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La Pergola

Il fascino di quella vetrata, con una vista mozzafiato sulla città eterna, con le luci che illuminano la cupola di San Pietro. Cominciamo da qui: è una delle ragioni per cui è emozionante cenare alla Pergola. E poi una sala, al suo interno, arredata finemente, con grande eleganza e fascino. Ed un servizio che ha pochi eguali al mondo, non solo prendendo come punto di riferimento l’Italia.

Tutto ciò non è collocabile in uno spazio temporale definito. E’ come un grande dipinto di Botticelli, è senza tempo. Ed è giusto e rispettoso obbligare i signori ad indossare la giacca in questo luogo di culto. Rispetto, di fronte a questo affascinante tempio dell’alta cucina, ricco di eleganza borghese.
Heinz Beck in ultimo, ma non per importanza (tutt’altro), ci mette tanto del suo. Con una cucina che fa della ricerca quasi ossessiva della leggerezza e della salubrità il suo must. Ma non a discapito della presentazione e della bellezza, a tratti però del gusto, che subisce l’intento nobile dell’arduo ed interessante lavoro che si svolge in queste cucine.

Concentrazioni di sapori, quindi, lavorate ma sempre in modo elegante, tenue, a tratti sussurrato e mai gridato. Come se la cucina, ed è giusto che sia così, debba essere uno degli aspetti dell’esperienza di una cena alla Pergola. C’è molto altro, di sostanza e di consistenza, per far provare una emozione davvero importante.
E non dimentichiamo poi che, trovandoci nella città eterna ed in uno degli alberghi più importanti e amati dalla clientela internazionale, molti di questi ultimi si recano qui per conoscere ed assaporare l’Italia e i suoi profumi, le sue primordiali essenze. Si consideri poi che la soddisfazione di palati tra i più disparati, e magari non così ossessivamente esigenti come i più accaniti appassionati, obbliga alla costruzione di piatti e di una cucina più in generale molto “orizzontale”, che incontri i gusti e le sensibilità di un pubblico vasto ed eterogeneo.
Sommando tutte queste considerazioni possiamo comprendere come la produzione culinaria di questo tempio della gastronomia italiana sia attentamente, meticolosamente e scrupolosamente pensata, ripensata ed elaborata fino allo sfinimento. Non dimenticando che, il cuoco ormai Italiano d’adozione, ha origini teutoniche e, quindi, applicazione, pragmatismo e finanche sano realismo sono alla base della sua cultura, non solo culinaria.

È però evidente, a tratti, la seconda anima di Heinz Beck nei suoi piatti e nelle sue preparazioni: l’Italia, con i suoi sentori ed i suoi sapori l’ha davvero conquistato. Lo si percepisce quasi ad ogni passaggio. È altrettanto vero, però, che le esigenze di un luogo come la Pergola, e dei suoi ospiti, sono altrettanto importanti, forse di più.
Ecco, forse siamo veramente al cospetto di un cuoco che pensa e vuole decisamente con tenacia e convinzione perseguire il progetto che l’ha portato ai vertici delle classifiche nazionali ed internazionali. Creare e modellare un luogo che sia amato da molti.
Una cena alla Pergola è sempre una grandissima esperienza. Forse per gli appassionati più incalliti, coloro che girano molte tavole alla ricerca di forti emozioni, di colpi d’ala, di originali ed intriganti proposte, non è l’esperienza più entusiasmante. Forse a tratti si può rimanere freddi di fronte a cotanta perfezione tecnica, infarcita di sapori lievi e mai prepotenti, di contrasti mai più che lievemente espressi, di sapori non eccessivamente concentrati.

Sembra quasi che il combattimento tra la necessità di osservare tanti punti di vista e quella di rendere attuale questa tavola non porti al risultato sperato. La ricerca importante sul tema della leggerezza e della salubrità, ormai cavallo di battaglia di Heinz Beck da molto tempo, cede il passo alla concentrazione del gusto, ma non ottiene, a nostro avviso, un risultato così eclatante sul versante che si è prefisso.
Anche il gioco e il rimando, spesso pleonastico, sul contrasto caldo-freddo può lasciare perplessi in alcuni passaggi, e l’eccessiva morbidezza del gusto in ogni portata accentua questa sorta di sensazione di incompiuto finale.

Una cena alla Pergola è una esperienza che nella vita di ogni appassionato deve essere compiuta, anche per aver impresso davanti ai propri occhi ciò che deve essere un grande ristorante, in cui la cucina è un aspetto importante ma non l’unico. E non a caso il tutto esaurito è sempre garantito in questo fantastico terrazzo che si tuffa sulla città eterna.
Roma possiede un fascino straordinario, ed un grande ristorante degno del suo blasone.

Per iniziare: polvere di olive e terra ghiacciata di baccalà.
benvenuto, La Pergola, Chef Heinz Beck, Roma
Tartare di ricciola con tofu alle mandorle e olive disidratate. Ricciola che soccombe e non si esalta all’interno della preparazione, con abbinamenti che non riescono a valorizzarla.
tartare di ricciola, La Pergola, Chef Heinz Beck, Roma
Carpaccio di tonno con crema al wasabi, gelatina di cumino e barbabietola. Anche in questo caso un po’ di confusione tra i vari elementi che compongono la preparazione, che non allungano ma si coprono a vicenda.
carpaccio di tonno, La Pergola, Chef Heinz Beck, Roma
Sfoglie di capesante e tartufo. Buon piatto.
sfoglie di capesante, La Pergola, Chef Heinz Beck, Roma
Giardino d’acqua. Preparazione intrigante, con la tapioca aromatizzata alle erbe che dona un buon contrasto al resto degli elementi del piatto. Forse il progetto più interessante.
giardino d'acqua, La Pergola, Chef Heinz Beck, Roma
Tortellini verdi ai frutti di mare. Bene il sapore e la concentrazione.
tortellini verdi, La Pergola, Chef Heinz Beck, Roma
Fagottelli la Pergola, i famosi e giustamente rinomati fagottelli con un cuore di caldo tuorlo. La carbonara del 2100, molto riuscita.
fagottelli la pergola, La Pergola, Chef Heinz Beck, Roma
Merluzzo con broccolo e neve di baccalà. Intrigante la cottura pochè del merluzzo, di consistenza perfetta. Rifinito con polvere di nduja e completato dalla ottima salsa di broccoli. Forse la neve un compendio pleonastico.
merluzzo con broccolo, La Pergola, Chef Heinz Beck, Roma
Filetto di capriolo su radici invernali e salsa al pepe. Preparazione classica e ben riuscita.
filetto di capriolo, La Pergola, Chef Heinz Beck, Roma
Il degno accompagnamento alla serata.
richebourg, vino, La Pergola, Chef Heinz Beck, Roma
L’ottima piccola pasticceria, con sorprese e piacevolezze davvero notevoli.
piccola pasticceria, La Pergola, Chef Heinz Beck, Roma
Il grand dessert, un tripudio di preparazioni, solo in parte riportate nella foto, con ottima tecnica.
grand dessert, La Pergola, Chef Heinz Beck, Roma
La famosa sfera di lamponi e cioccolato.
sfera di lamponi e cioccolato, La Pergola, Chef Heinz Beck, Roma

C’è chi per l’origine della carbonara scende giù giù fino a tirare in ballo Apicio. E chi invece fa notare di questo piatto non esservi traccia alcuna in ricettari antecedenti la Seconda guerra mondiale. Il periodo bellico, nel quale l’arte d’arrangiarsi assurge a regola. Si veda, emblematica, del ’42, una raccolta di ricette dove diverse preparazioni tradizionali vengono riformulate per adattarle alle scarsità del momento: vi si suggerisce ad esempio di “imbrogliare” del riso cotto al dente con “uova battute assieme ad abbondante formaggio grattato” “facendolo gradire anche senza grassi, in giorni di particolare penuria di essi” e ancora “vi si potranno unire pezzettini di prosciutto soffritti nel proprio grasso”.

Se ci soffermiamo poi sulla presenza di uno dei tanti gruppi di ospiti, in quei tragici anni non proprio invitati (…periodicamente e da tempo immemorabile qui arriva a farci compagnia gente da fuori, e data una certa nostra chiara fama non mancano d’entrare anche in cucina), salta all’occhio l’usanza dei militari americani d’abbinare il bacon e le uova. E se allora da una nostra antica memoria storica (formaggio/uova – dei carbonari appenninici, o quant’altri), condita con l’arte di ibridare, fosse emersa una sintesi tra l’idea del bacon/uova e l’idea della cacio/pepe? Ci può stare, no? Contenti tutti e che buono!

Ora, riteniate o meno il ragionamento di cui sopra esaustivo e dirimente, pongo a seguire altra alta questione. Siamo a Roma (dove se no?): è meglio la carbonara di Pipero al Rex o è meglio quella di Roscioli a Via dei Giubbonari?

Eccellenti entrambe? Non vi sbagliate. Ma io che le due ho provato di recente nel confronto esprimo (salvo per la sola pasta in sé, dove dico vince Roscioli: più gustosa e cotta ancora più a punto) una preferenza per la prima.
Da Pipero: perfetta cremosità ovosa, pressoché nulla deriva liquida (ci sta invece in quell’altra, per scelta?, leggera guazza), aspetto gagliardo esente da pallore, miglior bilanciamento tra quantità di pasta e quantità di guanciale (per entrambi ottimo, e in ben dimensionati tocchetti fuori croccanti dentro morbidi).
Sempre Pipero: più coniugata presenza d’uova (e mica le son d’autore! nello chef la forza!) e di formaggio. Da Pipero pecorino e anche parmigiano prima grattugiati e poi messi a sbattere con l’ova, indi a scagliette giù dalla vetta pasta. Da Roscioli a copiosa pioggia pecorina vitale pungente saporosa assai, al giusto su quantità sì vasta e bbuona (…già scodellata ai fisici: è questa, di fatto, una Teoria del Tutto!) capace di mandar ko mica soltanto i jap, e l’ho veduto, ma capace parimenti quasi stendere un utilizzatore italico aduso al primo piatto nazionale. (…E dunque, per inciso, poter oggi ripensare liberi da ideologia al “Marinetti vs pasta” anni ‘30? …e questo nonostante il poetabeta venisse beccato in seguito e immortalato italianissimo esempio scofanarsi pastasciutta?).

Siamo così arrivati all’ultimissima nota del conteggio: …sul pepe e sul formaggio il match è pari. Ma al mio cartellino vince alla fine ai punti Monosilio con Pipero.
W l’it avola!

Le due “contendenti”: la Carbonara di Roscioli…
ELZEVIRO CULINARIO, LA CARBONARA
…e quella di Pipero.
Pipero, Elzeviro, La Carbonara

All’atto della prenotazione vi diranno che la giacca è d’obbligo, un dettaglio che è assolutamente indicativo dello stile che caratterizza questo luogo.
Nell’epoca in cui la globalizzazione tende a livellare ogni particolare e l’informalità a tutti i costi è sempre più dominante, c’è ancora chi si prende il lusso di imporre un “dress code”. Qui si arriva per vivere una vera “esperienza”, per godere un panorama mozzafiato e per assaggiare una cucina d’eccellenza. Il cliente è coccolato e assecondato in ogni momento, ma deve essere abbigliato in maniera decorosa e adeguata al contesto.
Qualche teorico della “deregulation” forse storcerà il naso, ma a me sembra una scelta legittima. Perché La Pergola è un ristorante di vera eleganza, come ormai non ce ne sono più molti in Italia. Raffinato negli arredi, nel servizio, in ogni minima rifinitura, dai fiori al cambio di apparecchiatura durante la cena, dalle porcellane di Sèvres agli altri incredibili pezzi di antiquariato che adornano le bellissime sale da pranzo e anche l’elegantissima sala fumatori. Scarsa modernità? No, classe senza tempo.
E allora indossate la giacca (alle signore inutile dare consigli sull’abito, normalmente ci insegnano stile e ricercatezza) e venite all’ultimo piano del Rome Cavalieri per vivere qualche ora di cui difficilmente vi pentirete.
Qui ogni sera grazie al piccolo grande cuoco tedesco e alla sua eccezionale brigata va in onda uno spettacolo in cui nulla è lasciato al caso. Lo straordinario pane, gli oli, la selezione dei sali, la carta delle acque, tutto è curato e studiato con perizia assoluta.
Per non parlare della stupefacente cantina e che vi sarà illustrata da Marco Reitano, uno dei sommelier più bravi che abbiamo mai incontrato.
Infine la cucina di Heinz Beck, classica, equilibrata, sempre molto ragionata e assolutamente leggera. L’attenzione alla salubrità dei cibi è da sempre uno dei pallini dello chef teutonico: piatti, ormai classici come gli spaghetti “cacio e pepe” con gamberi marinati al lime o i fagottelli “La Pergola” (con la carbonara all’interno) sono l’esempio perfetto di come possano coniugarsi, secondo il verbo dell’alta cucina, territorio e tradizione. Preparazioni leggerissime ma al contempo dotate di un’enorme concentrazione di sapore, ma in genere ogni piatto che assaggerete si farà apprezzare per il grande rigore tecnico e stilistico. Su tutti l’eccellente capriolo in crosta di pistacchi con purè di castagne e confettura di cachi: alta scuola, senza ombra di dubbio.
Certo, il gourmet più esigente potrebbe obiettare che quella di Beck non è una cucina che brilla per originalità e probabilmente avrebbe più di una ragione a pensarlo visti i molti “cloni” evidenti che spesso appaiono per ispirare le preparazioni di alcuni piatti. Forse il classico rivisitato, puro e duro, rappresenta il vero e più efficace stile di cucina di Beck, ma eventuali “digressioni” rispondono probabilmente ad un rigido precetto che tende a privilegiare, innanzitutto, un’esperienza di estrema piacevolezza da offrire ad una clientela per sua stessa natura varia ed eterogenea. Senza dimenticare che mantenersi negli anni a questi livelli senza mai sedersi sugli allori è tutt’altro che impresa facile, perché è il frutto del grande lavoro, dello studio continuo e delle indubbie capacità di una squadra di estremo talento, capitanata, da sempre, da quel Piccolo Grande Cuoco venuto da lontano.
Ad Majora

Mise en place

Interni

Purea di ceci, cozze, pane croccante e spuma al pecorino.

Crema di castagne con tartare di gamberi rossi e infuso di funghi porcini: elegante…corroborante…intensa.

Risotto all’olio d’oliva e grana padano con verdure e scampi in pinzimonio.

Terra…

Dopo l’omaggio allo iodio di Mare.. Heinz Beck ci presenta Terra, un omaggio al sottobosco. Piatto eccellente anche se non originalissimo per noi che giriamo tanto. Fin qui il gourmet di lungo corso. Il cronista rileva che nei tavoli vicini abbiamo sentito grida di stupore e grandi complimenti al Cuoco per l’originalità della composizione.

Spaghetti “cacio e pepe” con gamberi bianchi marinati al lime.

Fagottelli “La Pergola”.

Cacio e pepe e carbonara secondo Beck. Due classici senza tempo. Come rendere eleganti e leggeri due piatti normalmente impegnativi e alquanto pastorali. Omaggio dell’alta cucina alle tradizioni del territorio in cui opera. Chapeau!

Capriolo in crosta di pistacchi con purè di castagne e confettura di cachi.


Piatto sublime, tecnicamente perfetto e buonissimo, con la nota selvatica ingentilita ma non spenta.

Filetto di spigola su fondo di verbena e zafferano, con asparagi.

Altro piatto grande nella sua essenzialità e come un gran vino ti fa godere prima di tutto con l’olfatto.

Sorbetto alle pere in crosta di gorgonzola con cremoso alle noci.

Cheese cake molto contemporanea, più cheese che cake.

Sfera ghiacciata di melograno su crema alla gianduia e cannelloni ai pinoli salati.

Piccola pasticceria.

I formaggi.

La hall.

Eccomi già operativo. Però, 30 minuti di anticipo non sono pochi. Ok ragazzi, no problema: mi faccio una passeggiatina, giusto per “creare fame” (come se non ce ne fosse abbastanza). Tanto qualcosa con cui lustrarsi gli occhi qui si trova sempre…
Toh, un colonnato del Bernini, piazza del Vaticano, San Pietro….così, tanto per gradire.
Roma è così, assolutamente unica. Dovunque ti giri trovi scorci meravigliosi, vivi la storia. Ha più da raccontare un sanpietrino di qualunque di queste vie piuttosto che un qualsivoglia palazzo statunitense. Roma è sempre Roma, un cittadino della piatta pianura non si può stancare mai della sua Capitale.
Unica anche nei suoi piatti storici: carbonara, amatriciana, cacio e pepe, abbacchio, coratella, e chi più ne ha più ne metta. Piatti ignoranti, piatti pieni di cuore, di anima, di passione.
No, questa volta non portatemi a mangiare foie gras col prefisso 06. Questa volta voglio magnà romano. Voglio materia, gusto, piacevolezza. Anche un gourmet ha il diritto di staccare un poco la spina.
Possibile non ci sia un posto degno di questo obiettivo?
Sì, va bene: ci vorrebbe una frittata tipo quella di Arcangelo, la carbonara di Pipero o la matriciana di Roscioli…
Ok, ok, ma mica possiamo fare la via crucis delle meglio romanità romane!
Datemi un indirizzo unico!
-Ci starebbe la Sora Lella….
-Ma non era da turisti?
-Ma tu ci sei mai stato?
-No.
-E allora che parli a fa’…E’ deciso, tavolo da tre all’Isola Tiberina.
Dunque, partiamo dalla fine: il conto e quello che con questi euro “se semo magnati”.
Menu tipico romano – Tutto compreso € … 56,00
Frittata alla Paesana con Mozzarella di Bufala di Amaseno
Gnocchi di Patate all’Amatriciana
Rollè di Abbacchio disossato al Forno con Schiacciata di Patate
Torta di Ricotta Romana Dop con Confettura di Visciole
Pane dal Forno di Gabriele Bonci
½ Acqua minerale
Caffè o Cappuccino
Allora, siamo franchi: se questo menu costasse 40 euro, la Sora Lella sarebbe da mettere in agenda cerchiata di rosso e da raccomandare a tutti gli amici veri. Il prezzo è invero un po’ altino.
Bene, questo capitolo l’abbiamo chiarito subito e ci siamo messi il cuore in pace.
Lato cantina: c’è più di qualcosa con cui divertirsi. Per esempio un Faro Palari 2006 che è sceso con la facilità con cui Rocco si mangia le patatine.
Ma lo so, voi volete il lato cucina: è un bel lato, solido, non sempre impeccabile ma di sicuro appagamento. Diciamo che se tutto fosse come l’abbacchio (da vertici assoluti), lo gnocco (un po’ meno il sugo) o la carbonara, qui ci prenderei la residenza nelle mie puntate romane.
Non è tutto di questo livello, ma è comunque uno dei migliori indirizzi romani del genere.
Turistico? Eh, ma mica è un reato! Questi avevano il ristorante pieno una sera di mercoledì: baciarsi i gomiti facendo le capriole. E se poi l’ammericano vuole il cappuccino dopo l’abbacchio, e che sarà mai! Sorridigli mentre ti ciucci l’ultima goccia di Faro, qui, sull’Isola Tiberina.

Foto di Roberto Bellomo

Frittata alla Paesana con Mozzarella di Bufala di Amaseno

Gnocchi di Patate all’Amatriciana

Rigatoni alla Carbonara (cambio dal menu gentilmente concesso per uno dei compari della serata)

Rollè di Abbacchio disossato al Forno con Schiacciata di Patate

Torta di Ricotta Romana Dop con Confettura di Visciole

Faro Palari 2006

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Recensione ristorante.

Restaurant Thoumieux, il nuovo regno di Jean-François Piège. Già tristellato nel tempio dell’Hotel Plaza Athénée a Parigi, alla corte di Alain Ducasse, poi bistellato all’Hotel Crillon in Place de la Concorde ed ora impegnato a risollevare le sorti di un monumento storico di Parigi, dove giovinastri apprendisti gourmet italiani, oggi importanti e rinomati critici gastronomici :-), mietevano vittime di ogni genere al bancone della famosa brasserie : cibo, birra e gentil sesso 😉 .
In primavera inoltrata, si vocifera, il buon Piège aprirà al primo piano la versione più nobile, come si dice dalle parti della Senna il Restaurant Gastro, in cui, per pochi fortunati, tenterà di proporre la cucina d’autore per cui è noto ai più.

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