Aperto nel 2011, a una una decade da quel momento il ristorante Il Marin e la sua cucina restituiscono, oggi, una chiara visione di quello che sono, sono stati, e vogliono essere. Passione Gourmet ci orbita da tempo a Il Marin e, ogni volta, ci sono sempre emozioni nuove: novità che iniziano da come si entra in passeggiata nel porto, in cui una delle prime cose da fare è quella di viverlo nella sua interezza benché parte dello sguardo propenderà per i canali: e proprio questi aiuteranno a comprendere lo spirito de Il Marin, che fa del pescato del giorno e delle erbe (15 le varietà coltivate in idroponica) lo zoccolo duro per impostare una cucina costruita sui sapori del mare, ovviamente, ma che nel tempo ha saputo concretizzarsi e portare i sapori verso nuovi orizzonti, ad osservare e cogliere le potenzialità celate in quelli racchiusi tra gli scogli o nell’entroterra liguri.
La potenza dei sogni sotto traccia, si sa, sono sempre quelli più potenti, e così personali, che Marco Viscola, cuoco in carica dal 2015, dopo un’esperienza in Corea, traduce tra i fornelli in un dialogo con i movimenti e climi del mare, rendendoli più profondi e precisi.
E con una maturità nuova raggiunta, si può spaziare, dopo anni di attività alle spalle, tra menù che ripercorrono i “piatti salienti” che massimalizzano la manualità e quei sapori diventati must e quindi catalogabili in un menù dedicato ai 10 ANNI di attività, ad esempio, a completamento di un’offerta del ristorante ove i piatti diventano “intoccabili” o meglio ”irrinunciabili”. E tra questi, su tutti, come con un bacio allo specchio, troviamo il baccalà mantecato e il cappon magro 2.0 – in cui si potrebbe tranquillamente rinunciare alla salsa – subito seguiti dalla finanziera dal mare, dove la ricerca di lavorazioni a scarto zero, atti alla produzione di piatti sostenibili, si mettono al centro del gusto per ottenere la valorizzazione di ogni parte del pesce (fegato di pescatrice, corallo di capasanta e di fasolaro, guance e trippe di merluzzo, lumache di mare) che diventa indiscussa protagonista, accompagnata da verdure di acqua dolce. Qui, tutto è poggiato su una salsa di cozze e ricci di mare, un vero tuffo – nel mare – riproposto in altre consistenze in piatti scelti dal menù MAREE: “Sugli scogli” e la “Minestra degli abissi”.
La cucina pare avere assunto uno stile boccaccesco, licenzioso e piccante. A conferma di ciò c’è il piatto che proietta a quanto espresso, solo a nominarlo appaiono vari frammenti del noto agente a doppio zero: Bond. Lo Spaghetto Martini è un sogno che si materializza in sala, dove viene preparato interpretando l’iconica frase “agitalo non mescolato”.
Tutti gli ingredienti, pasta compresa, finiscono nello shaker. Il piatto è avvolto da una nuvola di gin taggiasco. Un piatto che concentra, in un piccolo nido, fatto di pasta al burro alle alghe, emulsione di olive verdi e vermouth, coperto poi dal caviale, una sensazione di un viaggio in barca. Siamo sempre in un porto, del resto, e non possiamo fare finta che la storia di questo luogo non influisca sulle nostre esperienze. Anche palatali. Soprattutto se il pasto viene consumato a un metro della vetrata che mostra la vitalità dello stesso: una piccola piazza in cui turisti e cittadini godono della salsedine, che vivono nell’aria fotografate da famiglie impegnate coi figli a godersi la giornata assolata in autunno contrapposti al passaggio di manager incravattati.
Qui, Il Marin si pone come meta in un punto strategico della città, all’ultimo piano di Eataly, con una cucina autonoma e stabile. La chironomia dei saperi di uno chef che esprime la terra in cui vive assieme a una sala molto preparata, in cui spicca il sommelier Alessio Silesu che, col Coravin, riesce a interpretare i gusti dei clienti e proporre vini per un matrimonio del palato, col cliente prima che col piatto. Una posizione di ascolto e comprensione in cui entra in gioco, e in poco tempo, la capacità umana di interpretazione del momento e la soluzione per rendere l’esperienza piacevole. Che si arricchisce, nel percorso di degustazione, con drink, tisane e liquori, necessari quando arrivano i dolci, come il tiramisù, che col pesce, preso dal mare, diventa un esempio di pratica: il pescato è salato. Come il dolce, il tiramisù, pizzicato dal crumble.
Una grande trattoria a Firenze a due passi da Piazza del Duomo: sogno o realtà?
Ebbene, ciò che fino a qualche anno fa sembrava impossibile, ora invece si sta realizzando: la cucina italiana mostra segni di vitalità anche “dal basso”, cioè da quella che è la sua espressione classica più autentica, quella della trattoria e delle cucina tradizionale regionale.
Non è un sogno quindi la presenza, nel cuore di Firenze, al primo piano di Eataly di una delle migliori espressioni di cucina tradizionale.
FAC (fast and casual) è un locale giovane, decisamente al passo con i tempi, nato da una costola del team di “Essenziale”, altro locale di successo: tra soffitti affrescati e grandi vetrate che affacciano su via De’ Martelli, si è insediata una delle cucine più interessanti del capoluogo toscano. Un locale per mangiare qualcosa di qualità, anche quando il tempo a disposizione è poco: la risposta al “fast food” caratterizzato da panini e affini.
Piatti di sostanza, ma curati nella presentazione e, cosa più importante, nel gusto. Una proposta variegata, che va dai piatti unici da condividere tra i commensali, alle ciotole da riempire con ingredienti a piacere, fino ai primi e secondi in versione più classica.
Le ottime pappardelle al cinghiale e una straordinaria anatra ci hanno veramente stupito per precisione delle cotture e qualità degli ingredienti. Meno intenso il sapore del dessert, comunque decisamente sopra la media.
Abbiamo accompagnato il tutto con una fresca birra prodotta in esclusiva per FAC da un birrificio di fiducia, ma è un valore aggiunto importante la possibilità di scegliere qualunque bottiglia presente all’interno di Eataly e stapparla al tavolo con un piccolo diritto di tappo.
Rapporto qualità prezzo molto alto per questo locale che, dovesse mantenersi su questi livelli, farà parlare molto di sé nel prossimo futuro.
Per raccontare quanto la famiglia Alciati sia stata, ed è tuttora, un pilastro portante dell’alta cucina langarola ci vorrebbero anni.
Una storia che affonda le radici in questo luogo magico. E che continua a perpetrare una tradizione fatta di grandissima ed accurata selezione di ingredienti, composta da una fila enciclopedica di piatti e di preparazioni, classiche, da far invidia alla Francia intera.
Da Guido è una istituzione e i figli Piero (in sala) e Ugo (in cucina) continuano a portare avanti questa tradizione con grande competenza, senso del gusto e attenzione. Ospitati e accolti nella splendida Villa Reale della tenuta Fontanafredda, luogo di rara magia e fascino discreto.
E anche in quest’occasione, momento in cui un manipolo di amici si ritrova per approfondire l’annata tartufesca 2016, si sono dimostrati ai vertici della cucina classica italiana. Con piccoli tocchi di attualità, usando tecniche moderne, alleggerendo alcuni passaggi e preparazioni. Facendo ciò che un cuoco dotato di buon senso e di ottima tecnica farebbe. Lasciando cioè il più intatto possibile il sapore e il “profumo” dei grandi classici di questa terra. Ma le ragioni del successo di questa famiglia non affondano solo nella grande capacità tecnica ed intelligenza di entrambi i fratelli. Risiedono anche e sopratutto nella capitalizzazione di una storia che ha visto, da generazioni, l’approfondimento e la conoscenza del territorio e dei suoi massimi esponenti. Che significa, in parole povere, saper dove trovare la carne migliore, la verdura migliore, il tartufo migliore… e così via.
Potrebbero vivere di rendita gli Alciati, ed invece continuano ad apportare piccoli ritocchi, impalpabili cambiamenti, qualche piccolo soffio impercettibile per migliorare costantemente ed attualizzare una cucina così perfetta e precisa che più non si può.
Ne sono un esempio gli antipasti, tutti di una precisione tecnica invidiabile ma al contempo di una leggerezza quasi eterea. Ma tutto il pasto, di fatto, scorre via senza batter ciglio. Senza un filo di grasso in eccesso, senza una imperfezione né stilistica né di cottura, né tanto meno di consistenza.
Impresa tutt’altro che facile, ma impresa certamente vinta, non v’è dubbio alcuno!
La splendida facciata della Villa Reale in Tenuta Fontanafredda.
Il tavolo conviviale.
La splendida Molteni.
La cantina.
Cardo di Nizza, acciughe, pera.
Strepitoso Carpaccio di vitella.
Uovo in camicia, di una qualità e precisione tecnica invidiabili, patate, parmigiano.
Gli agnolotti di Lidia al tovagliolo.
Cosciotto di capretto di Roccaverano al forno.
Con olio e pepe fresco.
Il Lower East Side è il luogo in cui è ubicato uno dei santuari della New York gastronomica: Katz’s. Ovvero il “delicatessen”aperto tutto il giorno, esistente da 128 anni, reso ancor più celebre dal leggendario orgasmo simulato da una giovane ed affascinate Mag Ryan in “Harry ti presento Sally”.
Ci vuole tanta pazienza se si vuole assaggiare il famoso “pastrami on rye”, diventato il simbolo della cultura gastronomica degli ebrei di New York, importato dalla Romania durante l’immigrazione degli ebrei. Era il 1887 quando Sussman Volk, un macellaio kosher, ricevette la ricetta da un amico rumeno. Un anno dopo, i fratelli Iceland aprirono un piccolo deli, tra Ludlow Street e E.Houston, chiamato “Iceland Brothers”. Nel 1903 i fratelli entrarono in partnership con Willy Katz. Poi nel 1917 il deli Iceland & Katz si spostò dall’altro lato della strada, dove è tutt’oggi ubicato. Il resto è storia.
Una volta entrati, vi forniranno un biglietto all’ingresso che verrà letteralmente obliterato al momento degli ordini. Occhio a non perderlo, perché, nel dubbio, la svista vi costerà 50 dollari.
Sono circa 7000 i chili di pastrami venduti ogni settimana. Alcuni passaggi della ricetta sono ancora un segreto, principalmente si tratta di carne di manzo stagionata, aromatizzata, affumicata, bollita, cotta al vapore e affettata al coltello.
Ed eccolo lì, il nostro caro sandwich ad attenderci al pass.
Non possiamo poi menzionare il prodotto che forse maggiormente appartiene ai newyorkers: la cheesecake. E se si vuole evitare il dibattito su quale debba essere la base (se crema di formaggio, abbastanza pesante, o ricotta, più leggera), allora basterà provare le monoporzioni di Eileen’s Special Cheesecake in Kenmare Street, a Soho dal 1976.
Consistenza densa e soffice, gusto dolce ma con sferzate aspre e una sottile base fatta con i Graham Crackers, versione originale dei meglio conosciuti digestive che, come si abusa spesso nel linguaggio della critica gastronomica, donano croccantezza.
Sono disponibili tre formati. Noi abbiamo optato per il più piccolo, assaggiando la versione con marmellata di fragola
e la classica cheesecake base. Senza dubbio un dolce molto goloso con un sapore familiare.
Ovviamente non si può menzionare la Grande Mela senza parlare di hamburger. Le alternative qui sono due: provare un hamburger di catene gourmet come Shake Shak, Burger Joint o Bare Burger, oppure buttarsi a capofitto su un hamburger “stellato”. Nel primo caso entrate nel Parker Meridien Gallia e chiedete della tenda rossa…
..dietro la quale si nasconde un piccolo angolo undeground, il Burger Joint.
Un luogo studiato nei minimi dettagli in cui servono un hamburger assolutamente autentico nel gusto e nell’aspetto.
Con una combo bibita e patatine fritte, si spendono circa 15 dollari. Non si può prenotare ed è praticamente impossibile evitare la coda per entrare.
Ma restando in tema hamburger, uno dei migliori viene preparato e servito in uno degli storici locali di Manhattan, rimasto intatto nel tempo dal 1937. La quintessenza delle taverne newyorkesi.
Siamo nel Greenwich Village, in quella che era una steakhouse frequentata da scrittori come Hemingway o Dylan Thomas. Una delle specialità della casa? Appunto, il Black Label Burger (a 32 dollari) che nel menù viene spiegata come segue “selection of prime dry-aged beef cuts with caramelized onions and pommes frites”. Senza alcun dubbio, uno straordinario hamburger.
Ma abbiamo già detto che questa città non ha confini gastronomici. A maggior ragione se si parla di cucina italiana.
Nel distretto finanziario di Manhattan, lì dove sorge l’imponente ed emozionante Memoriale dell’11 Settembre, gli italiani di New York potrebbero trovare la loro seconda casa.
Per chi è alla ricerca del comfort food perduto, ha da poco aperto, all’interno dell’imponente Eataly Downtown, l’eccellente Osteria della Pace, guidata dal giovane e bravissimo Riccardo Orfino, scuola Aimo e Nadia. La sua è una cucina autentica che ripercorre la tradizione delle regioni italiche, integrando ai sapori nostrani i migliori prodotti made in USA come le carni, i prodotti ittici del mercato di New York e le ottime verdure locali.
Un gran bel posto e una importante vetrina per il Bel Paese cui auguriamo un grande successo.
Ecco alcuni dei piatti degustati. Sarde alla griglia e genovese di cipolle, melanzana marinata al miele e cipolla di Tropea in saor.
Burrata, peperoni gialli, olive infornate di Matera e peperone crusco di Senise.
Linguine ai ricci di mare. Superclassici con un prodotto di alta qualità.
Copertina di black angus, carciofi, pecorino Brigantaccio e marmellata di bergamotto (by Caffè Sicilia).
E dopo un pranzo all’Osteria della Pace potrete fare due passi verso la vicina Brooklyn e godervi scorci come quello di Dumbo del Manhattan Bridge, reso celebre da Sergio Leone in C’era una volta in America…
…oppure potrete godervi il tramonto su Manhattan dalla spiaggetta a ridosso del Brooklyn Bridge.
Molti sono i motivi per una visita, più o meno lunga poco conta, alla città di Genova. Tra i più gettonati e universalmente più noti, sicuramente c’è una gita all’Acquario, uno tra i più famosi al mondo. Un’escursione in grado di tenere per un paio d’ore abbondanti a naso all’insù tanto i più piccoli, così come i più grandi.
Quindi, se avete in programma una visita nei paraggi del Porto Antico, fate in modo di trovarvi liberi per pranzo o cena, in modo da poter capitare “casualmente” da Eataly -situato a non più di cinquanta metri dall’ingresso dell’Acquario- e godere di una delle migliori tavole non solamente della città, ma, senza alcuna esagerazione, della regione intera.
Intelligente e centrata, azzardata ma costantemente solida, spavalda ma sicura di sé… molti sono gli aggettivi che potremmo scomodare per definire la cucina di Marco Visciola, anche in profonda contrapposizione tra loro, ma la carica di personalità dei piatti, ed il costante incedere a passo sicuro della cucina, denotano una grande padronanza della materia e un indubbio ottimo palato.
Non ultima, l’umiltà di saper ascoltare e saper leggere, elaborare e interpretare le critiche, senza chiudersi a riccio nella propria consapevolezza, ma utilizzando gli appunti come spunto propositivo: e infatti la crescita di questa tavola è strabiliante, e ad oggi è solo lontana parente di quella che già lo scorso anno ci colpì in positivo.
Chef e ragazzo intelligente Visciola, partito da secondo del suo predecessore Enrico Panero, ha ora preso le redini della brigata (e le relative responsabilità) dopo che Panero si è spostato a Eataly Firenze, ed è riuscito in breve tempo a spingere ulteriormente in avanti questa cucina già di buon livello, facendo divertire il cliente e al contempo -è palese- divertendosi, con una carta e dei menu composti da piatti ora perfettamente compiuti, ora più audaci, altri tradizionali e poi altri estremamente irriverenti, e altri ancora divenuti già degli instant classic, come la meravigliosamente complessa Finanziera di mare.
E se pensiamo che la misurata ma efficientissima cucina lavora sia per Il Marin che per l’estremamente affollato bistrot di Eataly, in grado di servire piatti praticamente lungo tutta la giornata (per arrivare, nei momenti di picco, con un cambio di tre turni a servizio), quel che accade qui ogni giorno ha davvero del piccolo miracolo.
Molti sono i motivi per una visita a Genova, dicevamo. E se inizialmente pensavamo che un pranzo al Marin fosse propedeutico ad una gita all’acquario, dopo la visita possiamo annoverarlo senza dubbio, perlomeno per un appassionato, tra le attrattive principali della città. E se vi avanza del tempo, potreste approfittarne per una visita lì nei dintorni…
Il Porto Antico, visto dalla terrazza del Marin, ove è possibile pranzare in caso di bel tempo.
La sala.
La cucina vista dalla sala.
Focacce e grissini.
Il vino che ci accompagnerà per il pranzo, proposto anche al calice.
Il Benvenuto dalla cucina.
Acciuga ripiena fritta e salsa al limone.
Reginette croccanti, palamita, prescinseua e polvere di pesto.
Cannolicchi, yogurt e cetriolo.
Capponmagro da passeggio, la versione streetfood del piatto (in carta) Capponmagro 2.0.
Un eccellente e intenso pane alle olive, accompagnato da olio ligure Roi.
Gambero viola di Santa Margherita, fegatini di coniglio e bloody mary.
La ricciola e la ciliegia.
Rana alla mugnaia, ostrica e salicornia.
Fragolini e datterini. Datterino giallo, capperi e acciughe.
I tortelli ripieni di pesto ligure, cremoso di patate e fagiolini.
Riso, dentice e caviale, emulsione di verdure grigliate.
La splendida Finanziera di mare, in tre servizi.
Lo scampo e il foie gras, zucchina trombetta e rabarbaro.
L’irriverente predessert: spaghetto ricci, cozze, polline, limone, mela verde e sedano.
Crostata albicocca, rosmarino e sesamo.
Dolcezze in accompagnamento al caffè.