverse, presso Martin Berasategui e Valeria Piccini. L’omaggio alla Toscana è continuo: nei piatti di Io si ritrovano, in forma essenziale, principalmente i sapori di questa generosa terra. La naturalezza del processo fa sì che perfino il mezzo giro d’olio in più o il grammo di sale di troppo finiscano nella maggior parte dei casi per non disturbare troppo , anche se da forestieri proprio non riusciamo a non farci caso.

Il menù non prevede nominalmente primi piatti ed è diviso fra carne, pesce, verdure e dolci. Si può giocare in difesa ordinando alla carta o lasciarsi tentare dai convenienti menù degustazione, che si possono comporre per tutto il tavolo a proprio esclusivo gusto. Qualsiasi sia la scelta la delusione è tenuta decisamente alla larga dalla perizia che risulta tanto nella scelta dei prodotti quanto nella puntualità delle cotture, con una particolare nota di merito per i dessert, di brillante concezione ed efficace realizzazione.

Si resta piacevolmente sorpresi tanto dall’armonia del filetto di sgombro, cotto perfettamente a bassa temperatura e servito su una crema di finocchi con arance, capperi ed uova di aringa affumicata, quanto sul fronte opposto dal filetto di maialino di cinta, accompagnato da purea di castagne, uvetta al sangiovese e finocchio. Viceversa è risultato eccessivamente penalizzato dall’abbondante olio e da una concezione un po’ avventurosa il farro tiepido con cavolo nero, crema di zucca ed arancia ed erborinato (foto di copertina).

Abbiamo trovato varie ripetizioni di ingredienti nel breve volgere della nostra degustazione, ma troviamo che non sia un gran scotto da pagare a fronte dell’ottimo rapporto qualità prezzo, visto e considerato che si può costruire la degustazione fai da te evitando queste ridondanze (noi abbiamo dal canto nostro preferito scegliere in base agli elementi principali a prescindere dal cast di supporto).

Bella carta dei vini, non vasta ma ben articolata, ricca di scelte non scontate e di piccoli produttori.
E’ il caso di attendersi molto da Io e dai suoi ragazzi, che potremmo ritrovare nel volgere di poco tempo a giocare per traguardi ambiziosi.

Entrata: crema di rape rosse con aringa affumicata.

Le ottime striscioline di calamari pur apportando un’interessante varietà di consistenze vanno in difficoltà contro crema di ceci, cecina e salvia.

Filetto di sgombro con crema di finocchio, arance, capperi e uova di aringa affumicata.

Filetto di Cinta Senese con purea di castagne, uvetta al sangiovese e finocchio.

Notevole anche l’agnello proposto fuori carta, anch’esso in cottura a bassa temperatura con cacao, fegatino, sedano rapa e scalogno.

L’intenso Neccio, tradizionale preparazione simile ad una crèpe di farina di castagne, servito con ricotta di pecora, arance, rosmarino, miele e gelato al castagnaccio.

Soufflé al cioccolato con olio extravergine, sorbetto alla melissa e confettura di limone.

Perfetta la gestione delle temperature nel sorbetto al sedano con yogurt (a temperatura ambiente), crumble di noci e carote candite.