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Osteria Perillà

A Rocca d’Orcia nasce una nuova sfumatura di “Terra di Siena”

Il diapason, grazie alla vibrazione del LA, regola e crea il perfetto accordo tra gli strumenti musicali. Ingredienti ideali nella sinfonia dei cibi. Come onde fluide e sonore, nel cuore del Simbolo irradiano Tre Cerchi: la Natura, l’uomo e l’Arte della Cucina. Il diapason è orientato verso l’alto, a indicare ciò che è oltre, la via dell’eccellenza che il Nome PER-IL-Là esprime.

Questa la frase in apertura di menu che accoglie gli ospiti sul bel dehor dell’Osteria Perillà. E, anche se potrebbe sembrare iperbolico, l’estratto è quanto di più verosimile e attinente alla metamorfosi che il locale ha subito negli anni. Dalla consulenza di Enrico Bartolini che cercava e creava un’atmosfera agile, con piatti della tradizione alleggeriti e accompagnati da un servizio informale, si è passati ad una concezione decisamente controcorrente che decide di aggiungere laddove tutti tolgono, di sofisticare quando tutti semplificano e di approfondire mentre tutti alleggeriscono. Come a voler sottolineare l’irruenza dell’indole toscana, pura e decisa in tutte le sue forme, ecco allora comparire le tovaglie sui tavoli prima lasciati nudi, le opere d’arte affisse alle pareti impreziosiscono l’ambiente mentre il savoir-faire di sala, ricercato e mai banale, completa un quadro dai toni caldi in perfetta armonia con il paesaggio mozzafiato che fa da cornice.

La carta dei vini lancia un messaggio forte e chiaro, accompagnando per mano ogni appassionato, spostandosi e presentando in maniera formale i grandi della viticoltura nazionale e internazionale senza tralasciare, con fare malizioso, qualche piccolo artista indipendente e stravagante. Lo chef Marcello Corrado, già a Casa del Nonno 13 di Mercato San Severino, celebra i sapori e le memorie gastronomiche regionali con sensibilità contemporanea. Il risultato è una cucina dai tratti delicati, dalla curve morbide che rassicura e mette in luce una materia prima davvero ineccepibile. Dalla mano sicura e dal buon palato del cuciniere nascono interpretazioni che non si discostano mai dal territorio, proposte però sotto forme diverse dalle canoniche concezioni. I “ravioli farciti di pappa al pomodoro, ravagiolo e pesto” sono un inno alla toscanità, in cui la pasta sottilissima del raviolo abbraccia il ripieno che con il dovuto effetto sorpresa esplode in bocca in un gioco di piacevoli contrasti dal carattere dolce-acido. Il “maialino di cinta senese, indivia, cenere alle erbe e arancia piccante” non presenta sbavature tecniche, esaltando la proteina di assoluto livello, mentre le sfumature delle erbe aromatiche contestualizzano il piatto alla stagionalità, richiamando i profumi dei campi stanchi del sole estivo. Intrigante, anche se leggermente squilibrato, lo “spaghettone ajo, ojo, peperoncino, paprika e lumache” che ammicca alle locali lumache al pizzico, ma non riesce ad essere esaltato dal formato della pasta che conferisce poca finezza ad una ricetta che di certo ne avrebbe bisogno.

L’Osteria Perillà splende di una luce nuova. In un luogo come la Val d’Orcia, nata magica, stupire non serve, e la cucina di Marcello Corrado svolge perfettamente il ruolo di colonna sonora di uno degli spettacoli più affascinanti del globo.

Le mani sulla città.
Una dichiarazione d’intenti che Enrico Bartolini si è fatto fedelmente trasporre in immagine dall’artista calabrese Max Marra sulla copertina del menù del suo nuovo ristorante di Milano.
Il talentuoso ed ancora giovanissimo cuoco e ristoratore toscano, dopo una lunga sosta in quel di Cavenago Brianza, si è rimesso in pista a caccia dell’ascesa definitiva nell’empireo dei grandi cucinieri italici. Lo ha fatto pensando alla città italiana che meno teme confronti con le capitali europee per la concentrazione di trattorie, osterie, ristoranti etnici e grandi tavole.
Considerato il calibro dello chef è stato impossibile pazientare. Accollandoci dunque il rischio di un possibile rodaggio, ci siamo fiondati al terzo piano del MUDEC, Museo delle Culture, ubicato nell’ormai celeberrima Via Tortona, a soli pochi giorni dall’apertura ufficiale e, per nostra fortuna -e meriti altrui- l’audacia è stata ripagata.

Il motivo? Semplicemente perché la cucina del Devero sembra essersi letteralmente teletrasportata in questi nuovi ambienti dominati da arte e minimalismo. Lineari come lo stile della proposta gastronomica che coniuga concretezza e divertimento, estetica e gusto al servizio di un prodotto selezionato con perizia, trasformato ma esaltato nel sapore, nella naturalezza ed autenticità della proprietà organolettica.
L’illusione della finta oliva all’ascolana, della melanzana ricostruita o delle false mandorle che celano, in verità, una tartare di gamberi rossi, sfocia ben presto in una concentrazione gustativa con pochi eguali che svetta su una proposta che, come già in passato, si attesta già a livello altissimo.
Sono ancora poche le nuove creazioni, ma è difficile trovare piatti che non siano tecnicamente e concettualmente ineccepibili, dai quali traspare uno studio al dettaglio di componenti e fattori.
Dei nuovi assaggi qualcuno ci ha letteralmente rapito.
E’ il caso del risotto Arlecchino, tanto semplice quanto geniale. Una sorta di sfida/ammiccamento al sommo Marchesi secondo il quale, oggigiorno, anche nelle grandi tavole, i risotti hanno principalmente il sapore di formaggio e un’eccessiva acidità. Ed è proprio partendo da questo concetto che Bartolini trova l’espediente: alla base del piatto c’è un arcobaleno di sapori sul quale viene, solo in un secondo momento, adagiato un “semplicissimo” risotto alla parmigiana, perfettamente bilanciato dal trittico parmigiano-burro-limone. L’esito, dopo un paio di cucchiaiate, è un equilibrio di sapori e richiami all’India, all’Asia, alla Provenza, ma anche all’Italia.
Una piatto notevole che fa il pari con quei piccoli grandi cult di cucina d’autore contemporanea come i bottoni d’olio al lime e salsa di caciucco, o la variazione del gambero rosso di Sicilia che, in due servizi, viene presentato nelle succitate sembianze ludiche di finta mandorla e in una versione tanto minimale quanto imperiosa al tamarindo, in duplice cottura, tra un richiamo ad Adrià ed uno a Roellinger.

È in gran forma Enrico, in piena maturità e non ha ancora varcato la soglia degli anta. Se solo avesse una vena creativa più prolifica sarebbe il massimo. Ma è arrivato il tempo di sfatare questo tabù. Ne siamo convinti. E siamo consci delle estreme capacità di uno chef che sarà in grado probabilmente oltre che di ripetersi anche di migliorarsi rispetto alle sue precedenti esperienze.
Il quadro è completato da un servizio consono al tenore della proposta che deve mettere a punto ancora qualche dettaglio (nei grandi ristoranti ci aspettiamo che i bicchieri vengano cambiati dopo aver mangiato l’uovo) ma, nonostante ciò, riesce ad interagire in simbiosi con la classe della cucina. Molti piatti vengono infatti completati al tavolo, consacrando il valore e l’importanza del servizio di ristorante.
La sala, di per sé, ha fascino. Apparentemente spoglia, in verità è un piccolo museo a cielo aperto in cui ci si concentra sul piatto contemplando, al contempo, le affascinanti opere ivi allocate.
I prezzi sono alti. Se si beve bene ancor di più. Ma è una di quelle cucine per cui ogni singolo centesimo è ben speso.

Chef Enrico Bartolini, MUDEC - Museo delle Culture, Milano

Gli stuzzichini iniziali. Sfoglia al mais.
sfoglie di mais, Chef Enrico Bartolini, MUDEC, Milano
Amuse bouche: fagiolini.

Amuse bouche, Chef Enrico Bartolini, MUDEC, Milano

Fagottino di cipolla e foie gras.
Fagotto di cipolla e foie gras, Chef Enrico Bartolini, MUDEC, Milano
La melanzana alla brace.
melanzana alla brace, Chef Enrico Bartolini, MUDEC, Milano
L’eccellente pane bianco fatto con lievito madre.
pane, Chef Enrico Bartolini, MUDEC, Milano
Il meraviglioso burro irlandese, servito con salsa al lampone.
burro irlandese, Chef Enrico Bartolini, MUDEC, Milano
Immancabile entrée: patata soffice, uovo e uova: ovvero crema di patate sifonata, uova di salmone, capperi disidratati, erba cipollina, zabaione.
entrée, Chef Enrico Bartolini, MUDEC, Milano
Illusione di mandorla. In verità una tartare di gambero rosso siciliano in una pellicola di mandorla.
illusione di mandorla, Chef Enrico Bartolini, MUDEC, Milano
Con un aromatico fumetto di crostacei.
illusione di mandorla, Chef Enrico Bartolini, MUDEC, Milano
Piatto completato.
illusione di mandorla con fumetto, Chef Enrico Bartolini, MUDEC, Milano
Gambero mezzo fritto aromatizzato al tamarindo.
gambero mezzo fritto, Chef Enrico Bartolini, MUDEC, Milano
Tutti i gourmet, una volta nella vita, dovrebbero provare i bottoni di olio e lime con polpo cotto alla brace..
polpo, Chef Enrico Bartolini, MUDEC, Milano
..con sugo di caciucco. I critici gastronomici americani lo definirebbero “mind-blowing”.
polpo, Chef Enrico Bartolini, MUDEC, Milano
Altro pane, focaccia bianca e pane by Eugenio Pol.
focaccia, eugenio pol, Chef Enrico Bartolini, MUDEC, Milano
La cromatica base del…
Chef Enrico Bartolini, MUDEC, Milano
..Risotto Arlecchino. Notevole.
risotto, Chef Enrico Bartolini, MUDEC, Milano
Un grande “piccolo” Brunello.
brunello, Chef Enrico Bartolini, MUDEC, Milano
Intorno all’agnello laziale cotto sui carboni. In questa foto la costoletta con crema di mandorla e aglio e millefoglie di patate.
agnello laziale, Chef Enrico Bartolini, MUDEC, Milano
Finta oliva all’ascolana, con il fegato dell’agnello.
finta oliva all'ascolana, Chef Enrico Bartolini, MUDEC, Milano
Il secondo servizio: la spalla e un cannolo con le interiora.
spalla,Chef Enrico Bartolini, MUDEC, Milano
Chiusura con l’animella glassata, carciofo alla liquerizia e crema alla menta.
animella glassata, Chef Enrico Bartolini, MUDEC, Milano
Predessert ai lamponi.
predessert, Chef Enrico Bartolini, MUDEC, Milano
Mango, coriandolo e limeMango, coriandolo, lime, Chef Enrico Bartolini, MUDEC, Milano
Piccola pasticceria fatta da piccoli capolavori: macaron di mandorle e zafferano, e sfoglie al frutto della passione.
piccola pasticceria, Chef Enrico Bartolini, MUDEC, Milano
Chupa chups cocco e cioccolato
chupa Chups, Chef Enrico Bartolini, MUDEC, Milano
Alchechengi, ancora un’illusione.
Alchechengi, Chef Enrico Bartolini, MUDEC, Milano
Chef Enrico Bartolini, MUDEC, Milano
Chef Enrico Bartolini, MUDEC, Milano
sala, Chef Enrico Bartolini, MUDEC, Milano
La dispensa.
dispensa, Chef Enrico Bartolini, MUDEC, Milano

Il Salumaio di via Montenapoleone a Milano è una vera istituzione. Nato nel 1957, è molto di più di una salumeria o di un ristorante, è parte della storia non solo gastronomica di Milano. Ospitato a Palazzo Bagatti Valsecchi, uno dei più belli e affascinanti di via Montenapoleone, ove sorge un fantastico museo, che invitiamo a visitare.
Ristorante storico legato alla tradizione milanese, e non potrebbe che essere così, immutabile nel tempo.
L’apertura a Lugano invece, targata 2013, ha tutto un altro sapore. Innanzitutto per il luogo in cui è ubicato, Palazzo Botta, sede della Banca della Svizzera Italiana. Un palazzo costruito da un grande architetto elvetico, in cui la modernità misurata, quasi calvinista, che impera da queste parti, la fa da padrone. All’interno, al piano terreno, un ristorante molto ampio, luminoso e arredato finemente. In cucina arriva a gestire le redini di questo ambizioso e impegnativo progetto Mario Capitaneo, formatosi principalmente alla corte del grande Enrico Bartolini. E sin da subito si vede la sua impronta e la sua mano in un progetto, lo ripetiamo, che si pone traguardi decisamente ambiziosi.
Il servizio è impeccabile, sincronizzato perfettamente, a suo agio, gentile, educato e molto presente. I piatti arrivano come richiesto e nei tempi dettati dai clienti. La cucina ci è parsa invero leggermente altalenante. Interessanti le preparazioni iniziali, di assemblaggio. Con buone idee, senso del gusto e del ritmo. Molto meno bene la cucina cucinata, confusa e a tratti non particolarmente curata.
Gli impiatti e lo stile sono decisamente Bartoliniani, ed aggiungono bellezza ed un quid in più all’insieme.
Ma la formazione dominante di Mario, quella al fianco del fratello Remo al Devero, deputato al reparto pasticceria, tradisce nei contenuti di questa cucina tutta la sua storia.
Pensiamo che il luogo e la clientela Luganese certo non aiuti a far decollare questo ottimo ristorante e che le richieste vadano decisamente nella direzione della semplicità e della rotondità. Noi non contestiamo questo, ci permettiamo solo di rilevare che su alcuni abbinamenti (risotto) e su talune cotture e compendi (l’agnello) si possa e si debba fare di meglio.

Il pane, ottimo.
Il Salumaio di Montenapoleone, Chef Mario Capitaneo, Lugano
Piccolo benvenuto che arriva appena seduti a tavola: cialda di polenta.
benvenuto, Il Salumaio di Montenapoleone, Chef Mario Capitaneo, Lugano
Ostrica, burrata e gelato al tamarindo. L’ostrica, con alghe e crema di limone, è ottima ma viaggia per i fatti suoi, rispetto al resto del piatto.
ostrica burrata e gelato al tamarindo, Il Salumaio di Montenapoleone, Chef Mario Capitaneo, Lugano
Abbinamento decisamente centrato, finanche geniale. Forse l’impiatto meriterebbe di più.
Il Salumaio di Montenapoleone, Chef Mario Capitaneo, Lugano
Battuta di carne, gel di pere e senape. Secondo antipasto, anche questo di assemblaggio, decisamente buono ed interessante.
battuta di carne, Il Salumaio di Montenapoleone, Chef Mario Capitaneo, Lugano
Risotto aglio nero, cavolfiore e ricci di mare.
Buona la cottura del risotto, ma i ricci di mare, conservati e non freschi, hanno uno sgradevole ritorno ossidato in bocca. Rimandato!

Agnello, cipolla di tropea ripiena di se stessa, castagne in panure nera.
Agnello fibroso e non cotto alla perfezione, jus ottimo, l’abbinamento con le castagne rende l’insieme forse un po’ piatto e monocorde.
agnello cipolla, Il Salumaio di Montenapoleone, Chef Mario Capitaneo, Lugano
Dolce buono, zafferano e pere, in cui forse la nota della spezia prevarica il resto, rendendo anche qui la preparazione troppo lineare
dessert, zafferano, Il Salumaio di Montenapoleone, Chef Mario Capitaneo, Lugano
Macarons con il caffè…
macarons con il caffè, Il Salumaio di Montenapoleone, Chef Mario Capitaneo, Lugano
L’ingresso con uno scorcio di Palazzo Botta.
ingresso, Il Salumaio di Montenapoleone, Chef Mario Capitaneo, Lugano

Enrico Bartolini è a tutti gli effetti ancora un giovane uomo, alla sua età molti non hanno ancora una chiara visione del futuro.
Ma per lui non è così, le idee le ha sempre avute chiarissime.
Non è più un emergente né una promessa, ma una certezza assoluta del firmamento gastronomico: la lunga esperienza maturata ed i continui riconoscimenti sono davanti agli occhi di tutti, e rappresentano un dato assolutamente incontrovertibile.
Tutto ciò è stato raggiunto grazie ad un carattere, una determinazione ed un’intelligenza fuori dal comune, oltre naturalmente a un indiscutibile talento.
Basta scambiare due parole con lui per capire che, dietro un’apparente modestia, una tranquillità quasi monacale, si nasconde invece un uomo dalla determinazione feroce e dall’invidiabile lucidità mentale, dotato di una capacità di vedere gli obiettivi rara, se non unica, nel panorama nazionale.
Questa sua capacità di vedersi non solo nel ruolo di chef, ma di pensare oltre, fanno sì che sia oggi a capo di una brigata composta da circa quaranta persone ed in grado di gestire il food del Devero 24 ore su 24, per 365 giorni all’anno, oltre ad avere importanti collaborazioni con brand internazionali del calibro di Krug, Emirates ed Hermès, ed essere sbarcato ad Hong Kong con Sepa, il bistrot firmato Giacomo Marzotto.
Impegni complessi che richiedono capacità imprenditoriali non comuni e che, nonostante tutto, permettono al nostro chef di seguire in prima persona e con sempre maggiore successo il ristorante gastronomico.
La stessa attenzione maniacale ai particolari, il perfezionismo e la capacità di scelta la ritroviamo così nei piatti che, anno dopo anno, sembrano sempre più centrati e convincenti; uno su tutti, i bottoni di olio e lime con salsa cacciucco e polpo croccante che, ad ogni visita, regala la sensazione di essere sempre più buono, un vero bignami della cucina di Bartolini, un estratto di potenza, finezza, acidità, croccantezza in costante equilibrio.
Non siamo davanti ad uno chef campione dell’improvvisazione, uno di quelli che sfornano piatti a getto continuo e nemmeno ad un esegeta dell’azzardo e della provocazione, ma ad un perfezionista nella più alta accezione del termine.
I piatti nuovi non sono mai moltissimi, ma quando entrano in carta lasciano il segno e spesso diventano dei veri classici, oggetto di spunto e condivisione da parte dei colleghi.
La cucina di Bartolini non è cucina di contrasti violenti, ma di equilibri e di assonanze dove il gusto ed il piacere palatale sono il centro e l’obiettivo primario.
Un’apparente semplicità che nasconde invece tecnica sopraffina ed un grande palato, altra caratteristica fondamentale del Bartolini chef, che gli permette di realizzare piatti di rara finezza, ma comprensibili a tutti.
Forse la sua non è la cucina adatta per chi cerca emozioni forti nel piatto, per chi ha voglia di farsi stupire a tutti i costi, ma è ideale per colui che, al ristorante, vuole mangiare piatti di alta cucina senza porsi troppe domande.
Di altissimo livello anche il servizio di sala, gestito in maniera impeccabile da Pino Savoia, che dirige con i tempi giusti e con una dote non sempre presente nei maestri di sala della Penisola, quella di rapportarsi immediatamente con il cliente e, di conseguenza, di interagire di più o di meno a seconda delle esigenze.
Interessante anche la carta dei vini, non enciclopedica, ma con etichette in grado di soddisfare pienamente la stragrande maggioranza della clientela.

Devero, Chef Enrico Bartolini, Cavenago di Brianza
Pane bianco a lievitazione naturale, pane integrale (di Eugenio Pol di Fobello), sfoglie croccanti, grissini.
pane e sfoglie croccanti, Devero, Chef Enrico Bartolini, Cavenago di Brianza
pane, Devero, Chef Enrico Bartolini, Cavenago di Brianza
Stuzzichini di benvenuto:
Finto peperoncino, gambero crudo e salsa al prezzemolo: qui viene fuori la voglia di giocare con la materia di Bartolini, una caratteristica intrigante della sua cucina. Un inizio interessante, la dolce piccantezza del peperone ricomposto che esalta la dolcezza del gambero crudo, il tutto contrastato dalla nota erbacea e leggermente aromatica della salsa al prezzemolo.
stuzzichini di benvenuto, Devero, Chef Enrico Bartolini, Cavenago di Brianza
Fagottino di cipolla, foie gras, polvere di mango: la dolcezza della cipolla e del foie gras, le varie consistenze che divertono il palato, la polvere di mango con il suo tocco esotico, per un altro boccone che non lascia indifferenti.
fagotto di cipolla, Devero, Chef Enrico Bartolini, Cavenago di Brianza
Meringa salata al riso oro e zafferano (omaggio al Maestro) e cannoli di cavolo nero fritti: semplici, ma di una golosità incredibile, a stento e per solo pudore non abbiamo chiesto il bis.
meringa salata al riso oro, Devero, Chef Enrico Bartolini, Cavenago di Brianza
Apprezzatissimo benvenuto della cucina, uno dei grandi classici di Bartolini, sempre presente fin dai tempi delle Robinie e sempre più buono, patata soffice uovo e uova: patate sifonate, caviale, capperi asciugati, erba cipollina, zabaione sapido montato al momento. Equilibrio, persistenza, piacevolezza estrema: cosa possiamo volere di più?
benvenuto in cucina, Devero, Chef Enrico Bartolini, Cavenago di Brianza
Mandorle di scampi, scampo reale al tamarindo, caffè e cardamomo: torna prepotente il tema del gioco con un interessante lavoro sulle consistenze, un’illusione, mandorle ricreate insieme a mandorle vere, molti sapori che si fondono insieme in perfetto equilibrio.
mandorle di scampi, Devero, Chef Enrico Bartolini, Cavenago di Brianza
Alici in incontro di saor e carpione: alici crude accompagnate dalla fusione fra due metodi tradizionalissimi di conservazione del pesce. Dominano le note agre dell’aceto dosato alla perfezione, ma anche la sapidità e le note ferrose del pesce si distinguono nitidamente: ne esce un piatto dal gusto addomesticato, dall’acidità importante, ma non disturbante, cromaticamente molto riuscito con il blu creato partendo dal cavolo rosso e poi lasciato ossidare.
alici in saor, Devero, Chef Enrico Bartolini, Cavenago di Brianza
I sempre accattivanti bottoni di olio e lime al sugo di cacciucco e polpo cotto alla brace: come abbiamo già spiegato, uno dei simboli del Bartolini post Robinie, un omaggio alla sua Toscana (anche se Enrico è Pistoiese e non Livornese) ed a uno dei suoi piatti simbolo, qui partendo dagli ingredienti base lo chef riesce a ricreare un piatto nuovo per forma e consistenza, ma che conserva la forza esplosiva dell’originale.
bottoni di olio e lime al sugo di cacciucco, Devero, Chef Enrico Bartolini, Cavenago di Brianza
Spaghetto all’anguilla e fresco fumo leggero: un grandissimo piatto di pasta; spaghetti cotti alla perfezione, la carnosità leggermente affumicata dell’anguilla, una sensazione agrumata leggera, le erbe che aiutano palato e cervello a non adagiarsi sulle prime note dolci e rotonde, da applausi a scena aperta.
spaghetto all'anguilla, Devero, Chef Enrico Bartolini, Cavenago di Brianza
Un assaggio irrinunciabile quando si transita per questi lidi: risotto rapa rossa e gorgonzola. C’è ormai poco da dire su questo piatto, pochi ingredienti ben riconoscibili in perfetta armonia, la perfezione dell’esecuzione che fa la differenza, la bellezza cromatica, semplicemente un piccolo grande capolavoro.
risotto rapa rossa e gorgonzola, Devero, Chef Enrico Bartolini, Cavenago di Brianza
Agnello laziale cotto sui carboni, cipollotti e raviolo al vapore con frattaglie: piatto carnale, materico, dove si nota chiara la perfetta sintonia fra lo chef e la materia prima, che viene assecondata nelle sue caratteristiche e non piegata, ma esaltata; un piatto che ci regala tutta la forza del prodotto e tutta la bravura dello chef nell’esaltarlo.
agnello laziale, Devero, Chef Enrico Bartolini, Cavenago di BrianzaAnimelle glassate, menta cornuta, liquirizia e carciofi alla cenere: il quinto quarto è un campo che Bartolini ha sempre esplorato con successo. Lo ama, lo rispetta, lo sa lavorare e anche questa versione ne è la conferma: la grassezza delle animelle cotte a puntino viene ben contrastata dalla balsamicità della menta e dall’amaro del duo carciofo-liquirizia.
animelle glassate, Devero, Chef Enrico Bartolini, Cavenago di Brianza
Il lungo capitolo dolce.
Uva e maraschino con granita di verbena e cioccolato bianco al peperoncino: dolce non dolce che resetta il palato e permette di continuare; la freschezza è la nota dominante del piatto, la grande tecnica e la sensibilità nell’utilizzarla sono la dote necessaria per realizzarlo.
dessert, uva e maraschino, Devero, Chef Enrico Bartolini, Cavenago di Brianza
Caldarroste cremose con salsa di cachi marinati al whisky: dessert più classico, ma non meno stimolante. Le castagne sono “finte” e ripiene, la salsa al caco e whisky dona la necessaria nota acido-torbata per far sì che il piatto non risulti seduto e stucchevole.
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Un assaggio di un altro grande classico: il ciocco colato omaggio al periodo di lavoro passato alle Calandre.
ciocco colato, Devero, Chef Enrico Bartolini, Cavenago di Brianza
Ancora qualche dolcetto per finire in bellezza.
dolce, Devero, Chef Enrico Bartolini, Cavenago di Brianza
macarons, Devero, Chef Enrico Bartolini, Cavenago di Brianza
piccola pasticceria, Devero, Chef Enrico Bartolini, Cavenago di Brianza

BOTTONI ALLE ARACHIDI IN BRODO DI POLLO, LIMONE E RICCI DI MARE

Vola in cucina come l’ape di Winckelmann, Enrico Bartolini, la quale “sugge da molti fiori”, alla ricerca come gli artisti antichi di “una sintesi di tutto ciò che vi era di bello” ovunque questo si trovasse. Una metafora ripresa da Marc Fumaroli per identificare l’arte degli antichi rispetto a quella dei moderni, in questo caso una cucina che prende le mosse dalla rielaborazione di uno spunto preesistente. L’asparago, il pollo, il carciofo come li abbiamo sempre abbinati e mangiati, eppure risolutamente nuovi.

A volte tuttavia il fiore può sbocciare lontano e il viaggio incurvarsi nelle deviazioni. È il caso di questo primo piatto elusivo, nel quale si intuisce qualche sorta di cineseria (titolare di un bacaro a Hong Kong, Bartolini viaggia spesso in Asia). Il punto di partenza sono infatti le arachidi sposate al pollo, come vogliono specialità della cucina cinese e tailandese. “Nella casa di famiglia, a Castelmartini, mi sono trovato davanti una strana pianta, simile a una leguminosa, che non riuscivo a riconoscere. Sfilandola dal sacchetto ho visto che alla base c’erano proprio delle arachidi, che non sapevo fossero radici. Ho replicato la scena con Uliassi, che si è stupito quanto me, la qual cosa mi ha consolato non poco. Quindi un’arachide di Castelmartini, proveniente dall’orto di casa. Di solito la radice viene lasciata asciugare a terra, in modo che perda un po’ di umidità, poi viene tostata con il guscio. All’occorrenza si tolgono il guscio e la pellicola, poi si può procedere a una nuova tostatura, perché la materia grassa favorisce un risultato uniforme. Noi abbiamo pensato di tostare le arachidi in padella, come se fossero ossa per un fondo. Poi le abbiamo fatte bollire e abbiamo lasciato che il liquido si riducesse; alla fine abbiamo filtrato e unito un fondo di pollo molto ridotto. Abbiamo così ottenuto un composto denso dal sapore spiccato di arachide, che grazie alle proteine del pollo può essere montato utilizzando un olio neutro. Non l’olio di arachidi, che ha solo il sapore del germe, ma di vinaccioli o di semi. Il risultato è una gelatina solida simile a una maionese molto densa. Nell’imminenza del servizio, preferibilmente al momento, viene utilizzata per confezionare i bottoni. L’abbinamento che ci è venuto in mente per completare il piatto è limone, ricci di mare e brodo di pollo. Quindi un’infusione di limone con sale e zucchero; l’agrume viene lasciato cuocere pian piano, poi si eliminano la parte bianca della scorza e i semi, che hanno già trasmesso un gusto integrale, senza eccessi amari, e si setaccia”.

Grassezza (a detta di molti il sesto gusto) che veicola aromi versus acidità leggermente amarotica. Ulteriormente sgrassata dalla mineralità dei ricci, che pure ricordano l’emulsione per pastosità e tendenza dolce. Praticamente una sciabolata metallica nell’opulenza morbida della pasta ripiena, che li va a condire.

BOTTONI ALLE ARACHIDI IN BRODO DI POLLO, LIMONE E RICCI DI MARE, chef enrico bartolini