Enzo Coccia? A Napoli, in via Caravaggio. Ecco, se normalmente con la strada si indica l’indirizzo dei locali che ospitano la pizzeria, per Enzo Coccia -il maestro, come recita il cotone blu sulla giacca- la toponomastica coincide con la persona in carne ed ossa.
E’ qui, infatti, sul lungo tratto di marciapiede prospiciente le sue insegne, che ogni sera lo si trova -cappellino con visiera, penna e blocchetto tra le mani- ad allietare l’attesa, a smistare clienti, a coccolarli con qualche assaggio, a chiamarli a gran voce quando l’attesa è terminata.
Precursore del nuovo corso della pizza napoletana, classica nelle intenzioni ma con grande attenzione all’impasto ed agli ingredienti di farcitura, da qualche mese si misura con le pizze fritte, in passato mai in carta nelle sue sedi. In più, in una carta già affollata di suggerimenti (5 montanare e 18 ripieni) ha affiancato, dopo averle debitamente elaborate con lunghi approfondimenti, ben 22 versioni di ‘mpustarelle (spuntino in napoletano, qualcosa che puntelli l’appetito), la sua versione di merenda tra panuozzo e saltimbocca, nonché una bella selezione di bollicine.
Non contento della base di partenza del suo collaudatissimo impasto, per le pizze fritte ha voluto concentrare l’attenzione sull’hardware e, grazie alla proficua collaborazione con il fuoriclasse dei forni Stefano Ferrara, è nato per l’occasione il prototipo di una friggitrice a controllo della temperatura dell’olio finanche di grande impatto estetico. Raffreddamenti repentini o progressivi e un eventuale avvicinamento al punto di fumo sono tenuti a bada non più da manovre manuali sulla fiamma, ma gestiti da termostati.
Ma la vera sorpresa sono la fragranza e la leggerezza delle ‘mpustarelle, questa sorta di panuozzo gragnanese. Arte bianca pura dunque, e qui Coccia si è voluto affidare alla concertazione, quella di grande livello: Eduardo Ore, suo storico e collaudato compagno di avventure, ed il panificio gragnanese Massimiliano Malafronte. Da tutto ciò è nata la base, una “tasca” di farina integrale tipo 1, cinque cereali, semi di lino e 48 ore di lievitazione con biga. Che arriva in sede precotta all’80% a 220°, poi farcita all’uopo e nuovamente infornata per arrivare direttamente al tavolo. Il risultato sono le innumerevoli variazioni con cui sbizzarirsi, dalle più classiche a quelle pretenziose ed innovative, con costi, per qualsiasi cosa si scelga, comunque compresi tra i 5 e i 10 euro. Ai quali aggiungere, secondo gusto, il bicchiere preferito.
Ambiente accogliente, luminoso, rustico chic, con un bel tavolo conviviale proprio al centro del locale, a rimarcare la scelta di offrire un prodotto di qualità con un servizio rapido ed informale.
Ora si dovrà attendere solo la prossima idea del maestro Coccia.
La vetrina sulla strada.
La sala con il grande tavolo colloquiale.
Scorcio della sala.
Il forno per le ‘mpustarelle. Opera di Stefano Ferrara.
La rivoluzionaria friggitrice. Appositamente studiata da Coccia e poi costruita in collaborazione con Stefano Ferrara.
La pizza fritta: scarola, provola, olive nere, acciughe e capperi. Una classica nella quale ogni cosa è come dovrebbe.
L’interno della pizza.
La base della ‘mpustarella. Così arriva ogni giorno per poi essere completata.
La fase di farcitura della ‘mpustarella.
La ‘mpustarella: mortadella, fiordilatte, crema di pistacchi.
Particolare. Anche la foto rende la particolarità del pane. Frialbile ed etereo.
“Considero la scoperta di un nuovo piatto, che stimola l’appetito e prolunga il piacere, un evento assai più interessante della scoperta di una stella: ne vediamo già abbastanza”.
Basta leggere questa singolare frase del politico e gastronomo francese Anthelme Brillat-Savarin, scritta con caratteri luminosi su una parete di questo locale, per capire il pensiero di uno dei maestri della pizza napoletana nonchè precursore della pizza sperimentale: Enzo Coccia.
La sua è LA scuola da non mancare per gli aspiranti “pizzajuoli”, da qualunque angolo del globo essi arrivino, per ambire all’eccellenza.
La Notizia è stata tra le primissime pizzerie al mondo ad introdurre concetti come lo studio degli impasti, la filiera corta, con selezione accurata dei prodotti, la ricerca di sinergia tra artigiani locali, e non ultimo birre artigianali e lista di champagne.
Al contempo anticonformista (singolare fu la polemica sollevata dall’Associazione Pizzaioli Napoletani, di cui Coccia tra l’altro fu tra i soci fondatori, che affermò che la pizza non poteva compromettere la propria identità raggiungendo mete complesse, in quanto prodotto popolare) e innovatore vero, tutte le sue pizze hanno personalità e peculiarità – in primis la digeribilità e la bontà degli ingredienti- tratto distintivo, specie in questo ambito, di pochi.
Questa volta abbiamo provato la sede di via Caravaggio 94, dove una giovane brigata formata dal “Maestro” si cimenta con la creatività (per chi non lo sapesse, ci sono due pizzerie nella medesima via con la stessa insegna, al civico 53 e, appunto, al 94).
Aperta nel 2010, sedici anni dopo la sede originale, La Notizia 94, fucina più propriamente gourmet di Coccia, è nata come una sfida: confrontarsi con l’innovazione in un contesto molto delicato, quello del cibo più popolare della città.
Da quel momento si è aperto un varco che ha condotto molti grandi pizzaioli a quella che oggi viene comunemente chiamata “pizza gourmet”.
Oltre ad una carta delle pizze più ampia rispetto all’insegna madre, c’è anche un piccolo laboratorio a temperatura controllata che garantisce un impasto costante. Un forno artigianale fatto con soli materiali del circondario sforna pizze con pochissime bruciature, la lista vini presenta bottiglie nazionali e birre locali, e la scelta è ampia.
Il ricambio di clienti, visibile attraverso una coda all’esterno del locale che viene smaltita con evidente rapidità, è quello che va in scena 6 sere a settimana ad un ritmo serrato, che si protrae senza soluzione di continuità per almeno quattro ore a sera.
Il primo consiglio che diamo, comunque, è quello di arrivare presto (la Notizia è aperto solo a cena), possibilmente in settimana, quando è possibile affidarsi ai pizzaioli e fare una vera degustazione; normalmente vengono servite 4 pizze divise per due persone. Considerato l’alto tasso di digeribilità, non si fa molta fatica a gustarle tutte.
Durante la nostra ultima visita sono state servite, in sequenza, una fantastica pizza con burrata, carciofi e mortadella, una margherita semplicemente eccellente, ed una golosa pizza con baccalà, bufala e pomodori semi secchi.
Chiusura in dolcezza con i “saltimbocca”, sorta di focacce farcite con cioccolato fondente e crema di nocciola.
Il servizio è a livello di un ottimo ristorante, con le posate che vengono cambiate con ogni pizza. Una cosa che potrebbe essere impensabile per una qualsiasi pizzeria, ma non qui.
L’ambiente è moderno, conta una trentina di coperti ma, viste le ridotte dimensioni, un po’ rumoroso.
Si beve benissimo e c’è la possibilità di esplorare il piccolo ed intrigante mondo dei birrifici artigianali campani. In alternativa ci sono belle bollicine, oltre a qualche ottimo Champagne.
Per avere un’idea di eccellenza della pizza bisogna passare da qui.
Tutte le strade de La Notizia. Originale tovagliato.
Una piacevolissima birra artigianale del Birrificio dell’Aspide, nel salernitano.
La brigata alle prese con impasti e forno.
Meravigliosa ed equilibrata la pizza con mortadella, carciofi e burrata.
Tra le caratteristiche delle pizze di Coccia ci sono il cornicione poco pronunciato e la compattezza e l’elasticità del disco.
Una “semplice” margherita con mozzarella di bufala.
Pizza con baccalà, mozzarella di bufala, basilico e pomodorini semi secchi.
Forse la migliore.
Saltinbocca alla crema di cioccolato.
E la variante, più stucchevole, alla crema di nocciola.
I clienti in coda, allietati da un assaggio di pizza per ingannare l’attesa.
La migliore pizza di Milano (senza se e senza ma e ce ne prendiamo la responsabilità, per lo meno sino all’arrivo del grande Pepe ?) la fanno in un locale molto trendy dove, probabilmente, un’alta percentuale di clienti passa la serata bevendo degli eccellenti drink.
L’insegna recita “Cocktails & Pizza”: un blend geniale e tutt’altro che scontato al quale, effettivamente, nessuno aveva ancora pensato, almeno in città. Del resto, pensare a Milano senza l’aperitivo è come pensare ad una cielo senza stelle; tutti i locali della città che si pregino di avere una bella location o un’ubicazione strategica, a prescindere dal fatto che abbiano dei bravi barman, sono sempre stracolmi di gente, in tutte le stagioni. Lo stesso discorso vale per le pizzerie, unica tipologia di ristorazione che pare immune alla crisi.
Due format di successo, in questo caso racchiusi tra le stesse mura.
L’idea nasce da quel gruppo di imprenditori e professionisti già dietro al brand Pisacco. Guidati dall’esperienza gastronomica di Andrea Berton, essi hanno portato una ventata di freschezza in Via Solferino, trasformandola in un piccolo polo gourmet con due locali modaioli, ma pregni di concretezza ed economicamente alla portata di tutti.
Era matematico che, ben presto, Dry avrebbe funzionato a meraviglia grazie alla sua formula vincente (un locale studiato per diverse generazioni che sfoggia un servizio attento, pizze di qualità con ingredienti ricercati e un’immancabile location di design). Un concept che, siamo certi, vedrà molti cloni in città.
Forse gli unici a storcere il naso, a livello popolare, sono i tradizionalisti, ossia quelli che stentano a sostituire la birra (o la coca-cola) con altro beverage in accompagnamento alla pizza. Ora sembra apprezzatissimo anche l’abbinamento con le bollicine. Certo è che il concetto del cocktail sembra una sfida per la quale non resta che lasciare al pubblico l’ardua sentenza. Qualsiasi sia il desiderio del cliente, comunque, da Dry potrà essere esaudito: ci sono birre, poche ma ricercate, qualche etichetta interessante di vini, anche francesi, qualche champagne dall’ottimo rapporto q/p e, ovviamente, una lista sterminata di cocktail particolarmente buoni e pensati dal promettente Guglielmo Miriello, ex bar manager alla Maison Pourcel di Shangai.
A Simone Lombardi invece, allo stesso tempo chef e pizzaiolo, è affidato il compito di sfornare delle grandi pizze.
A seguito di una breve ma intensa esperienza a Napoli dal maestro Enzo Coccia e di una più duratura e di pari importanza a San Bonifacio dall’altrettanto geniale Simone Padoan, Lombardi ha lavorato e condotto uno studio approfondito sugli impasti, abbandonando i metodi a lievitazione diretta e indiretta con lievito madre e optando invece per il metodo poolish (ormai in voga in ambito gourmet). Con tale metodo, detto anche “a biga”, si riesce a conferire al prodotto finale maggiore leggerezza grazie ad un elevato tasso di acidità dell’impasto.
Si parla di una fermentazione della durata di un giorno a 16°; a questa prima fase di preparazione, nella quale il volume dell’impasto triplica, ne segue una seconda che vede l’innesto di nuova farina (una miscela di farine di tipo 0 e 1 macinate a pietra, selezionate con cura direttamente dallo chef) e di sale. L’impasto finale subisce quindi un’ulteriore lievitazione di altre 24 ore. Un procedimento complesso che garantisce una pizza croccante e fragrante.
Anche gli ingredienti utilizzati hanno una marcia in più: troviamo prodotti di qualità, tra i quali primeggiano un pomodoro pugliese dolcissimo e persistente e la mozzarella fiordilatte dal caseificio di Gennaro Fusco di Agerola, che vengono cucinati con grande rispetto, senza alterarne i sapori in cottura. Il segreto è l’utilizzo della tecnica partenopea di cottura ad una temperatura più elevata della norma (450° circa) con gli ingredienti che vengono infornati per un tempo inferiore al minuto.
Il menù offre tre tipologie di pizza: quelle chiamiamole “tradizionali” e personalizzabili, ossia margherita e marinara (alle quali è possibile aggiungere qualche accessorio per accontentare i gusti personali, come origano e capperi, olive taggiasche, ventresca di tonno, cipolla stufata, prosciutto crudo o cotto), e le focacce e le pizze dello chef. Ciascuna tipologia presenta caratteristiche diverse, ma un unico comune denominatore: la facile digeribilità, vero elemento di discrimine tra la “pizza comune” e la grande pizza.
Anche il capitolo prezzi fa sorridere, per due pizze e una birra è possibile spendere meno di 20 euro a persona. Troppo bello per essere vero? Infatti lo è.
Partiamo dalle basi: la margherita con bufala, servita curiosamente con un’oliva taggiasca.
Scalogno al sale con provola affumicata e ciliegini arrostiti.
Interessante quella con salmone affumicato con composta di pomodoro e fior di latte che forse pecca di eccessiva dolcezza per via del sapore troppo stucchevole della composta di pomodoro.
Tra le migliori pizze dello chef c’è quella Pancetta arrosto con fior di latte e pepe di Sarawak. Un gusto più delicato di quanto si possa immaginare.
Apriamo il capitolo focacce con quella ai datterini affumicati. Leggera, croccante, semplicissima.
Non è da meno la focaccia con stracciatella di Bufala e prosciutto crudo 24 mesi “I Tigli style”.
E’ altrettanto intrigante la focaccia con Vitello tonnato e polvere di cappero, classico esempio di pizza gourmet,
come il Calzone bianco farcito con scarola brasata, pinoli, uvetta e ricotta di bufala, con ripieno compatto e dal gusto equilibrato. Anche in questo caso si prova un senso di leggerezza non indifferente.
Infine la Marinara, in cui si può pienamente apprezzare la dolcezza della passata,
sulla quale abbiamo aggiunto la cipolla brasata e le olive taggiasche.
E il nostro beverage… da tradizonalisti
Interni
Ingresso.
Recensione Pizeria.
Chi ama la pizza, simbolo universale della golosità tout court e cibo che mette d’accordo i gusti di molti, e ne cerca espressioni qualitativamente eccellenti non può non rimanere interdetto di fronte all’offerta quantitativamente sconcertante presente sul mercato.
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